Zebiwe
17-05-2005, 13:12
Intesa tra democratici e repubblicani: reattori in cambio di piani anti-smog
Nucleare Usa, anche gli ecologisti dicono sì (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/05_Maggio/17/nucleare.shtml)
Un gruppo di leader storici dell’ambientalismo rivaluta le centrali atomiche. I sindaci: introduciamo nei comuni il protocollo di Kyoto
http://www.corriere.it/Media/Foto/2005/05_Maggio/17/radiazioni.gif
La «sorella orribile» della famiglia energetica torna a piacere a destra e sinistra. Prima in Europa, come si è visto nelle settimane scorse, e ora negli Stati Uniti, l’ipotesi di rilanciare la produzione di energia nucleare sta prendendo il centro non solo del dibattito ma anche delle iniziative politiche e d’affari. A muoversi negli Usa sono, tra le accuse di tradimento, alcuni ambientalisti storici. Il bello è che il versante opposto - conservatori e mondo del business - sta andando loro incontro e il terreno di compromesso è lo sfruttamento dell’energia dell’atomo. Intorno alla questione, infatti, è in corso un radicale riallineamento di posizioni.
IL RIPENSAMENTO - Lo smottamento della diga anti-nucleare è stato segnalato da Stewart Brand, ambientalista con credenziali inattaccabili, nella rivista Technology Review dell’Mit di Boston. Brand nota che l’effetto serra è palesemente sempre più legato all’uso di combustibili fossili e che gli ambientalisti più consapevoli sono ormai così preoccupati da ritenere che solo il ricorso all’energia nucleare (senza emissioni di anidride carbonica) possa cambiare la situazione: le altre tecnologie alternative, dal solare all’eolico, e il risparmio energetico sono insufficienti. «Non è che qualcosa di nuovo, di importante e di buono è successo con il nucleare - ha detto al New York Times -. E’ che qualcosa di nuovo, di importante e di cattivo è successo al cambiamento climatico». Le previsioni pubblicate la settimana scorsa di una modifica sostanziale della Corrente del Golfo che riscalda l’Europa hanno scioccato molti.
Brand non è il solo «verde a dovere arrossire di vergogna», secondo i militanti ortodossi che all’improvviso vedono aprirsi crepe nella muraglia anti-nucleare che ha tenuto per almeno 25 anni, dall’incidente di Three Mile Island, in Pennsylvania, nel 1979. Altri ambientalisti di prima fila - il New York Times cita per esempio Fredd Krupp di Environmental Defense, Jonathan Lash del World Resources Institute e James Gustave Speth, rettore della Scuola di Studi Ambientali di Yale - hanno aperto una porta, se non all’accettazione immediata delle centrali nucleari, almeno alla ricerca di soluzioni economiche e tecniche per superarne i limiti. E il numero di febbraio del mensile Wired , dove Peter Schwartz e Spencer Reiss hanno suggerito di riconsiderare la questione, ha provocato «la fusione del nocciolo» tra i lettori, dicono in redazione: il dibattito imperversa.
ACCORDO BIPARTISAN - Negli Stati Uniti, l’ultimo reattore nucleare è stato ordinato 32 anni fa: da allora, nessuno si è più azzardato a toccare l’atomo. Due senatori di primissimo piano, il repubblicano John McCain e il democratico Joseph Lieberman, starebbero però per introdurre una proposta di legge che, in cambio di un maggiore controllo delle emissioni, darebbe il via libera a incentivi per la costruzione di una nuova generazione di impianti nucleari. Il fatto è che le preoccupazioni per l’innalzamento della temperatura media crescono e anche i conservatori, tendenzialmente scettici sugli allarmi dei Verdi, sono ora preoccupati. Non solo. Il prezzo del petrolio, sopra i 50 dollari al barile e che ormai quasi tutti danno per strutturalmente rincarato rispetto agli scorsi 15-20 anni, spinge alla ricerca di nuove fonti energetiche. E, sul piano geopolitico, la dipendenza occidentale dal petrolio del Medio Oriente continua a rivelarsi un fattore di instabilità.
Succede così, dunque, che 131 sindaci americani si allineino dietro la proposta del primo cittadino di Seattle, il democratico Greg Nickels, di applicare a livello locale il Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni non sottoscritto da George Bush. Una coalizione bipartisan che vede sindaci liberal al fianco di repubblicani come Michael Bloomberg di New York. Altri repubblicani in posizioni chiave, come i governatori della California Arnold Schwarzenegger e dello Stato di New York George Pataki stanno mobilitandosi per ridurre le emissioni di biossido di carbonio. Di più: anche il Big Business e Wall Street hanno ripreso in mano il dossier.
LA MOBILITAZIONE - Jeff Immelt, il boss della General Electric, costruttore storico di centrali nucleari, ha tenuto una settimana fa un discorso a Washington per denunciare la politica americana del «far niente» rispetto ai cambiamenti climatici. E ha deciso di tornare a puntare sul nucleare. Una coalizione di Verdi e di investitori, Ceres, si è invece data l’obiettivo di sensibilizzare Wall Street sull’effetto serra. E il successo promette di essere straordinario: vi aderiscono già fondi pensione che rappresentano tremila miliardi di dollari di investimenti e orientano sempre più i loro capitali verso imprese attente a limitare le emissioni.
Pezzi non da poco della destra e della sinistra politica, parti del mondo degli affari e movimenti della società civile stanno insomma tornando a convergere sulle tecnologie nucleari. Vanno a scontrarsi con opposizioni trentennali, le quali sostengono che la tecnologia è costosa; che ha bisogno di sussidi pubblici perché i privati, da soli, non si avventurano su una strada così accidentata; che il problema dello smaltimento delle scorie non è ancora stato risolto in modo soddisfacente. E che un maggior numero di centrali favorirebbe la proliferazione delle armi nucleari, con vantaggio dell’«asse del male» Iran-Corea del Nord.
Il dato di fatto, comunque, è che il nucleare sta tornando tra le scelte possibili. Pochi anni fa, il ministro del petrolio saudita, Ali al-Naimi, sosteneva che «gli idrocarburi rimarranno il combustibile principale del Ventunesimo secolo». Qualche mese fa, ha ridimensionato le sue aspettative e ha detto che «il petrolio dominerà per i prossimi 30-50 anni». Segno che la mappa dell’energia è in pieno cambiamento.
Danilo Taino
17 maggio 2005
Nucleare Usa, anche gli ecologisti dicono sì (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/05_Maggio/17/nucleare.shtml)
Un gruppo di leader storici dell’ambientalismo rivaluta le centrali atomiche. I sindaci: introduciamo nei comuni il protocollo di Kyoto
http://www.corriere.it/Media/Foto/2005/05_Maggio/17/radiazioni.gif
La «sorella orribile» della famiglia energetica torna a piacere a destra e sinistra. Prima in Europa, come si è visto nelle settimane scorse, e ora negli Stati Uniti, l’ipotesi di rilanciare la produzione di energia nucleare sta prendendo il centro non solo del dibattito ma anche delle iniziative politiche e d’affari. A muoversi negli Usa sono, tra le accuse di tradimento, alcuni ambientalisti storici. Il bello è che il versante opposto - conservatori e mondo del business - sta andando loro incontro e il terreno di compromesso è lo sfruttamento dell’energia dell’atomo. Intorno alla questione, infatti, è in corso un radicale riallineamento di posizioni.
IL RIPENSAMENTO - Lo smottamento della diga anti-nucleare è stato segnalato da Stewart Brand, ambientalista con credenziali inattaccabili, nella rivista Technology Review dell’Mit di Boston. Brand nota che l’effetto serra è palesemente sempre più legato all’uso di combustibili fossili e che gli ambientalisti più consapevoli sono ormai così preoccupati da ritenere che solo il ricorso all’energia nucleare (senza emissioni di anidride carbonica) possa cambiare la situazione: le altre tecnologie alternative, dal solare all’eolico, e il risparmio energetico sono insufficienti. «Non è che qualcosa di nuovo, di importante e di buono è successo con il nucleare - ha detto al New York Times -. E’ che qualcosa di nuovo, di importante e di cattivo è successo al cambiamento climatico». Le previsioni pubblicate la settimana scorsa di una modifica sostanziale della Corrente del Golfo che riscalda l’Europa hanno scioccato molti.
Brand non è il solo «verde a dovere arrossire di vergogna», secondo i militanti ortodossi che all’improvviso vedono aprirsi crepe nella muraglia anti-nucleare che ha tenuto per almeno 25 anni, dall’incidente di Three Mile Island, in Pennsylvania, nel 1979. Altri ambientalisti di prima fila - il New York Times cita per esempio Fredd Krupp di Environmental Defense, Jonathan Lash del World Resources Institute e James Gustave Speth, rettore della Scuola di Studi Ambientali di Yale - hanno aperto una porta, se non all’accettazione immediata delle centrali nucleari, almeno alla ricerca di soluzioni economiche e tecniche per superarne i limiti. E il numero di febbraio del mensile Wired , dove Peter Schwartz e Spencer Reiss hanno suggerito di riconsiderare la questione, ha provocato «la fusione del nocciolo» tra i lettori, dicono in redazione: il dibattito imperversa.
ACCORDO BIPARTISAN - Negli Stati Uniti, l’ultimo reattore nucleare è stato ordinato 32 anni fa: da allora, nessuno si è più azzardato a toccare l’atomo. Due senatori di primissimo piano, il repubblicano John McCain e il democratico Joseph Lieberman, starebbero però per introdurre una proposta di legge che, in cambio di un maggiore controllo delle emissioni, darebbe il via libera a incentivi per la costruzione di una nuova generazione di impianti nucleari. Il fatto è che le preoccupazioni per l’innalzamento della temperatura media crescono e anche i conservatori, tendenzialmente scettici sugli allarmi dei Verdi, sono ora preoccupati. Non solo. Il prezzo del petrolio, sopra i 50 dollari al barile e che ormai quasi tutti danno per strutturalmente rincarato rispetto agli scorsi 15-20 anni, spinge alla ricerca di nuove fonti energetiche. E, sul piano geopolitico, la dipendenza occidentale dal petrolio del Medio Oriente continua a rivelarsi un fattore di instabilità.
Succede così, dunque, che 131 sindaci americani si allineino dietro la proposta del primo cittadino di Seattle, il democratico Greg Nickels, di applicare a livello locale il Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni non sottoscritto da George Bush. Una coalizione bipartisan che vede sindaci liberal al fianco di repubblicani come Michael Bloomberg di New York. Altri repubblicani in posizioni chiave, come i governatori della California Arnold Schwarzenegger e dello Stato di New York George Pataki stanno mobilitandosi per ridurre le emissioni di biossido di carbonio. Di più: anche il Big Business e Wall Street hanno ripreso in mano il dossier.
LA MOBILITAZIONE - Jeff Immelt, il boss della General Electric, costruttore storico di centrali nucleari, ha tenuto una settimana fa un discorso a Washington per denunciare la politica americana del «far niente» rispetto ai cambiamenti climatici. E ha deciso di tornare a puntare sul nucleare. Una coalizione di Verdi e di investitori, Ceres, si è invece data l’obiettivo di sensibilizzare Wall Street sull’effetto serra. E il successo promette di essere straordinario: vi aderiscono già fondi pensione che rappresentano tremila miliardi di dollari di investimenti e orientano sempre più i loro capitali verso imprese attente a limitare le emissioni.
Pezzi non da poco della destra e della sinistra politica, parti del mondo degli affari e movimenti della società civile stanno insomma tornando a convergere sulle tecnologie nucleari. Vanno a scontrarsi con opposizioni trentennali, le quali sostengono che la tecnologia è costosa; che ha bisogno di sussidi pubblici perché i privati, da soli, non si avventurano su una strada così accidentata; che il problema dello smaltimento delle scorie non è ancora stato risolto in modo soddisfacente. E che un maggior numero di centrali favorirebbe la proliferazione delle armi nucleari, con vantaggio dell’«asse del male» Iran-Corea del Nord.
Il dato di fatto, comunque, è che il nucleare sta tornando tra le scelte possibili. Pochi anni fa, il ministro del petrolio saudita, Ali al-Naimi, sosteneva che «gli idrocarburi rimarranno il combustibile principale del Ventunesimo secolo». Qualche mese fa, ha ridimensionato le sue aspettative e ha detto che «il petrolio dominerà per i prossimi 30-50 anni». Segno che la mappa dell’energia è in pieno cambiamento.
Danilo Taino
17 maggio 2005