IpseDixit
13-02-2005, 11:41
ROMA - Qualche problema con la politica, Elio Catania l’aveva già avuto al suo arrivo, con le nomine dei primi dirigenti. Alcune scelte erano state interpretate come un segnale di scarsa attenzione alle aspettative della maggioranza. Ma ora, dopo l’incidente di Crevalcore, la rivolta dei pendolari e gli scioperi selvaggi, e soprattutto l’approssimarsi delle elezioni, l’insofferenza della coalizione di governo, in particolare Forza Italia e An, nei confronti dell’amministratore delegato delle Ferrovie, che si mostra refrattario a molte richieste dei partiti, si è fatta palpabile.
Nel partito del premier Silvio Berlusconi è tornato alla carica chi avrebbe già da tempo voluto la testa dell’amministratore delegato di Rfi Mauro Moretti, con un passato nella Cgil. Ma Catania lo ritiene intoccabile. A farne le spese sarà quindi Francesco Rossi, direttore generale di Ferservizi, già pupillo di Moretti, che con l’uscita di scena dell’amministratore delegato di quella società, Massimo Varazzani, avrebbe dovuto prenderne il posto. La sua nomina, voluta da Catania, è stata contrastata da An, che voleva quel posto. L’amministratore delegato delle Fs tiene duro, ma la candidatura di Rossi appare tramontata. E Catania dovrà cambiare cavallo. Per ora si è dovuto accontentare di nominare un advisory council di sei esperti per studiare le innovazioni da applicare anche alla sicurezza.
Il terminale nel quale si scaricano queste tensioni è il consiglio di amministrazione della holding dove ormai Catania, insieme al solo rappresentante del Tesoro Roberto Ulissi, si trova a fronteggiare il muro, compatto, dei tre consiglieri di nomina politica. Che rivendicano spazio e poteri. Il presidente dell’Inpdap Marco Staderini, dell’Udc, al quale era stata promessa la presidenza (assegnata invece ad interim a Catania), aspirerebbe ad avere voce in capitolo su finanza e personale. Stefano Zaninelli, Lega Nord, ha avuto per il momento la presidenza della Sogin-Sita, la società dei pullman. Luciano Canepa (An), che invece mostra interesse per il settore cargo, ha ottenuto la presidenza della controllata Italcontainer.
In questo contesto merita di essere segnalato un piccolo episodio. Da un paio di mesi i consiglieri «politici» hanno chiesto un rapporto sulla vendita della Cit, società turistica della quale sono ora azionisti fra gli altri, oltre a Gianvittorio Gandolfi, anche l’ex sottosegretario ai Traporti Luca Danese, nipote di Giulio Andreotti, Giuseppe Vimercati, l’ex presidente del Mediocredito lombardo, banca che finanziò l’acquisto, e Candia Camaggi, già manager Fininvest. Una operazione che pur essendo avvenuta prima dell’arrivo di Catania, ha avuto uno strascico successivo alla sua nomina. Il 23 giugno scorso Trenitalia, allora guidata da Roberto Renon, ha infatti staccato un assegno di 6,2 milioni a favore della stessa agonizzante Cit, come epilogo di un arbitrato. La richiesta è rimasta ancora inevasa e ciò non ha contribuito a raffreddare la temperatura.
Alle tensioni nel consiglio si aggiungono i traumi della profonda ristrutturazione di Trenitalia, dove l’amministratore delegato Roberto Testore ha deciso di cancellare con un colpo di spugna le tre divisioni. Secondo i calcoli, l’ottimizzazione potrebbe far risparmiare fino al 30-35% dei costi di gestione. Ma non è stata ben digerita proprio da tutti. Per esempio da Giuseppe Smeriglio, che era arrivato alla guida della divisione cargo con aspettative di notevole autonomia e che ha già proceduto a un profondo rinnovo della prima linea dirigenziale. Prima di venir preso in contropiede dal nuovo schema. Ma gli è andata sempre meglio che ad altri dirigenti di livello elevato che il nuovo corso ha messo inevitabilmente ai margini.
E’ il caso di Amedea Pennacchi, sorella dell’ex sottosegretario diessino Laura Pennacchi, che nei mesi scorsi ha dovuto cedere il posto di capo del personale di Trenitalia a Luciano Carbone, proveniente dalla Bnl, banca della quale Catania è stato consigliere di amministrazione. Ma è anche il caso del direttore della finanza Giovanni D’Ambros, considerato un «cimoliano» di ferro, che prima si è visto ridimensionare l’incarico e recentemente ha perso anche la presidenza di Fercredit, «banca» delle Fs.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2005/02_Febbraio/12/fs.shtml
Nel partito del premier Silvio Berlusconi è tornato alla carica chi avrebbe già da tempo voluto la testa dell’amministratore delegato di Rfi Mauro Moretti, con un passato nella Cgil. Ma Catania lo ritiene intoccabile. A farne le spese sarà quindi Francesco Rossi, direttore generale di Ferservizi, già pupillo di Moretti, che con l’uscita di scena dell’amministratore delegato di quella società, Massimo Varazzani, avrebbe dovuto prenderne il posto. La sua nomina, voluta da Catania, è stata contrastata da An, che voleva quel posto. L’amministratore delegato delle Fs tiene duro, ma la candidatura di Rossi appare tramontata. E Catania dovrà cambiare cavallo. Per ora si è dovuto accontentare di nominare un advisory council di sei esperti per studiare le innovazioni da applicare anche alla sicurezza.
Il terminale nel quale si scaricano queste tensioni è il consiglio di amministrazione della holding dove ormai Catania, insieme al solo rappresentante del Tesoro Roberto Ulissi, si trova a fronteggiare il muro, compatto, dei tre consiglieri di nomina politica. Che rivendicano spazio e poteri. Il presidente dell’Inpdap Marco Staderini, dell’Udc, al quale era stata promessa la presidenza (assegnata invece ad interim a Catania), aspirerebbe ad avere voce in capitolo su finanza e personale. Stefano Zaninelli, Lega Nord, ha avuto per il momento la presidenza della Sogin-Sita, la società dei pullman. Luciano Canepa (An), che invece mostra interesse per il settore cargo, ha ottenuto la presidenza della controllata Italcontainer.
In questo contesto merita di essere segnalato un piccolo episodio. Da un paio di mesi i consiglieri «politici» hanno chiesto un rapporto sulla vendita della Cit, società turistica della quale sono ora azionisti fra gli altri, oltre a Gianvittorio Gandolfi, anche l’ex sottosegretario ai Traporti Luca Danese, nipote di Giulio Andreotti, Giuseppe Vimercati, l’ex presidente del Mediocredito lombardo, banca che finanziò l’acquisto, e Candia Camaggi, già manager Fininvest. Una operazione che pur essendo avvenuta prima dell’arrivo di Catania, ha avuto uno strascico successivo alla sua nomina. Il 23 giugno scorso Trenitalia, allora guidata da Roberto Renon, ha infatti staccato un assegno di 6,2 milioni a favore della stessa agonizzante Cit, come epilogo di un arbitrato. La richiesta è rimasta ancora inevasa e ciò non ha contribuito a raffreddare la temperatura.
Alle tensioni nel consiglio si aggiungono i traumi della profonda ristrutturazione di Trenitalia, dove l’amministratore delegato Roberto Testore ha deciso di cancellare con un colpo di spugna le tre divisioni. Secondo i calcoli, l’ottimizzazione potrebbe far risparmiare fino al 30-35% dei costi di gestione. Ma non è stata ben digerita proprio da tutti. Per esempio da Giuseppe Smeriglio, che era arrivato alla guida della divisione cargo con aspettative di notevole autonomia e che ha già proceduto a un profondo rinnovo della prima linea dirigenziale. Prima di venir preso in contropiede dal nuovo schema. Ma gli è andata sempre meglio che ad altri dirigenti di livello elevato che il nuovo corso ha messo inevitabilmente ai margini.
E’ il caso di Amedea Pennacchi, sorella dell’ex sottosegretario diessino Laura Pennacchi, che nei mesi scorsi ha dovuto cedere il posto di capo del personale di Trenitalia a Luciano Carbone, proveniente dalla Bnl, banca della quale Catania è stato consigliere di amministrazione. Ma è anche il caso del direttore della finanza Giovanni D’Ambros, considerato un «cimoliano» di ferro, che prima si è visto ridimensionare l’incarico e recentemente ha perso anche la presidenza di Fercredit, «banca» delle Fs.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2005/02_Febbraio/12/fs.shtml