View Full Version : Lavoratori precari, 2 su 3 sono cronici
IpseDixit
13-01-2005, 11:56
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/01_Gennaio/13/precari.shtml
Articolo del solito giornale comunista :O
Originariamente inviato da IpseDixit
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/01_Gennaio/13/precari.shtml
Articolo del solito giornale comunista :O
Solo un appunto a chi ha scritto l'articolo: la definizione di "cronico" che IMHO messa giu' cosi' significa poco, anzi nulla, anzi e' sbagliata.
Per il resto, cosa penso dell'implementazione che qui in Italia si e' dato al "lavoro flessibile" non mi metto neanche a ribadirlo...
Alessandro Bordin
13-01-2005, 14:31
Tranquillo, fra poco arriva l'Istat, qualche ministro e SaMu a smentire :D :p
Originariamente inviato da Alessandro Bordin
Tranquillo, fra poco arriva l'Istat, qualche ministro e SaMu a smentire :D :p
La vera fonte di preoccupazione e' che quello di cui mi fidi di piu' sia SaMu :D
Alessandro Bordin
13-01-2005, 14:39
Originariamente inviato da prio
La vera fonte di preoccupazione e' che quello di cui mi fidi di piu' sia SaMu :D
Idem, e non sto scherzando :D
Atipici: precari fino ai 40 anni
Poco tutelati, stressati, malpagati
Gli intervistati lamentano mancanza di tutele di ogni tipo
Le donne le più svantaggiate, gli ultratrentenni i più pessimisti
di ROSARIA AMATO
ROMA - Rimangono precari anche alle soglie dei 40 anni, non riescono ad avere un mutuo ma spesso neanche una casa in affitto, non se la sentono di mettere al mondo figli, non possono fare sciopero, non hanno tutele sindacali, non vanno mai in malattia anche se poi soffrono di mille malanni psicosomatici, sono pessimisti sul proprio futuro: sono i lavoratori atipici, secondo una ricerca effettuata dall'Eurispes per il Rapporto Italia 2005, che verrà presentato a Roma il 28 gennaio.
"La flessibilità purtroppo - osserva Gian Maria Fara, presidente dell'Eurispes - in Italia è stata interpretata soltanto come possibilità per l'imprenditore di modificare in qualsiasi momento le condizioni del rapporto di lavoro (e quindi anche le modalità di cessazione del rapporto di lavoro) con il proprio dipendente e non come strumento in grado di rendere flessibile l'organizzazione stessa del lavoro".
Il campione. L'indagine è stata effettuata dall'Eurispes su un campione rappresentativo di 446 lavoratori atipici di età compresa tra i 18 e i 39 anni. Il 27,9 per cento degli intervistati lavora 'a progetto', il 22,9 per cento ha un contratto occasionale, il 20,9 per cento è un collaboratore coordinato e continuativo (il co.co.co. è stato abrogato due mesi fa, e sostituito dalla collaborazione a progetto, ma si applica ancora nella Pubblica Amministrazione e nel caso in cui il contratto non sia ancora scaduto), il 13,2 per cento ha un contratto di tipo subordinato a tempo parziale, l'8,5 per cento lavora tramite agenzie interinali e il 5,4 per cento tramite contratto d'inserimento. Il 55,9 per cento degli intervistati è in possesso di master o specializzazione post-laurea, l'83,2 per cento ha una laurea.
L'aticipicità si cristallizza. L'ingresso nel mondo del lavoro con un contratto 'flessibile' tende a cristallizzarsi, tanto che per il 67,8 per cento delle persone tra i 33 e i 39 anni l'atipicità ha assunto un carattere permanente. Per pochi fortunati il lavoro flessibile si limita ad essere un'opportunità di primo inserimento lavorativo: il 56,6 per cento degli intervistati ha lavorato sempre da atipico per un periodo compreso tra i tre i cinque anni, il 67,4 per cento per oltre un quinquennio e il 51,4 per cento da oltre 10 anni.
Atipicità apparente. L'aticipicità del contratto è solo apparente: nella maggior parte dei casi si tratta di rapporti di lavoro subordinato mascherati, soprattutto per i collaboratori. Infatti tra i co.co.co. il 78,5 per cento lavora per un unico datore di lavoro, il 73,1 per cento svolge un lavoro a tempo pieno e al 71 per cento viene richiesta una presenza quotidiana. Solo il 12,9 per cento gestisce in modo del tutto autonomo i modi e i tempi del proprio lavoro.
Stipendi bassi. Gli stipendi sono in media bassi, soprattutto per le donne: oltre i tre quarti dei lavoratori atipici percepisce una retribuzione mensile che non supera i 1.000 euro netti (la percentuale cambia a seconda del sesso: si tratta dell'82,9 per cento delle donne e del 67,9 per cento degli uomini). In effetti però il 30 per cento delle donne non va oltre i 400 euro mensili, contro il 20,2 per cento degli uomini. Solo il 17,1 per cento degli uomini e il 15 per cento delle donne percepisce tra i 1000 e i 1400 euro al mese. I due terzi degli intervistati (65,9 per cento) dichiarano di essere poco o per niente soddisfatti del trattamento economico: si dichiara molto soddisfatto appena il 4,7 per cento.
Mancanza di tutela. Essere atipici significa non poter effettuare scelte di vita importanti: lo denuncia il 76,3 per cento delle donne e il 52,8 per cento degli uomini. E' un aspetto che si fa sentire di più con l'età (pesa al 74,7 per cento di coloro che hanno tra i 33 e i 39 anni). Il 90,5 per cento delle donne e l'83,9 per cento degli uomini ritiene che il diritto alla maternità sia poco o per niente garantito. Non ci si stupisce dunque che la stragrande maggioranza del campione (l'89,7 per cento) sia celibe o nubile: solo il 6,5 per cento degli intervistati ha uno (3,4 per cento) o più figli (3,1 per cento).
Nessun diritto. Per l'81,6 per cento degli intervistati non è tutelato il diritto alla malattia. Oltre il 90 per cento degli intervistati si sente poco o per nulla tutelato rispetto al diritto di sciopero. L'87,9 per cento lamenta la mancanza del diritto alla formazione.
La casa: niente mutuo, difficoltà per l'affitto. Il 71,3 per cento degli intervistati afferma che il fatto di essere un lavoratore atipico ha influito molto (51,8 per cento) o abbastanza (19,5 per cento) sulla possibilità di avere un mutuo per comprare una casa. Ma per il 58,8 per cento ha condizionato negativamente perfino la possibilità di prendere in affitto un appartamento.
Ansia, depressione, malattie psicosomatiche. La maggior parte delle donne lamenta stati di ansia (52,5 per cento, contro il 37,7 degli uomini) dovuti alla preoccupazione per la mancanza di stabilità nel proprio lavoro. Il 36,7 per cento del segmento più maturo del campione (33-39 anni) è soggetto a stati depressivi frequenti (28,7 per cento) o continui (8 per cento). Il 59,6 per cento soffre almeno qualche volta di disturbi gastro-intestinali, il 55,8 per cento di di dolori muscolari, il 55,3 per cento di emicranie e mal di testa, il 45,5 per cento di stanchezza cronica, il 40,2 per cento di disturbi della vista, il 38,8 per cento di problemi cutanei, il 37,2 per cento di inappetenza e debolezza. Il 16,3 per cento accusa disturbi sessuali, alimentari (15,9 per cento) e il 18 per cento soffre di attacchi di panico, tra questi ultimi il 6,1 per cento in modo frequente o continuo.
La pensione. Tra le donne il 37,5 per cento ritiene che quando smetterà di lavorare non avrà una pensione, mentre il 34 per cento pensa che comunque questa non sarà sufficiente a garantire una vecchiaia dignitosa. In totale il 63,7 per cento del campione ritiene che comunque la pensione che avrà a fine lavoro sarà insufficiente a garantire un livello di vita dignitoso o non ci sarà affatto. Non a caso il 34,5 per cento vorrebbe garantirsi una pensione integrativa ma non riesce a provvedervi, perché non ne ha i mezzi.
Il futuro? Pessimo. Il 52,2 per cento delle donne immagina il proprio futuro economico mediocre o pessimo. Stessa percezione per il 59,8 per cento degli intervistati di età compresa tra i 33 e i 39 anni, e per il 59,5 per cento di coloro che vantano un'esperienza lavorativa ultradecennale.
tratto ovviamente dal giornale fascista per eccelenza :O
Io rispondo, poi vedete un po' voi, se non vi gusta fate come non aveste letto o premete il tasto "ignore", niente fuoco sul pianista please.:D
Originariamente inviato da Korn
Il campione. L'indagine è stata effettuata dall'Eurispes su un campione rappresentativo di 446 lavoratori atipici di età compresa tra i 18 e i 39 anni. Il 27,9 per cento degli intervistati lavora 'a progetto', il 22,9 per cento ha un contratto occasionale, il 20,9 per cento è un collaboratore coordinato e continuativo (il co.co.co. è stato abrogato due mesi fa, e sostituito dalla collaborazione a progetto, ma si applica ancora nella Pubblica Amministrazione e nel caso in cui il contratto non sia ancora scaduto), il 13,2 per cento ha un contratto di tipo subordinato a tempo parziale, l'8,5 per cento lavora tramite agenzie interinali e il 5,4 per cento tramite contratto d'inserimento. Il 55,9 per cento degli intervistati è in possesso di master o specializzazione post-laurea, l'83,2 per cento ha una laurea.
Che campione ha intervistato l'Eurispes?? 55,9 master post laurea, 83,2% laurea? Questi non sono atipici con la tuta blu, sono ricercatori a contratto del CNR o consulenti free lance.:D
Da questo campione l'Eurispes deduce che il lavoro atipico è cronico fino a 30 anni e oltre.. bella forza con una laurea più master a 30 anni inizi a lavorare!
Non a caso i dati ISTAT (scusa Ale se cito l'istituto tipicamente berlusconiano per eccellenza :D, quello di statistica nazionale) dicono che dal 1997 ad oggi la quota di lavoro tipico a tempo indeterminato non è diminuita ma anzi è leggermente aumentata dal 70% circa al 72% circa. Dati su cui concordano anche i centri studi dei sindacati, vedi rapporti IRES (disponibili sul sito).
Una cosa è certa, i rapporti atipici sono concentrati tra i giovani. Sarà forse per l'eccesso di tutele del rapporto tipico, rimasto inalterato dagli anni dell'industrialismo '70? Sarà per questo che gente come Treu, Rossi, Bersani, Biagi, D'Antona, Tiraboschi, Letta, Rutelli, parlando di -redistribuzione- delle tutele, togliendo qualcosa al rapporto tipico per aggiungere qualcosa al rapporto atipico?
L'aticipicità si cristallizza. L'ingresso nel mondo del lavoro con un contratto 'flessibile' tende a cristallizzarsi, tanto che per il 67,8 per cento delle persone tra i 33 e i 39 anni l'atipicità ha assunto un carattere permanente. Per pochi fortunati il lavoro flessibile si limita ad essere un'opportunità di primo inserimento lavorativo: il 56,6 per cento degli intervistati ha lavorato sempre da atipico per un periodo compreso tra i tre i cinque anni, il 67,4 per cento per oltre un quinquennio e il 51,4 per cento da oltre 10 anni.
Il 56,5 dai 3 ai 5 anni, il 67,4 oltre 5 anni, il 51,4 oltre 10 anni.. a parte che non si capisce che percentuali sono (non fanno 100 come somma, ne' sono decrescenti come una distribuzione.. li avranno estratti da un'urna cieca?:D)
Non si capisce nemmeno a quale lavoro atipico si riferiscano. Certo nessuno di questi ai rapporti introdotti dall'attuale riforma, perchè non c'è da 3 anni.
Il 51,4% da oltre 10 anni nemmeno dal pacchetto Treu, che è del 1996.
Insomma visto il campione visti i dati mi sembra uno spottone confusionario, se pensate che supporti ciò che dite sul governo neoliberista liberi di farlo :D ovviamente, se volete analisi con un senso posso consigliarvene, anche da siti approvati da Master of Puppets come lavoce.info :)
Alessandro Bordin
13-01-2005, 15:50
Originariamente inviato da SaMu
Non a caso i dati ISTAT (scusa Ale se cito l'istituto tipicamente berlusconiano per eccellenza :D, quello di statistica nazionale)
Chi ha mai detto che è Berlusconiano? E' filo-governativo, anche se andasse su Paperoga :D Insomma, come Vespa o Del Noce :D
A parte tutto, mi pare che secondo l'ISTAT vada tutto molto bene, nonostante 50.000.000 di persone dicano il contrario, ovviamente compresi gli elettori del c-dx.
Altro discorso, comunque.
Quello che posso confermarti, nel mio piccolo, è che questi contratti stanno dilagando rimpiazzando molti di quelli definiamoli normali (non solo at.ind, ma anche determinato o part-time).
pure nella mia ditta e vabbuò
Ma perche' li chiamano ancora "atipici"? il 100% degli annunci offre solo ed esclusivamente questi tipi di contratti!! altro che atipici sono ultranormali e ultrasfruttati! :muro:
Sfido chiunque a trovarmi un annuncio e dico uno che sia a tempo indeterminato! :muro:
purtroppo quei contratti sono stati fatti male, la retribuzione è più bassa, i diritti sono minori, chi glielo fa fare ad un datore di lavoro ad assumere a tempo indeterminato? Non ne avrebbe alcun vantaggio.
Io avrei una ricetta per riequilibrare le cose:
1) i diritti devono essere gli stessi, quindi giorni di ferie pagati, permessi e tutto il resto devono essere identici
2) la distribuzione della paga lorda deve essere la stessa, non va bene che vengano versati meno contributi, altrimenti chi sarà precario a vita avrà probabilmente una pensione più bassa
3) la paga lorda di un lavoratore precario deve essere superiore a quella di un lavoratore a tempo indeterminato di pari qualifica ed esperienza, dopo tutto se fanno le stesse cose il minimo sindacale non vedo perchè debba essere diveso (ovviamente se un datore di lavoro decide di pagare di più un lavoratore perchè magari apprezza particolarmente il suo lavoro ben venga), comunque ripeto che la paga lorda di un precario deve essere superiore, non inferiore e nemmeno uguale, superiore, la parte in più si deve considerare come un indennizzo alla condizione di precariato, dopotutto un precario non può fare progetti a lungo termine, deve vivere alla giornata (come può un precario acquistare una cosa a rate? e se poi perde il lavoro come fa a saldare il debito?), quindi una paga lorda più alta, anche di un 10%, farebbe solo bene, inoltre questo spingerebbe le aziende ad utilizzare lavoratori flessibili solo quando effettivamente le necessità sono temporanee, e non per mascherare rapporti duraturi.
Secondo me, se proprio vogliamo spingere l'occupazione in Italia, cominciamo a stanare e a massacrare gli evasori fiscali, con i soldi in più si diminuiscono le tasse sul lavoro, in modo che a fronte di una paga netta sostanzialmente uguale un'azienda possa pagare meno un lavoratore senza togliergli potere d'acquisto, garanzie e la possibilità di fare progetti a lungo termine.
Master_of_Puppets
13-01-2005, 19:59
Caro Killian, io sarei più propositivo di te e dico che non vi deve essere uguaglianza di paga lorda bensì di ugual costo aziendale.
Come ho avuto modo di ripetere più volte, i contratti schiavitù sono stati fatti per la flessibilità e non per abbassare il già basso costo aziendale.
Originariamente inviato da Master_of_Puppets
Caro Killian, io sarei più propositivo di te e dico che non vi deve essere uguaglianza di paga lorda bensì di ugual costo aziendale.
Come ho avuto modo di ripetere più volte, i contratti schiavitù sono stati fatti per la flessibilità e non per abbassare il già basso costo aziendale.
mmm, non capisco bene cosa intendi, a parità di paga lorda, ferie, permessi, maternità e cose varie quali fattori potrebbero determinare un diverso costo aziendale?
Originariamente inviato da Master_of_Puppets
Caro Killian, io sarei più propositivo di te e dico che non vi deve essere uguaglianza di paga lorda bensì di ugual costo aziendale.
Come ho avuto modo di ripetere più volte, i contratti schiavitù sono stati fatti per la flessibilità e non per abbassare il già basso costo aziendale.
Non sono stati fatti solo (o principalmente) per ragioni di organizzazione aziendale, ma come politiche di sostegno dell'occupazione.
Il cosidetto pacchetto Treu è "Legge 24 giugno 1997, n. 196
"Norme in materia di promozione dell'occupazione", non "norme per la flessibilità aziendale".
Posto alcuni contributi per favorire la formazione di opinioni informate:
26-06-2003
Il bicchiere mezzo pieno dell’occupazione
Pietro Garibaldi
Su base annua, l'occupazione è cresciuta del 1,4 per cento, con un aumento assoluto pari a 300mila posti di lavoro. Il tasso di occupazione, il rapporto tra occupati e popolazione in età lavorativa, ha raggiunto il 56 per cento. Nel gennaio del 1997 era pari a 50,5. Se continuasse ad aumentare a questo ritmo, nel 2010 il tasso di occupazione sarebbe intorno al 64 per cento, a distanza ragionevole dagli obiettivi di Lisbona, che prevedono un tasso di occupazione pari al 70 per cento per il 2010.
E i nuovi occupati sono prevalentemente dipendenti a tempo indeterminato. Il tasso di disoccupazione è sotto il 9 per cento. Insomma, da gennaio 1997, sono stati creati più di 2 milioni di posti di lavoro, di cui più della metà ricoperti da donne.
Se teniamo conto della bassa crescita del reddito, il risultato del mercato del lavoro italiano è eccezionale.
Aumenta il divario fra Nord e Sud
Ma il bicchiere è solo mezzo pieno. Per due motivi. Innanzitutto per la situazione territoriale. La "settentrionalizzazione" della crescita occupazionale, un fenomeno che avevamo rilevato già nella precedente inchiesta della forza lavoro, continua. Di fronte a una crescita nazionale dell'occupazione pari all' 1,4 per cento, l'occupazione nel Mezzogiorno è pressoché invariata (crescita pari allo 0,1 per cento). Questo suggerisce un aumento del divario territoriale e un aumento del dualismo italiano, uno dei problemi cronici nel mercato del lavoro. E poi dobbiamo ricordarci che la via italiana allo sviluppo nel mercato del lavoro, che corrisponde a una crescita occupazionale senza crescita del reddito, non può essere un modello sostenibile nel lungo periodo. Come abbiamo già scritto su lavoce.info, in Italia assistiamo a una diminuzione della produttività media, un fenomeno insostenibile nel lungo periodo, quando l'aumento di benessere è necessariamente legato all'aumento della produttività.
Tornando ai dati congiunturali, è importante segnalare la forte crescita del settore delle costruzioni, che hanno registrato su base annua un aumento del 6,5 per cento degli occupati. Indubbiamente, è ragionevole sostenere che parte di questa esplosione sia dovuta a emersione di lavoro irregolare. La sanatoria sugli immigrati, effettuata nell'autunno del 2002, potrebbe in parte spiegare questo fenomeno. E la proroga degli incentivi fiscali alla ristrutturazione edilizia può anche avere obbligato alcune imprese a dichiarare mano d'opera precedentemente irregolare. Indubbiamente, il fatto che la crescita occupazionale non si trasformi in crescita dei consumi, suggerisce che si possa davvero trattare di emersione di lavoro irregolare. Oltre alle costruzioni, anche l'industria ha registrato una forte crescita occupazionale. Probabilmente, stiamo assistendo a importanti fenomeni di sostituzione di capitale con lavoro. In altre parole, mentre osserviamo scarsa attività delle imprese in termini di investimenti in capitale fisico, vediamo anche grande vitalità sul settore risorse umane. Si assume di più e si investe di meno.
Una limitazione coraggiosa
Infine, è bene sottolineare che tutti questi nuovi occupati sono stati registrati prima dell'approvazione dei decreti attuativi della Legge 30 in discussione tra Governo e parti sociali: una conferma che il processo di riforma del mercato del lavoro è un fenomeno iniziato alla metà degli anni Novanta. La riforma oggi in discussione, quando sarà approvata, rappresenterà un passo ulteriore nella stessa direzione di quelle effettuate negli ultimi anni: il pacchetto Treu del 1997, la legge sul part-time del 2000, e la deregolamentazione del lavoro temporaneo del 2001.
L'unica vera novità in discussione sarebbe quella di limitare il proliferare di posizione parasubordinate rivestite sotto forma di collaborazione coordinate e continuative. Limitare i co.co.co. unicamente a quei lavori ascrivibili a un progetto è un procedimento coraggioso, che secondo alcuni commentatori potrebbe irrigidire il mercato del lavoro. Non è ovvio che il provvedimento funzionerà davvero, perché con l'irrigidimento dei co.co.co. potranno emergere in futuro nuove forme contrattuali, come abbiamo già segnalato su lavoce.info.
Ma è un provvedimento dovuto, ed è giusto avere coraggio quando il mercato cresce.
28-09-2004
Nuovi lavori e nuovi numeri
Tito Boeri
Pietro Garibaldi
Dopo quasi un semestre di blackout, l'Istat ha pubblicato la nuova indagine sulle Forze lavoro trimestrali. Era un'indagine molto attesa. Otteniamo i nuovi numeri un anno dopo l'approvazione della Legge Biagi di riforma del mercato del lavoro. Inoltre, si tratta della prima rilevazione ufficiale che utilizza il nuovo metodo di rilevazione "continua" dell'andamento del mercato del lavoro . Infine, le statistiche delle forze lavoro stanno pian piano incorporando gli effetti della regolarizzazione dell'occupazione immigrata, man mano che i nuovi residenti cominciano a entrare nel campione. È un momento di grande cambiamento. Non è facile orientarsi tra i numeri in queste condizioni, ma ci abbiamo provato.
Posti di lavoro e obiettivi di Lisbona
Negli ultimi dodici mesi, il mercato del lavoro italiano ha creato 163mila posti di lavoro. Ciò corrisponde a una crescita dell'occupazione pari allo 0,7 per cento. C'è un rallentamento rispetto all'anno precedente (in cui l'occupazione era cresciuta al tasso doppio, +1,5 per cento), ma è pur sempre un dato importante. Il numero di posti creati è significativo soprattutto alla luce della bassa crescita del prodotto interno, che nello stesso periodo non ha superato l'1 per cento.
E non si tratta di precari. Negli ultimi dodici mesi, sono stati creati quasi 200mila posti di lavoro permanenti a tempo indeterminato, mentre è diminuito di ben 110mila unità il numero di lavoratori a termine.
La maggior parte di questi lavori è però al Nord, mentre nel Mezzogiorno gli occupati sono addirittura calati. La settentrionalizzazione della crescita occupazionale, un fenomeno che già era evidente negli ultimi dodici mesi, continua ininterrotta.
Nonostante i 160mila nuovi occupati, ci allontaniamo da Lisbona, l'obiettivo che conta per chiudere il divario in reddito pro capite rispetto agli Stati Uniti. Negli ultimi dodici mesi, il tasso di occupazione, ossia il rapporto tra occupati e popolazione in età lavorativa, è diminuito. Siamo al 57,5 per cento. Secondo i parametri di Lisbona, dovremmo arrivare al 70 per cento entro il 2010. Un miraggio.
Come si spiega la diminuzione del tasso di occupazione quando l'occupazione cresce? Con la dinamica della popolazione in età lavorativa. È l'effetto immigrati regolarizzati, individui occupati che pian piano stanno entrando nelle forze lavoro, ampliando la base su cui calcoliamo il numero di occupati. Alla luce della composizione settoriale dei nuovi occupati (agricoltura ed edilizia), è probabile che anche la maggior parte dei nuovi occupati siano immigrati regolarizzati.
Gli effetti demografici
Si abbassa anche il tasso di disoccupazione di mezzo punto, scendendo al di sotto dell'8 per cento. Un dato importante, in quanto l'8 per cento era chiaramente una soglia significativa.
Ma questo declino riflette anche un fenomeno demografico. A riprova di questo, il fatto che la riduzione della disoccupazione sia concentrata al Sud, dove anche l'occupazione è in calo. Le coorti che si affacciano sul mercato del lavoro cominciano ad assottigliarsi, pesando di meno sul tasso di disoccupazione. Gli effetti coorte aiutano anche a capire perché l'occupazione aumenti fra gli ultra cinquantenni. Si tratta di persone che erano occupate precedentemente e continuano a esserlo. Le coorti precedenti, soprattutto tra le donne, erano formate da persone che non avevano mai partecipato al mercato del lavoro.
Purtroppo nessuna informazione è ancora disponibile sullo stato di attuazione della Legge Biagi.
Le nuove forze di lavoro dovrebbero registrare anche il numero di occupati sotto forma di collaborazioni coordinate e continuative, ma tale stima non è ancora stata rilasciata.
In parte il blackout continua. Speriamo per poco.
incredibile vivo in un altro paese :D
Originariamente inviato da Korn
incredibile vivo in un altro paese :D
Suvvia dai, se vince il Mortadella nel 2006 anche le tue percezioni vedrai miglioreranno :D
speriamo :O magari mi assumono
Direttamente da un'altra sezione, bella notizia per un utente del forum :)
Evidentemente anche lui guarda troppo TG4 :D
Originariamente inviato da Scoperchiatore
Cmq, tanto per portare un buon esempio agli altri NO, ieri al mio primo colloquio di lavoro, con una laurea base NO presa in 3 anni con 110 e lode mi è stato offerto senza problemi un contratto a tempo indeterminato come 7° livello ;)
Mailandre
13-01-2005, 22:09
ha influito sui dati dell'occupazione generale ???
Come sappiamo c'erano da regolarizzare oltre 700.000 extracomunitari .
Poi...:
un "tizio" che lavora 2 mesi ,...conta uno (1) come dato generale ??
Un "tizio" che lavora e cambia 3 aziende in un anno,..conta come uno(1) oppure conta come tre (3) ??
ciao
Mailandre
13-01-2005, 22:17
Lavoro
Flessibilità per correre ancora
Secondo il rapporto Cnel continuerà la crescita degli occupati anche se a ritmi meno sostenuti.
di Massimo Mascini
Cresce l'occupazione. L'anno scorso sono stati creati 225mila nuovi posti di lavoro, l'1% in più, performance eccezionale se si pensa che nello stesso arco di tempo il prodotto interno lordo è salito solo dello 0,3%. E anche la disoccupazione è scesa: 67mila persone in meno a cercare un posto. Di questo momento fortunato descritto dal Rapporto del Cnel sul mercato del lavoro nel 2003, presentato ieri a Roma, ha approfittato poco o nulla il Sud, perché la crescita è stata tutta al Centro e al Nord, mentre è cresciuta molto l'occupazione femminile e quella degli over 50, toccando quasi solo persone istruite, con laurea o diploma superiore.
È salita l'occupazione dei servizi e del commercio, poco quella nell'industria.
È rimasto stabile il rapporto tra gli impieghi a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato.
Dati nel complesso positivi, che non devono però far abbassare la guardia. Anzi, sarà bene prestare sempre più attenzione all'occupazione, perché il boom di crescita degli scorsi anni è finito.
Già l'ultimo trimestre del 2003 ha mostrato segni di debolezza e i primi mesi del 2004 confermano che la crescita forte degli anni passati è finita.
Il Rapporto afferma senza giri di parole che «si sta chiudendo la fase aperta dalla flessibilità normata, cioè dal "pacchetto Treu"», e aggiunge che «questo apre un serio interrogativo: se la crescita dell'occupazione potrà risalire con il solo ausilio della flessibilità generalizzata, cioè della "riforma Biagi".
Che la riforma del lavoro operata dalla legge 30 sarà sufficiente, non è, a giudizio del Rapporto, «né probabile, né facile».
Si tratta di lavorare attivamente sul binomio crescita-flessibilità perché l'incremento dell'occupazione non faccia un tonfo e ci si avvicini ai traguardi indicati dall'accordo di Lisbona del 2000.
Il sociologo Aris Accornero, coordinatore del gruppo di ricercatori che ha messo a punto il Rapporto, nel presentare lo studio è stato chiaro sul fatto che un ciclo virtuoso si sia ormai esaurito.
A suo avviso tra le cause più rilevanti, oltre alla forte crisi produttiva in atto, il venir meno delle politiche di liberalizzazione e la desensibilizzazione del credito d'imposta per chi assumeva a tempo indeterminato. Ma, ha aggiunto, non c'è stata crescita della precarietà e lo stesso fenomeno dei Co.co.co. va ridimensionato, perché - ha precisato - non interessa più di 6/700mila persone. Le parti sociali sostanzialmente hanno confermato questa valutazione, chiedendo la massima attenzione ai fenomeni che hanno fatto crescere l'occupazione in questi anni.
Tutti hanno infatti concordato sull'importanza del pacchetto Treu e sulla limitata rilevanza della legge Biagi: per la semplice ragione che i provvedimenti del pacchetto Treu operano da anni, la Biagi è stata approvata un anno fa e non è ancora entrata del tutto in funzione. Il sottosegretario al Welfare, Maurizio Sacconi, ha però ricordato come in questi anni hanno pesato anche altri provvedimenti, quelli per il tempo determinato, per l'emersione dal sommerso, la riforma del collocamento ordinario.
E per il futuro?
Serve attenzione, ma forse non ci si deve disperare. Questo pensa Sergio De Nardis, chief economist dell'Isae, che ha distinto nel lungo periodo di crescita che va dal 1995 al 2003 gli ultimi tre anni (dal 2001 al 2003).
Questo «subciclo», a suo avviso «sorprendente», è stato determinato da un incremento della produttività oraria, fenomeno che sta però scemando per la moderazione salariale, per l'abbassamento del costo del lavoro relativo, in particolare per il rallentamento del rapporto tra capitale e lavoro. Ma - rassicura De Nardis - nessuna paura, perché la crescita dell'occupazione calerà, ma non sarà inferiore a quella registrata dal 1997 al 2000. Perché l'inclusione nel mercato del lavoro non è completata, perché le politiche volte a incoraggiare le assunzioni continuano, perché la legge 30 può forse non avere risultati incredibili, ma comunque non ci trascinerà indietro, e se invece avesse successo potrebbe avere un effetto importante sulla produttività del lavoro.
12 novembre 2004
Mailandre
13-01-2005, 22:23
13/01/2005
Il lavoro non si trova facilmente. E se si trova è precario. Vivere con contratti che scadono ogni tre mesi o al massimo ogni anno, non avere mai certezze è un prezzo alto che molti pagano per la flessibilità. Ma è davvero utile per la ripresa economica e per rilanciare le aziende italiane?
Lo abbiamo chiesto a un economista, Maurizio Guandalini, autore insieme a Victor Uckmar del libro “Global Business 2005. Guida ai trend dell’economia mondiale”.
La Riforma del Lavoro darà ora all’azienda Italia la possibilità di essere competitiva a livello internazionale?
Assolutamente no. Noi non possiamo essere concorrenti di Paesi come Cina e India sulle tipologie contrattuali del lavoro. La nostra forza deve essere rappresentata dall’innovazione e dalla ricerca. Dalla qualità dei prodotti. Occorrono dei progetti seri. La flessibilità nel lavoro non è la panacea di tutti i mali. Anche perché spesso comporta condizioni di vita non etiche né dignitose. Ci si lamenta della debolezza dei consumi, ma è chiaro che non si può chiedere a chi guadagna 600 o 800 euro al mese di darsi alla pazza gioia. Per non considerare il fatto che tra le nuove tipologie contrattuali, come i lavoratori a progetto, non è menzionato l’orario di lavoro. Cosa sono, nuovi schiavi?
Qual è allora il giusto compromesso tra la necessità di tutelare le condizioni dei lavoratori e le esigenze delle imprese?
É chiaro che non possiamo avere delle condizioni di gruppo di impiegati per un anno, con contratti agevolati, e poi alla scadenza, ne chiamano altri. Senza dare una parvenza di sicurezza a nessuno. Questo non è affatto corretto. Inoltre in questi anni c ’è stato un uso improprio degli stage, che sono diventati strumenti per raccogliere manovalanza a costo zero. Lo stage de e invece tornare ad essere uno strumento di reclutamento e di selezione di nuo e risorse umane. Dovrebbe essere retribuito, magari inserendo forme di defiscalizzazione a favore del datore. Insomma vanno messi dei paletti, per evitare che che le imprese abbiano sempre il coltello dalla parte del manico, e ricattino i dipendenti: o si accetta quello che viene offerto o si viene cacciati, tanto la lista degli aspiranti è molto lunga.
Come si può evitare tutto questo e rilanciare allo stesso tempo l'economia?
Innanzitutto tornando ad attirare capitali stranieri, come hanno fatto la Spagna e l’Irlanda. E questo si ottiene con misure come la riduzione dei costi dell’energia, l’eliminazione dei cavilli burocratici, e con una defiscalizzazione più mirata. Quando gli imprenditori chiedono la diminuzione del costo del lavoro, non si riferiscono certo ai soldi spesi per gli stipendi, ma a quelli per la produzione, che comprende energia e infrastrutture. Inoltre bisognerebbe incentivare la ricerca. Modernizzare la scuola: l’università dura troppo e ancora non prepara al mondo lavorativo. Questa dovrebbe essere una era politica liberale, non ridurre i lavoratori alla disperazione.
Originariamente inviato da Mailandre
13/01/2005
Inoltre in questi anni c ’è stato un uso improprio degli stage, che sono diventati strumenti per raccogliere manovalanza a costo zero. Lo stage de e invece tornare ad essere uno strumento di reclutamento e di selezione di nuo e risorse umane. Dovrebbe essere retribuito, magari inserendo forme di defiscalizzazione a favore del datore. Insomma vanno messi dei paletti, per evitare che che le imprese abbiano sempre il coltello dalla parte del manico, e ricattino i dipendenti: o si accetta quello che viene offerto o si viene cacciati, tanto la lista degli aspiranti è molto lunga.
confermo tutto e in particolare questo punto per triste esperienza personale e di diversi corsisti!! :mad:
Master_of_Puppets
13-01-2005, 23:51
28-09-2004
Un anno di Legge Biagi
Armando Tursi
La ex baby sitter dei miei figli, che ancora oggi si occupa di loro di tanto in tanto, mi ha chiesto di spiegarle cos'è il lavoro a chiamata. Gliel'ho spiegato, e lei, confermando la mia idea che l'intuizione giuridica non è prerogativa dei giuristi, mi ha detto: "ma allora io sono una lavoratrice a chiamata!". Devo confessare che non ci avevo pensato, ma, in effetti, ci sono tutti gli elementi previsti dall'articolo 34 della nuova legge: ha meno di 25 anni, è disoccupata, e l'intesa è stata, finora, che io la chiamassi con un certo preavviso in caso di necessità. Dunque, in virtù della "legge barbara" che mercifica il lavoro, alla mia baby sitter spetterebbe l'indennità di disponibilità (il 20 per cento della retribuzione contrattuale) per i periodi di "attesa" della chiamata. Per fortuna, lei stessa si è subito affrettata a tranquillizzarmi, chiarendo che non sa che farsene del lavoro a chiamata.
Gli obiettivi della legge
I mali da attaccare erano noti: il tasso di occupazione più basso d'Europa, la seconda peggiore performance (dopo il Belgio) nell'occupazione dei lavoratori anziani, la più elevata incidenza europea del lavoro illegale, i più intensi squilibri territoriali del mercato del lavoro.
La "riforma Biagi" è partita dall'assunto che, per curare quei mali, fosse necessario massimizzare la flessibilità dell'offerta di lavoro, e lo ha fatto a partire dall'anello più debole della catena: non già la regolazione del rapporto di lavoro, bensì la diversificazione dei modelli o tipi contrattuali attraverso i quali è possibile procacciarsi lavoro (la cosiddetta "flessibilità tipologica" o "in entrata"). Operazione accompagnata, poi, dal completamento del processo di decentramento e razionalizzazione organizzativa dei servizi per l'impiego, già avviato dal Governo di centrosinistra.
Su questo secondo fronte, la riforma ha prodotto forse gli sforzi più apprezzabili, per comune riconoscimento bipartisan; benché debba constatarsi che sul piano operativo e dei risultati ottenuti siamo ancora quasi all'anno zero.
I punti critici
Ma è la seconda parte della riforma - quella che moltiplica e rimodula i tipi contrattuali flessibili - che lascia più perplessi.
I dati che l'Istat ha appena fornito sembrano confermare un'impressione diffusa, che registra non tanto la temuta destrutturazione del nostrano diritto del lavoro, quanto la scarsa efficacia di istituti quali il lavoro a chiamata, il lavoro gemellato, il part time flessibile, lo stesso staff-leasing all'italiana (somministrazione cosiddetta "a tempo indeterminato"), che paiono inadatti non solo a destare in maniera significativa l'attenzione degli imprenditori, ma anche a stimolare l'offerta di lavoro.
La verità è che la riforma del 2003 ha utilizzato in maniera un po' confusa strumenti con diversa finalità: andavano infatti meglio distinti gli strumenti di lotta all'esclusione sociale (lavoro a chiamata, contratto di inserimento, prestazioni occasionali di tipo accessorio), da quelli finalizzati a conciliare in maniera ottimale la domanda di flessibilità delle imprese con quella di tutela, ma a sua volta di flessibilità, dei lavoratori (part time, lavoro ripartito, contratto a termine, somministrazione, lavoro parasubordinato, collaborazioni occasionali).
Se ciò si fosse fatto, sarebbe parso chiaro, intanto, che i primi soffrono della concorrenza insuperabile del lavoro irregolare, la cui eliminazione è precondizione per la loro efficacia, oltre che per l'accertamento effettivo della condizione di debolezza occupazionale.
Quanto ai secondi, essi avrebbero richiesto una più attenta calibratura tra flessibilità nell'interesse dell'impresa, flessibilità nell'interesse del lavoratore e semplicità regolativa: se infatti il nuovo part time è troppo poco "women friendly" per poter contribuire a innalzare il tasso di occupazione femminile, il lavoro ripartito, il lavoro a progetto e occasionale, la nuova somministrazione di lavoro e lo stesso lavoro a termine, sono inficiati, a seconda dei casi, e spesso assieme, da eccesso o inefficienza regolativi.
I critici a oltranza della riforma Biagi, peraltro, hanno puntato solo sulle sue reali o presunte iniquità regolative, curandosi ben poco del difetto di fondo, individuabile in una sorta di eccedenza del messaggio politico-mediatico rispetto alla sostanza normativa.
Verso uno "Statuto dei lavori"?
Il risultato, è che dopo il varo di un decreto legislativo composto di ben ottantasei lunghi articoli, e di un decreto correttivo di altri ventuno articoli, resta da scrivere lo "Statuto dei lavori" di cui si parla ormai da un decennio. Resta, per esempio, da allestire la rete di sicurezza sociale resa necessaria proprio dal proliferare di rapporti di lavoro instabili e discontinui, guardando, modernamente, al problema della "sotto-occupazione" più che a quello della "disoccupazione".
Nel contempo, però, sarebbe necessario rimpiazzare, almeno in parte, molte delle flessibilità inutili introdotte nel 2003, con la flessibilità utile e praticabile, che dovrebbe rispondere a due caratteristiche: 1) dovrebbe riguardare direttamente le "modalità d'uso" del lavoro, anche nei rapporti di lavoro "standard" e non precari; 2) dovrebbe operare in funzione non antisindacale.
Ciò sarebbe possibile se si lasciasse alla contrattazione collettiva la facoltà di decidere in quali casi, a quali condizioni e in quali limiti sarebbe lecito, per i singoli lavoratori e per i singoli datori di lavoro, contrattare individualmente condizioni di lavoro adatte alla situazione specifica, anche se formalmente peggiorative rispetto a quelle stabilite dalle norme inderogabili del diritto del lavoro. Ciò costituirebbe, tra l'altro, anche un arricchimento funzionale della contrattazione collettiva e del sindacato, oggi particolarmente bisognosi di allargare e potenziare le basi della propria legittimazione sociale.
Master_of_Puppets
13-01-2005, 23:55
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IpseDixit
15-01-2005, 13:12
Originariamente inviato da Master_of_Puppets
la più elevata incidenza europea del lavoro illegale,
In alcuni settori (...edilizia per esperienza diretta) non c'è flessibilità che tenga, chi ora da lavoro in nero non ha nessuna intenzione di cambiare.
Lucio Virzì
17-01-2005, 14:04
Originariamente inviato da IpseDixit
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/01_Gennaio/13/precari.shtml
Articolo del solito giornale comunista :O
Nulla di nuovo ad ovest di paperino... :asd:
Sono i milioni di nuovi posti di lavoro...
LuVi
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