View Full Version : Il relativismo, il Cristianesimo e l’Occidente
E' un po' lunghino ma ne vale la pena.
Trovano risposte diversi 3d che ho letto le ultime settimane.
Fatemmi sapere cosa ne pensate. ;)
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Marcello Pera
Il relativismo, il Cristianesimo e l’Occidente
Lezione alla Pontificia Università Lateranense
per i 150 anni di fondazione della Facoltà di diritto civile
Roma, 12 maggio 2004
1. Il tema
Quando Monsignor Fisichella mi invitò e mi lasciò libero di svolgere un tema di mio gradimento, presi al volo l’occasione per scegliere un argomento che da tempo mi preme, mi induce a riflettere, spesso a scrivere: lo stato dell’Occidente. Ho allora ripescato le mie riflessioni, ho deciso di abbreviarle, aggiornarle e sottoporle a voi. Perché proprio queste riflessioni e non altre, lo dichiaro in anticipo per presentarvi la cornice entro cui intendo muovermi e consentire a voi una migliore valutazione critica delle mie opinioni.
I “perché” sono tre. Perché ritengo che l’Occidente soffra di un grave stato di crisi culturale. Perché ritengo che questa crisi rischi di toccare, se non la dottrina, la predicazione della Chiesa cattolica. E perché – siccome, né per laici né per credenti, c’è Occidente senza cristianesimo – io ritengo che il cristianesimo possa contribuire in maniera decisiva a curare la sofferenza dell’Occidente.
Questa sofferenza di cui parlo ha un nome noto, relativismo, e da qui comincerò.
2. Un sintomo: l’autocensura dell’Occidente
All’inizio del suo celebre saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Max Weber si pose la seguente questione: «per quale concatenamento di circostanze è avvenuto che proprio sul suolo occidentale, e qui soltanto, la civiltà si è espressa con manifestazioni, le quali – almeno secondo quanto noi amiamo immaginarci – si sono inserite in uno svolgimento, che ha valore e significato universale?» (M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, trad. it. Leonardo, Roma 1945, p. 1).
Weber parlava in particolare «della più grande forza della nostra vita moderna: del capitalismo», ma sono parecchie le creazioni e le istituzioni dell’Occidente alle quali può essere applicato il medesimo quesito. Qui non mi occuperò dell’aspetto storico del quesito. Ciò su cui invece desidero richiamare l’attenzione è un problema filosofico, culturale, di tipo nuovo e paradossale.
Si tratta di questo. Mentre tutte le spiegazioni che si sono succedute hanno mantenuto la genuinità del quesito di Weber, oggi – esattamente cento anni dopo la sua opera – è lo stesso quesito ad essere posto in questione. Il pensiero attualmente prevalente in Occidente a proposito delle creature universali dell’Occidente medesimo è che nessuna di esse ha valore universale. Sì che raccomandare le nostre istituzioni al mondo sarebbe un gesto di arroganza intellettuale. E sì che cercare di esportare queste istituzioni presso culture e tradizioni diverse dalla nostra sarebbe un atto di imperialismo.
Ognuno può facilmente convincersi di quanto questa convinzione sia diffusa riflettendo su un sintomo: quell’autocensura e autorepressione che si nasconde sotto le vesti di ciò che si chiama solitamente “linguaggio politicamente corretto”, una sorta di “neo-lingua” che l’Occidente oggi usa per ammiccare, alludere, insinuare, ma non per dire o affermare o sostenere.
Si consideri un fenomeno. Tutto si può confrontare e valutare dentro la cultura dell’Occidente – persino la Coca Cola col Chianti –, e molto è concesso di confrontare fra particolarità della cultura occidentale e particolarità di altre culture. Ma quando si arriva alle culture medesime o a raggruppamenti di identità superiore – come le civiltà di cui parlava Max Weber ieri e Samuel Huntington oggi – e queste culture o civiltà si vogliano mettere in gerarchia o anche solo ordinare sulla scala delle preferenze “migliore-peggiore”, ecco che scattano l’autocensura, la proibizione e le manette linguistiche. Con la conseguenza che, ove si trovi una cultura che non abbia o decisamente respinga le nostre istituzioni, non ci è consentito di dire che la nostra cultura è migliore di quella o anche solo preferibile a quella.
Questa forma di “rieducazione linguistica” a me suona inaccettabile. La respingo per ragioni intellettuali e la respingo per ragioni morali (ciò che, alla fin fine, è la ragione vera per cui si respingono le posizioni intellettuali). Comincio dalle prime, ma prima di dirne i motivi filosofici generali, considero un caso concreto.
3. Due paralisi dell’Occidente
Dodici anni fa, nel 1992, uno studioso francese di questioni islamiche, Olivier Roy, scrisse un libro intitolato L’échec de l’Islam politique (Editions du Seuil, Paris 1992). La sua tesi, detta con le sue parole, era che «l’Islam politico non resiste alla prova del potere … L’islamismo si è trasformato in un neofondamentalismo che si cura soltanto di ristabilire il diritto islamico, la sharia, senza inventare nuove forme politiche» (p. 9).
La prova di questa tesi Roy la trovava in una lunga serie di assenze o mancate risposte: l’Islam, a suo dire, non ha prodotto nessun modello politico proprio; nessun sistema economico particolare diverso da quelli noti; nessuna istituzione pubblica che funzioni in modo autonomo; nessuno spazio libero fra la famiglia e lo stato; nessun riconoscimento paritario della donna; nessuna comunità sovranazionale diversa da quella religiosa; eccetera. Insomma, uno scacco. Scriveva Roy: anziché aprirsi a sbocchi nuovi, «la parentesi islamista ha chiuso una porta, quella della rivoluzione e dello stato islamico» (ivi, p.11).
È vera o falsa questa tesi di Olivier Roy, e di molti altri che in Occidente pensano alla stessa maniera? E, se è vera, si può allora dire oggi che il modello occidentale è migliore di quello islamico, come ieri si diceva che la democrazia occidentale è migliore del comunismo?
La risposta alla prima domanda dipende soltanto da ricerche e analisi empiriche. La risposta alla seconda domanda non dipende invece unicamente da analisi, perché manifestamente esprime una valutazione (“migliore”). In proposito, una distinzione preliminare è fondamentale.
Si tratta della distinzione tra giudizio e decisione, cioè della distinzione tra affermare una tesi e assumere un atteggiamento. Le due questioni sono relate, ma, da sé sole, non sono relate dalla logica deduttiva. In particolare, affermare la tesi che il modello delle istituzioni democratiche e dei diritti dell’Occidente è migliore del modello dell’Islam non implica assumere alcun corso di azione particolare. Si può dire che l’Occidente è migliore dell’Islam e tollerare l’Islam, rispettare l’Islam, dialogare con l’Islam, disinteressarsi dell’Islam, oppure ostacolare l’Islam, confliggere con l’Islam, e così via, secondo la gamma degli atteggiamenti possibili.
Con un errore madornale, che però rivela il suo stato d’animo, la cultura dominante in Occidente invece pensa il contrario. Pensa che un “deve” discenda da un “è”, per cui, se si sostiene che l’Occidente è migliore dell’Islam ─ oppure, per scendere nel concreto, che la democrazia è migliore della teocrazia, una costituzione liberale migliore della sharia, una decisione parlamentare migliore di una sura, una organizzazione internazionale migliore della humma, una sentenza di un tribunale indipendente migliore di una fatwa, eccetera ─, allora ci si deve scontrare con l’Islam. Un errore logico, appunto, che si aggiunge all’altro, quello di ritenere che le nostre istituzioni non abbiano diritto a essere considerate migliori di altre.
La conseguenza di questi due errori è che oggi l’Occidente è paralizzato due volte. È paralizzato perché non ritiene che ci siano buone ragioni per dire che esso è migliore dell’Islam. Ed è paralizzato perché ritiene che, se queste ragioni ci fossero, allora dovrebbe combattere l’Islam.
Personalmente, nego queste posizioni. Nego che non vi siano ragioni valide per giudicare se certe istituzioni siano migliori di altre. E nego che da un tale giudizio nasca necessariamente uno scontro. Non nego però che se, ad una profferta di confronto si risponde con uno scontro, lo scontro non debba essere accettato. Affermo piuttosto il contrario. Sostengo con convinzione i princìpi del dialogo, della tolleranza, del rispetto, ma sostengo anche che, se qualcuno rifiuta la reciprocità di questi princìpi e ci dichiara una ostilità o la jihad, allora dobbiamo prendere atto che è un nostro avversario e difenderci. In sostanza, rifiuto l’autocensura dell’Occidente. Spiego perché.
4. Il relativismo dei contestualisti
L’idea secondo cui non vi sarebbero buone ragioni per giudicare culture o civiltà è notoriamente l’idea del relativismo. Essa oggi prende vari nomi: “pensiero post-illuministico”, “pensiero post-moderno”, “pensiero debole”, “pensiero senza fondamenti”, “pensiero senza verità”, “decostruttivismo”, eccetera. Il marketing è vario, ma il target è sempre lo stesso: si tratta di far proseliti all’idea che non esistono prove o argomenti solidi per stabilire che qualcosa è migliore, o vale, più di qualcos’altro.
Il relativismo parte da un dato incontestabile: la pluralità dei valori, e da una posizione anch’essa difficilmente contestabile: la non compossibilità di tutti i valori, nel senso che esiste sempre una circostanza in cui perseguire un valore (poniamo l’amicizia) è incompatibile con il perseguirne un altro (poniamo la giustizia. Si pensi al caso, da seminario di filosofia morale, in cui un amico abbia commesso un reato sotto i nostri occhi: si deve violare l’amicizia e denunciarlo o mantenere l’amicizia ed essere complici?). Ma da queste premesse il relativismo fa discendere la conseguenza disastrosa che gli insiemi di valori, come le culture e le civiltà, non possono essere giudicati l’uno a fronte dell’altro.
Le strade percorse per arrivare a questa conseguenza sono soprattutto due.
La prima strada è quella imboccata dalla filosofia del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche con la sua tesi che ogni “universo linguistico,” quale è quello delle culture o delle civiltà, ha le proprie regole di costruzione, significazione e decisione. L’argomento a favore di questa tesi è che i contenuti non possono essere separati dai criteri con cui li si giudica. Il vero, il bello, il buono in una cultura sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella cultura. I criteri sono sempre infra-, mai inter-culturali; essi sono contestuali.
Per criticare questa tesi, mi limito ad osservare che per giudicare se una cultura A sia migliore di una cultura B non occorre un meta-criterio comune ad A e B; è sufficiente che i membri di A e di B desiderino impegnarsi in un dialogo e sottoporsi alle critiche reciproche. Durante o alla fine del dialogo, un interlocutore si troverà in difficoltà con l’altro e a quel punto la tesi dell’altro sarà la posizione migliore. E migliore nell’unico significato che è concesso ai mortali di conoscere: migliore perché resiste alle critiche.
All’obiezione: “ciò che tu ci stai proponendo è la vecchia tecnica dell’elenchos, o della confutazione, di Gorgia, Socrate, Platone e Aristotele, e dunque un criterio buono solo dentro una cultura, quella occidentale”, si può replicare in tanti modi. Alla fine, con la “prova del nove”. Se i membri della cultura B mostrano liberamente di preferire la cultura A e non viceversa – se, ad esempio, i flussi migratori vanno dai paesi dell’Islam all’Occidente e non viceversa –, allora c’è ragione di credere che A sia migliore di B. E all’ulteriore obiezione: “ma questo è falso, perché la conversione di B ad A può essere frutto di indottrinamento, di propaganda, di un abbaglio”, si può rispondere: “se tu, che sei un relativista contestualista appartenente alla cultura A, parli di abbaglio, ti contraddici, perché, per riconoscere un abbaglio operante nella cultura B, dovresti avere un criterio di abbaglio comune ad A e B che consentisse di distinguere il reale dall’apparente in entrambe”. Ma se c’è un criterio comune a due culture, allora il relativismo cade. Volendo relativizzare tutto, il relativismo ha così tanto appetito che è autofagico.
5. Il relativismo dei decostruttivisti
La stessa autofagia mina l’altra strada percorsa dal relativismo, quella della decostruzione, il cui capostipite riconosciuto è Nietzsche.
Il filosofo Jacques Derrida, una delle voci più ascoltate dell’Occidente, ne è oggi un maestro riconosciuto. Con molta maestria, egli ha applicato la decostruzione ad una serie di concetti portanti dell’Occidente per mostrare che essi non resistono alla prova della loro pretesa universalità. Ad esempio, Derrida ha decostruito l’ospitalità, per mostrare che essa è una forma di imposizione; ha decostruito la democrazia, per concludere che essa è un esercizio di forza; ha decostruito lo Stato, per mostrare che esso in quanto tale è una canaglia (cfr. Stati canaglia, trad. it. Cortina, Milano 2003). Alla fine, Derrida si è cimentato nell’esercizio rischioso di decostruire anche il concetto di terrorismo.
Ma anche qui il risultato è contraddittorio, e lo stesso Derrida ne ha fatto le spese.
Messo di fronte al terrorismo dell’11 settembre, prima comincia a decostruirlo («le 11 septembre, September eleventh, 11 settembre: alla fine, non si sa esattamente cosa diciamo o cosa chiamiamo»), poi, come tanti oggi fanno, si appella all’ONU, chiedendo che esso «disponga di una forza d’intervento sufficiente e non dipenda più, per mettere in opera le sue decisioni, da Stati-nazione ricchi e potenti, realmente o virtualmente egemonici, in grado di piegare il diritto a loro vantaggio o ai loro interessi» (Filosofia del terrore, a cura di G. Barradori, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 94 e p.123). Un’opinione politica forse corretta, ma – mi chiedo – come è possibile appellarsi all’ONU, dunque un’istituzione democratica, dopo che si è decostruito il diritto, la giustizia, la democrazia?
Derrida si rende conto di questa contraddizione e risponde: «continuo a credere che è la fede nella possibilità di questa cosa impossibile ... a dover determinare tutte le nostre decisioni» (ivi, pp.123-124). Dice proprio così: la fede. Né più né meno la risposta che un povero e tanto bistrattato e decostruito filosofo illuminista, messo alle strette, avrebbe dato.
Concludo sul punto. Il relativismo, anche se si può concedere molto alle sue premesse, non è sostenibile. Ha di contro i fatti. Contro il contestualismo, non nego la relazione (un tipico rinforzo reciproco) criteri-contenuti. Nego le celebri tesi di P. Feyerabend: «ogni teoria possiede la sua esperienza», o di T. Kuhn: «i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi differenti». Contro il decostruttivismo, non nego che i fatti non esistano senza interpretazioni. Nego la tesi di Nietzsche: «i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni» (F. Nietzsche, Frammenti postumi, in Opere, Adelphi, Milano 1964, p. 299); o la tesi di Derrida: «non c’è fuori-testo» (J. Derrida, Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1969, p. 182).
Li si tiri e titilli come ci pare, ma i fatti restano un banco di prova ineludibile. Contro il relativismo nella scienza si possono far valere i fatti degli esperimenti: alla fine, neppure il tolemaico più ostinato poteva negare che Venere ha le fasi. Contro il relativismo delle culture, si possono opporre i fatti delle aspettative: alla fine, neanche Derrida nega che, per far fronte al terrorismo, sia auspicabile una decisione di organismi internazionali. E contro il relativismo delle civiltà, si possono opporre i fatti delle preferenze: alla fine, neanche il relativista multiculturalista più spinto nega che tutti gli uomini, se lasciati liberi, preferiscono vivere in condizioni di sicurezza, tolleranza, rispetto, salute, benessere, pace.
Resta la fede, alla quale infine si appella anche Derrida. E se anche la fede fosse relativa? Questo è l’altro tema del mio discorso a cui ora mi rivolgo.
6. Il relativismo della fede cristiana
Ha scritto di recente il Cardinale Joseph Ratzinger che «il relativismo in certo qual modo è diventato la vera e propria religione dell’uomo moderno» (Fede, verità, tolleranza, trad. it. Cantagalli, Siena 2003, p.87), e che esso è «il problema più grande della nostra epoca» (ivi, p.75). Poi si è posto una serie di domande: «la forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione mondiale è consistita nella sua sintesi fra ragione, fede e vita ... perché questa sintesi non convince più oggi? Perché la razionalità e il cristianesimo sono, al contrario, considerati oggi come contraddittori e addirittura reciprocamente escludentesi? Che cosa è cambiato nella prima e che cosa nel secondo?» (ivi, p.184).
Nella prima, la razionalità, – credo di poter rispondere – è cambiata la fede nei fondamenti, nelle prove, nelle buone ragioni. Nel secondo, il cristianesimo, – mi azzardo a dire – è cambiata la fede nella Rivelazione.
Da tempo il relativismo è penetrato anche nella teologia cristiana, ne ha conquistato una parte, e da lì, lentamente, sotterraneamente, si è diffusa fra i credenti, in particolare nel clero, dove, se non vedo male, ha agìto, forse non tanto sulla fede, quanto sulla difesa della fede.
All’inizio, sta il pluralismo. Il teologo Paul Knitter ha posto la questione in questi termini: «Il presupposto fondamentale del pluralismo unitivo è che tutte le religioni sono o possono essere ugualmente valide. Ciò significa che i loro fondatori, i personaggi religiosi che stanno dietro ad esse, sono o possono essere ugualmente validi. Ma ciò potrebbe dischiudere la possibilità che Gesù Cristo sia ‘uno tra i tanti’ nel mondo dei salvatori e dei liberatori. E il cristiano non può semplicemente riconoscere una cosa del genere, o lo può?» (P. Knitter, Nessun altro nome?, trad. it. Queriniana, Brescia 1991, p. 44).
Incredibile a dirsi, per Knitter, lo può. È così per lui, come per John Hick e altri teologi, occorre ripensare la cristologia tradizionale. “Ego sum via, veritas et vita”; “extra Verbum nulla salus”, “Gesù è l’unigenito Figlio di Dio”: “queste e altre affermazioni del Vangelo, secondo questi teologi relativisti, dovrebbero essere rivedute o intese diversamente.
Come? Ecco un esempio tratto dal medesimo Knitter. Quando il cristiano dice “Gesù è l’unico amore”, ciò va inteso – egli scrive – nel senso «che un marito usa nei confronti di sua moglie (o viceversa): “sei la donna più bella del mondo, sei l’unica donna per me”» (op. cit. pp.155-56). Insomma, dire: “Gesù, ti amo” sarebbe né più né meno come dire: “Cara, ti voglio bene”.
Ma perché il povero cristiano dovrebbe convertirsi a questa “neo-lingua” politicamente, o teologicamente, corretta? La ragione – come ha scritto ancora il cardinale Ratzinger – sta nel fatto che «il ritenere che vi sia realmente una verità, una verità vincolante e valida nella storia stessa, nella figura di Gesù Cristo e della fede della Chiesa, viene qualificato come fondamentalismo» (op. cit., p.124). E poiché il fondamentalismo è oggi un nuovo peccato capitale, meglio votarsi al relativismo, tanto più che – ha scritto ancora il Cardinale Ratzinger – «il relativismo appare come il fondamento della democrazia» (p.121).
Il Cardinale Ratzinger nega valore a questa tesi e anch’io trovo che sia contraddittoria, falsa, e controproducente per il cristiano. Contraddittoria: se, con il relativismo, si sostiene che non esistono fondamenti, allora neppure il relativismo può essere il fondamento della democrazia. Falsa: la democrazia si basa sui valori della persona, della dignità, dell’uguaglianza, del rispetto; togliete valore a questi valori e avrete tolto la democrazia. E controproducente: se, relativisticamente, una verità vale l’altra, a che scopo il dialogo? E se, nella fede, non esiste la verità, come ci si può salvare?
La mia risposta è: se non esiste la verità, allora il credente non si può salvare. Per il credente, Cristo è Rivelazione, è il Verbo che si è fatto persona. E questo Dio-persona è un fatto (il «fatto cristiano», come lo ha chiamato monsignor Angelo Scola; cfr. “Cristianesimo e religioni nel futuro dell’Europa”, in L’identità dell’Europa e le sue radici, Edizioni del Senato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, p.39). O lo neghi, questo fatto cristiano, e allora affermi il relativismo religioso, oppure lo ammetti e allora ti prepari alle conseguenze.
7. Il cristianesimo, il dialogo e l’Islam
Ma a quali conseguenze porta il fatto cristiano? Qui passo dalla critica teorica al relativismo alla critica morale.
È noto che, in teologia, l’esclusivismo oggi è caduto in disuso, e all’inclusivismo che gli è succeduto si è associato il dialogo su cui un’enfasi particolare pose il Concilio Vaticano II. Ma sul dialogo occorre porsi qualche domanda. Due, in particolare: dialogo per che cosa? dialogo suche cosa?
Cominciamo dalla prima domanda. Una prima risposta è: dialogo per la comprensione reciproca dei credenti nelle varie fedi. Questa risposta, che mostra il desiderio della Chiesa di parlare ai moderni, non solleva particolari problemi, ma non basta. Se non si vuole rinunciare alla missione della Chiesa, occorre aggiungere: dialogo per l’evangelizzazione. Ma che rapporto c’è fra l’una e l’altra finalità, fra la comprensione e l’evangelizzazione?
Francamente, nelle risposte a queste domane avverto il disagio di un’ambiguità. Nella Redemptoris missio (n. 55) si dice che «il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa», ma «non dispensa dall’evangelizzazione». Ma se “fa parte” e “non dispensa”, cioè se fa parte indispensabile, allora il dialogo non è un elemento, ma uno strumento dell’evangelizzazione. Perché allora tanta reticenza ad usare la parola “strumento”?
Inclino a pensare che la risposta risieda in un timore: il timore ─ alimentato dal relativismo ─ che anche per la Chiesa il dialogo come strumento di evangelizzazione sia percepito come una forma di imperialismo.
Avverto la stessa ambiguità anche nella risposta alla seconda domanda: dialogo interreligioso su che cosa? Certo, non sulla Rivelazione, perché è la Rivelazione è Verità. Si potrebbe dire: su valori come la comunità, la fratellanza, la tolleranza, oppure la pace, la dignità, la promozione della persona, che sono comuni a molte religioni. Ma questi sono valori secolari; l’evangelizzazione cristiana non predica la secolarità, predica la trascendenza, la sua unica trascendenza. Ma se questa trascendenza è unica, come parlare allora di «elementi di verità e di grazia» (Ad gentes, n. 9) anche nelle altre religioni?
Di recente, padre Piero Gheddo ha risposto ad una provocazione di un sociologo americano (R. Scott Appleby, “Il Papa fra tre fuochi”, in Global Foreign Policy, marzo-aprile 2004, pp.28-34), il quale ha addirittura proposto una alleanza tra cristianesimo e Islam contro l’Occidente. Ha ricordato padre Gheddo: «in nessun paese islamico i cristiani sono totalmente liberi, come i musulmani lo sono in Occidente … I musulmani dovrebbero fare un bell’esame di coscienza sui loro comportamenti collettivi: la violazione sistematica dei diritti dell’uomo, il terrorismo, le pratiche oppressive contro le donne e i bambini, la mancanza di democrazia, il formalismo religioso e sociale che schiaccia la persona» (ivi, pp. 38 e 40).
È così, se si vuole dire ciò che si vede. Mentre noi consentiamo che accanto alle chiese delle nostre parrocchie fioriscano moschee, nella stragrande maggioranza dei paesi musulmani non è concesso costruire una chiesa. Peggio, mentre i musulmani non consentono la reciprocità dei nostri princìpi e valori, noi ci concediamo la decostruzione relativistica di quegli stessi princìpi e valori e teorizziamo il dialogo, anche quando ─ come scrive ancora padre Gheddo ─ «occorre riconoscere che il dialogo come lo concepivano i padri del Concilio ha portato scarsi frutti».
Forse mi sbaglio o mi preoccupo inutilmente. Ma vedo un rischio: che il timore delle scelte induca i cristiani a pensare che, se il cristianesimo comporta oneri gravosi, allora è meglio affievolire la fede, indulgere al dialogo a qualunque costo o abbassare la voce piuttosto che rischiare un conflitto. Ma il cristiano debole, come il pensatore debole, alla fine diventa un cristiano arrendevole.
Un esempio di questa debolezza mi sembra di poterlo scorgere nel modo in cui è stata affrontata e si è negativamente risolta la questione del richiamo alle radici cristiane nel preambolo della Costituzione dell’Europa unita. Perché è andata così?
Non perché non sia vero che l’Europa non abbia radici cristiane. Tutto il contrario. È vero che la maggior parte delle nostre conquiste derivano, positivamente o criticamente, da lì, dal messaggio del Dio che si è fatto uomo. È vero che, senza questo messaggio, che ha trasformato gli individui in persone, essi non avrebbero dignità. È vero che i nostri valori, diritti e doveri di uguaglianza, tolleranza, rispetto, solidarietà, compassione, nascono da quel sacrificio di Dio. È vero che il nostro atteggiamento verso gli altri – di qualunque condizione o ceto o aspetto o cultura essi siano – dipende dalla rivoluzione cristiana. È vero che le nostre stesse democrazie ne sono informate, compreso quella preziosa laicità delle istituzioni che distingue ciò che è di Dio da ciò che è di Cesare, ciò che è dello Stato da ciò che è dell’individuo. E così via.
E allora, perché è andata così? Perché lo stesso appello insistente del Papa non è stato accolto? Perché i popoli cristiani dell’Europa non si sono mobilitati per innalzare la loro bandiera, mentre a milioni si sono messi in marcia per la pace e il dialogo anche con coloro che attaccano espressamente i valori fondanti dell’Occidente?
La mia risposta è: perché – nell’era del relativismo trionfante – il vero non esiste più, la missione del vero è considerata fondamentalismo, e la stessa affermazione del vero fa paura o solleva timori. Forse si sta avverando la profezia negativa della Veritatis splendor (n.101), l’«alleanza fra democrazia e relativismo etico».
Il relativismo – e questa è la vera ragione morale della mia critica ad esso – affievolisce le nostre difese culturali e ci prepara o rende inclini alla resa. Perché ci fa credere che non c’è niente per cui valga combattere e rischiare. Perché non ci dà più argomenti o ce ne dà di sbagliati persino quando altri volesse toglierci il Crocifisso dalle scuole. O perché, mentre vuol farci credere di essere alla base dello stato laico, liberale e democratico, alla fine, messo alle strette, si converte in quel dogmatismo laicista di Stato che vieta alle ragazze di fede islamica di indossare lo hijab a scuola.
8. Lo sbadiglio dell’Occidente
Sono alla conclusione. Mi si potrà chiedere: ma perché combattere e rischiare? C’è forse una guerra?
La mia risposta è: dall’Afganistan al Kashmir alla Cecenia alle Filippine all’Arabia Saudita al Sudan alla Bosnia al Kosovo alla Palestina alla Turchia all’Egitto all’Algeria al Marocco, e altrove, in gran parte del mondo islamico e arabo gruppi consistenti di fondamentalisti, radicali, estremisti ─ Talebani, al Qaeda, Hezbollah, Hamas, Fratelli musulmani, Jihad islamica, Gruppo armato islamico, e molti altri ancora ─ hanno dichiarato guerra all’Occidente, la jihad. Lo hanno detto, scritto, diffuso a chiare lettere. Perché non prenderne atto?
Si dirà: sono atti di terrorismo da parte di gruppi di fanatici. Rispondo: temo di no, il terrorismo è lo strumento di una guerra culturale e armata. Si dirà ancora: non si può a nostra volta combattere con le armi. Rispondo: spero sinceramente che non si debba, ma se, come già accade, l’Occidente fosse costretto ad usare la forza, perché escluderla? Se la forza giusta e di difesa, lo stesso cristianesimo non ammette forse una forza giusta e per difesa?
Non mi si fraintenda, per disattenzione o magari deliberatamente. Non si speculi sotto o dietro le mie parole. Non sto perorando una dichiarazione di guerra dell’Occidente. Sto perorando un’altra cosa, che a me sembra anche più importante: sto perorando la consapevolezza che esiste un conflitto di cultura e in armi che alcuni ─ molti, troppi ─ hanno dichiarato all’Occidente. Non sto chiedendo il rifiuto del dialogo. Sto chiedendo un’altra cosa, che è più fondamentale: sto chiedendo la consapevolezza che il dialogo non serve a niente se, in anticipo, uno dei dialoganti dichiara che una tesi vale l’altra.
Questa duplice consapevolezza la vedo poco presente in Occidente, soprattutto in Europa. E non la trovo diffusa nello stesso cristianesimo europeo, che a me oggi appare timido, sconcertato, angosciato.
C’è una ragione profonda di questa scarsa consapevolezza, che capisco e rispetto. L’idea stessa di una guerra di civiltà o di religione fa paura. Accanto a questa che capisco, c’è una ragione che invece non capisco: si tratta dell’idea della “colpa dell’Occidente”.
Ora, l’Occidente è costato al mondo colonialismo, imperialismo, nazionalismo, antisemitismo, nazismo, fascismo, comunismo. Avendo mangiato i frutti avvelenati dell’albero della conoscenza, non è un paradiso terrestre. E però non possiamo fermarci agli errori e anche orrori dell’Occidente. Se si deve fare un bilancio corretto, occorre mettere i meriti accanto ai torti, e se si vuole celebrare un processo equo, occorre contrapporre la difesa all’accusa.
«La civiltà occidentale – ha affermato un penetrante scrittore, Pietro Citati – ha grandissime colpe, come qualsiasi civiltà umana. Ha violato e distrutto continenti e religioni. Ma possiede un dono che nessuna altra civiltà conosce: quello di accogliere ... tutte le tradizioni, tutti i miti, tutte le religioni, tutti o quasi tutti gli esseri umani» (P. Citati, “L’Occidente senza forza e l’esercito del terrore”, Repubblica, 31 marzo 2004). E un altro grande scrittore, Mario Vargas Llosa, ha detto della civiltà occidentale: «il suo merito più significativo, quello che, forse, costituisce un “unicum” nell’ampio ventaglio delle culture mondiali ... è stata la capacità di fare autocritica» (M. Vargas Llosa, “Occidente. L’agonia del paradiso”, La Stampa, 18 aprile 2004).
Fare autocritica, ammettere gli errori, correggerli, punire chi ha sbagliato, è linguaggio e dovere laico. Riconoscere le colpe ed espiarle è espressione ed esperienza cristiana. Si può seguire l’una o l’altra strada, ma non possiamo dimenticarci chi siamo, chi vogliamo essere, chi dobbiamo essere.
«La democrazia – ha scritto ancora Vargas Llosa – è un evento che provoca sbadigli nei paesi in cui esiste uno stato di diritto». Spero che non sia così. Ma se lo è, allora, io credo, dobbiamo cominciare a stropicciarsi gli occhi e a svegliarci.
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Interessantissimo.
Per adesso un up
Originariamente inviato da fd-82
Si tratta della distinzione tra giudizio e decisione, cioè della distinzione tra affermare una tesi e assumere un atteggiamento. Le due questioni sono relate, ma, da sé sole, non sono relate dalla logica deduttiva.
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Si può dire che l’Occidente è migliore dell’Islam e tollerare l’Islam, rispettare l’Islam, dialogare con l’Islam, disinteressarsi dell’Islam, oppure ostacolare l’Islam, confliggere con l’Islam, e così via, secondo la gamma degli atteggiamenti possibili.
Con un errore madornale, che però rivela il suo stato d’animo, la cultura dominante in Occidente invece pensa il contrario. Pensa che un “deve” discenda da un “è”, per cui, se si sostiene che l’Occidente è migliore dell’Islam ─ oppure, per scendere nel concreto, che la democrazia è migliore della teocrazia, una costituzione liberale migliore della sharia, una decisione parlamentare migliore di una sura, una organizzazione internazionale migliore della humma, una sentenza di un tribunale indipendente migliore di una fatwa, eccetera ─, allora ci si deve scontrare con l’Islam. Un errore logico, appunto, che si aggiunge all’altro, quello di ritenere che le nostre istituzioni non abbiano diritto a essere considerate migliori di altre.
La conseguenza di questi due errori è che oggi l’Occidente è paralizzato due volte. È paralizzato perché non ritiene che ci siano buone ragioni per dire che esso è migliore dell’Islam. Ed è paralizzato perché ritiene che, se queste ragioni ci fossero, allora dovrebbe combattere l’Islam.
Personalmente, nego queste posizioni. Nego che non vi siano ragioni valide per giudicare se certe istituzioni siano migliori di altre. E nego che da un tale giudizio nasca necessariamente uno scontro.
[cut]
Sto chiedendo un’altra cosa, che è più fondamentale: sto chiedendo la consapevolezza che il dialogo non serve a niente se, in anticipo, uno dei dialoganti dichiara che una tesi vale l’altra.
il problema non è se una cultura è o no inferiore o superiore (su che basi, da che pulpito, secondo quali canoni una cultura può essere giudicata?A me viene in mente l'europeo che giudica i selvaggi...e vive con la psoriasi e imbottito di psicofarmaci sino all'ifarto...), ma come aiutare concretamente le persone interessate a vivere liberamente a costruire delle istituzioni solide e "laiche": laiche non significa che non comprendano le religioni, ma che integrino l'aspetto religioso in maniera non fondamentalista.
Tutte le altre opzioni che prevedano lo scontro diretto favoriscono chi è pronto allo scontro, ovvero gli avversari di quelli che dovremmo sostenere: noi pronti allo scontro non lo siamo di certo, noi viviamo di cellulari e coca cola, di libertà e abbiamo tanto da perdere: "loro", fanatici e arrivisti che si fanno solo scudo di una cultura millenaria, non hanno nulla da perdere.
Andreucciolo
30-05-2004, 02:19
Veramente interessante, Pera del resto è un noto studioso di Popper, e in questo discorso si sentono qua e la echi del suo pensiero.
Però su alcuni punti c'è a mio avviso qualcosa da dire, soprattutto sul discorso del migliore e peggiore.
Per cominciare, il paragone tra comunismo e islam è chiaramente fallace, il primo non è mai stato una "cultura", è stato quindi ben più facile applicare, nel confronto con la democrazia, un tipo di comparazione simile a quello usato nelle scienze tra teorie valide e teorie non valide; ma, aimè, l'islam non è una "teoria".
Per quanto riguarda il relativismo, alcune cose sono condivisibili, del resto molti sostengono (Taguieff per esempio) che il relativismo moderno sia una forma raffinata di razzismo, dove le differenze culturali vogliono ancora negare la possibilità che esistano dei bisogni e delle priorità valide per qualunque essere umano in quanto tale.
Sappiamo però che bisogni e priorità sono stati soddisfatti dall'uomo in maniera assai diversa, nel tempo e nello spazio. Il fatto di dire che per me il mio modo di vivere sia migliore, non implica che debba distruggere quello altrui, su questo concordo, la verità e l'etica sono separate, come diceva lo stesso Popper.
Qui non parliamo di teorie scientifiche: proprio perchè nessuna scienza mi può dire come vivere, entra in campo l'etica. I termini "migliore" e "peggiore" , acquistano significato, per l'individuo che li pronuncia,RELATIVAMENTE a qualcosa, per cui è possibile a mio avviso che io consideri migliore la mia democrazia, e il musulmano consideri migliore la legge coranica.Io considero certi valori assoluti perchè sono cresciuto in un certo sistema di pensiero. E' relativismo? No, io posso sforzarmi di migliorare il mio sistema che ritengo giusto nella MIA ottica, e il musulmano farà lo stesso, nessuno dei due deve essere relativista. Io stesso considero aberranti alcune pratiche esistenti nei paesi musulmani, il senso del dialogo è quello di affermare ciò in cui si crede senza assolutizzarlo nel confronto con "l'altro", il dialogo non implica assolutamente la rinuncia ai propri valori; richiede soltanto la consapevolezza che i valori altrui sono vissuti, non soltanto sposati idealmente,noi non sposiamo i nostri valori, piuttosto siamo anche "formati" dai nostri valori. Questo comporta una certa cautela nel rapportarsi con modi di vita e di pensiero che appunto non sono teorie, non esistono valori, esistono soltanto persone che li incarnano nelle loro pratiche quotidiane.
Non è necessario essere tolleranti nei confronti dei valori, bisogna esserlo nei confronti delle persone, è una differenza a mio avviso fondamentale: nello specifico io posso benissimo criticare la sharia, il dialogo non mi deve ammorbidire, e io sono legittimato a non farmela imporre, qualora ci fosse questo rischio.
se non sbaglio anche se c'è molto di Popper in Pera (che non è puppe a pera! :D ), è anche un critico di Popper, vero?
che a fai alzato a quest'ora, vai a nanna! :D :p
quando saro' un po' più lucido dico la mia :)
Originariamente inviato da Andreucciolo
...
Per quanto riguarda il relativismo, alcune cose sono condivisibili, del resto molti sostengono (Taguieff per esempio) che il relativismo moderno sia una forma raffinata di razzismo, dove le differenze culturali vogliono ancora negare la possibilità che esistano dei bisogni e delle priorità valide per qualunque essere umano in quanto tale.
Sappiamo però che bisogni e priorità sono stati soddisfatti dall'uomo in maniera assai diversa, nel tempo e nello spazio. Il fatto di dire che per me il mio modo di vivere sia migliore, non implica che debba distruggere quello altrui, su questo concordo, la verità e l'etica sono separate, come diceva lo stesso Popper.
Qui non parliamo di teorie scientifiche: proprio perchè nessuna scienza mi può dire come vivere, entra in campo l'etica. I termini "migliore" e "peggiore" , acquistano significato, per l'individuo che li pronuncia,RELATIVAMENTE a qualcosa, per cui è possibile a mio avviso che io consideri migliore la mia democrazia, e il musulmano consideri migliore la legge coranica.Io considero certi valori assoluti perchè sono cresciuto in un certo sistema di pensiero. E' relativismo? No, io posso sforzarmi di migliorare il mio sistema che ritengo giusto nella MIA ottica, e il musulmano farà lo stesso, nessuno dei due deve essere relativista.
Secondo me, per fare un confronto bisogna trovare dei criteri comuni, e questi ci sono. (esigenza di libertà, di giustizia e cosi via...) Solo così facendo, si sfugge al relativismo, e mi pare che anche tu l'abbia detto.
Ma il punto importante mi sembra la denuncia di una crisi culturale (dell'Occidente) che Pera spiega benissimo (mi ha sorpreso), non tanto nel decidere quale delle due società sia migliore.
Andreucciolo
30-05-2004, 18:31
Originariamente inviato da fd-82
Secondo me, per fare un confronto bisogna trovare dei criteri comuni, e questi ci sono. (esigenza di libertà, di giustizia e cosi via...) Solo così facendo, si sfugge al relativismo, e mi pare che anche tu l'abbia detto.
Ma il punto importante mi sembra la denuncia di una crisi culturale (dell'Occidente) che Pera spiega benissimo (mi ha sorpreso), non tanto nel decidere quale delle due società sia migliore.
Io sinceramente non vedo questa crisi culturale, e mi pare che Pera in alcuni punti si contraddica. Se la grandezza della cultura occidentale risiede nella capacità di una continua autocritica, nella capacità di accogliere altri mondi, altre culture, dove è precisamente questa crisi oggi?
In molti discorsi di questo tipo, mi sembra che esista un capovolgimento della realtà: non stiamo cercando in tutti i modi di esportare i nostri valori? Qualcuno nega che la maggioranza degli occidentali consideri la sua cultura preferibile? Voi conoscete molta gente che si è convertita ad un modo di vita islamico?
Ho l'impressione che io e Pera non condividiamo la stessa"realtà fenomenica":D .
Sempre partendo dai suoi presupposti, l'esistenza in occidente di voci critiche e persino contrarie alla presunta superiorità della nostra cultura, non erano una forza e la prova che la nostra è una "società aperta" e dunque desiderabile? Credo che su alcune cose debba mettersi d'accordo con se stesso:D
Io continuo a non vedere alcuna crisi.
Avevo quotato quei passaggi perchè sostanzialmente li condivido. Qualche altro passaggio lo condivido meno.
Non ho particolari remore nell'affermare che il ns contesto è preferibile da moltissimi punti di vista: per me è una evidenza macroscopica. A favore di cio' si puo' argomentare con la teoria o fare esempi o si puo dire come dice Pera "i fatti restano un banco di prova ineludibile": per me il risultato non cambia. Ma non voglio soffermarmi su questo, quanto sottolineare quelle che per me sono le motivazioni di questa difficoltà nell'affermare queste cose.
Credo che, più o meno inconsciamente, si pensi che dire una cosa"è, comporti un deve" (come ha detto Pera). Per cui se dico che "una cosa è meglio", ne deriva necessariamente uno sprezzo, un'aria di superiorità nei confronti di cio' che si è giudicato; nella peggiore delle ipotesi né puo' derivare che si deve passare al conflitto. Ma le cose non stanno così. Anzi, il primo approccio utile per tentare un dialogo con l'altro è la distinzione "intellettiva" dei fatti. Serve la consapevolezza che il dialogo non serve a niente se, in anticipo, uno dei dialoganti dichiara che una tesi vale l’altra .
Spesso credo di trovare riscontro in questa tesi, nel fatto che molti di quelli che si rifiutano di fare distinzione circa questo specifico problema, in altri campi invece, giudicano, distinguono, classificano, analizzano, sezionano teorie, pensieri, sistemi, proposte per passare velocemente a posizioni sprezzanti nei confronti di chi non la pensa come lui. Secondo il pensiero di molti, pare proprio che dire che una cosa è migliore di un'altra, comporti automaticamente una posizione conflittuale.
A riguardo dell'argomento del 3d, dove si è meno coinvolti, per difendersi da questa paura, da quesa ingiustizia, da questa conseguenza, (ritenuta necessaria ma che non è logica) allora diventa necessario sostenere più o meno esplicitamente che una tesi vale l'altra, che una scelta vale l'altra.
Imho non è da oggi che ci vengono forniti esempi di come si comporti una cultura "superiore" nei confronti delle culture "inferiori": il fuoco e la giustificazione di tutti i colonialismi e le riduzioni in schiavitù è proprio la pretesa superiorità di una civiltà sull'altra, identificando la cultura “altra” con il peggio dei suoi aspetti (il cannibale, lo scalpatore, il sacrificio agli dei, il fanatico integralista…) sorvolando sui propri mali o convincendosi di riuscire a giudicarli in modo obbiettivo: un saggio di un altra cultura, qualche secolo fà disse che difficilmente una spada non può tagliare sè stessa, così difficilmente una cultura riesce a osservare i propri limiti e i propri difetti in modo obbiettivo: la pretesa superiorità poi finisce a volte per limitare quella umiltà necessaria per vedere i propri errori.
L’unica differenza tra una spada e una cultura è che la cultura si può dividere in almeno due parti e capita ci siano persone capaci di vedere le cose da un angolazione diversa.
Adesso, con l'abbandono quasi “forzato” (per pudore e crescita intellettuale da parte della società e quindi delle istituzioni) della tesi della civiltà superiore per lo meno in apparenza gli stati hanno abbandonato questa posizione, ma in realtà continuano a seguirla mascherandola con altre ragioni: ultimamente và molto in voga “non possiamo lasciare in mano al fanatismo islamico le risorse petrolifere”, che essendo troppo cruda viene mascherata con altre scuse che prevedano un aggressione.
(attenzione, non sto dicendo che il terrorismo non sia in guerra con noi, sto negando che il terrorismo sia una cultura )
Detto ciò nemmeno io vorrei essere nato da un'altra parte mentre penso che una donna in procinto di essere lapidata in iran o condannata in A.Saudita per adulterio, tanto per stare in tema islam, vorrebbero tanto essere nate altrove: però io vedo la cosa da una posizione privilegiata: fortunatamente non sono un emarginato come il tossico con l’aids che si buca sotto casa mia.
A parte che io non ho parlato di "superiore" che ha una connotazione ontologica... un qualche cosa di costituzionale, di immutabile...; poi non ho neppure parlato di terrorismo che chiaramente ritengo solo un piccolo spicchio della realtà che sto considerando... anzi teniamolo proprio fuori il terrorismo...
ma, cavolicchio :D quello che dici è la pura conferma di quello che ho sostenuto: la paura di giudicare perchè il giudizio deve portare necessariamente a sprezzo. Concordo sul fatto che storicamente questo giudizio è diventato una scusa per imporsi con la forza, ma appunto spessissimo è stata nè più nè meno che una scusa. Per me si tratta del preliminare per un dialogo costruttivo.
Vedi, tutte queste osservazioni che ho fatto sono sostanzialmente una critica alla logica che usi: secondo me fai degli accostamenti e delle deduzioni che non sono giustificate. E nasce di qui l'impossibilità di esprimere valutazioni che invece secondo me sono legittime
Originariamente inviato da Bet
A parte che io non ho parlato di "superiore" che ha una connotazione ontologica... un qualche cosa di costituzionale, di immutabile...; poi non ho neppure parlato di terrorismo che chiaramente ritengo solo un piccolo spicchio della realtà che sto considerando... anzi teniamolo proprio fuori il terrorismo...
ma, cavolicchio :D quello che dici è la pura conferma di quello che ho sostenuto: la paura di giudicare perchè il giudizio deve portare necessariamente a sprezzo. Concordo sul fatto che storicamente questo giudizio è diventato una scusa per imporsi con la forza, ma appunto spessissimo è stata nè più nè meno che una scusa. Per me si tratta del preliminare per un dialogo costruttivo.
Vedi, tutte queste osservazioni che ho fatto sono sostanzialmente una critica alla logica che usi: secondo me fai degli accostamenti e delle deduzioni che non sono giustificate. E nasce di qui l'impossibilità di esprimere valutazioni che invece secondo me sono legittime
ehehe ma io rispondevo più a Pera che a te...che a parole si parla di superiorità come concetto ontologico ma poi nello specifico ci finisce eccome, citando altri forse per nascondere la mano ("la violazione sistematica dei diritti dell’uomo, il terrorismo, le pratiche oppressive contro le donne e i bambini, la mancanza di democrazia, il formalismo religioso e sociale che schiaccia la persona").
Secondo me il giudizio di "superiore" e "inferiore" genarlizzato invece implica quasi immancabilmente come necessaria un osmosi della cultura superiore a discapito di quella inferiore: e questo vale sia per noi che esportiamo democrazia e libero mercato (in teoria grandi cose,bisogna poi vedere in cosa si concretizzano) sia per loro che ritengono "vera" la loro fede e "infedele" chi non la rispetta, isolandosi dalle culture che li ospitano: ma sono sempre esempi, particolari, specificità non etichette caratteristiche.
Il mio timore è che il giudizio generale finisca per escludere a priori il dialogo con le parti progressiste dell'islam: per capirci meglio (o per continuare nell'incomprensione, ma sono fiducioso che prima o poi arriverà la quadra :D ) è proprio quell'islamico moderato -che molti ritengono inesistente (proprio per il giudizio generale che si ha sulla loro cultura)- che dovrebbe appoggiare la nostra esportazione di democrazia e si ritrova a doversi difendere dai suoi concittadini (caduti nel medesimo errore generalizzante) che di fronte agli abusi di Abu Ghraib che gli chiedono "è questa la democrazia cui dovremmo ambire?"
Dal discorso di Pera (per quanto vada oltre i miei studi e le mie capacità dialetiche) emerge imho un presupposto comunque soggetivo: l'osservazione dei "mali" dell'altro che comportrebbero la sua declassificazione a "inferiore": anch'io penso che questa realtà sia preferibile, non giudico il giudizio, nè il fatto che sia soggettivo toglie ad esso il suo valore: ma giudico quello che ne deriva, perchè è osservabile e tangibile.
Non c'è dialogo se l'altra cultura è quella della "...violazione sistematica dei diritti dell’uomo, il terrorismo, le pratiche oppressive contro le donne e i bambini, la mancanza di democrazia, il formalismo religioso e sociale che schiaccia la persona" e la nostra non è invece anche "la violazione dei diritti dell'uomo nei paesi altri, il terrorismo di stato o sotterraneo, il colonialismo riformato e mascherato, l'emarginazione di grosse fette della società cui spetta solo il pietismo dell'elemosina, la distruzione delle risorse naturali senza altro criterio che il guadagno, l'abbandono di ogni etica al darwinismo sociale della competizione spuria...).
Vedi, tutti questi aspetti delle due culture che Pera ci creda o no sono in discussione all'interno delle stesse culture: entrambe le spade si sono spezzate per tagliare se stesse (il giornalista libico, il regista iraniano, il filosofo pakistano, il governante turco...o lo stesso autore della frase riportata da Pera!): il mio giudizio personale è che la nostra spada sia più libera, flessibile ed efficace, e l'altra andrebbe favorita col dialogo: ma l'esporatazione dei nostri valori con la forza, l'"azione" successiva al giudizio (cosa che è innegabile succeda, a differenza di quanto ritiene Pera, che magari auspicherebbe un incremento di questa tendenza, in mancanza del quale secondo lui si sarebbe in presenza di una crisi, di un "blocco") finisce per essere usata da quelle parti negative della nostra cultura che non vediamo...e finisce per danneggiare proprio il dialogo che vorremmo instaurare.
ok, stai rispondendo a Pera che pero' presumo non avrà il tempo di replicare :D
le mie osservazioni sono collegate, ma ho inteso sottolineare più un altro aspetto e io credo sia piuttosto logico
e cmq se ci badi con il finale del tuo penultimo intervento (a proposito di Abu Ghraib) hai messo in atto lo stesso meccanismo che all'inizio dello stesso intervento hai criticato :) : è inutile che ci mettiamo a fare elenchi che riguardino una parte o l'altra, non ne usciamo più, pero' in una visione sintetica si puo' esprimere una propria valutazione. Il rischio è appunto che se una tesi vale l'altra il dialogo è falsato in partenza (se veramente una tesi valesse l'altra non potrei neppure dire d'essere d'accordo con Gandhi quando criticava la divisione in caste - tanto per spostarci dal tema centrale, nella speranza che questo aiuti a far comprendere cio' che volevo dire)
Originariamente inviato da Bet
ok, stai rispondendo a Pera che pero' presumo non avrà il tempo di replicare :D
le mie osservazioni sono collegate, ma ho inteso sottolineare più un altro aspetto e io credo sia piuttosto logico
e cmq se ci badi con il finale del tuo penultimo intervento (a proposito di Abu Ghraib) hai messo in atto lo stesso meccanismo che all'inizio dello stesso intervento hai criticato :) : è inutile che ci mettiamo a fare elenchi che riguardino una parte o l'altra, non ne usciamo più, pero' in una visione sintetica si puo' esprimere una propria valutazione. Il rischio è appunto che se una tesi vale l'altra il dialogo è falsato in partenza.
ma infatti l'esempio di Abu Ghraib era proposto a mò di esempio di giudizio errato: sono i fondamentalisti che indicano in quell'aspetto una caratteristica generale della nostra cultura e lo rinfacciano ai moderati!
schematizzando: l'occidente "giudica" la propria cultura generalmente: libera, progressista, laica, e vincente e la ritiene "preferibile" osservando i difetti dell'altra cultura.
L' integralista religioso giudica" la propria cultura millenaria l'unica "vera portatrice di verità, rispettosa dei valori religiosi, del valore alto della donna " e oppone resistenza alle altre, giudicandola "preferibile", osservando la falsità e i difetti dellaltra cultura.
Entrambi giudicano i risultati, i fatti e ritengono di essere oggettivi.
Abbiamo giudicato e valutato: ci si ferma quì? No, perchè la discussione non si ferma alla fase di giudizio: sin quì è quello che tutti fanno, anch'io tu, Pera, Andreucciolo...non mi pare manchno critiche alla carenza di laicità dell'Islam, agli aspetti oppressivi della materializzazione dei concetti religiosi in Sharia ecc...e viceversa dell'ode alla libertà e al rispetto della nostra cultura...
E' la fase successiva che comporta problemi: il rifiuto del dialogo a priori dell'islam radicale o il realizzarsi di azioni che mettono in crisi il dialogo dei nostri "esportatori di democrazia con secondi fini": perchè se nel discorso si parte dal presupposto "chiuso" di imporre all'altro la propria visione, dal confronto (assumendo come un aggressione dell'altro "in toto" gli aspetti negativi "in partiolare") si passa allo scontro.
vabbé... si vede che non mi riesco a spiegare :boh:
Originariamente inviato da Bet
vabbé... si vede che non mi riesco a spiegare :boh:
Vado per esempi: un esempio di "cattivo relativismo applicato" lo proponeva Marco Guidi sul Messaggero, dove diceva che concedere ai musulmani di ricorrere a tribunali islamici (parlava di un episodio accaduto negli in Usa) nel nome del multiculturalismo, significa non riconoscere l’esistenza di una legge comune per tutto il Paese e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Marco Guidi Non occorre essere grandi giuristi per capire che così operando si va verso una sorta di diritto variabile a seconda delle religioni ...siamo al cospetto di un cedimento al relativismo culturale in virtù del quale si stabiliscono principi che - ovviamente - domani dovranno essere estesi ai buddisti, agli induisti ma anche alle infinite altre credenze religiose
Ma questo è esattamente il contrario di quel che ci chiedono di fare i musulmani più disponibili a condurre una battaglia per l’introduzione dei principi di democrazia e di Stato di diritto nel loro mondo...in questo senso hai perfettamente ragione a dire che una tesi non vale l'altra.
Andreucciolo
31-05-2004, 12:33
Ciao ragazzacci!:D
Io come dicevo prima, non vedo questa crisi culturale dell'occidente, per i motivi di cui sopra. Infatti Pera, a sostegno delle sue ipotesi, non fa altro che citare altri "azzannatori dell'aria"(filosofi):D come lui.
Mi pare che esiste gente che, in questo immaginario dialogo, chiede contemporaneamente la fine di pratiche inumane come la lapidazione, e la fine dell'uso indiscriminato della forza contro la popolazione civile.
Continuo a non vedere alcuna crisi, il fatto che ci sia un dibattito all'interno della nostra cultura, è la riprova che esistono quegli aspetti che la fanno apparire a NOI come PREFERIBILE.
x ni.jo: ok, così ci siamo già di più
x Andreucciolo: non ti ho seguito bene, ma se ho inteso giusto quel "per NOI" non sono proprio d'accordo
Originariamente inviato da Bet
x ni.jo: ok, così ci siamo già di più
si ma non darmi ragione solo se ti dò ragione... :p :D
Mettiamola in questo senso allora: il pluralismo oggi è ormai parte del nostro modo di pensare, un patrimonio comune acquisito.
Dal pluralismo al relativismo il passo è abbastanza breve, tant’è che per l’ignorante come me è quasi la stessa cosa: quando si parla di “conoscenza” (io parlo da laico) è abbastanza comune l’idea che si possa avere una diversa percezione della “verità”, una diversa idea di metodo, e siamo cioè pronti a riconoscerci il diritto ad avere una certa posizione e confrontarsi con essa.
Pera sottolinea che questo esclude alcuni punti fermi (ad esempio religiosi, ma anche morali) e lì il confronto si blocca: non è una tragedia sino a che non si cerca di imporre all'altro al propria visione a casa sua.
Tutto sommato comunque si riconosce la necessità di “ammettere” l’esistenza di tradizioni culturali diverse da quella occidentale per linguaggio, credenze e valori; solo che arrivati alla definizione di questi “valori” si inizia a delineare una diversa concezione della vita, diciamo, vissuta pienamente e felicemente ma soprattutto nel METODO con cui questi valori vengono soddisfatti.
Quello che volevo dire è che il giudicante non può (anzi può e lo fa ma imho sbaglia) mettere sul vetrino del microscopio globale una cultura nell’interezza senza conoscere i limite della sua stessa osservazione e soprattutto il fine ultimo della stessa osservazione: senza questo riconoscimento, viene messa in discussione la fallibilità dell’osservazione e la possibilità che il un confronto tra linguaggi, pratiche e pensieri alternativi alla cultura occidentale nasca da presupposti errati : diamine, nemmeno in fisica si riesce a separare l’osservatore dall’oggetto ed osservarlo in modo obbiettivo, vuoi che ci si riesca “filosofeggiando in libertà”?
La possibilità di un confronto tra visioni del mondo estremamente diverse, soprattutto per i valori in gioco (e quindi le regole derivate), ha bisogno di essere interno ad uno scambio tra le culture in osservazione: non esiste per me obbiettività nella visione unilateralistica che prende a riferimento solo sé stessa nella forma migliore come unità di misura.
uppino.
(ho adocchiato un libercolo interessante: Nina Furstenberg zu - Lumi dell'Islam. Mi sà che se qualcosa c'è di "illuminista" nell'Islam questi signori raccolti dalla Furstenberg ne sono un esempio)
Note di Copertina
Riusciremo a liberarci dall'incubo di un conflitto tra civiltà? L'esito dipenderà non solo dall'Occidente ma anche dall'evoluzione del mondo islamico. Nove intellettuali musulmani parlano dell'incontro, difficile ma possibile, incompiuto ma avviato, delle loro culture con la modernità liberale, con i principi della democrazia, della dignità dell'individuo, uomo e donna, con i diritti umani. Se mai si scriverà una storia dell'Illuminismo musulmano del XXI secolo, Nina zu Fürstemberg ne ha scovato qui alcune delle voci più influenti che si mettono in gioco con le loro idee. E alcuni anche con grande coraggio, quello che occorre per aprire una strada nuova.
io considero valori universali le libertà individuali, i diritti civili, il principio di tolleranza, che sono valori portanti della democrazia occidentale ma questo non basta a farci sentire superiori a chicchessia: al massimo impedirmi, da laico, di essere "relativista" se questi valori (meritevoli di essere difesi) vengono attaccati da chi li contesta come "seduzioni di Satana" o "contrari alla fede" se non offensivi...
Questi valori anche diffusi, senza imporre o usare armi per farlo, giacchè si andrebbe contro proprio ai principi sopra elencati, anche contro uno sbagliato uso del relativismo assoluto (per cui per essere paritetici si accetta la discriminazione magari sulle donne!)
un esempio di scontro sull'argomento:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2002/06_Giugno/25/libertareligiosa.shtml
bella discussione...
stasera me la leggo.
Andreucciolo
31-05-2004, 17:34
Originariamente inviato da ni.jo
CUT
Quello che volevo dire è che il giudicante non può (anzi può e lo fa ma imho sbaglia) mettere sul vetrino del microscopio globale una cultura nell’interezza senza conoscere i limite della sua stessa osservazione e soprattutto il fine ultimo della stessa osservazione: senza questo riconoscimento, viene messa in discussione la fallibilità dell’osservazione e la possibilità che il un confronto tra linguaggi, pratiche e pensieri alternativi alla cultura occidentale nasca da presupposti errati : diamine, nemmeno in fisica si riesce a separare l’osservatore dall’oggetto ed osservarlo in modo obbiettivo, vuoi che ci si riesca “filosofeggiando in libertà”?
La possibilità di un confronto tra visioni del mondo estremamente diverse, soprattutto per i valori in gioco (e quindi le regole derivate), ha bisogno di essere interno ad uno scambio tra le culture in osservazione: non esiste per me obbiettività nella visione unilateralistica che prende a riferimento solo sé stessa nella forma migliore come unità di misura.
Quoto, vedi che fai il falso modesto della minchiazza?: non ho le conoscenze, la capacità dialettica:blah: :blah: :blah: :D
Per non cadere in complicate dicussioni filosofiche, proporrei (se siete d'accordo) di semplificare il discorso intorno a tre temi:
1) Supposta "crisi culturale" dell'occidente;
2) Implicazioni della regola "dall'essere (migliore o peggiore) non discende il dover essere".
3) Dialogo, possibile o no?
Sul primo punto ho già detto la mia opinione.
Il secondo è un problema più complesso: la regola è valida in astratto e da un punto di vista prettamente logico. Ma dal punto di vista della prassi, non è cosi', non lo è mai stato. Proprio perchè nessuna logica al mondo è capace di rispondere alla domanda: come devo vivere? La nostra cultura, al pari delle altre, ha dato delle risposte. Il pluralismo non è altro che un risultato della nostra cultura, il relativismo nella prassi non esiste, ogni nostra scelta che non sia "tecnica" è carica di valori, di precisi valori che noi scegliamo anche inconsapevolmente, il vero relativismo porterebbe al blocco di qualsiasi tipo di decisione; questo lo sappiamo tutti, eccetto certi filosofi che con queste categorie ancora ci devono campare.....:D
Posto quindi che a mio avviso si parla di pluralismo, e non di relativismo, si può cominciare a fare qualche distinzione: ammettere che esistano una pluralità di modi di vivere, non implica nemmeno l'accettazione acritica di tutto ciò che sia "altro". L'antropologo può cercare di comprendere i riti dei "cannibali", senza per questo aderire ai valori dell'antropofagia o giustificarli. Nella prassi politica reale, i discorsi che mirano con insistenza al "meglio" hanno portato alle teorie razziste, ai gulag e alle camere a gas.
Il presupposto del dialogo (che è prassi,non teoria) è innanzitutto la consapevolezza di avere un interlocutore, e il dialogo stesso prenderà una piega diversa a seconda di come io considero questo interlocutore, ma il dialogo in se, non implica di essere d'accordo su nulla, se non sull'opportunità di dialogare.
Quindi io sono occidentale, ritengo la mia cultura "preferibile", e cerco il dialogo, fosse ANCHE per convincere gli altri della sua bontà ; da alcune affermazioni di Pera, mi pare che confonda il dialogo con "l'inquinamento dei propri valori". Nei confronti dell'islam, non si dialoga per dibattere su "teorie", si dialoga per trovare un modo per coesistere, senza nulla togliere al fatto che in questo dialogo possiamo e dobbiamo sostenere idee che troviamo giuste, ed essere critici su ciò che troviamo sbagliato.
Originariamente inviato da ni.jo
si ma non darmi ragione solo se ti dò ragione... :p :D
mannaggia, mi hai scoperto :D
Originariamente inviato da ni.jo
Mettiamola in questo senso allora: il pluralismo oggi è ormai parte del nostro modo di pensare, un patrimonio comune acquisito.
Dal pluralismo al relativismo il passo è abbastanza breve, tant’è che per l’ignorante come me è quasi la stessa cosa: quando si parla di “conoscenza” (io parlo da laico) è abbastanza comune l’idea che si possa avere una diversa percezione della “verità”, una diversa idea di metodo, e siamo cioè pronti a riconoscerci il diritto ad avere una certa posizione e confrontarsi con essa.
Pera sottolinea che questo esclude alcuni punti fermi (ad esempio religiosi, ma anche morali) e lì il confronto si blocca: non è una tragedia sino a che non si cerca di imporre all'altro al propria visione a casa sua.
Tutto sommato comunque si riconosce la necessità di “ammettere” l’esistenza di tradizioni culturali diverse da quella occidentale per linguaggio, credenze e valori; solo che arrivati alla definizione di questi “valori” si inizia a delineare una diversa concezione della vita, diciamo, vissuta pienamente e felicemente ma soprattutto nel METODO con cui questi valori vengono soddisfatti.
Quello che volevo dire è che il giudicante non può (anzi può e lo fa ma imho sbaglia) mettere sul vetrino del microscopio globale una cultura nell’interezza senza conoscere i limite della sua stessa osservazione e soprattutto il fine ultimo della stessa osservazione: senza questo riconoscimento, viene messa in discussione la fallibilità dell’osservazione e la possibilità che il un confronto tra linguaggi, pratiche e pensieri alternativi alla cultura occidentale nasca da presupposti errati : diamine, nemmeno in fisica si riesce a separare l’osservatore dall’oggetto ed osservarlo in modo obbiettivo, vuoi che ci si riesca “filosofeggiando in libertà”?
La possibilità di un confronto tra visioni del mondo estremamente diverse, soprattutto per i valori in gioco (e quindi le regole derivate), ha bisogno di essere interno ad uno scambio tra le culture in osservazione: non esiste per me obbiettività nella visione unilateralistica che prende a riferimento solo sé stessa nella forma migliore come unità di misura.
credo che siano osservazioni giuste, e come al solito credo che siano l'altra faccia della medaglia: quanto hai detto mi va bene se non esclude la possibilità di quel giudizio di cui ho parlato, perchè escluderebbe qualsiasi elemento comune tra due sistemi diversi, qualsiasi possibilità di comunicare di confrontare, il che francamente sarebbe fuori dalla realtà. In ogno caso non si tratta solo di un'analisi fatta al microscopio: Pera ha parlado di un dialogo di confronto come verifica, che è una condizione che non pone ci pone da osservatore, ma ci coinvolge.
Originariamente inviato da Andreucciolo
...ammettere che esistano una pluralità di modi di vivere, non implica nemmeno l'accettazione acritica di tutto ciò che sia "altro". L'antropologo può cercare di comprendere i riti dei "cannibali", senza per questo aderire ai valori dell'antropofagia o giustificarli. Nella prassi politica reale, i discorsi che mirano con insistenza al "meglio" hanno portato alle teorie razziste, ai gulag e alle camere a gas.
Il presupposto del dialogo (che è prassi,non teoria) è innanzitutto la consapevolezza di avere un interlocutore, e il dialogo stesso prenderà una piega diversa a seconda di come io considero questo interlocutore, ma il dialogo in se, non implica di essere d'accordo su nulla, se non sull'opportunità di dialogare.
Quindi io sono occidentale, ritengo la mia cultura "preferibile", e cerco il dialogo, fosse ANCHE per convincere gli altri della sua bontà ; da alcune affermazioni di Pera, mi pare che confonda il dialogo con "l'inquinamento dei propri valori". Nei confronti dell'islam, non si dialoga per dibattere su "teorie", si dialoga per trovare un modo per coesistere, senza nulla togliere al fatto che in questo dialogo possiamo e dobbiamo sostenere idee che troviamo giuste, ed essere critici su ciò che troviamo sbagliato.
ok
ps: anche tu, non rispondere sempre a Pera che tanto non sa neppure chi sei! :D Cio' che ha detto Pera è uno spunto (articolato piuttosto bene)
tanto tra un po' arriva Anakin e sono bastonate x tutti :D
Be.t logout :D
Originariamente inviato da Andreucciolo
Quoto, vedi che fai il falso modesto della minchiazza?: non ho le conoscenze, la capacità dialettica:blah: :blah: :blah: :D
Ecchecazz, mi citi Popper il minimo che posso fare è mettere le mani avanti :oink:
Originariamente inviato da Andreucciolo
Per non cadere in complicate dicussioni filosofiche, proporrei (se siete d'accordo) di semplificare il discorso intorno a tre temi:
1) Supposta "crisi culturale" dell'occidente;
Il relativismo assoluto, per quanto ne posso sapere io ( :p ) sembra una cosa divertente da analizzare ma non mi sembra la tattica migliore da tenere in guerra: in effetti posso capire che si senta in guerra con l'Islam dopo aver letto "scontro di civiltà" possa esserne turbato anche da tutto quello che gli somiglia. :D
Originariamente inviato da Andreucciolo
2) Implicazioni della regola "dall'essere (migliore o peggiore) non discende il dover essere".
Più che altro si dovrebbe passare a discutere sul "fare" giacche l'essere mi pare aleatorio e nel campo dellelibertà personali...
Originariamente inviato da Andreucciolo
3) Dialogo, possibile o no?
Indispensabile.
Le uniche persone con cui non si può dialogare sono i terroristi.
ni.jo log out :ncomment:
Veramente interessante... questo svela finalmente alcuni punti del pensiero di Pera che non mi erano affatto chiari... e conferma le divergenze tra il mio pensiero e il suo... non che siano poi cosi rilevanti, ma ero appunto curioso di sapere...
Originariamente inviato da Andreucciolo
Io sinceramente non vedo questa crisi culturale, e mi pare che Pera in alcuni punti si contraddica. Se la grandezza della cultura occidentale risiede nella capacità di una continua autocritica, nella capacità di accogliere altri mondi, altre culture, dove è precisamente questa crisi oggi?
In molti discorsi di questo tipo, mi sembra che esista un capovolgimento della realtà: non stiamo cercando in tutti i modi di esportare i nostri valori? Qualcuno nega che la maggioranza degli occidentali consideri la sua cultura preferibile? Voi conoscete molta gente che si è convertita ad un modo di vita islamico?
Ho l'impressione che io e Pera non condividiamo la stessa"realtà fenomenica":D .
Sempre partendo dai suoi presupposti, l'esistenza in occidente di voci critiche e persino contrarie alla presunta superiorità della nostra cultura, non erano una forza e la prova che la nostra è una "società aperta" e dunque desiderabile? Credo che su alcune cose debba mettersi d'accordo con se stesso:D
Io continuo a non vedere alcuna crisi.
rispondo a nome di Pera,che è di la in soggiorno e ha da fare:D
no non c'è contraddizione.
secondo me tu hai sovrapposto piu' cose.
innanzitutto l'autocritica forza del occidente,è Vargas Llosa che lo dice,in realta' essa è una delle forze del occidente,non la sola.
andando ad indovinare il pensiero di Vargas Llosa,essa è citata come primaria,anche con intento provocatorio e riflessivo.
per dare uno scacco a tutti coloro,occidentali che denigrano l'occidente,e magari ne han fatto lo sport quotidiano,si ricorda loro che la capacita' di autocritica(loro passatempo) non è da tutti,ma è occidentale.cioe' che ringrazino cio su cui sputano.
la crisi c'è,perche' ormai è diffusa l'idea,cioe' non si parla piu' di voci che possono esistere,ma si parla di mentalita' comune.
di che parlo?
di quel che quotato anche Bet,quelle che Pera chiama le due paralisi.
la prima paralisi,è il ritenere nemmeno possibile a livello teorico un confronto se una cosa è migliore o meno di un altra.
per chi?per un uomo qualunque.
che uno sia nero,bianco,giallo o rosso,certe esigenze sono fondamentali nella vita.
la seconda è l'errore logico(che da sempre vedo nei nostri 3D) di confondere giudizio,con atteggiamento.
si ha paura a esprimere giudizi,perche' si ha paura che a questi debbano seguire azioni di un certo tipo,quindi si autocensura il proprio giudizio.
è come uno che per apparire bene,dice cose diverse da quelle che vede...come diremmo?che non è se stesso(perdita di identita' appunto)che è determinato dal essere considerato ok...un complessato in pratica.
queste due paralisi imbavagliano,e alla lunga ci faranno spegnere,perche' in questo modo,non siamo nemmeno piu' capaci di riconoscere cio che di noi stessi vale,e cio che degli altri non va affatto bene.
certo che la maggioranza degli occidentali SA che è fortunata ad essere vissuta qua.
non è questo il discorso di Pera.
il discorso è un altro.
come diceva Ferrara in TV,per sottolineare una certa ipocrisia,ogni due per tre infilava questa frase:
"la civilta' occidentale(faceva una pausa),che non è superiore alle altre,(pausa)pero' è superiore" e andava avanti...
ovvero il punto non è che siamo ciechi e non vediamo che il modello occidentale con tutti i suoi difetti è piu' garante della persona,il punto è che ci autocensuriamo,e che in nome del politically correct non lo diciamo.anzi non si puo nemmeno dire.
quando il berlusca disse l'ovvieta',si scateno il finimondo'...
e a livello popolare,il punto non era tanto sulla poca furbizia di dire pubblicamente una cosa del genere come presidente del consiglio(chiaro che non è furbo far incazzare gli arabi dicendolo a quel modo),ma era per la gente una bestemmia a livello sostanziale.
in nome del pluralismo e del accettare l'altro,è peccato sostenere che una cosa è meglio di un altra.
non si puo proprio fare.
è come se fossimo diventati dei complessati.
questo ha delle conseguenze specialmente in ambito politico,dove questa mentalita' dilaga.
certamente è piu' europeo come fenomeno.
Andreucciolo
01-06-2004, 00:39
Originariamente inviato da Anakin
rispondo a nome di Pera,che è di la in soggiorno e ha da fare:D
no non c'è contraddizione.
secondo me tu hai sovrapposto piu' cose.
innanzitutto l'autocritica forza del occidente,è Vargas Llosa che lo dice,in realta' essa è una delle forze del occidente,non la sola.
andando ad indovinare il pensiero di Vargas Llosa,essa è citata come primaria,anche con intento provocatorio e riflessivo.
per dare uno scacco a tutti coloro,occidentali che denigrano l'occidente,e magari ne han fatto lo sport quotidiano,si ricorda loro che la capacita' di autocritica(loro passatempo) non è da tutti,ma è occidentale.cioe' che ringrazino cio su cui sputano.
la crisi c'è,perche' ormai è diffusa l'idea,cioe' non si parla piu' di voci che possono esistere,ma si parla di mentalita' comune.
di che parlo?
di quel che quotato anche Bet,quelle che Pera chiama le due paralisi.
la prima paralisi,è il ritenere nemmeno possibile a livello teorico un confronto se una cosa è migliore o meno di un altra.
per chi?per un uomo qualunque.
che uno sia nero,bianco,giallo o rosso,certe esigenze sono fondamentali nella vita.
la seconda è l'errore logico(che da sempre vedo nei nostri 3D) di confondere giudizio,con atteggiamento.
si ha paura a esprimere giudizi,perche' si ha paura che a questi debbano seguire azioni di un certo tipo,quindi si autocensura il proprio giudizio.
è come uno che per apparire bene,dice cose diverse da quelle che vede...come diremmo?che non è se stesso(perdita di identita' appunto)che è determinato dal essere considerato ok...un complessato in pratica.
queste due paralisi imbavagliano,e alla lunga ci faranno spegnere,perche' in questo modo,non siamo nemmeno piu' capaci di riconoscere cio che di noi stessi vale,e cio che degli altri non va affatto bene.
certo che la maggioranza degli occidentali SA che è fortunata ad essere vissuta qua.
non è questo il discorso di Pera.
il discorso è un altro.
come diceva Ferrara in TV,per sottolineare una certa ipocrisia,ogni due per tre infilava questa frase:
"la civilta' occidentale(faceva una pausa),che non è superiore alle altre,(pausa)pero' è superiore" e andava avanti...
ovvero il punto non è che siamo ciechi e non vediamo che il modello occidentale con tutti i suoi difetti è piu' garante della persona,il punto è che ci autocensuriamo,e che in nome del politically correct non lo diciamo.anzi non si puo nemmeno dire.
quando il berlusca disse l'ovvieta',si scateno il finimondo'...
e a livello popolare,il punto non era tanto sulla poca furbizia di dire pubblicamente una cosa del genere come presidente del consiglio(chiaro che non è furbo far incazzare gli arabi dicendolo a quel modo),ma era per la gente una bestemmia a livello sostanziale.
in nome del pluralismo e del accettare l'altro,è peccato sostenere che una cosa è meglio di un altra.
non si puo proprio fare.
è come se fossimo diventati dei complessati.
questo ha delle conseguenze specialmente in ambito politico,dove questa mentalita' dilaga.
certamente è piu' europeo come fenomeno.
Vammi subito a chiamare Pera, su....:O :D
Guarda, io a questa cosa del complesso non ci credo, secondo me la cosa è diversa.
Come dicevo prima, non è assolutamente vero che a livello teorico o pratico la gente non confronti e non giudichi. Ognuno di noi lo fa ogni giorno, e persino quando critichiamo la nostra società lo facciamo dall'interno. Questo mi sembra un punto molto importante: noi non la critichiamo facendo un paragone con le altre: la nostra critica solitamente è rivolta a quelle pratiche che si discostano troppo da certi ideali; ideali che ci vengono forniti dalla nostra stessa cultura, non dalle altre. Il termine superiore io non lo uso, non è questione di complessi ; anche io lo giudico troppo "ontologico) (copriright di Bet:D ), troppo reificante. Inoltre, quando parliamo della nostra cultura, ci riferiamo a quella "ideale" o a quella reale? E in quale prospettiva temporale?No, perchè basta prendere solo gli ultimi 60 anni, e posso dimostrare che qualunque cosa abbiano fatto gli islamici la abbiamo fatta anche noi, in alcuni casi solo noi. Invece dal punto di vista ideale, potrei dire che la nostra cultura "sarebbe" superiore, ma poi stiamo discutendo senza aver chiara una cosa: quale cultura? E' un termine troppo ampio, dato che ci possiamo mettere dentro Bush e il Papa, i missionari e i mercenari nelle guerre africane, gli ecologisti e gli speculatori, Cesare Beccaria e la sedia elettrica, l'illuminismo e i fanatici religiosi con tanto di tele-predicatori, la non-violenza e il terrorismo, il rispetto della donna insieme a quelli che vanno con le prostitute-schiave. Quindi quale cultura? E supposto che la individuiamo, chi è che la incarna? Nessuno completamente, è ovvio, però quando parliamo della cultura islamica per come la vediamo noi, la risposta la conosciamo bene: la incarnano tutti indistintamente, ogni musulmano risponde perfettamente alla nostra idea di musulmano.
Allora, anche io ritengo (come ho detto in altri post), che ci siano cose nella società islamica che non vanno per niente, ma non si possono fare filosofie della storia: come evolverà l'islam non lo sa nessuno, quello che ci frega è la nostra idea di progresso, per cui tutte le culture devono seguire gli stessi identici passi in una scala ideale che permette di stabilire un gradino per ogni cultura, da cui il famoso "superiore" e "inferiore". Siccome nessuno può prevedere se l'occidente partorirà un nuovo olocausto, o se l'islam troverà uno sviluppo diverso, io continuerò a dire che preferisco la mia cultura, o meglio gli aspetti della mia cultura che più aderiscono agli "ideali", e continuerò a vivere cosi', il concetto di superiorità è totalizzante, abbraccia troppe cose, troppo diverse.
Andreucciolo
01-06-2004, 01:33
Ragazzi, un piccolo OT: vi ringrazio davvero per questa bella discussione, mi sono fatto un giro in un paio di 3d e..........:Puke:
E' veramente un piacere poter discutere in questa maniera:)
cmq Andreucciolo hai un'abilità oggi molto diffusa: quella di fare domande, porre problemi, problematizzare... in definitiva alzare un polverone :D
Rimane sempre un aspetto troppo evidente e riscontrabile nei fatti: la libertà... e su quello ci si puo' girare poco intorno, a meno che non si ipotizzi che qualche persona non aspiri ad essere libera, che sarebbe un po' ritenerla realmente non umana. E in una visione sintetica (non semplicistica, ma sintetica) c'è un meglio e un peggio.
powerslave
01-06-2004, 08:10
Originariamente inviato da Andreucciolo
Ragazzi, un piccolo OT: vi ringrazio davvero per questa bella discussione, mi sono fatto un giro in un paio di 3d e..........:Puke:
E' veramente un piacere poter discutere in questa maniera:)
straquoto,sono mancato un paio di giorni e mi sono ritrovato una bella sfilza di 3d da fare invidia a forza nuova :eek:
complimenti a chi ha ideato questo 3d e a chi ha portato avanti la discusssione,stasera me lo leggo tutto e vi dico la mia.
ciauz:)
Originariamente inviato da Andreucciolo
Continuo a non vedere alcuna crisi, il fatto che ci sia un dibattito all'interno della nostra cultura, è la riprova che esistono quegli aspetti che la fanno apparire a NOI come PREFERIBILE.
Dico la mia.
L'esistenza del dibattito non basta a rendere la nostra cultura preferibile.. non basta nemmeno ad affermare che la nostra è una cultura.
Il dibattito è un processo produttivo di una cultura.. un processo produttivo preferibile perchè tutti possono partecipare alla produzione.. ma non è gia un risultato, non è già una cultura.
Il risultato del dibattito diventa cultura se è in grado di produrre una realtà migliore.. è sul piano della realtà che si misura una cultura.. altrimenti il risultato del dibattito rimangono parole vuote.
"La crisi della cultura occidentale" per come la intendo io è questo.. siamo riusciti a dotarci di quello che, abbastanza unanimemente, consideriamo essere il miglior processo produttivo di una cultura.. vale a dire il dibattito.
Ma non riusciamo a produrre la miglior cultura possibile.. peggio ancora, fatichiamo persino a produrre una cultura che sia una.
Ci ritiriamo dall'idea di proporre una cultura, neghiamo l'opportunità e addirittura la possibilità di fare un confronto tra culture, e ci arrocchiamo sulla difesa del metodo.. sostenendo il dibattito e la libertà di espressione.
Ma quanto reggerà questa fortezza, se il dibattito non è in grado di produrre una cultura? Tra 50 anni saremo ancora unanimemente convinti che il dibattito e la libertà di espressione siano il metodo migliore, oppure il relativismo avrà relativizzato anche quelli?
SaMu, cosa intendi per dibattito che "produce una realtà migliore"? Mi faresti qualche esempio? Cosa dovrebbe produrre in concreto e cosa non sta producendo?
per capire meglio
Originariamente inviato da Anakin
cut
innanzitutto l'autocritica forza del occidente,è Vargas Llosa che lo dice,in realta' essa è una delle forze del occidente,non la sola.
andando ad indovinare il pensiero di Vargas Llosa,essa è citata come primaria,anche con intento provocatorio e riflessivo.
per dare uno scacco a tutti coloro,occidentali che denigrano l'occidente,e magari ne han fatto lo sport quotidiano,si ricorda loro che la capacita' di autocritica(loro passatempo) non è da tutti,ma è occidentale.cioe' che ringrazino cio su cui sputano.
qui c’è un cane che si morde la coda, però: l’occidente ha la capacità di autocritica e la esercita perché qualcuno prima di noi ha iniziato queste speculazioni, e uno di quelli che la criticano è proprio Llosa: tutti quelli che “criticano l’occidente” sembra un po’ troppo generica come condanna, tant’è che a leggere sembrerebbe diffusissima:a me pare che la sua critica verta sul fatto che "Si fanno tante chiacchiere inutili su questo tema, sia da parte dei suoi sostenitori sia nel fronte degli oppositori” andando a focalizzarsi su aspetti sbagliati o secondari: se non erro per Llosa il nocciolo è proprio una mancanza di critica e impegno politico, non su un ecceso e di fatto si è pure candidato armi e bagagli (perdendo :p ) Ad esempio su uno degli aspetti della critica all'Occidente dice: "I paesi ricchi hanno delle gravi colpe perché fingono di sostenere il liberismo, invece chiudono in maniera drastica, ermetica le loro frontiere ai prodotti agro-alimentari del sud del mondo, togliendo così ai più poveri la possibilità di mettersi al passo con gli altri. I critici della globalizzazione, invece, battono poco su questi tasti e puntano su concetti fumosi e praticamente inutili": è una posizione molto più liberista di altri auto-incensatisi tali…detto questo è innegabile che esistano persone che “sputano nel piatto in cui mangiano”: quello che scrive sul muro “10-100-1000 nassirya”, tale a.c.a.b. , probabilmente non ha inquadrato molto bene la situazione (è un eufemismo che sostituisce alcuni epiteti poco gentili) ma grazie al cielo non mi pare in grado di provocare un blocco all’Occidente: il blocco c’è stato da poco, invece, e sai in che casa?
In quello delle torture nel carcere di abu graihb, dove l’occidente ha scoperto, dopo un eticissimo discorso pubblico che negli u.s.a ha rigettato l’uso della tortura, che non pochi dei suoi “figli di una cultura superiore” si sono dimostrati non diversi dai cattivi figli dell’islam: il blocco è stato evidente e devastate, tanto da avere ricadute nella guerra al terrorismo... soprattutto per il sospetto che le torture avessero un imput dall’alto e che il loro fine non fosse del tutto scovare informazioni (scelta comunque oscena) quanto umiliare i musulmani (ne sono sstati liberati a centinaia, perché una percentuale altissima era assolutamente innocente, quindi la tortura era anche assolutamente inutile. )
Originariamente inviato da Anakin
la crisi c'è,perché' ormai è diffusa l'idea,cioe' non si parla piu' di voci che possono esistere,ma si parla di mentalita' comune.
di che parlo?
di quel che quotato anche Bet,quelle che Pera chiama le due paralisi.
la prima paralisi,è il ritenere nemmeno possibile a livello teorico un confronto se una cosa è migliore o meno di un altra.
per chi?per un uomo qualunque.
che uno sia nero,bianco,giallo o rosso,certe esigenze sono fondamentali nella vita.
Non capisco questo passo: il confronto è tra cose diverse, si sono spese tonnellate di parole ultimamente su islam e occidente, e nessuno nega che nel mondo, non solo nell’islam, la dittatura "oggi domini in troppi paesi", e che l’occidente abbia una percentuale di paesi democratici superiore.
Originariamente inviato da Anakin
la seconda è l'errore logico(che da sempre vedo nei nostri 3D) di confondere giudizio,con atteggiamento.
si ha paura a esprimere giudizi,perche' si ha paura che a questi debbano seguire azioni di un certo tipo,quindi si autocensura il proprio giudizio.
è come uno che per apparire bene,dice cose diverse da quelle che vede...come diremmo?che non è se stesso(perdita di identita' appunto)che è determinato dal essere considerato ok...un complessato in pratica.
queste due paralisi imbavagliano,e alla lunga ci faranno spegnere,perche' in questo modo,non siamo nemmeno piu' capaci di riconoscere cio che di noi stessi vale,e cio che degli altri non va affatto bene.
Questo mi pare vada anche al contrario: dal giudizio specifico su un aspetto “fuorviato” dell’islam si passa ad un timore generalizzato su tutto il mondo islamico e da quì all’odio il passo è breve: è una cosa che puoi notare anche sul forum.
In Francia invece hanno adottato una linea molto dura: niente religioni nelle scuole pubbliche, istituzione di una scuola per imam moderati: pensano che il vero problema sia il fondamentaismo integralista trasmesso come insegnamento, lo stesso che si può trovare in Palestina sui libri importati dal libano o dall’egitto che predicano la scomparsa di Israele…non l’islam in sé, che come tutte le religioni può essere interpretata per seguire il bene o “difendersi” con tutti i mezzi indiscriminatamente anche quando l’attacco fa solo comodo pensare che ci sia.
Originariamente inviato da Anakin
certo che la maggioranza degli occidentali SA che è fortunata ad essere vissuta qua.
non è questo il discorso di Pera.
il discorso è un altro.
come diceva Ferrara in TV,per sottolineare una certa ipocrisia,ogni due per tre infilava questa frase:
"la civilta' occidentale(faceva una pausa),che non è superiore alle altre,(pausa)pero' è superiore" e andava avanti...
le polemiche contro il «relativismo culturale» sono assolutamente legittime e spesso fondate, ma a volte mi sembra che si esasperi la critica pensando che quello aperto l’11 settembre sia uno scontro per l’esistenza tra due civiltà e due religioni: l’inopportunità delle affermazioni di Berlusconi e moltii colleghi di Pera è che in un contesto in cui è indispensabile trovare alleati moderati, una sponda nell’Islam che faccia diga contro il fondamentalisti (e chi sta loro dietro con motivazioni molto terrene, altro che religiose e culturali): si tratta di allargare il sodalizio con di chi si oppone al terrore fondamentalista anche nel mondo islamico, non certo di creare ulteriori problemi ad interlocutori già in seria difficoltà, quelli che si sentono ora dire sprezzanti "è questa la democrazia che auspicate per noi?"
Molto più controversa è invece la fondatezza storica, politica e culturale di questa “superiorità”, cui si occupano Ferrara, Fallaci e Pera: è pacifico che la maggioranza di noi consideri valori positivi assoluti democrazia le libertà civili, religiose,personali, i diritti civili, la tolleranza e il pluralismo, e che queste trovino terreno fertile nella società di tipo occidentale: basta a farci sentire superiori, se molti paesi arabi sono incamminati in quella direzione, se esistono voci che spingono per affermare quei valori anche da loro, e se la pretesa superiorità quando non ha nulla di umile viene usata prima come giudizio poi come scusa per passare all’imposizione, vanificando proprio la ricerca della sponda nel fronte dei moderati?
Attenzione io vado anche più avanti, perché questi valori sono assolutamente da proteggere quando vengono attaccati, soprattutto in casa nostra: in casa “loro” andrebbero diffusi aiutando chi li desidera, perché se una cosa viene imposta dall’alto, l’abbiamo capito forse, non verrà accettata ma vista come un usurpazione: e vanno difesi anche quando a usurparli è l’occidente stesso, che nascondendosi dietro il primato “morale” a volte crea dei mostri (tra i quali il nucleo dei jihaddisti che, non più “quattro fondamentalisti” ma marea ci sta impegnando così tanto).
L’Occidente ha nel pluralismo di opinioni e nella trasmissione di questi alle istituzioni uno dei validi fattori di miglioramento (è innegabile che la situazione sia migliorata…pensate ai tempi delle colonie) e il pluralismo delle opinioni anche estreme è una ricchezza,è quello che ci differenzia dalle dittature del mono-pensiero: mi sfugge come si potrebbe imbrigliare in un senso o nell’altro questa pluralità di opinioni, se pure fosse necessario o conveniente.
Originariamente inviato da Anakin
ovvero il punto non è che siamo ciechi e non vediamo che il modello occidentale con tutti i suoi difetti è piu' garante della persona,il punto è che ci autocensuriamo,e che in nome del politically correct non lo diciamo.anzi non si puo nemmeno dire.
quando il berlusca disse l'ovvieta',si scateno il finimondo'...
e a livello popolare,il punto non era tanto sulla poca furbizia di dire pubblicamente una cosa del genere come presidente del consiglio(chiaro che non è furbo far incazzare gli arabi dicendolo a quel modo),ma era per la gente una bestemmia a livello sostanziale.
in nome del pluralismo e del accettare l'altro,è peccato sostenere che una cosa è meglio di un altra.
non si puo proprio fare.
è come se fossimo diventati dei complessati.
questo ha delle conseguenze specialmente in ambito politico,dove questa mentalita' dilaga.
certamente è piu' europeo come fenomeno.
Non sono d’accordo: l’errore di Berlusconi era indubbiamente tattico, politico, pratico ma anche storico ed etico perché non si limitava ad un giudizio severo sull’islam in toto (e non solo ai terroristi) raffrontato alla civiltà occidentale («dobbiamo essere consapevoli della superiorità e della forza della nostra civiltà ») ma lo faceva in un contesto in cui da questo giudizio scaturiva l’imposizione di questa civiltà con l’uso della forza, quello dell’attacco bellico Usa visto come conquista e imposizione della democrazia a suon di bombe («LA CIVILTA' OCCIDENTALE CONQUISTERA' I POPOLI» «l'Occidente comunque è destinato a continuare ad occidentalizzare e conquistare i popoli». «L'ha fatto con il mondo comunista, l'ha fatto con una parte del mondo islamico» e lo farà con l’«altra parte ferma a 1400 anni fa».
Non siamo nel campo del giudizio / atteggiamento, siamo passati direttamente dal giudizio (parziale) all’atteggiamento (equivoco, presuntuoso) all’azione (sbagliata, disastrosa).
Everyman
01-06-2004, 10:48
Molta gente avrebbe bisogno di leggersi topic di questo tipo.
Aiutano a vivere meglio imho, se interpretati nella maniera giusta.
Ciaoooooooo
AlexGatti
01-06-2004, 11:21
Originariamente inviato da SaMu
...
Il dibattito è un processo produttivo di una cultura.. un processo produttivo preferibile perchè tutti possono partecipare alla produzione.. ma non è gia un risultato, non è già una cultura.
...
"La crisi della cultura occidentale" per come la intendo io è questo.. siamo riusciti a dotarci di quello che, abbastanza unanimemente, consideriamo essere il miglior processo produttivo di una cultura.. vale a dire il dibattito.
Ma non riusciamo a produrre la miglior cultura possibile.. peggio ancora, fatichiamo persino a produrre una cultura che sia una.
Mah secondo me la nostra _è_ già una cultura, con tutti i suoi difetti ma lo è già, non capisco in base a cosa tu affermi che noi occidentali non abbiamo una cultura, o meglio una famiglia di culture visto che per "occidente" si intende almeno tutta l'europa e tutta l'america del nord.
In secondo luogo noi avendo il dibattito abbiamo i mezzi per rinnovare la nostra cultura e produrre qualcosa di nuovo, pensa ai cambiamenti culturali avvenuti durante il secolo scorso.
Chi non ha il dibattito difficilmente riuscirà a rinnovare la propria cultura e se la dovrà tenere come è, nei secoli dei secoli... a meno di non dover introdurre il dibattito in maniera anche violenta (rivoluzione).
Andreucciolo
01-06-2004, 11:55
Originariamente inviato da Bet
cmq Andreucciolo hai un'abilità oggi molto diffusa: quella di fare domande, porre problemi, problematizzare... in definitiva alzare un polverone :D
Rimane sempre un aspetto troppo evidente e riscontrabile nei fatti: la libertà... e su quello ci si puo' girare poco intorno, a meno che non si ipotizzi che qualche persona non aspiri ad essere libera, che sarebbe un po' ritenerla realmente non umana. E in una visione sintetica (non semplicistica, ma sintetica) c'è un meglio e un peggio.
E tu fai come il Leone Svicolone, anche se non svicoli tutta a mancina:D
Tra tutte quelle domande, non mi dai neanche una piccola risposta?:sofico:
La libertà è un'ottima cosa, tant'è che ci sono musulmani che la vogliono per se, come in Iran, come in Egitto, come in Algeria. E io sono dalla loro parte, ci mancherebbe.Ma la libertà presuppone sempre qualcuno che la voglia,e la libertà nella storia non è sempre prevedibile e scontata, e qui non sono d'accordo con te sull'umano-disumano. I tedeschi che affollavano le piazze nei comizi nazisti, erano disumani? Oppure alla fine della guerra sono ridiventati umani?E la gente che ha combattuto in guerre civili dalla parte della dittatura? Il fatto è che noi abbiamo trovato un modo furbo per neutralizzare queste cose: noi diciamo che gli aspetti ideali migliori sono la "nostra cultura", tutto ciò che è successo e che accade di negativo lo mettiamo tra parentesi, non ci appartiene, è accaduto per caso. Solo perchè una piccola parte del mondo ha avuto 50 anni di relativa pace INTERNA, ci permettiamo di dare sentenze definitive sulle altre culture.
Quello che voglio dire è che io non rigetto i giudizi concreti, ma bensi' le sentenze definitive; "in Italia ora c'è più liberta personale che in Iran", questo è quello che accetto, non le sentenze rozze di chi pretende di aver imboccato la strada maestra e "progressiva" della storia una volta per sempre.
A proposito di Mario vergas Llosa, ieri su La Stampa c'era un suo lungo articolo in cui prendeva posto d'autorità in mezzo alle voci "Plurali", criticando "i mezzi che che distrugono i fini":
come diceva Abert Camus non sono i mezzia giustificare i fini ma i mezzi a giustificare i fini:abbattere un tirannia e aiutare un paese a diventare democrazia è un ottimo fine, ma se per ottenerlo si violano diritti umani e ci si asciaandare a torture e umiliazioni crudeli l'obbiettivo si trasforma e snatura in unmero pretesto.
Non è esagerato dice Llosa, dire che hanno fatto più danni al "fine" di Usa e Israele le torture e le stragi di civili che tutti gli attentati di questi mesi.
Che credibilità possono avere Bush e Rumsfeald che i fronte a immagini in cui prigionieri senza processo, accusati in molti casi di nulla, negono denudati, obbligati masturbarsi, sodomizarsi, sottoposti a scariche eletttriche o percossi a sangue, dicono che sono lì a portre democrazia e libertà?
Ovvio, dice, che non bisogna fare pericolose equazioni bush=saddam ecc... una società civile può avere un mediocre incapace come bush ma ha dei meccanismi di controllo e retifica degli errori che giustificano la speranza: la possibilià di un radicale cambio di politica: i meccanismi ci sono e ono entrati in azione -il soldato Joseph Darby che ha denunciato le torture, con coraggio e diritura morale enorme: le istituzioni intervnute a punire i responsabili: i soldati israeliani che si sono rifiutati di usare armi da guerra in mezzo ai civili (sempre Llosa a parlare) e le critiche feroci di Tomy Lapid, che con rettitudine e coraggio accusato di tradimento dai suoi stessi concittadini ha detto in parlamento che i bambini e le donne palesinesi uccisi nella manifestazione in mezzo alle macerie delle case, questi metodi "non sono umani, non sono ebrei".
E' una cultura sì, o mglio tante culture con gli stessi valori di riferimento, quella che contiene tante voci così alte e permette di seguire gi eventi ed adeguarsi alle istanze...
un (lungo) contributo sul dilemma (affatto europeo, molto americano) sulla tortura:
in U.s.a.,a differenza di quanto pensa Anakin penso ci siano molte più voci critiche e autorevoli, che in europa e non scordiamoci che i movimenti per una globalizzazione dei diritti, per il pacifismo, per la libertà di stampa (con inchieste che sono arrivate a far cadere presidenti e governi) sono tutte squisitamente made in U.s.a.
E' questo, assieme a persone come il soldato Joseph Darby o a mio parere lo stesso Kerry (le cui critiche sulla guerra del Vietnam, dopo aver dato il suo contributo -medaglie comprese- potrebbero costargli l'elezione) che permettono agli u.s.a. di essere comunque una grande democrazia....
Con la forza e con il terrore
Un'inchiesta di Mark Bowden
C'è chi crede che contro il terrorismo sia giusto perfino usare la tortura.
Internazionale 512, 30 ottobre 2003
Rawalpindi, Pakistan. Un giorno che forse era un sabato o forse no, e forse era il 1 marzo o forse no, in una casa che forse era l'abitazione di Ahmad Abdul Qadoos o forse no, un commando di soldati pachistani e statunitensi ha svegliato bruscamente il famigerato terrorista Khalid Sheikh Mohammed. Si aspettavano uno scontro a fuoco e avevano fatto irruzione nella casa correndo e urlando. Invece l'hanno trovato che dormiva. L'hanno tirato giù dal letto, incappucciato e legato. L'hanno fatto salire su una macchina e portato via.
È stato il più importante arresto della guerra al terrore. Sheikh Mohammed è considerato l'ideatore di due attentati al World Trade Center: quello fallito del 1993 e quello catastroficamente riuscito di otto anni dopo. Si pensa che fosse dietro agli attentati contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania del 1998, e a quello di due anni dopo contro l'Uss Cole della marina degli Stati Uniti, e forse anche dietro l'omicidio del giornalista del Wall Street Journal, Daniel Pearl, avvenuto l'anno scorso.
Qualcuno sostiene che l'arresto di Sheikh Mohammed sia avvenuto molto prima del 1 marzo, data in cui è stato annunciato dai servizi segreti pachistani dell'Inter-Services Intelligence (Isi). Abdul Qadoos, un uomo pallido e anziano, mi ha detto che Sheikh Mohammed non era in quella casa "né c'era mai stato". Sembra che il video ufficiale dell'arresto sia un falso. Ma i dettagli hanno poca importanza: ormai quasi tutti sono convinti che Sheikh Mohammed sia nelle mani degli americani già da qualche tempo. Nelle prime ore della sua prigionia, gli hanno tolto il cappuccio e hanno scattato una fotografia.
Si vede un uomo scuro di carnagione, robusto, villoso, con gli occhi velati e grossi baffi neri, sopracciglia spesse, un'ombra scura di barba sul viso tondo, triplo mento, lunghe basette, e capelli lunghi, folti e arruffati. È in piedi di fronte a una parete di colore chiaro con la vernice scrostata, leggermente piegato in avanti, come un uomo che ha le mani legate dietro la schiena. Guarda in basso, a destra della macchina. Sembra intontito e depresso.
Sheikh Mohammed è un uomo intelligente. C'è un'aria di ansiosa incertezza nell'espressione che ha in quella prima foto dopo l'arresto. È lo sguardo di un uomo che si è svegliato in un incubo. Tutto quello che ha dato senso alla sua vita – il suo ruolo di marito e di padre, la sua leadership, la sua statura morale, i suoi piani, le sue ambizioni – è finito. Nel suo futuro ci sono mesi, forse anni di prigionia e interrogatori, un tribunale militare e quasi sicuramente una condanna a morte. Sembra di vedere il suo cervello che lavora, analizzando la situazione. Come passerà i suoi ultimi mesi o anni? Manterrà un dignitoso silenzio di sfida? O si arrenderà al nemico e tradirà i suoi amici, la sua causa e la sua fede?
Faccia da schiaffi
In questo periodo si parla tanto della schiacciante tecnologia militare degli Stati Uniti, della professionalità dei soldati americani, delle loro armi sofisticate e dei loro sistemi d'intercettazione; ma l'arma più importante che hanno potrebbe essere l'arte d'interrogare. Per contrastare un nemico che confida sulla clandestinità e sulla sorpresa, lo strumento più utile sono le informazioni, e spesso l'unica fonte di informazioni è il nemico stesso.
Gli uomini come Sheikh Mohammed, presi vivi in questa guerra, sono i tipici candidati a subire quest'arte macabra. Intellettuali, raffinati, profondamente religiosi e ben addestrati, rappresentano una sfida perfetta per chi deve interrogarli. Ottenere le informazioni di cui sono in possesso potrebbe permetterci di impedire gravi attacchi terroristici, scoprire la loro organizzazione e salvare migliaia di vite. Loro stessi e la situazione in cui si trovano sono uno degli argomenti più forti a favore dell'uso della tortura.
La tortura è ripugnante. È un atto di crudeltà, uno strumento di oppressione politica antico e rozzo. Viene usata per terrorizzare le persone o per strappare confessioni a presunti colpevoli. È la classica scorciatoia degli investigatori pigri o incompetenti. Esempi orribili delle conseguenze della tortura sono catalogati e pubblicati ogni anno da Amnesty International, Human Rights Watch e altre organizzazioni che combattono questo tipo di abusi in tutto il mondo. Non si può fare a meno di essere solidali con le loro vittime innocenti e impotenti. Ma i terroristi rappresentano una questione più difficile.
Sono casseforti in cui sono riposte informazioni che potrebbero salvare delle vite. Sheikh Mohammed ha i suoi motivi politici e religiosi per progettare omicidi di massa, e c'è chi applaudirebbe l'atteggiamento di sfida che mantiene nonostante sia prigioniero. Ma il suo silenzio lo paghiamo col sangue.
La parola tortura viene dal verbo latino torquere, cioè "torcere". Il dizionario inglese Webster's dà questa definizione: "L'atto d'infliggere un dolore intenso per ottenere informazioni e confessioni o per vendetta". Vi prego di notare l'aggettivo "intenso", che evoca immagini di ruote, pollici schiacciati, scalpelli, marchi a fuoco, pozzi ardenti, strumenti per impalare, scosse elettriche e tutti gli altri diabolici strumenti concepiti dagli esseri umani per mutilare e procurare dolore. Molti generi di crudeltà sono ancora diffusi soprattutto in America Centrale e Meridionale, in Africa e in Medio Oriente. La polizia di Saddam Hussein marchiava a fuoco sulla fronte ladri e disertori, e tagliava la lingua a chi offendeva lo stato. In Sri Lanka i prigionieri vengono appesi a testa in giù e bruciati con ferri roventi.
In Cina vengono picchiati con bastoni e tormentati con pungoli per il bestiame. In India la polizia infila spilli nelle unghie e nelle dita dei prigionieri. Le mutilazioni e le violenze fisiche sono legali in Somalia, Iran, Arabia Saudita, Nigeria, Sudan, e in altri paesi che applicano la sharia; ai ladri vengono tagliate le mani e le donne condannate per adulterio rischiano la lapidazione. Vari governi del mondo continuano a usare lo stupro e la mutilazione, e a colpire i familiari, compresi i bambini, per estorcere confessioni o informazioni ai prigionieri. In tutto il mondo le persone civili condannano senza esitazione queste pratiche. Ma ci sono anche dei metodi che, secondo alcuni, non sono vere torture.
Sottili distinzioni
Le cosiddette "torture leggere" includono la privazione del sonno, l'esposizione al caldo o al freddo, l'uso di droghe per indurre confusione, maltrattamenti (schiaffi, spinte, strattoni), la costrizione a stare in piedi per giorni o a stare seduto in posizioni scomode, e il far leva sulle paure del prigioniero per se stesso e per la sua famiglia. Anche se strazianti per la vittima, queste tecniche generalmente non lasciano segni permanenti e non producono danni fisici duraturi. La Convenzione di Ginevra non fa distinzione: proibisce qualsiasi maltrattamento nei confronti dei prigionieri.
Ma alcuni paesi che per altri versi si sono impegnati a rinunciare alla brutalità hanno usato la tortura leggera in circostanze che ritenevano giustificabili. Nel 1987 Israele tentò di codificare una distinzione tra la tortura, proibita, e una "moderata pressione fisica", permessa in casi particolari. Anzi, alcuni ufficiali di polizia, soldati e agenti dei servizi segreti che condannano i metodi "brutali" sono convinti che eliminare tutte le forme di pressione fisica sarebbe un'ingenuità pericolosa. Pochi sono favorevoli all'uso delle pressioni fisiche per estorcere confessioni, soprattutto perché spesso le vittime sono disposte a dire qualsiasi cosa (fino al punto di autoincriminarsi) pur di mettere fine al dolore.
Ma molti veterani del mestiere sono convinti che sia giustificato usare questi metodi per estorcere informazioni quando si possono salvare delle vite costringendo un soldato nemico a rivelare la posizione del suo esercito o un terrorista a rivelare i dettagli di un complotto. Dal loro punto di vista, il valore dell'incolumità fisica di un prigioniero va misurato con le vite che si potrebbero salvare costringendolo a parlare. Un metodo che consenta di ottenere informazioni vitali senza infliggere a nessuno danni permanenti è non solo migliore, ma sembra anche moralmente accettabile. Da ora in poi userò la parola "tortura" per indicare i metodi tradizionali più brutali e "coercizione" per indicare la tortura leggera o una moderata pressione fisica.
I prigionieri
Non si sa esattamente quanti siano i presunti terroristi imprigionati oggi negli Stati Uniti. Circa 680 erano detenuti a Camp X-Ray, la prigione costruita a Guantánamo, sulla punta sudorientale di Cuba. Molti di loro sono considerati soldati semplici del movimento islamico, catturati in Afghanistan durante la disfatta dei taliban. Vengono da quarantadue paesi.
Decine di altri detenuti, considerati i loro capi, sono stati o sono ancora detenuti in varie località sparse in tutto il mondo: in Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Sudan, Siria, Giordania, Marocco, Yemen, Singapore, nelle Filippine, in Thailandia e in Iraq, dove l'esercito statunitense ora tiene prigioniere le alte gerarchie dell'ex regime di Saddam Hussein. Alcuni sono detenuti in prigioni note, come quella di Bagram e l'isola di Diego Garcia. Altri – figure di maggior rilievo come Sheikh Mohammed, Abu Zubaydah, Abd al Rashim al Nashiri, Ramzi bin al Shibh e Tawfiq bin Attash – si trovano in località segrete.
È probabile che i nomi e l'arresto di alcuni terroristi catturati non siano stati rivelati; una persona può essere trattenuta per mesi prima che venga messo in scena il suo "arresto". Una volta che tutti sanno che un sospettato di alto rango è in prigione, il valore delle sue informazioni diminuisce. La sua organizzazione si sparpaglia, modifica piani, travestimenti, coperture, codici, tattiche e metodi di comunicazione.
Le migliori opportunità di raccogliere informazioni si hanno nelle prime ore dopo l'arresto, prima che il suo gruppo venga a sapere che è stata aperta una breccia. Mantenere segreto un arresto per giorni o settimane prolunga questa opportunità. Perciò, lo ripeto, non si conosce il numero esatto dei presunti terroristi che sono in prigione. A settembre dello scorso anno, davanti alle commissioni sui servizi segreti del parlamento statunitense, il coordinatore antiterrorismo del dipartimento di stato Cofer Black ha dichiarato che sono circa tremila.
Tutti questi sospetti vengono interrogati rigorosamente, ma a quelli di grado più alto viene applicato il trattamento coercitivo. E se dobbiamo credere ai rapporti ufficiali e ufficiosi del governo, il metodo usato funziona. In vari rapporti si dice che i terroristi più duri stanno collaborando o, come minimo, stanno dando delle informazioni utili, dettagliate e verificabili. Alla fine di marzo, Time riferiva che Sheikh Mohammed aveva "fornito agli investigatori statunitensi i nomi e la descrizione di una dozzina di personaggi chiave di al Qaeda che si riteneva stessero preparando attacchi terroristici contro l'America e altri paesi occidentali" e aveva "aggiunto alla descrizione dettagli fondamentali".
Gli Stati Uniti torturano i loro prigionieri? Nella prigione afgana tre detenuti sono morti, e sembra che a Guantánamo diciotto prigionieri abbiamo tentato il suicidio. Uno di loro è sopravvissuto al tentativo di impiccarsi, ma è rimasto in coma e non si riprenderà. Shah Muhammad, un pachistano di vent'anni che è rimasto a Camp X-Ray per diciotto mesi, mi ha raccontato di aver ripetutamente tentato di uccidersi per la disperazione: "Mi stavano facendo impazzire", ha detto.
In un articolo del dicembre 2002, Dana Priest e Barton Gellman del Washington Post affermavano che a Bagram si usavano "violenze fisiche e psicologiche", e un articolo del New York Times di marzo descriveva i maltrattamenti riservati ai detenuti.
Quello stesso mese, Irene Kahn, segretario generale di Amnesty International, ha scritto una lettera di protesta al presidente Bush. A giugno, dietro insistenza di Amnesty e di altre organizzazioni, il presidente Bush ha riaffermato che gli Stati Uniti sono contrari alla tortura: "Invito tutti i governi a unirsi agli Stati Uniti e a tutta la comunità dei paesi rispettosi delle leggi nel proibire, scoprire e condannare qualsiasi atto di tortura. Noi daremo l'esempio". Una risposta leggermente più dettagliata era stata preparata due mesi prima dal massimo legale del Pentagono, William J. Haynes ii, in una lettera a Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch (le mie richieste di intervistare qualcuno del Pentagono, della Casa Bianca o del dipartimento di stato sono state respinte).
Haynes aveva scritto: "Gli Stati Uniti interrogano i combattenti nemici per ottenere informazioni che potrebbero aiutare la coalizione a vincere la guerra e impedire ulteriori attacchi terroristici contro i cittadini degli Stati Uniti e di altri paesi. Come il presidente ha ribadito recentemente all'Alto commissariato nelle Nazioni Unite per i diritti umani, la politica degli Stati Uniti condanna e vieta la tortura. Quando interroga i combattenti nemici, il personale statunitense è tenuto a seguire questa politica e a rispettare tutte le leggi in vigore che vietano la tortura".
Le parole scelte da Haynes sono cautamente rivelatrici. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani e l'amministrazione statunitense definiscono i termini in modo diverso. Tuttavia, pochi direbbero che costringere Sheikh Mohammed a parlare non sarebbe nell'interesse generale dell'umanità. Quindi, prima di affrontare i problemi morali e legali sollevati dagli interrogatori, forse la domanda che dovremmo porci è: che cosa funziona?
Gli orgasmi delle scimmie
La ricerca di un metodo infallibile per condurre gli interrogatori è stata lunga, sgradevole e generalmente infruttuosa. Gli scienziati nazisti facevano esperimenti sui detenuti dei campi di concentramento, sottoponendoli a temperature estremamente calde o estremamente fredde, somministrando loro droghe e procurandogli acute sofferenze nel tentativo di vedere quale combinazione di orrori potesse servire a ottenere collaborazione. Questi tentativi produssero una lunga lista di morti e mutilati, ma nessun sistema affidabile per far parlare le persone.
Nel 1953 John Lilly, del National Institute of Mental Health statunitense, scoprì che inserendo degli elettrodi nel cervello delle scimmie, poteva stimolare dolore, rabbia, paura e piacere. Ne inserì uno nel cervello di una scimmia maschio e diede alla scimmia un interruttore che avrebbe fatto scattare immediatamente l'erezione e l'orgasmo (la scimmia girava l'interruttore in media ogni tre minuti, confermando così lo stereotipo del suo sesso). L'idea di manipolare il cervello dall'interno attirò subito l'interesse della Cia, che immaginava di poter aggirare in questo modo le difese degli informatori più riluttanti. Ma Lilly abbandonò la ricerca dopo aver osservato che l'introduzione degli elettrodi danneggiava il cervello.
Questi e altri esperimenti sono riportati in dettaglio nel libro di John Marks, The search for the Manchurian candidate: the Cia and mind control (Alla ricerca del candidato della Manciuria: la Cia e il controllo della mente) del 1979, e nel libro di George Andrews, Mkultra: the Cia top secret program in human experimentation and behavior modification (Il programma segreto della Cia per la sperimentazione sugli esseri umani e la modificazione dei comportamenti) del 2001.
Andrews riassume varie informazioni scoperte durante un'inchiesta del congresso sugli eccessi della Cia. Il libro di Marks è più sensazionalistico: tende a interpretare l'interesse dell'agenzia per le scienze comportamentali, l'ipnosi e le droghe che alterano il funzionamento della mente come un progetto per la creazione di agenti segreti simili a zombie, anche se sembra che il vero scopo fosse trovare un metodo per costringere le persone a parlare.
L'lsd aveva creato molte speranze. Scoperto per caso in un laboratorio farmaceutico svizzero nel 1943, l'lsd produce potenti effetti di alterazione mentale anche a piccolissime dosi. È più potente della mescalina, che aveva i suoi sostenitori, e poteva facilmente essere somministrato senza che la vittima se ne accorgesse, mettendolo di nascosto nel cibo o nelle bevande. La speranza era che, trovandosi in uno stato mentale così artificialmente disinibito, un informatore avrebbe perso di vista i propri obiettivi e il proprio senso di lealtà. Varie università importanti avviarono studi sull'lsd.
La maggior parte degli esperimenti causarono solo scandalo e imbarazzo. Gli effetti della droga erano troppo imprevedibili perché potesse essere utilizzata negli interrogatori. Tendeva ad amplificare il tipo di sentimenti che inibiscono la collaborazione. Paura e ansia si trasformavano in allucinazioni e fantasie terrificanti, che rendevano ancora più difficile strappare segreti e aggiungevano un tocco di irrealtà a qualsiasi informazione venisse rivelata.
Furono condotti esperimenti anche con l'eroina e con i funghi psichedelici, ma nessuna delle due sostanze costringeva gli uomini a liberarsi dei propri segreti in modo affidabile. Anzi, sembrava che le droghe potenziassero la capacità di mentire di alcune persone. Inizialmente, la scopolamina diede qualche speranza, ma spesso induceva allucinazioni.
I barbiturici erano promettenti e venivano già usati con buoni risultati dagli psichiatri in appoggio alla terapia. Alcuni ricercatori sostenevano che i trattamenti con l'elettroshock facevano esplodere, per così dire, le informazioni nella mente dei soggetti. Droghe come la marijuana, l'alcol e il pentotal possono ridurre le inibizioni, ma non cancellano le convinzioni profonde. E più la droga è potente, meno affidabile è la testimonianza. Secondo le mie fonti dei servizi segreti, oggi si usano alcune droghe negli interrogatori più critici, e le preferite sono le metanfetamine temperate da barbiturici e cannabis. Ma non sono più efficaci di una persona abile a condurre un interrogatorio.
Il manuale Kubark
Risultati migliori sembrava si potessero ottenere con le privazioni sensoriali e l'isolamento. In molte persone, gravi privazioni sensoriali inducono rapidamente la depressione; questi effetti sono documentati nel famigerato manuale della Cia sugli interrogatori del 1963, il Kubark manual, che resta la raccolta più completa e dettagliata mai pubblicata sui metodi coercitivi usati negli interrogatori – considerando la riluttanza ufficiale a discutere certe questioni o a metterle per iscritto.
Scovato nel 1997 grazie al Freedom of Information Act (legge statunitense sulla trasparenza dell'amministrazione) dai giornalisti del Baltimore Sun Gary Cohn, Ginger Thompson e Mark Matthews, il Kubark manual rivela quello che pensava la Cia dei metodi più duri impiegati dai militari e dai servizi segreti. Molte delle pratiche e delle teorie che espone si ritrovano immutate nell'Human resource exploitation training manual (Manuale di addestramento allo sfruttamento delle risorse umane) del 1983, noto come Honduras manual, che la Cia aveva cercato di ammorbidire con una affrettata revisione prima della pubblicazione. Il manuale era stato reso pubblico allo stesso tempo da Cohn e Thompson. Se esiste una Bibbia degli interrogatori, è sicuramente il Kubark manual.
Una cosa che appariva chiara da tutti gli esperimenti era che, qualunque droga o metodo venisse usato, i risultati variavano da persona a persona. Era importante, quindi, provare a definire certi tipi di personalità e scoprire quali metodi funzionavano meglio con ciascun tipo. Ma la divisione in gruppi era di un'approssimazione ridicola – il Kubark manual elencava il tipo “ordinato e ostinato”, quello “avido ed esigente” e quello “ansioso ed egocentrico” – e i metodi prescritti per interrogarli variavano molto poco e a volte erano sciocchezze (il consiglio per chi doveva interrogare un tipo ordinato e ostinato era di farlo in una stanza particolarmente ordinata).
Erano categorie inutili. Ogni persona e ogni situazione sono diverse; alcune persone all'inizio della giornata sono avide ed esigenti e alla fine sono ordinate e ostinate.
A quanto sembra l'unica cosa che fa regolarmente funzionare un interrogatorio è la persona che lo conduce. E alcune persone sono più brave di altre. "Quali sono le caratteristiche di una persona che conduce bene un interrogatorio?", si chiede Jerry Giorgio, il leggendario uomo del terzo grado del dipartimento di polizia di New York. "Dev'essere uno a cui piace la gente e che piace alla gente. Dev'essere uno che sa mettere gli altri a proprio agio. Perché più sono a loro agio, più parlano; e più parlano, più si mettono nei guai e più trovano difficile sostenere una bugia".
I pacifisti
In un mattino di primavera, negli uffici di Amnesty International di Washington, Alistair Hodgett e Alexandra Arriaga mi stavano illustrando il nobile tentativo della loro organizzazione di combattere la tortura in tutto il mondo. Sono giovani brillanti, simpatici, intelligenti, impegnati e attraenti, pieni di buoni propositi. Le persone perbene di tutto il mondo sono d'accordo su questo: la tortura è una cosa malvagia e indifendibile. Ma è sempre così?
Ho mostrato ai due un articolo che avevo preso dal New York Times di quel giorno. Parlava di un tragico caso di rapimento avvenuto a Francoforte, in Germania. Il 27 settembre 2002 uno studente di legge di Francoforte aveva rapito un bambino di 11 anni di nome Jakob von Metzler. Il suo volto sorridente appariva in un riquadro accanto all'articolo. Il rapitore aveva tappato il naso e la bocca di Jakob con il nastro adesivo, lo aveva avvolto nella plastica e nascosto in un boschetto nei pressi di un lago.
La polizia aveva arrestato il sospetto quando aveva cercato di andare a incassare i soldi del riscatto, ma il ragazzo non aveva voluto rivelare dove aveva lasciato il bambino. Convinto che Jakob fosse ancora vivo, il vice capo della polizia di Francoforte, Wolfgang Daschner, aveva detto ai suoi subordinati di minacciare il sospetto. Secondo il ragazzo, gli avevano detto che stava arrivando in aereo uno "specialista" che gli avrebbe inflitto un tipo di dolore che non aveva mai conosciuto. Lo studente aveva detto subito alla polizia dove era nascosto Jakob, che purtroppo fu trovato morto. Il giornale diceva che Daschner era sotto tiro da parte di Amnesty International e di altre organizzazioni per aver minacciato la tortura. "In questo caso", ho chiesto, "pensate veramente che fosse sbagliato minacciare la tortura?". Hodgett e Arriaga hanno cominciato ad agitarsi sulle sedie. "Ci rendiamo conto che esistono situazioni difficili", ha detto Arriaga, che è la responsabile per i rapporti con il governo dell'organizzazione. "Ma noi siamo contrari alla tortura in qualsiasi circostanza, e minacciare la tortura significa infliggere sofferenza mentale".
Sono pochi gli imperativi morali così giusti in astratto, ma che poi crollano miseramente quando si affronta un caso particolare. Un modo per risolvere questo dilemma è considerare due tipi di sensibilità contrapposte: quella del guerriero e quella dell'uomo civile. Per la sensibilità civile la cosa più importante è la legalità. Quali che siano le difficoltà presentate da una certa situazione, come quella di dover trovare il povero Jakob von Metzler prima che morisse soffocato, gli abusi di potere dell'autorità sono considerati il pericolo maggiore per la società.
Accettare che si faccia eccezione in un caso (per salvare Jakob) aprirebbe la porta a un male maggiore. Per la sensibilità del guerriero, invece, bisogna fare tutto il necessario per compiere una missione. Per definizione, la guerra esiste perché gli strumenti del mondo civile hanno fallito. Quello che conta è vincere e salvare la vita alle proprie truppe. Per un comandante che si trova in una zona di guerra, la vita di un nemico catturato che non collabora vale molto poco rispetto alle vite dei suoi uomini.
Le dichiarazioni ufficiali del presidente Bush e di William Haynes in cui si afferma che il governo degli Stati Uniti è contrario alla tortura hanno ricevuto il plauso di molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Ma ripeto: il linguaggio che hanno usato è stato scelto accuratamente. Che cosa intende l'amministrazione Bush per tortura? Condivide veramente la definizione onnicomprensiva degli attivisti? Nella sua lettera al direttore di Human Rights Watch, Haynes ha usato l'espressione "combattenti nemici" per descrivere le persone arrestate.
Chiamarle "prigionieri di guerra" significava riconoscergli il diritto di essere protetti dalla Convenzione di Ginevra, che vieta l'uso della "tortura fisica e mentale" e "qualsiasi altra forma di coercizione", compreso "un trattamento spiacevole o dannoso di qualsiasi tipo" (per usare le parole sprezzanti di un militare: "Proibisce qualsiasi cosa tranne tre pasti al giorno, un letto caldo e l'accesso a Harvard"). I detenuti che sono cittadini americani hanno il vantaggio delle garanzie costituzionali, quindi non possono essere trattenuti senza un'accusa e hanno diritto a un avvocato. Contro gli abusi più gravi, sarebbero protetti anche dall'ottavo emendamento della costituzione, che vieta qualsiasi "forma di punizione crudele e insolita".
L'unico detenuto di Guantánamo nato negli Stati Uniti è stato trasferito in un'altra prigione, e sul suo status di prigioniero infuria una battaglia legale. Ma se le altre migliaia di detenuti non sono né prigionieri di guerra (anche se la maggior parte di loro sono stati catturati durante la guerra in Afghanistan) né cittadini americani, a Guantánamo possono farne quello che vogliono. Sono protetti solo dalle promesse fatte alla comunità internazionale, che di fatto è impossibile far rispettare.
Quali sono queste promesse? Le più venerabili sono quelle della Convenzione di Ginevra, ma gli Stati Uniti le hanno aggirate nella guerra al terrorismo. Al secondo posto vengono quelle della Dichiarazione universale dei diritti umani, che, all'articolo 5, afferma: "Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti".
C'è anche la Convenzione contro la tortura, l'accordo citato da Bush lo scorso giugno, che sembrerebbe escludere alcuni dei metodi d'interrogatorio più aggressivi. All'articolo 1 afferma: "Ai fini di questa Convenzione, il termine ‘tortura' designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze intensi, fisici o psichici".
Notate ancora una volta la parola "intensi". Gli Stati Uniti stanno sfuggendo di nuovo con uno stratagemma verbale all'accusa di essere dei "torturatori". In materia di interrogatori, le forze armate e i servizi segreti degli Stati Uniti hanno sempre finto un rispetto formale per gli accordi internazionali e continuato a usare la coercizione ogni volta che le circostanze glielo hanno permesso. Tuttavia, l'esercito e la Cia sono sempre stati sinceri nelle loro pubblicazioni sull'uso dei metodi coercitivi.
Il Kubark manual fa solo pochi cenni nelle sue 128 pagine alla possibilità di avere scrupoli sui metodi che definisce con un prezioso eufemismo "tecniche esterne": "A parte ogni considerazione morale, l'uso di tecniche esterne per manipolare le persone porta con sé il grave rischio di denunce, pubblicità negativa o altri tentativi di ritorsione". L'uso del termine "ritorsione" è significativo, implica che qualsiasi critica a questi metodi vergognosi, di tipo legale, morale o giornalistico, non avrebbe alcun valore in sé e sarebbe considerata come un contrattacco del nemico.
Bill Wagner, un ex agente della Cia, ricorda di aver frequentato il corso di tre settimane sugli interrogatori alla cosiddetta "Fattoria" di Williamsburg, in Virginia, nel 1970. Fino a quando non fu abolito qualche anno dopo, era considerato il "corso principale" dell'agenzia, dice Wagner, e solo le reclute migliori venivano invitate a frequentarlo. Alcuni volontari recitavano la parte dei prigionieri in cambio della garanzia che sarebbero stati ammessi a una delle sessioni successive del corso. Venivano privati del sonno, restavano inzuppati d'acqua in stanze gelide, costretti a rimanere seduti o in piedi in posizioni scomode per lunghi periodi, lontani dalla luce del sole e da ogni contatto sociale, costretti a mangiare cibi disgutosi e sottoposti a finte esecuzioni. Almeno il dieci per cento dei volontari crollava, anche se sapeva che era solo un addestramento. Wagner dice che molti di quelli che avevano fatto da vittime si rifiutavano in seguito di partecipare al corso e di vittimizzare altre persone: "Non avevano più lo stomaco per farlo", dice.
Diversi anni dopo l'agenzia cancellò il corso. Gli scandali degli anni di Nixon avevano messo la Cia al centro di indagini senza precedenti. Nei trent'anni successivi le scuole di spionaggio e la maggior parte delle organizzazioni simili furono smantellate. Anche gli Stati Uniti non avevano più lo stomaco per certi metodi.
Il nocciolo del problema
Questo è il nocciolo del problema. Forse è chiaro che la coercizione a volte è la scelta giusta, ma come si fa a consentirla e al tempo stesso a controllarla? Il sadismo è profondamente radicato nella psiche umana. In ogni esercito ci sono soldati che si divertono a prendere a calci e a picchiare i prigionieri. Gli uomini che hanno il potere tendono ad abusarne, non tutti, ma molti. Come fa un paese a controllare quello che avviene nei suoi angoli più bui e lontani, nelle prigioni, sui campi di battaglia, e nelle stanze degli interrogatori, soprattutto quando le sue forze sono sparse in tutto il pianeta? Se si vuole prendere in considerazione un cambiamento della politica nazionale, bisogna prevedere le conseguenze pratiche. Se eliminiamo ufficialmente il divieto di tortura, anche se solo parzialmente e in alcuni rari casi specifici, il problema sarà: come possiamo garantire che la pratica non si diffonda, non solo come mezzo per ottenere informazioni vitali e in casi eccezionali, ma come normale strumento di oppressione?
Israele è bersaglio di attacchi terroristici da anni, e ha affrontato apertamente i dilemmi che la lotta al terrorismo pone a una democrazia. Nel 1987 una commissione guidata dal giudice in pensione della corte suprema Mishe Landau stilò una serie di raccomandazioni per i servizi di sicurezza. La commissione acconsentiva all'uso di "una moderata pressione fisica" e di "una pressione psicologica non violenta" negli interrogatori di prigionieri in possesso di informazioni che potevano servire a impedire un imminente attacco terroristico. Dodici anni dopo, la corte suprema israeliana ha revocato quelle raccomandazioni, vietando l'uso di qualsiasi forma di tortura. Negli anni immediatamente successivi alla commissione Landau, l'uso di metodi coercitivi si era molto diffuso nei Territori occupati. Si calcola che vi siano stati sottoposti più di due terzi dei palestinesi arrestati.
Ogni tentativo di regolamentare la coercizione era fallito. In teoria era facile immaginare una situazione estrema, e un sospetto che chiaramente meritava di essere maltrattato. Ma nella vita reale dove bisognava tracciare il limite? I metodi coercitivi dovevano essere applicati solo a chi sapeva di un attacco imminente? E se qualcuno era a conoscenza di attacchi progettati per qualche mese o qualche anno dopo? "Se si pensa che con la tortura si possono ottenere informazioni utili, allora perché non usarla sempre?", chiede Jessica Montell, direttrice di B'Tselem, un'organizzazione per la difesa dei diritti umani di Gerusalemme. "Perché fermarsi alla bomba che è stata già collocata e alle persone che sanno dov'è l'esplosivo? Perché non quelli che fabbricano le bombe, o quelli che regalano soldi o forniscono i fondi per fabbricare le bombe? Perché fermarsi alla vittima? Perché non torturare i suoi familiari, parenti e vicini? Se il fine giustifica i mezzi, dove tracciamo il limite?".
E come si fa a distinguere tra "coercizione" e "tortura"? Se tenere un uomo seduto su una minuscola sedia che lo costringe ad aggrapparsi dolorosamente con le mani legate quando scivola in avanti va bene, allora perché non applicare una piccola pressione alla base del collo per far aumentare quel dolore? Quand'è che gli strattoni e le spinte, che possono essere violente al punto da uccidere o ferire gravemente un uomo, superano il confine tra coercizione e tortura?
Montell ha riflettuto molto su questi problemi. Anche se lei e la sua organizzazione si oppongono risolutamente all'uso della coercizione (che lei considera equivalente alla tortura), Montell riconosce che il problema morale che pone non è semplice. Sa benissimo che l'uso della coercizione negli interrogatori non è stato completamente eliminato dopo che la corte suprema israeliana lo ha vietato nel 1999. La differenza è che quando usano "metodi aggressivi", adesso quelli che interrogano sanno che stanno violando la legge e potrebbero essere incriminati. Questo fa da deterrente e tende a limitare l'uso della coercizione alle situazioni più difendibili.
"Se io stessi interrogando qualcuno", dice, "e avessi la sensazione che fosse in possesso di informazioni che possono permettermi di impedire una catastrofe, immagino che farei quello che devo fare per impedire quella catastrofe. Lo stato però è obbligato a processarmi per aver violato la legge. Io potrò dire che quelli erano gli elementi di cui disponevo, che era quello che credevo giusto in quel momento. Posso invocare a mia discolpa lo stato di necessità, e poi il tribunale deciderà se è stato o meno ragionevole che io abbia infranto la legge per evitare questa catastrofe. Ma devo infrangere la legge. Non è possibile ch'io sia autorizzata preventivamente a usare la violenza". In altre parole: se non c'è un divieto, non c'è modo di frenare un investigatore pigro, incompetente o sadico. Finché torturare sarà illegale, chi usa la coercizione deve accettare il rischio. Deve essere pronto a presentarsi in tribunale, se sarà necessario, e difendere le sue scelte.
Ipocrisia consapevole
Gli investigatori usano la coercizione perché in alcuni casi ritengono che ne valga la pena. Questo non significa necessariamente che saranno puniti. In qualsiasi paese, la decisione di perseguire un reato spetta al potere esecutivo. Un pubblico ministero, un gran giurì o un giudice devono decidere se incriminare qualcuno, e le possibilità che sia incriminata, o addirittura condannata, una persona che sta indagando su una vera bomba a orologeria sono molto poche. Al momento Wolfgang Daschner, il vice capo della polizia di Francoforte, non è stato ancora processato per aver minacciato di tortura il rapitore di Jakob von Metzler, anche se ha palesemente infranto la legge. L'amministrazione Bush ha assunto l'atteggiamento giusto sulla questione. La sincerità e la coerenza non sono sempre pubbliche virtù. La tortura è un crimine contro l'umanità. Ma quello della coercizione è un problema che è meglio affrontare chiudendo un occhio, o anche con un pizzico di ipocrisia; dovrebbe essere vietata ma anche praticata di nascosto.
Quelli che protestano contro i metodi coercitivi ne esagerano sempre gli orrori, e questo va benissimo: crea un utile clima di paura. Ha fatto bene il presidente a riaffermare la sua adesione agli accordi internazionali che vietano la tortura, e gli investigatori americani fanno bene a usare tutti i metodi coercitivi che funzionano. È una cosa intelligente anche non discutere la questione con nessuno.
Se gli investigatori superano il confine tra coercizione e vera e propria tortura, devono assumersene la responsabilità. Ma nessuno di loro sarà mai processato per aver tenuto sveglio, bagnato e scomodo Khalid Sheikh Mohammed. Né dovrebbe esserlo
altri pluralismi:
ABUSI
Giustizia saudita
Per aver picchiato la moglie: sei mesi di carcere e 300 frustate
GIULIANA SGRENA
Sei mesi di carcere e 300 frustate, questa la pena inflitta dalla corte di Jedda a Mohammed al Fallata per aver brutalmente picchiato la moglie, Rania a Baz. A rapporti di coppia imperniati su un potere maschilista medioevale si risponde con una pena che non ha nulla da invidiare al Medioevo. Questa è l'Arabia saudita del 2004, dove sono molte le donne che subiscono il trattamento di Rania, e peraltro non solo nel paese arabo in questione. A fare la differenza è che la donna in questione è una presentatrice televisiva e soprattutto che si è fatta fotografare con il suo bel viso tumefatto da tredici fratture. Rania ha così rotto un tabù dell'omertà sulle violenze domestiche e ha dato coraggio e speranza di riscatto a tante donne, che hanno inviato alla presentatrice un migliaio di email. «Spero che l'Arabia saudita possa diventare un paese più piacevole dove vivere», scrive una di loro.
La vicenda di Rania - che chiede anche il divorzio e l'affidamento dei due figli - non è ancora conclusa, dopo la causa pubblica ce ne sarà una privata, ha annunciato il suo avvocato. Se Rania al Baz insisterà per ottenere un risarcimento dei danni, secondo la sharia (legge coranica) il marito potrebbe essere costretto a versare una somma in danaro o a subire le stesse fratture inflitte alla moglie. Dente per dente... Le pene corporali non risparmiano nemmeno le donne, che solo nelle condanne possono vantare l'uguaglianza, mentre pesanti discriminazioni vigono in tutti i campi.
L'Arabia saudita potrà diventare «un paese più piacevole» quando anche la giustizia si baserà su una legislazione civile e non su una interpretazione medioevale del corano, non basta usare l'anestesia per rendere accettabili le amputazioni e per varcare la soglia della modernità.
il foglio?
No, il manifesto.
ni.jo log out
Originariamente inviato da Andreucciolo
E tu fai come il Leone Svicolone, anche se non svicoli tutta a mancina:D
Tra tutte quelle domande, non mi dai neanche una piccola risposta?:sofico:
La libertà è un'ottima cosa, tant'è che ci sono musulmani che la vogliono per se, come in Iran, come in Egitto, come in Algeria. E io sono dalla loro parte, ci mancherebbe.Ma la libertà presuppone sempre qualcuno che la voglia,e la libertà nella storia non è sempre prevedibile e scontata, e qui non sono d'accordo con te sull'umano-disumano. I tedeschi che affollavano le piazze nei comizi nazisti, erano disumani? Oppure alla fine della guerra sono ridiventati umani?E la gente che ha combattuto in guerre civili dalla parte della dittatura? Il fatto è che noi abbiamo trovato un modo furbo per neutralizzare queste cose: noi diciamo che gli aspetti ideali migliori sono la "nostra cultura", tutto ciò che è successo e che accade di negativo lo mettiamo tra parentesi, non ci appartiene, è accaduto per caso. Solo perchè una piccola parte del mondo ha avuto 50 anni di relativa pace INTERNA, ci permettiamo di dare sentenze definitive sulle altre culture.
Quello che voglio dire è che io non rigetto i giudizi concreti, ma bensi' le sentenze definitive; "in Italia ora c'è più liberta personale che in Iran", questo è quello che accetto, non le sentenze rozze di chi pretende di aver imboccato la strada maestra e "progressiva" della storia una volta per sempre.
Andreucciolo, trovami un solo post dove io ho parlato di "sentenze definitive". Mi pare che con questo ed altri esempi tiri l'argomento in altre direzione. La questione è davvero molto più semplice.
Cmq in ot oggi sta tirando aria di "dagli all'untore" e non è un clima in cui mi piace stare... oggi mi sta passando un po' la voglia di postare...
Andreucciolo
01-06-2004, 13:21
Originariamente inviato da Bet
Andreucciolo, trovami un solo post dove io ho parlato di "sentenze definitive". Mi pare che con questo ed altri esempi tiri l'argomento in altre direzione. La questione è davvero molto più semplice.
Cmq in ot oggi sta tirando aria di "dagli all'untore" e non è un clima in cui mi piace stare... oggi mi sta passando un po' la voglia di postare...
Guarda che non mi riferivo a te! Ho scritto Bet????Mah......
"Le rozze sentenze definitive" è riferito a chi pretende di dare un giudizio DEFINITIVO e TOTALE su una cultura altrui e sulla propria, arrogandosi una lettura della storia manichea e a senso unico, mi pare che per il resto siamo quasi d'accordo, o no?:confused:
Poi scusa se la questione è cosi' semplice, perchè non ti dilunghi un po' di più? Non dico come me che sono logorroico:D , ma almeno un po':)
P.S.
A cosa ti riferisci con la storia dell'untore?
Originariamente inviato da Andreucciolo
Guarda che non mi riferivo a te! Ho scritto Bet????Mah......
"Le rozze sentenze definitive" è riferito a chi pretende di dare un giudizio DEFINITIVO e TOTALE su una cultura altrui e sulla propria, arrogandosi una lettura della storia manichea e a senso unico, mi pare che per il resto siamo quasi d'accordo, o no?:confused:
Poi scusa se la questione è cosi' semplice, perchè non ti dilunghi un po' di più? Non dico come me che sono logorroico:D , ma almeno un po':)
P.S.
A cosa ti riferisci con la storia dell'untore?
beh, visto che con quella risposta mi hai quotato era naturale capire ti riferissi a me... cmq fa niente, come non detto :)
per il resto non importa, non sono in vena :boh: :fagiano:
Andreucciolo
01-06-2004, 14:17
Originariamente inviato da Bet
beh, visto che con quella risposta mi hai quotato era naturale capire ti riferissi a me... cmq fa niente, come non detto :)
per il resto non importa, non sono in vena :boh: :fagiano:
Lo so che avevi frainteso;) Ti assicuro che tutto farei, fuorchè mandare in vacca un 3d come questo, dove si riesce a discutere in santa pace.:)
Fatti tornare la vena in fretta, che mi devi ancora rispondere ad un sacco di cose:D :)
Fine OT chiarimenti personali etc etc etc:p
domani sera rispondo,stasera ho troppo sonno:muro:,e domani devo alzarmi presto che vado a fare una ferrata :p
comunque se volete una confessione OT,devo ammettere che se questa non fosse stata una discussione tranquilla e ragionata, probabilmente il tempo per scrivere lo avrei trovato :eek:
quello che voglio dire,è che se avessi letto stronzate o insulti,col cacchio che andavo a letto,lasciandole impunite:D
insomma se non mi conoscessi,mi verrebbe quasi il dubbio di essere come forumista un filo polemista di indole:sofico:
mm alla fine ho fatto un post comunque.
notte va;)
eccomi.
rispondo ad Andreuccio e Ni.Jo insieme perche' ci sono troppi discorsi che si accavallano,e non ha senso ripeterli.
alcune cose pero' dico subito che sono state interpretate diversamente da quel che volevo dire.
dico anche che certe risposte non le ho capite bene(non che non son daccordo,proprio non le ho capite),in effetti visto l'argomento è facile esprimersi in modo non troppo chiaro,senza scrivere un poema(infatti Pera ha scritto un poema).
quindi provo a ribattere qua e la qualcosa,per vedere di comprendere meglio quel che dite,perche' se partissi a ribattere punto per punto,temo che alcune cose che dite,non le ho capite giuste,quindi farei un lavoro inutile(e voi a rispondermi).
un po di punti vari..
secondo me c'è fraintendimento tra autocritica,e quel di cui parla Pera,o quel che io ho detto essere fenomeno piu' europeo,cioe' quelle famose 2 paralisi.
vorrei fosse chiaro che sono due cose ben distinte.
Ni.Jo di Vargas Llosa non conosco il pensiero,quindi non far peso al discorso che hai quotato,ho detto infatti che andavo ad indovinare,non era un punto importante del mio discorso.
fai che lo direi io per polemica,che l'autocritica è primario come valore del occidente rivolgendolo a tutti quelli che criticano l'occidente.
con "tutti quelli che criticano l'occidente",sto OVVIAMENTE intendendo(mi scuso per la poca chiarezza) quelli che hanno il vomito del occidente,non in chi ha critiche da fare!anche io ho tante critiche per l'occidente!non siamo perfetti.
se no il discorso sarebbe un cane che si morde la coda,se chiamavamo la capacita di criticarsi un valore!
Andreuccio parlo sempre e solo di civilta' REALE,di quella IDEALE non me ne po frega' di meno.
detto questo pero' dico anche che certi IDEALI della nostra cultura,benche' talvolta non vengono messi in atto,sono a livello REALE radicati e iscritti potentemente nella nostra cultura,di questi invece me ne frega perche' sono una ricchezza enorme.
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vorrei poi precisare che la crisi maggiore cui puo andar incontro l'occidente(quella di cui parla Pera),non riguarda le sconfitte politiche o cose simili.
le torture che abbiamo visto agli iraqueni,di cui mi parli Ni.Jo sono una cosa triste e una grande sconfitta politica(un autogol pazzesco),ma mi si perdoni il mio andar senza mezze misure,sono il segno di crisi per l'occidente solo per chi ha avuto la stolta idea,di pensare anche solo per un istante che gli uomini per quanto siano "civilizzati" siano estranei alla capacita' di fare del male.
sinceramente per me,è gia in preda ad un relativismo e ad una perdita' di oggettivita',chi paragona il male delle torture a mali di altre civilta' per sostenere che la nostra civilta' non è preferibile ad altre.
il male e l'ipocrisia,la contraddizione la si trovera' sempre e ovunque,perche' è del uomo.
l'uomo non è buono,e non è buono nemmeno nella societa' migliore,nemmeno nella societa' perfetta(questo è di base,anche se grazie al marxismo si ha le idee molto confuse su questo).
quindi non è buono,cio' che non ha il male,perche' questo non esiste,ma è buono cio che rende possibile lo sviluppo del bene qualora fievolmente inizi a germogliare,è buono cio' che pur producendo il male,ha potenzialmente gli strumenti per riconoscerlo e condannarlo.
le torture sono state uno schiaffo a noi stessi piu' che altro,perche' senza voler essere cinico o irrispettoso per quei poveracci,ma gli iraqueni non è che prima di adesso erano trattati coi guanti di velluto.
il gesto in se,ha colpito piu' l'occidente che gli iraqueni...
è per questo che l'occidente è preferibile come cultura.
la civilta' islamica attualmente non è che è poco impostata su concetti come autocritica,diritti della persona(intesi come li intendiamo noi),laicita',ecc...sembra che faccia fatica a trovare gli strumenti per poterli anche solo pensare.
per noi è facile ritenere questa cosa assurda,ma è perche' siamo occidentali e diamo per scontate cose che non riguardano altri.
se si parla di autocritica,di liberta' e via dicendo,si va a scomodare a livello profondo ,anche se non ci accorgiamo perche' ormai sono dalla nostra cultura gia assimilati e dati per scontato,dei concetti che non è affatto detto coincidano con il pensare islamico.
l'Europa venne influenzata tantissimo culturalmente,filosoficamente e moralmente dal cristianesimo,concetti poi laicizzati e considerati indipendentemente dalla fede,hanno comunque tanto al loro interno della cultura cristiana.(esemplifico col cristianesimo visto il 3D,ma è anche altro che fa la cultura occidentale ovviamente)
se l'occidente è la civilta' che sottolinea il discorso dei diritti e della dignita' di ogni uomo,non è indipendente dal fatto che l'Europa ha vissuto per secoli e secoli,con la concezione comune che quel fragile e meschino essere chiamato uomo era tanto importante che il signore del creato,era morto per salvarlo.
o il discorso di cosa sia la liberta' o il libero arbitrio,non è scollegabile da come era inteso cristianamente il rapporto tra l'uomo e il significato di tutto(cioe' Dio).
nella civilta' araba,si hanno concezioni diversissime del rapporto tra uomo e Dio,o su cosa sia Dio e su cosa sia l'uomo.
queste differenze hanno prodotto delle differenze evidenti nella civilta' e nelle loro culture.(posso esemplificare)
differenze che rendono qualitativamente diverse delle civilta'.
certe usanze che non riteniamo sconvenienti celano di sconveniente,sconveniente tanto quanto l'usanza stessa,la logica di fondo che le ha concepite e che le ha legittimate.
per quel che riguarda il discorso occidentale,al influenza cristiana dobbiamo sommarci anche altre influenze(greca,illuministica,ecc),mentre quella islamica non ha avuto piu' altra influenza(e non è un caso),noi occidentali non possiamo ritenere tutte le culture tutto sommato paragonabili,e al piu' dire che in effetti "quantitativamente" siamo un po meglio.
no...il discorso è addirittura qualitativo come ho detto sopra.
non è un problema che torturano loro,ma lo facciamo anche noi,pero' in effetti meno.
no è il problema di andare a vedere la cultura che puo generare certi fenomeni,e come questa cultura si pone con essi.
mmh vorrei dire altre cose,ma mi sa che sono gia stato abb confuso con queste:muro:
Questa discussione è veramente interessante... volevo però fare una precisazione: al di là dell'affetto culturale che nutriamo ovviamente per l'ambiente in cui siamo cresciuti, secondo me occorrebbe fare una distinzione tra ciò che si vuole "esportare" ad altri (in quanto migliore, in quanto preferibile) e ciò che non va esportato (perchè non abbiamo elementi per giudicarlo "migliore"; o, peggio, perchè, con nostra vergogna, lo ammettiamo inferiore). Parlando per esempi: nella prima categoria rientra secondo me il concetto di democrazia (ci piace e vorremmo che lo avesse il mondo intero); nella seconda il concetto di McDonald (quasi ci vergognamo di averlo (ma ci mancherebbe se non ci fosse) ). Fanno parte entrambi della nostra cosiddetta civiltà, ma hanno un ruolo assai diverso.
Forse occorrerebbe individuare un sottoinsieme di elementi sicuramente "universali", in quanto propri più dell'uomo, di ogni uomo, che della civiltà, e concentrasi su quelli. Una specie di "metacultura", da esportare a prescindere dal resto, che non importa ed è specifico della nostra cultura. Credo che molte delle resistenze incontrate derivino dal fatto che si pretende di imporre, in un colpo solo, sia la "metacultura" per noi universale (diritti dell'uomo, democrazia, diritti della donna, eccetera) sia delle cose che non sono poi così essenziali (il capitalismo, le mode, varie ideologie) quantunque fondanti per la nostra identità.
Porto come esempio il caso di un Paese come il Giappone: si tratta sicuramente di una realtà non occidentale (ve la sentireste di inserirlo nell' "occidente"?), che però ha adottato una parte dei nostri valori, senza snaturare (almeno finora!) i suoi propri: a noi tanto basta, e lo definiamo "amico" e "alleato", e non abbiamo problemi a parlare con i suoi esponenti, anche se forse non li capiremo mai a fondo (perchè apparteniamo, appunto, a due culture diverse).
Probabilmente è un discorso già fatto da qualcun altro: scusatemi in tal caso, ma è un'idea semplice che mi è venuta osservando e riflettendo sui fatti...
Mi scuso per eventuali imprecisioni o inesattezze.
Originariamente inviato da Anakin
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vorrei poi precisare che la crisi maggiore cui puo andar incontro l'occidente(quella di cui parla Pera),non riguarda le sconfitte politiche o cose simili.
le torture che abbiamo visto agli iraqueni,di cui mi parli Ni.Jo sono una cosa triste e una grande sconfitta politica(un autogol pazzesco),ma mi si perdoni il mio andar senza mezze misure,sono il segno di crisi per l'occidente solo per chi ha avuto la stolta idea,di pensare anche solo per un istante che gli uomini per quanto siano "civilizzati" siano estranei alla capacita' di fare del male.
Però quello delle torture non è un episodio a se stante ma è parte integrante di una politica più generale e di una pretesa: la politica generale è stata impostata sul presupposto (errato) che il terrorismo dipendesse da un difetto di democrazia della cultura islamica, (ritenuta in fondo ma neanche tanto in fondo inferiore) mentre è una degenerazione di interessi politici-economici-ideologici (degenerazione in cui le nostre politiche non sono affatto estranee) che trova si humus ideale nel fanatismo, nella miseria (solo per quella che è la "base" e a volte nemmeno quella) negli affari sporchi, nelle strutture segrete, nelle politiche ambigue di alcune nazioni o nell'appoggio vero e proprio (come in Afghanistan pre-guerra), ma il tutto è solo mascherato e portato avanti dalla bandiera religiosa (e non è la prima volta che una religione viene usata come gagliardetto ) ma che rimane comunque un problema di polizia, di intelligence, non di controversie tra stati da risolvere con gli eserciti;
giacchè la democrazia non è una merce qualsiasi da portare scortata dai carri e dalla guerra: la guerra è uno strumento molto grezzo per questo compito di "scorta", imho la guerra è il luogo in cui tutti i valori facilmente cessano di esistere: dì a un uomo che uccidere non solo è concesso ma è auspicabile e cosa vuoi che ci sia di peggiore che uccidere, primo dei comandamenti "morali"?
Infine di errato c'è che il terrorismo non è un invenzione islamica, nè è proprio esclusivo di quella cultura (posso concedere che ha attecchito molto bene).
Ritornando al nostro discorso, Bush sotto la pressione di dover rispondere ad un attacco ha dovuto scegliere un bersaglio: le proposte iniziali del 12/09 erano Afghanistan (regno dei talebani fiancheggiatori di Al quaeda) e Iraq (sospetto stato canaglia per la presenza di un dittatore, punto focale per "illuminare" di democrazia la regione).
L'impostazione è stata BENE vs MALE, Dio è con noi, non solo ci difenderemo ma esporteremo i nostri valori nelle civiltà inferiori (non l'ha detto ma, come berlusconi che è un pò meno cauto, l'ha di certo pensato)
Si è scelto, dopo un percorrso logico inquinato da interessi secondari sottovalutati imho dagli stessi think thank, come mezzo la guerra con il tipo di metodologia che abbiamo visto, non perchè era lo strumento più adatto (lo era in Afghanistan non lo era di certo in Iraq) ma piuttosto perchè era la logica deduzione del discorso impostato come sopra.
Il risultato è stato a mio modo di vedere disastroso: l'Afghanistan, da obbiettivo primario è passato in secondo piano ed è rimasto un paese nel caos, con solo la capitale sotto controllo, dove il burka è tornato sulle teste, la vendita di droga ha superato i livelli pre-guerra e le milizie talebane continuano a nascondersi con la complicità dei servizi segreti del nostro alleato pakistano.
L'iraq, che non aveva nessun problema col terrorismo che noi combattevamo (Saddam era IL problema, tanto grosso da non desiderare certo avversari, ma neanche tanto più grosso di altri, come la corea del nord o l'iran o la stessa A.Saudita) ora è infestato quasi irreparabilmente e l'azione ha infiammato le cellule dormienti in tutto il mondo che dovevano essere scovate prima e con molte più risorse (dirottate nei costosi interventi militari) : in più, la democrazia che volevamo esportare si è svelata (a molti islamici, non a noi) come una copertura, una facciata, dietro cui si nasconde ben altro: il ministero del petrolio, il mero cambio di gestione del carcere di Abu Grahib, i civili in festa falciati dagli apache: nelle strade a protestare contro questa "esportazione", ci sono finiti sciiti sunniti e cittadini normali e i disturbatori di Al quaeda venuti dalla Siria, dalla Palestina, dai paesi limitrofi che hanno visto un intero paese offerto loro su un piatto d'argento: questo perchè si è identificata Al Quaeda con l'islam mentre Al Quaeda ha una sua politica economica e strategica CHE usa l'islam per i suoi scopi, ma non è l'islam.
E' una differenza sostanziale, che crea presupposti errati, da cui derivano scelte di azione sbagliate che portano a risultati disastrosi.
L'errore di base è ritenere i valori "merce" da esportare a priori e da scegliere forzatamente come mezzo di trasporto la cosa meno fertile di valori, la guerra: attenzione non dico che i mezzi militari non possano essere usati nella guerra al terorismo, dico che non sono un mezzo di trasporto opzionabile per il trasporto dei valori della democrazia. Nel migliore dei casi chi ha usato la guerra non ha più nessuna supremazia morale, nel peggiore dei casi viene assalito dal dubbio di non essere poi così diverso dal male che cercava di combattere.
Dubbio che nei paesi trattati da "inferiori" è quasi certezza.
Originariamente inviato da Anakin
sinceramente per me,è gia in preda ad un relativismo e ad una perdita' di oggettivita',chi paragona il male delle torture a mali di altre civilta' per sostenere che la nostra civilta' non è preferibile ad altre. il male e l'ipocrisia,la contraddizione la si trovera' sempre e ovunque,perche' è del uomo. l'uomo non è buono,e non è buono nemmeno nella societa' migliore,nemmeno nella societa' perfetta(questo è di base,anche se grazie al marxismo si ha le idee molto confuse su questo).
Con il discorso di sopra non intendo dire che il male visto in azione ad Abu Graihb o alla festa di matrimonio trasformata in strage renda non preferibile la nostra forma di società sulle altre (per ora parlo di forma di società, ch'io intendo per cultura un altra cosa, anche se da questa deriva poi la forma che la società adotterà per gestirsi): dico solo che il presupposto errato (che la cultura sia inferiore perchè adotta come forma di gestione una forma di governo non liberale, quindi pericoloso anche per la nostra civiltà) impone una scelta in certi casi condivisibile (esportare i nostri valori) ma con lo strumento meno adatto dell'imposizione (la guerra, che i valori li cancella), perchè si presuppone che una cultura inferiore non possa altrimenti farcela col solo aiuto di chi all'interno cerca di far emergere gli stessi valori.
Originariamente inviato da Anakin
quindi non è buono,cio' che non ha il male,perche' questo non esiste,ma è buono cio che rende possibile lo sviluppo del bene qualora fievolmente inizi a germogliare,è buono cio' che pur producendo il male,ha potenzialmente gli strumenti per riconoscerlo e condannarlo.
Che l'uomo sia fondamentalmente "male" non mi trova d'accordo: per me l'uomo cerca il bene ma spesso equivoca su cosa sia, il bene.
Ci sono dei casi in cui sapere cosa sia il bene è più difficile: quando dall'esterno ti fanno il lavaggio del cervello (politico o religioso) e quando sei in condizioni critiche (i tuoi valori e familiari in pericolo).
Guardacaso la guerra è una combinazione di entrambi i fattori.
Originariamente inviato da Anakin
le torture sono state uno schiaffo a noi stessi piu' che altro,perche' senza voler essere cinico o irrispettoso per quei poveracci,ma gli iraqueni non è che prima di adesso erano trattati coi guanti di velluto.
il gesto in se,ha colpito piu' l'occidente che gli iraqueni...
è per questo che l'occidente è preferibile come cultura.
Non so...mi sembra che questo ragionamento (magari mi sbaglio) non tenga in considerazione che anche nei paesi islamici ci sia chi anela certe libertà: sono loro ad essere i più "danneggiati" : "è questa la famosa democrazia a cui volete arrivare?"
Lo schiaffo per noi è di certo terribile, come dici tu, perchè ipocritamente guardavamo gli orrori delle carceri Saddamite dall'alto in basso...la tortura è una cosa che esula dai valori che noi crediamo nostri, ci fà orrore e la condanniamo: in questo sono daccordo, la democrazia è preferibile....
Originariamente inviato da Anakin
la civilta' islamica attualmente non è che è poco impostata su concetti come autocritica,diritti della persona(intesi come li intendiamo noi),laicita',ecc...sembra che faccia fatica a trovare gli strumenti per poterli anche solo pensare.
per noi è facile ritenere questa cosa assurda,ma è perche' siamo occidentali e diamo per scontate cose che non riguardano altri.
se si parla di autocritica,di liberta' e via dicendo,si va a scomodare a livello profondo ,anche se non ci accorgiamo perche' ormai sono dalla nostra cultura gia assimilati e dati per scontato,dei concetti che non è affatto detto coincidano con il pensare islamico.
l'Europa venne influenzata tantissimo culturalmente,filosoficamente e moralmente dal cristianesimo,concetti poi laicizzati e considerati indipendentemente dalla fede,hanno comunque tanto al loro interno della cultura cristiana.(esemplifico col cristianesimo visto il 3D,ma è anche altro che fa la cultura occidentale ovviamente)
se l'occidente è la civilta' che sottolinea il discorso dei diritti e della dignita' di ogni uomo,non è indipendente dal fatto che l'Europa ha vissuto per secoli e secoli,con la concezione comune che quel fragile e meschino essere chiamato uomo era tanto importante che il signore del creato,era morto per salvarlo.
o il discorso di cosa sia la liberta' o il libero arbitrio,non è scollegabile da come era inteso cristianamente il rapporto tra l'uomo e il significato di tutto(cioe' Dio).
nella civilta' araba,si hanno concezioni diversissime del rapporto tra uomo e Dio,o su cosa sia Dio e su cosa sia l'uomo.
queste differenze hanno prodotto delle differenze evidenti nella civilta' e nelle loro culture.(posso esemplificare)
differenze che rendono qualitativamente diverse delle civilta'.
certe usanze che non riteniamo sconvenienti celano di sconveniente,sconveniente tanto quanto l'usanza stessa,la logica di fondo che le ha concepite e che le ha legittimate.
per quel che riguarda il discorso occidentale,al influenza cristiana dobbiamo sommarci anche altre influenze(greca,illuministica,ecc),mentre quella islamica non ha avuto piu' altra influenza(e non è un caso),noi occidentali non possiamo ritenere tutte le culture tutto sommato paragonabili,e al piu' dire che in effetti "quantitativamente" siamo un po meglio.
no...il discorso è addirittura qualitativo come ho detto sopra.
non è un problema che torturano loro,ma lo facciamo anche noi,pero' in effetti meno.
no è il problema di andare a vedere la cultura che puo generare certi fenomeni,e come questa cultura si pone con essi.
mmh vorrei dire altre cose,ma mi sa che sono gia stato abb confuso con queste:muro:
discorso lunghetto, a questa parte rispondo domani...;)
rispondero' anchio piu' tardi o stasera.
per la risposta lunghetta,va di non cascarmi pure te a parlare di certi argomenti senza averli conosciuti.
(per esempio pensando al Corano come ad un analogo arabo della Bibbia,e via dicendo.)
Originariamente inviato da Anakin
rispondero' anchio piu' tardi o stasera.
per la risposta lunghetta,va di non cascarmi pure te a parlare di certi argomenti senza averli conosciuti.
(per esempio pensando al Corano come ad un analogo arabo della Bibbia,e via dicendo.)
non conoscendo bene nè la Bibbia nè il corano, non potrei farlo: parlo di società, cultura e civiltà (di cui, non te la prendere, considero la religione una parte tra le altre, anche se molto influente) dato che conosco la mia e in parte la loro, essendoci stato per lavoro e lavorando a stretto contatto anche adesso.;)
Originariamente inviato da ni.jo
non conoscendo bene nè la Bibbia nè il corano, non potrei farlo: parlo di società, cultura e civiltà (di cui, non te la prendere, considero la religione una parte tra le altre, anche se molto influente) dato che conosco la mia e in parte la loro, essendoci stato per lavoro e lavorando a stretto contatto anche adesso.;)
no no attenzione,gia mi stai allarmando:D
è una parte per l'occidente la religione,per il mondo arabo la religione non è UNA PARTE della cultura.
parlare della civilta' del mondo arabo,senza conoscere l'islam,è una cosa che non ha senso alcuno,perche' la civilta' e la cultura ruotano attorno alla fede in maniera imprescindibile.
dal arte che hanno prodotto(o non prodotto),alla giurisprudenza che hanno elaborato,agli usi di convivenza sociale ,tutto è collegato a cosa è l'Islam.
parlando con cristiano arabi,persino loro mi han detto di avere una cultura "musulmana".
ed è un errore pacchiano,fare come fanno alcuni,per non far la fatica di conoscere(non c'è l'ho con te ma con gente che fa l'opinionista di mestiere,o politici),pensare di poter risolvere il problema,trattando la civilta' araba come un Europa medioevale.
è un errore pacchiano,perche' invece di voler conoscere l'altro,si postula a priori che essi siano un facs-simile occidentale un poco in ritardo.
l'europa medioevale,e l'islam nel medioevo erano formalmente molto simili,questo perche' l'Islam nasce dal genio di Mohammed sintetizzando certi aspetti prodotti dalla cultura giudaica e cristiana,e anzi l'Islam non era in ritardo,nascendo dopo, su alcune cose era anche piu' avanti.
ma col tempo la similitudine formale è scemata,loro non sono noi in ritardo,loro sono loro.
questo lo si capisce se si va a studiare la loro cultura,per es. non è stato un intoppo che il senso laico non lo abbiano sviluppato,è una logica conseguenza del loro pensare.
è questo pensare che bisogna capire,se si vuole dialogare con loro.
altrimenti il parlare di dialogo è solo retorico,perche' non vogliamo ascoltare nessuno.
fa ridere sentire occidentali che voglio IMPORRE che la laicita' è un valore anche loro.
Originariamente inviato da Anakin
...postula a priori che essi siano un facs-simile occidentale un poco in ritardo...
qualcuno disse "fermi a 1400 anni fà". :asd:
non ti preoccupare, non conosco la bibbia e il corano MA leggo molto e parlo con loro, un parere (fallace quanto meno o più di altri) mi sembra di poterlo mettere insieme...solo non mi volevo vendere come esperto teologo capace di paragonare il "Corano come un analogo arabo della Bibbia" :)
per ora inizio a premettere una delle chiacchierate via mail o davanti ad un te alla menta con Wassim: perdonate inesattezze e imprecisioni, ma la chiacchierata sull'argomento è dell'anno scorso e tratta di cose un pò complicate...
il Corano a quanto pare è spesso allusivo, come molti altri testi sacri si presta a diverse interpretazioni, anche le più malevole. In genere viene imparato a memoria e recitato nelle scuole coraniche, forse proprio per la difficile interpretazione di molti passi:
Le scuole coraniche rappresentano l'ambiente dove si dovrebbe individuare una via intermedia tra teocrazia e società civile laica.
In molti paesi islamici l'istruzione ha luogo nelle madrasas, nelle quali i giovani sono iniziati all'islamismo wahhabi,ed educati secondo principi antioccidentali e indotti a interpretare rigidamente i testi religiosi;
si tratta come detto di un apprendimento meccanico, a memoria, che non lascia il minimo spazio alla scienza e alle arti liberali.
Siccome il contenuto è fatto di prescrizioni etiche e morali, da regole riguardanti la vita religiosa o civile come il matrimonio, il divorzio e l'eredità, la legge* è effettivamente molto "presente" e "intrusivo", meno laico di altri scritti religiosi: ricordo una mostra sulle culture "altre" in una scuola quì a torino che metteva in primo piano tra le caratteristiche del corano a differenza della bibbia i tre aspetti della vita (comportamento privato, religioso e civile) ben definiti...non so quanto questo sia fedele al vero messaggio del corano, ma tant'è questo sò.
L'aspetto dell'ingerenza delle norme coraniche sulla vita civile è fomentato dalla forte diffusione in un certo contesto sociale e dalla debolezza dei moderati, nonchè, secondo Wassim, dalla diffusione di un certo tipo di islam vicino a quello shiita, che prevede come fonte interpretativa del testo (e della tradizione, che non solo di corano si tratta) la figura del IMAM.
A Wassim, che è un ragazzo istruito, aperto e intelligente questa figura per lui relativamente nuova non piaceva affatto.
Poi vi spiego perchè. Comunque sono consapevole che stò parlando di Tunisia, e non di Iran Siria o Arabia Saudita.
Il messaggio di fondo dell'islam mi pare essere che esista un solo Dio, al quale si deve prestare fede e mettersi al suo servizio: e sin quì simao nel campo delle grandi religioni monoteistiche (mi fà incazzare, vedendo le guerre, pensare che, in fondo, ebrei musulmani e cristiani credano in fondo allo stesso Dio cambiandogli il nome...): per l'Islam, sempre a quanto ne so io, questo Dio manda dei profeti che vengono a volte accolti e più spesso respinti in malo modo dai popoli infedeli, ai quali sarà riservata una punizione: altre punizioni sono codificate per chi attacca i fedeli, mentre ci sono 121 (mi pare) versetti sulla tolleranza interreligiosa (questo aspetto lo lessi tempo addietro, è da prendere con le molle).
Anche se il corano è considerato da noi (e alcuni studiosi musulmani) unica fonte della parola di Dio e della legge islamica, ci sono anche la Sunna per i sunniti e, per gli sciiti agli imam: è sbagliato quindi ritenerlo un sinonimo di Islam, pèèensando al Corano come la "Verità" assoluta anche contro le varianti di origine tradizionale, orale, ecc..della dottrina tradizionale musulmana...non per tutti è così: senza le interpretazioni e le integrazioni con la tradizione orale, con le varie dottrine, una buona parte del Corano sarebbe infatti incomprensibile.
E quì sorgono i primi "problemi", come sempre succede quando la "parola di Dio" viene interpretata" con secondi fini o in modo malizioso e improprio o tralasciando l'evoluzione della società e dei valori.
L'islamismo, come il giudaismo e a differenza del protestantesimo, è una religione più comportamentale che teologica.
E' certo difficile promuovere un islam moderato, non radicale, ma di certo non lo si fà solo scrivendo libri nè tantomeno usando le armi: è, mi sembra, indispensabile trovargli una collocazione nella vita politica, aiutando quelli che sono più sensibili ai valori universali di tolleranza ecc...effettivamente presenti anche nel corano, non certo generalizzando e facendo finta che non esistano.
un articolo interessante:
http://www.ilriformista.it/inserti/diplomatique/documenti/articolo.asp?id_doc=22398
...l' approccio è un'interpretazione flessibile dell'islamismo sulla base degli argomenti forniti da Forough Jahanbakhish in «Islam, Democracy, and Religious Modernism in Iran, 1953-2000» (Leiden 2001): le generazioni passate hanno interpretato in modo errato le fonti islamiche, e lo stato d'inferiorità delle donne è il risultato delle condizioni sociali ai tempi del Corano, non di un insegnamento morale in esso contenuto. In «Padrone del desiderio. L'universo nascosto delle donne musulmane» (Milano 1995), Geraldine Brooks mette in discussione la correttezza di estendere a tutte le donne musulmane le regole che erano state introdotte appositamente per le mogli del Profeta, come la clausura.
....
Chi fa ricorso a un'interpretazione flessibile dell'islamismo trova che quest'ultimo possa essere compatibile con la democrazia e che promuovere la religione come elemento essenziale di una società civile non ostacoli lo sviluppo di una democrazia liberale. Come ha affermato Daniel Pipes, noto studioso del Medio Oriente, «l'islamismo militante è il problema e l'islamismo moderato è la soluzione».
*...contiene anche "parabole" sulla vita dei profeti antecedenti Maometto (tra cui Gesù, che non è che uno dei più importanti profeti assieme a Noè, Abramo, Isacco, Mosè, Elia, Giovanni Battista ecc...) e moniti sulla fine del mondo e sul giudizio finale....
Originariamente inviato da ni.jo
cut
hmm sai che mi sono perso nella parte iniziale?
se vuole essere un esempio della debolezza del occidente,ti dico subito che questo concetto di esportazione con la forza e a tutti i costi di valori importanti come democrazia e diritti,è nella nostra cultura assolutamente dibattuto e dopo l'esperimento Iraq si spera che anche chi lo sosteneva si sia fatto venire qualche dubbio.
gli sbagli,anche di impostazione ideologica(come la politica di Bush di esportazione del "bene") li fa qualunque popolo.
il vero problema e se tali sbagli sono o meno,radicati nella civilta'.
questa storia della guerra preventiva,e del forzare la democrazia a chi non è pronto,stonano a gran parte del occidente.
nel mondo islamico invece se prendiamo una cosa sbagliata(non parlo dei terroristi,perche' poi è facile svicolare,dicendo che non son tutti cosi)prendiamo certi modi di affrontare la liberta' religiosa(parlo nei paesi islamici cosidetti "moderati"),nel modo di trattare la donna pari al uomo,nel modo di avere una visione separata tra fede e leggi dello stato,si va a parlare di cose condivise e radicate,cose per cui nessuno scende in piazza.
quindi parliamo di errori che nascono da problemi strutturali del pensare.
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l'uomo non è male,non ho detto questo,ho detto che per quanto ben istruito,per quanto ben nutrito,per quanto agiato,l'uomo sara' sempre tentato a fare il male.
ovvio che nella sua testa pensa di fare il bene per se stesso,e magari anche per altri.
il comunismo per esempio è fallito miseramente,seppur aveva buone intenzioni, anche perche' ha dovuto fare i conti con la natura umana.
quel che voglio dire e che è giustificato imputare il male che da una cultura è favorito,alla cultura stessa,in toto o in parte.
ma bisogna anche tener conto che non è che tutto il male sia esistente per errori di civilta' o cultura sempre e comunque,c'è un fondo di male di default.
ho citato il marxismo,perche' partendo dal preconcetto che di standard l'uomo sarebbe buono e che non c'è il male,commette l'errore,di doversi inventare per ogni male un colpevole.
rigetta quindi un certo modo di vivere,perche' ha errori,ma questo non è causa sufficente per rigettare(criticare e migliorare si puo sempre poi per carita'),perche' in realta' il male ci sarebbe comunque nel mondo.
quel che bisogna fare e trovare il meno peggio.
questo discorso lo faccio per dire,perche' a me non scandalizzano e non sono di obiezione tutte le cazzate del occidente.
io non scelgo chi non cade mai,perche' questo non esiste,io scelgo chi pur cadendo di tanto in tanto(come è normale),perlomeno lo sguardo verso la direzione giusta tentativamente lo tiene,se non sempre,spesso.
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il Corano è allusivo in alcuni punti,ma molto meno di altri testi.
perche' su tante cose è assolutamente diretto,e pragmatico(del tipo si fa cosi),e non è comunque allusivo su questioni fondamentali...se vai a leggere Corano 7,III vedrai che c' pure scritto che i versetti allusivi non sono da interpretare allegoricamente.
non ci sono punti fondamentali espressi allegoricamente.
ci si gioca un po su sta storia,le volte che mi han citato un versetto allusivo(sulla donna) che quindi poteva essere frainteso,gliene ho portati altri 15 assolutamente espliciti.
comunque è assolutamente vero che ci siano dibattiti,su certi aspetti,ma vorrei chiarire che non sono dibattiti di tipo teologico,ma sono dibattiti di tipo giuridico.
questa è una delle cose piu' importanti per capire l'Islam.
nel islam la teologia è ridotta al osso,ci sarebbe da fare un poema a partire dal concetto di liberta' islamico,che ovviamente dipende dal concetto di rapporto con Dio,che spiega questa cosa.
ad ogni modo a differenza del cristianesimo dove Dio si faceva vicino al uomo(e diceva vi chiamo amici non piu' servi) nel Islam,i fedeli sono i sottomessi,e Allah(che vuol dire Dio in arabo,anche i cristiani arabi dicono Allah!)è un essere onnipotente senza forma,dovere del fedele è assecondare il suo volere.
la sua Volonta' è nel Corano,che attenzione E' VERITA' ASSOLUTA,ed è bestemmia dire il contrario,solo che per conoscere correttamente la volonta' di Allah ci si serve certamente oltre che del Corano,anche degli Hadith,e del consenso dei teologi o dei giuriesperiti.
a differenza della teologia cristiana,pero' non si ragiona astrattamente sui principi,su cosa è il bene,o cose simili...
per il musulmano il bene è quello che dice Allah,non esiste a se stante...e Allah ha gia esplicitato quel che è bene fare(la rivelazione è completa dicono) ,quindi ci si occupa di discutere dei versetti,non tanto dei principi.
non hanno avuto un S.Tommaso o un S.Agostino...ma questo proprio perche' Allah non è un Dio conoscibile nella storia,incontrabile razionalmente,è un entita suprema che sta la nel cielo e stop.si pensi che una delle virtu' di Allah è il potersi contraddire,e cancellare quel che ha detto(è la morte di qualunque idea di usare la ragione su Dio,cioe' di far teologia)
con questo si capisce perche' la loro teologia non ragiona sui principi,ma si occupa di un discorso di interpretazione giuridica,proprio perche' il giusto,è quello che Allah ha detto,non è un qualcosa di raggiungibile a se.alla fine per semplificare quello che chiede Allah è chiamato giusto,mentre noi cristiani diremmo che Dio chiede cio' che è giusto,è una sottigliezza ma è importante.
ho letto oggi per caso un vecchio articolo,è istruttivo sulle loro diatribe,e su come noi fraintendiamo i moderati...come laici.
http://www.ecologiasociale.org/pg/dum_int_velo6.html
vorrei che si notasse come quello che qua fa la parte del moderato/laico,per prima cosa,esplicitamente dice che la legge del hijab è un dovere a cui nessun governante musulmano si puo sottrarre.cosa che l'articolista di Repubblica non fa notare.
per secondo,la sua tesi non è su basi laiche,ma è perche' c'è il versetto 173 della sura 2.
questo è un ottimo esempio delle diatribe teologiche tra musulmani,che sono piu' che altro giuridiche,e che raramente si astraggono dai versetti,cercando di fare discorsi di principio,tantomeno di principio laico.
se una cosa la si sostiene è perche' si trova una sura,altrimenti non troverai mai nessuno che te la sostiene.
ultima cosa da osservare,è la frase sulla tardivita' della sura,e quindi sul fatto che non fosse abrogata(Allah come dicevamo si contraddice qua e la nel Corano)per darle valore,concetto a cui molti non danno peso,ma che in realta' è parecchio difuso.
cioe' in Italia non ti dicono che certe frasi sulla tolleranza sono del periodo medineo,cioe' tra le prime sure,mentre quelle piu' violente sono le ultime(la sura 9 la piu' violenta,è considerata l'ultima o al max la penultima sura rivelata a Mohammed).
questo da tanta giustificazione teologica purtroppo a chi vuole praticare un islam radicale ed estremista(non parlo dei kamikaze pero',che sono effettivamente una deviazione del Corano).
di versetti sulla tolleranza religiosa è vero c'è ne sono tantissimi,ed esplicitano modi di comportarsi assolutamente progressivi per il tempo.
pero' il problema è appunto quello...il Corano è rimasto uguale a 1400 anni fa.
quello che una volta era tolleranza(vivi con me,non c'è costrizione ...anche se non sei della mia fede,basta che paghi un tributo e ricorda che hai questi diritti giuridici e possibilita' in meno) oggi non ha NULLA di tollerante.
scusa la lunghezza!:D
Originariamente inviato da Anakin
...è nella nostra cultura assolutamente dibattuto e dopo l'esperimento Iraq si spera che anche chi lo sosteneva si sia fatto venire qualche dubbio.
gli sbagli,anche di impostazione ideologica(come la politica di Bush di esportazione del "bene") li fa qualunque popolo.
il vero problema e se tali sbagli sono o meno,radicati nella civilta'. guarda, non devo dimostrarti la fallacità del'Occidente, però prima e dopo le cannoniere davanti alle coste del giappone "fermo al medioevo" che dibattiamo...se non sono radicati sono comunque dei vizziacci duri a morire :D
nel mondo islamico invece se prendiamo una cosa sbagliata(non parlo dei terroristi,perche' poi è facile svicolare,dicendo che non son tutti cosi)prendiamo certi modi di affrontare la liberta' religiosa(parlo nei paesi islamici cosidetti "moderati"),nel modo di trattare la donna pari al uomo,nel modo di avere una visione separata tra fede e leggi dello stato,si va a parlare di cose condivise e radicate,cose per cui nessuno scende in piazza.
quindi parliamo di errori che nascono da problemi strutturali del pensare.
Se è vero nelle teocrazie e nei regimi autoritari lo è meno in paesi che se pure autocratici o no come Tunisia Egitto Turchia ecc..
comunque le manifestazioni popolari di protesta ci sono eccome e non prenderne atto è ingiusto nei confronti di chi le fà sulla propria pelle...gli iraniani che scendno in piazza con il consueto corollario di arresti e di morti (e l'Iran è il peggio del peggio) sono forse più affamati e coraggiosi di libertà di noi italiani sotto il duce...
L’IRAN PROTESTA
di Massimo Cipolla
http://www.amnesty.it/notiziario/03_09/primopiano1.php3
Zahra Kazemi è stata arrestata il 23 giugno ed è morta il 12 luglio in un letto di ospedale. Al momento del fermo stava scattando foto a coloro che manifestavano per il rilascio dei propri parenti davanti al principale carcere di Tehran.
..
Torture con ferri roventi, elettroshock, bruciature non sono state risparmiate infatti neanche a importanti religiosi che si sono opposti all’interpretazione dell’imamismo duodecimano di Khomeini, il velayat-e faqih, con il quale dopo secoli di separazione il potere temporale e quello religioso sono stati riuniti nella carica del Leader della Repubblica Islamica.
Il cammino di rinnovamento che sembrava dovesse cominciare con l’elezione di Khatami alla presidenza della repubblica, nel 1997, sembra essersi fermato. Per questi motivi il presidente, che è anche capo del governo, ha più volte minacciato le dimissioni. Il parlamento è in realtà un’assemblea legislativa ma di natura consultiva, dato che le leggi che approva devono essere sottoposte al Consiglio dei Guardiani che ne verifica la corrispondenza ai principi dell’Islam, cassandole spesso senza limitazioni. In questo modo tutti i progetti di legge che cercano di adeguare la legislazione iraniana agli standard internazionali sui diritti umani vengono puntualmente fermati.
Non è un caso che all’interno del parlamento a maggioranza riformista, secondo quanto previsto dall’articolo 90 della Costituzione, si sia istituita una commissione con poteri di inchiesta su istanza di parte sia verso l’esecutivo che il giudiziario e che, ancora al suo interno, si sia formato un Comitato per i diritti umani che è diventato in sostanza l’organo principale davanti al quale gli iraniani chiedono giustizia contro le violazioni che subiscono dagli apparati dello Stato. Non è infrequente che siano gli stessi parlamentari ad essere arrestati e condannati proprio per motivi di opinione.
È nel parlamento, quindi, che sembrerebbe marcarsi la distanza maggiore tra la popolazione e le altre istituzioni. È stato il parlamento, nell’aprile di quest’anno, a ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, anche se adesso sarà il Consiglio dei Guardiani a dire l’ultima parola. Invero l’articolo 38 della Costituzione vieta già l’utilizzo della tortura ma al solo fine di estorcere confessioni lasciando aperta la strada, penserà qualche maligno, all’utilizzo di sevizie per ogni altra finalità non diretta a ricevere una "dichiarazione spontanea".
Mentre scriviamo, rimangono in carcere le migliaia di manifestanti che a partire dal 10 giugno hanno pacificamente protestato in favore di maggiori libertà. Le manifestazioni sembrava dovessero culminare il 9 luglio nella ricorrenza di quanto accaduto lo stesso giorno del 1999 quando, per sedare le proteste all’interno dell’università di Tehran, l’irruzione della polizia e dei paramilitari causò la morte di uno studente, decine di feriti e centinaia di arresti. Invece le autorità hanno proibito le manifestazioni e i tre leader studenteschi che quel giorno hanno comunque denunciato, in una conferenza stampa davanti ai giornalisti stranieri, le restrizioni delle libertà civili e politiche sono stati arrestati e poco dopo liberati.
cut
Persino il Grand Ayatollah Alì Montazeri, successore designato di Khomeini ha, a partire dal marzo del 1989, subìto l’onta dell’arresto e dell’interdizione dall’insegnamento delle discipline coraniche per essersi pronunciato contro le esecuzioni di massa dei dissidenti politici, la tortura e la detenzione in isolamento. Un’ eminente figura accademica, Ali Aghajari, per avere pubblicamente dichiarato nel giugno del 2001 che "non bisogna seguire ciecamente i leader religiosi" è stato condannato a morte e a 74 frustate. Adesso il suo processo è in fase di appello. In entrambi i casi, come spesso accade quando vengono colpite figure importanti dell’opposizione, non sono mancate manifestazioni popolari di protesta con il consueto corollario di arresti.
cut
L’Iran ha oltre settanta milioni di abitanti, più della metà sotto i trent’anni, di cui le donne purtroppo rimangono una delle componenti sociali più deboli. Sebbene, secondo un’analisi consolidata, l’obbligo di portare il velo, che durante il periodo dello Scià era vietato, abbia consentito a moltissime appartenenti a famiglie tradizionaliste di uscire di casa e studiare, ciò non toglie che le donne rimangono escluse da moltissimi incarichi e ruoli professionali. Per di più, sono soggette al controllo continuo da parte delle milizie religiose sulla corrispondenza dell’abito ai precetti dettati dalle autorità sciite
cut
il fatto è che quei poteri che li schiacciano sono forti, si, ma malleabili alle questioni economiche con l'occidente.
Anche in Iran.
Originariamente inviato da Anakin
l'uomo non è male,non ho detto questo,ho detto che per quanto ben istruito,per quanto ben nutrito,per quanto agiato,l'uomo sara' sempre tentato a fare il male.
ovvio che nella sua testa pensa di fare il bene per se stesso,e magari anche per altri.
il comunismo per esempio è fallito miseramente,seppur aveva buone intenzioni, anche perche' ha dovuto fare i conti con la natura umana.
quel che voglio dire e che è giustificato imputare il male che da una cultura è favorito,alla cultura stessa,in toto o in parte.
ma bisogna anche tener conto che non è che tutto il male sia esistente per errori di civilta' o cultura sempre e comunque,c'è un fondo di male di default.
Quel che bisogna fare e trovare il meno peggio.
[quote]
non sò: non è una caratteristica di tutti gli uomini, ma di molti: certo lo è di chi non è padrone di sè stesso...per esserlo bisogna davvero essere attenti: certo bisogna trovare il meno peggio (attualemente la nostra società è abbastanza la meno peggio, non è di certo la migliore possibile)
[QUOTE]Originariamente inviato da Anakin
il Corano è allusivo in alcuni punti,ma molto meno di altri testi.
perche' su tante cose è assolutamente diretto,e pragmatico(del tipo si fa cosi),e non è comunque allusivo su questioni fondamentali...se vai a leggere Corano 7,III vedrai che c' pure scritto che i versetti allusivi non sono da interpretare allegoricamente.
Vorrei chiarire una cosa: io non sono quì a difendere l'islam: sarebbe il massimo per me che già non credo nella Chiesa!
Stò cercando una via che permetta un dialogo con le parti più moderate, sulla base delle loro regole più aperte- e ci sono, chiare, non alegoriche, fondamentali- già in testa senza leggerselo tutto (cosa che non ho fatto, ma non mi voglio certo trasformare in esperto dell'islam o di religioni...): capisci che non c'è un altra via al dialogo?E' un pò una violenza al metodo scientifico ma in questo caso è dal risultato che bisogna partire: sopravvivere, primo...
Lo scontro frontale, porta o allo streminio di tutti i musulmani o dei ristini, capirai che non è un opzione...nche perchè ho il sospetto che noi si abbi più da perdere e che la guerra suquesto piano ci sia sfavorevole, non credi? ;)
ma vorrei chiarire che non sono dibattiti di tipo teologico,ma sono dibattiti di tipo giuridico.
questa è una delle cose piu' importanti per capire l'Islam.
nel islam la teologia è ridotta al osso,ci sarebbe da fare un poema a partire dal concetto di liberta' islamico,che ovviamente dipende dal concetto di rapporto con Dio,che spiega questa cosa.
ad ogni modo a differenza del cristianesimo dove Dio si faceva vicino al uomo(e diceva vi chiamo amici non piu' servi) nel Islam,i fedeli sono i sottomessi,e Allah(che vuol dire Dio in arabo,anche i cristiani arabi dicono Allah!)è un essere onnipotente senza forma,dovere del fedele è assecondare il suo volere.
la sua Volonta' è nel Corano,che attenzione E' VERITA' ASSOLUTA,ed è bestemmia dire il contrario,solo che per conoscere correttamente la volonta' di Allah ci si serve certamente oltre che del Corano,anche degli Hadith,e del consenso dei teologi o dei giuriesperiti.
a differenza della teologia cristiana,pero' non si ragiona astrattamente sui principi,su cosa è il bene,o cose simili...
per il musulmano il bene è quello che dice Allah,non esiste a se stante...e Allah ha gia esplicitato quel che è bene fare(la rivelazione è completa dicono) ,quindi ci si occupa di discutere dei versetti,non tanto dei principi.
non hanno avuto un S.Tommaso o un S.Agostino...ma questo proprio perche' Allah non è un Dio conoscibile nella storia,incontrabile razionalmente,è un entita suprema che sta la nel cielo e stop.si pensi che una delle virtu' di Allah è il potersi contraddire,e cancellare quel che ha detto(è la morte di qualunque idea di usare la ragione su Dio,cioe' di far teologia)
con questo si capisce perche' la loro teologia non ragiona sui principi,ma si occupa di un discorso di interpretazione giuridica,proprio perche' il giusto,è quello che Allah ha detto,non è un qualcosa di raggiungibile a se.alla fine per semplificare quello che chiede Allah è chiamato giusto,mentre noi cristiani diremmo che Dio chiede cio' che è giusto,è una sottigliezza ma è importante.
ho letto oggi per caso un vecchio articolo,è istruttivo sulle loro diatribe,e su come noi fraintendiamo i moderati...come laici.
http://www.ecologiasociale.org/pg/dum_int_velo6.html
vorrei che si notasse come quello che qua fa la parte del moderato/laico,per prima cosa,esplicitamente dice che la legge del hijab è un dovere a cui nessun governante musulmano si puo sottrarre.cosa che l'articolista di Repubblica non fa notare.
per secondo,la sua tesi non è su basi laiche,ma è perche' c'è il versetto 173 della sura 2.
questo è un ottimo esempio delle diatribe teologiche tra musulmani,che sono piu' che altro giuridiche,e che raramente si astraggono dai versetti,cercando di fare discorsi di principio,tantomeno di principio laico.
se una cosa la si sostiene è perche' si trova una sura,altrimenti non troverai mai nessuno che te la sostiene.
ultima cosa da osservare,è la frase sulla tardivita' della sura,e quindi sul fatto che non fosse abrogata(Allah come dicevamo si contraddice qua e la nel Corano)per darle valore,concetto a cui molti non danno peso,ma che in realta' è parecchio difuso.
cioe' in Italia non ti dicono che certe frasi sulla tolleranza sono del periodo medineo,cioe' tra le prime sure,mentre quelle piu' violente sono le ultime(la sura 9 la piu' violenta,è considerata l'ultima o al max la penultima sura rivelata a Mohammed).
questo da tanta giustificazione teologica purtroppo a chi vuole praticare un islam radicale ed estremista(non parlo dei kamikaze pero',che sono effettivamente una deviazione del Corano).
di versetti sulla tolleranza religiosa è vero c'è ne sono tantissimi,ed esplicitano modi di comportarsi assolutamente progressivi per il tempo.
pero' il problema è appunto quello...il Corano è rimasto uguale a 1400 anni fa.
quello che una volta era tolleranza(vivi con me,non c'è costrizione ...anche se non sei della mia fede,basta che paghi un tributo e ricorda che hai questi diritti giuridici e possibilita' in meno) oggi non ha NULLA di tollerante.
Inanzitutto chirirei un punto che mi pare importante: nel post precedente mi hai messo in guardia sul ruolo centrale che l'islam ha nella società musulmana: è vero, innegabile: poi in questo mi piazzi due autorità religiose a discutere di sure e mi dici che il moderato/LAICO comunque non ragiona su basi LAICHE ma sulla sura.
Ma lui non è affatto un laico, è solo un rappresentante di un islam moderato e non fondamentalista, ovviamente questo non dimostra che nell'Islam non ci siano Laici. ;)
Se dobbiamo parlare di lotta all'integralismo fondamentalista è proprio a personaggi come Mubarak (il politico, che ha l’influenza sui fussi finanziari ecc..) e l'imam Tantaui che dobbiamo appoggiarci (e “spingere”, che sappiamo benissimo i limiti delle autocrazie alla Mubarak): anche lui dice che la legge è un dovere, ma a quanto pare è capace di scegliere tra le sure quella meno "pesante": anche in quella che citi tu, come nelle prime,si continua a dire che Allah è il Compassionevole e Misericordioso, e addirittura che "uomini e donne, ebrei cristiani sabei e chiunque prega il divino e compie il bene quegli avrà il suo paradiso e non sarà leso da nulla." Per cui il musulmano è tenuto ad accettare e rispettare tutte le fedi come provenienti da Dio ed a non imporre le sue regole e la sua fede .
(2,256)"nessuna costrizione in fatto di religione E ancora:
(18.29) La verità emana dal Signore. Creda chi vuole, non creda chi non vuole. Non mi paiono versi equivoci, né secondari e nemmeno fermi al 1400!
Sono anzi apertissimi, pieni di possibilità: è ovvio che se a leggerli c’è un fondamentalista, cercherà la sura in cui il musulmano dovrà difendersi ecc…
Tra l’altro il Corano dice sono tutti musulmani i credenti in un profeta ed in un libro sacro, il ché creerebbe un dialogo tra le religioni senza pretesa di superiorità sulle altre.
“Le religioni sono di Dio, non di Gesù, di Maometto o del Buddha.
L'apparente diversità dei messaggi è conseguente a quella dei popoli. Ogni fede autentica porta a Dio, come i fiumi portano al mare.”E’ un islamico che parla.
Ora tra il dire il fare son d’accordo che ci sia il mare, ma già mi pare che la situazione non sia senza sbocco come indichi, anche se è vero che oggi l'interpretazione che si dà è nell migliore delle ipotesi molto restrittiva: riguardo al diritto e la persona umana nell'islam di oggi è intesa come diritto della comunità (ummah), non della persona. L'Islam non conosce la parola «persona», ma di individuo che è parte integrante e dipendente della grande società islamica dove egli ha diritti e doveri.
Se abbandona la religione per ateismo o conversione a un'altra religione, perde tutti i suoi diritti, anzi, nei casi pegiori è passibile di morte per tradimento: la fonte dei diritti nei paesi a teocratici è la comunità islamica e, in ultima analisi, essa è garante dei diritti e dei doveri che il Corano e la legge islamica, la šari'ah, riconoscono, concedono e negano. Nei paesi che adottato la legge islamica i cristiani sono spesso considerati, alla stregua degli altri non musulmani, dei cittadini di seconda categoria impossibilitati o limitati a una partecipazione attiva nella società e nelle istituzioni. MA questo non deriva certo dalle sure che ti ho postato, che sono chiare a proposito (TUTTE le religioni che seguono dei libri sacri - la bibbia lo è anche per loro- e credono in Dio...ecc...dovrebbero essere fedeli).
mm no non confondiamo.
io non ho detto "i musulmani non manifestano in generale".
hai riportato manifestazioni per il rilascio di propri parenti,manifestazioni contro la tortura,contro le esecuzioni di massa per i dissidenti politici,e la detenzione in isolamento.
ci mancherebbe queste pratiche non sono l'Islam.
su questo il mondo arabo ha certamente margini di miglioramento.
perche' puo epurare certamente tanto che in realta' non gli è proprio(in realta' comunque a fatica perche' sebbene certe pratiche non siano fondate,culturalmente molti passi delle scritture danno appigli),comunque non parlavo di torture,esecuzioni di massa,e via dicendo(non volevo parlare dei kamikaze per lo stesso motivo).
cosa ho detto io? io ho parlato di aspetti che per noi sono negativi,ma che per loro essendo radicati nella loro cultura,per quelli(siccome li accettano) non protesteranno mai.
ho parlato della sfera laica,della sfera giuridica sulla diversita' di diritti a seconda delle fedi o del sesso,sulla liberta' religiosa,e via dicendo.
l'Egitto che è un paese che ha abbastanza epurato gli estremismi,ha per esempio tantissime cose che non vanno.
il fatto che chi non è musulmano non possa raggiungere certe cariche pubbliche,a noi sembra inconcepibile,da loro è assolutamente ovvio,e per una cosi palese discriminazione sul proprio credo religioso,troverai due persone in piazza,agli altri pare assolutamente ovvio,che in uno stato musulmano siano i musulmani a comandare.
certo che bisogna dialogare,aridaje con sta paranoia politically correct:D
non è che se la vedo in salita,allora ho in mente di prendere il mitra.
Originariamente inviato da ni.jo
Per cui il musulmano è tenuto ad accettare e rispettare tutte le fedi come provenienti da Dio ed a non imporre le sue regole e la sua fede .
(2,256)"nessuna costrizione in fatto di religione E ancora:
(18.29) La verità emana dal Signore. Creda chi vuole, non creda chi non vuole. Non mi paiono versi equivoci, né secondari e nemmeno fermi al 1400!
Sono anzi apertissimi, pieni di possibilità: è ovvio che se a leggerli c’è un fondamentalista, cercherà la sura in cui il musulmano dovrà difendersi ecc…
Tra l’altro il Corano dice sono tutti musulmani i credenti in un profeta ed in un libro sacro, il ché creerebbe un dialogo tra le religioni senza pretesa di superiorità sulle altre.
“Le religioni sono di Dio, non di Gesù, di Maometto o del Buddha.
L'apparente diversità dei messaggi è conseguente a quella dei popoli. Ogni fede autentica porta a Dio, come i fiumi portano al mare.”E’ un islamico che parla.
il musulmano non è chiamato a rispettare o accettare altro se non la volonta' di Allah.
e talvolta la volonta' di Allah implica azioni di imposizione.
per tentare il dialogo,non ha utilita' alcuna,descrivere l'interlocutore in un modo a noi piu' piacente.
citare dei singoli versetti,è lo stesso errore di estrapolazione di coloro che vogliono dire che l'Islam è una religione di sangue,citando quelli (tra l'altro piu' tardivi e che quindi non abrogati,ma piuttosto che abrogano) in cui si incita a sterminare gli infedeli.
se fossero gli unici versetti quelli che citi certo che sarebbero aperti ad interpretazioni,ma il fatto è che sono dei versetti in mezzo a centinaia di altri che questa apertura la smentiscono.
cioe' si capisce che il loro significato è in linea con quel che dicono gli altri versi(versi che se oggi appaiono intolleranti,1400 anni fa a ragione venivano elogiati per tolleranza e non costrizione,da cui il senso dei versi che citi).
il Corano,sulla tolleranza religiosa da un quadro abbastanza esaustivo.
dettando regole di tipo applicativo.(e tieni a mente che un musulmano non puo far finta che un versetto non esista,perche' è parte della volonta' di Allah..il Corano non è infatti per loro un testo "storico",da interpretare storicamente,come è per noi la Bibbia).
il quadro comunque a dire il vero non è chiaro ,ma l'equivocita' non riguarda affatto se essere tolleranti come in europa,o essere come in Egitto.
riguarda al piu' tra l'essere come in Egitto o l'essere come in Arabia Saudita.
l'ultimo tuo discorso invece rischia di essere parecchio equivoco.
un musulmano puo considerarci come sulla giusta via in quanto abbiamo avuto parte della rivelazione di Allah,ma per loro(ma è reciproco)noi non stiamo seguendo la via migliore.
altrimenti stiamo facendo un discorso relativista che piu' relativista non si puo,e su cui non troverai mai daccordo un musulmano che sia uno,idem per un cristiano degno del nome che porta.
secondo loro Gesu' era Musulmano,e la nostra comprensione della rivelazione è difettiva.
ripeto non sto scrivendo papiri per scrivere il mio pessimismo sul Islam,perche' non voglio trovare soluzioni pacifiche.
lo faccio perche' vorrei che il dialogo con l'Islam abbia cognizione del interlocutore,che è condizione indispensabile per venirsi incontro alla faccia del buonismo che deve dipingere l'altro come migliore e che da un dialogo non potra' mai ottenere nulla,perche' si rivolge a qualcuno che non esiste.
No, dicevo, che comunque ci sono i presupposti per il dialogo non che tutte le vie sono giuste:"Le religioni sono di Dio, non di Gesù, di Maometto o del Buddha. L'apparente diversità dei messaggi è conseguente a quella dei popoli. Ogni fede autentica porta a Dio, come i fiumi portano al mare" Sono parole belle,e mi pare, limpide: restano parole, ne sono conscio: ma il dialogo, "sulla carta"e "sulle parole" nulla lo rende imprescindibile o lo vieta: c'è, e non sarò io a negarlo, una evidente regressione in alcuni punti del rapporto tra Islam e mondo occidentale, rapporto in cui develo stesso Islam a denunciare chi si appropria dell'Islam per fare del "male": ma ci sono anche degli spiragli: certo che se fossero gli unici versetti quelli che cito sarebbero chiarissimi, in mezzo a centinaia di altri che questa apertura magari la smentiscono: ma infatti stà all'autorità religiosa nell'intepretare queste contraddizioni e optare per questa via pittosto che l'altra e noi dialogare con quell'autorità e non con l'imam recentemente arrestato in Inghilterra o quello di Carmagnola.
Dipingere l'altro come migliore non è certo mia intenzione, infatti il presupposto è che fossimo noi nella condizione "del migliore" e (per alcuni) pertanto in dovere di FARE qualcosa: il chè mi stà bene se si avvantaggia la parte moderata, se si incentivano i valori che riteniamo internazionali, anche con pressioni diplomatiche, economiche, politiche...un pò meno se ci si reca con le cannoniere a imporre la pax romana...:D
(non per altro, almeno funzionasse...ma non funziona nemmeno...)
o.t. parziale: ma le sure non sono ordinate per grandezza? non mi pare di aver mai letto di un ordine per "data" :confused: E questi cosidetti versi abrogativi "successivi" da dove salterebbero fuori ?
MA SOPRATTUTTO che fine han fatto gli altri, bet, andreucciolo, SaMu, Alexgatti... :confused: :D
Andreucciolo
04-06-2004, 14:57
Originariamente inviato da ni.jo
MA SOPRATTUTTO che fine han fatto gli altri, bet, andreucciolo, SaMu, Alexgatti... :confused: :D
Ogni tanto è il caso di ascoltare invece che parlare. Sto leggendo i vostri post, anche perchè non conosco assolutamente nulla del corano e direi solo banalità e "bestialità teologiche":D .
Sono contento che hai ricordato gli iraniani che lottano per avere una società meno repressiva, se ne parla poco, troppo poco. Se quello iraniano fosse un regime colorato politicamente, anzichè teocratico le reazioni sarebbero ben diverse temo. Comunque sia, è la prova che aspirazioni pluralistiche possono nascere ovunque, per fortuna, con buona pace di chi ha abilmente sostituito le "insormontabili differenze" razziali e/o antropologiche con quelle "culturali". Concordo con Anakin sul fatto che il dialogo debba partire su basi realistiche, la conoscenza è sempre un'ottima cosa, in questo non dobbiamo autocensurarci, come ho già detto le differenze esistono e dobbiamo esserne consapevoli. In questo momento ho più voglia di guardare ai giovani iraniani che non agli sceicchi wahabiti (o come cacchio si scrive:D )........Gianniiiiiiiii...anzi Ghiah-ahn-nhi(è il Gianni musulmano).......:D
Originariamente inviato da ni.jo
o.t. parziale: ma le sure non sono ordinate per grandezza? non mi pare di aver mai letto di un ordine per "data" :confused: E questi cosidetti versi abrogativi "successivi" da dove salterebbero fuori ?
il Corano le ospita per grandezza ad eccezione della prima sura,che è una specie di introduzione.
tuttavia è uso indicarle con la dicitura pre o post egira,ovvero periodo meccano o medinese,seguite da un numero che indica l'ordine cronologico accettato dai musulmani,questo per datarle cronologicamente(anche se non c'è un ordine attendibile per tutte le sure).
essendo che Allah ha esplicitato la possibilita' di cancellare quel che dice,ed essendo che man mano durante le rivelazioni(che durano anni)vengono date indicazioni che sembrano contraddirsi,è uso comune nel interpretazione teologica,prendere piu' in considerazione la sura piu' tardiva.
x ni.jo: ci sono, ci sono... solo che sto in quei periodi in cui servirebbero quarantotto ore al giorno :(
cmq tu ed Anakin avete portato avanti la discussione meglio di quanto potessi fare io ;)
Originariamente inviato da Bet
x ni.jo: ci sono, ci sono... solo che sto in quei periodi in cui servirebbero quarantotto ore al giorno :(
cmq tu ed Anakin avete portato avanti la discussione meglio di quanto potessi fare io ;)
:O :ave: ;)
uppo con una considerazione fortemente OT ma degna di nota sulla diversità delle due culture:
la considerazione verte sul trafiletto ironico del manifesto, a mio parere oggi al limite del cattivo gusto (anche se il messaggio in fondo è che la vita umana è più importante dell'atto di sfida orgoglioso, il chè è un parere opinabile ma legittimo):
Fedi
Quando i terroristi che lo sequestravano gli hanno intimato di togliersi la fede, lui gli ha risposto eroico: «Se la volete, sparatemi». Domani a Cesenatico Stefio potrà comprarsi una nuova fede. (jena)
la considerazione, anzi la domanda, è se la mia frase "..nello scontro frontale, ...ho il sospetto che noi si abbia più da perdere e che la guerra su questo piano ci sia sfavorevole..." sottovaluti i casi come Quattrocchi e Cupertino (sempre che non ci stiano raccondando fregnacce): in particolare mi ha colpito un analisi in cui si diceva che l'italiano è più eroico se toccato nell'orgoglio personale piuttosto che in quello "patrio" e portavano ad esempio uno spezzone di film con Alberto Sordi, in cui si faceva fucilare dai nazi per un gesto di disprezzo del gerarca con cui trattava una resa o qualcosa di comunque umiliante.
Sabato 15 Maggio 2004
Pera, il laicista che dà lezioni alla Chiesa
Franco Monaco
Confesso di essere sobbalzato alla lettura della lezione, tenuta dal presidente del Senato Marcello Pera, dal titolo "relativismo, cristianesimo e occidente" nella solenne cornice della Pontificia Università Lateranense. Il testo è denso e pretenzioso, ma il senso di esso è semplice e chiaro: l’occidente e, in esso, il cristianesimo che ne rappresenta la radice storica e l’anima tuttora operante, avrebbero ceduto al relativismo, venendo meno al proprio dovere di contrastare energicamente, in casi estremi anche con le armi, chi si proponesse di batterli.
La cosa mi ha sorpreso doppiamente. Sia perché Pera è – come attestano i suoi scritti remoti e recenti - un laicista di scuola popperiana; sia perché egli, con una buona dose di presunzione, muove alla Chiesa l’accusa di non fare bene il proprio mestiere, di inclinare alla resa, di cedere al relativismo.
Ma il punto (e l’equivoco) sta proprio qui, si annida nel significato assegnato al termine relativismo. Relativismo – mi si scusi il bisticcio – è concetto relativo e polemico. E’ cioè un termine negativo, una posizione giudicata criticamente proprio perché negherebbe un assoluto. Personalmente, dubito assai che l’assoluto neanche poi tanto sottinteso nella riflessione di Pera coincida con l’assoluto della Chiesa. Per Pera l’assoluto è il dogma dell’occidentalismo, la tavola di valori e le istituzioni forgiati storicamente dalla civiltà occidentale. Esso non coincide affatto con l’assoluto della Rivelazione cristiana, col contenuto di verità trascendenti proclamate dal cristianesimo.
Sia chiaro: io stesso vado umilmente fiero di essere figlio della civiltà occidentale, con le sue preziose conquiste spirituali e materiali. E’ il mio mondo, la mia civiltà, cui non rinuncio volentieri, che abito anzi con moderato orgoglio. Così pure, è storicamente dimostrabile che il cristianesimo ha concorso in maniera decisiva a ispirare e forgiare la civilizzazione occidentale e segnatamente quella europea. Ma, qui sta il punto e il dissenso da Pera, con due distinguo: a) apprezzare il portato della civiltà occidentale non autorizza al trionfalismo, a farla assurgere a mito, a interpretare come un dogma la sua gerarchia dei valori. Basterebbe evocare il colonialismo, i totalitarismi, la Shoà, sino all’orrore recente delle torture in Iraq per suggerire una misura di umiltà… b) il cristianesimo, per natura e per missione, ha una valenza universalistica, può e deve convivere con una pluralità di modelli di civilizzazione. Tutti li trascende e li giudica, nessuno di essi lo può sequestrare. Salvo, appunto, ridurre il cristianesimo a "religione civile", a instrumentum regni, supporto e guardiano di una particolare e limitata esperienza civile.
Con tutto il rispetto per Pera, riscontro tre decisivi limiti nella sua riflessione.
Un deficit teologico riconducibile alla inadeguata consapevolezza del carattere geneticamente e programmaticamente universalistico del cristianesimo e dunque della missione della Chiesa. Una missione, come non a caso teorizzò Paolo VI prima del Concilio nella "Ecclesiam suam", che fa tutt’uno con il dialogo. Per Pera, il dialogo è solo uno strumento a valle, servente l’evangelizzazione. Per Paolo VI, che certo teologicamente ne sapeva di più, il dialogo, certo condotto in verità, è l’identità, la divisa, la missione stessa della Chiesa. Se così non fosse, sarebbe privo di fondamento teologico l’intero magistero dell’attuale pontefice sul dialogo e sulla pace, sarebbe insensata la tensione a inculturare il cristianesimo nelle più diverse civiltà, sarebbero autolesionismo e rinnegamento i "mea culpa" di Giovanni Paolo II. Sfugge a Pera un dettaglio: il cristianesimo è certo religione che proclama una verità oggettiva e trascendente, ma il contenuto di quella verità è l’amore gratuito e universale per ogni uomo.
In secondo luogo, riscontro un indice di strumentalità: si invocano il cristianesimo e la Chiesa cattolica, li si richiama bruscamente a svolgere per intero e senza sconti la loro missione, ma, più o meno consapevolmente, ci si propone di piegarli a un’altra causa, quella di fornire l’armatura, il supporto e la legittimazione a una civiltà e una sola civiltà, quella occidentale. Una civiltà in crisi – su questo convengo con Pera – ma forse per ragioni altre se non opposte a quelle da lui diagnosticate. Mi chiedo se non siano proprio un’interpretazione ideologica dei valori dell’occidente e dunque la chiusura al contributo di altri modelli di civilizzazione meno inclini all’individualismo e all’immanentismo, tra i fattori all’origine del nostro declino. E se proprio quella tensione alla trascendenza e all’alterità del cristianesimo rispetto alla civiltà occidentale che propiziano il dialogo con altre esperienze culturali e civili, non sia un prezioso antidoto a quel declino.
Infine, rilevo con preoccupazione, nelle idee di Pera, le premesse teoriche di una china che conduce ineluttabilmente allo scontro tra le civiltà. Perché, al di là delle parole circospette e delle buone intenzioni, l’assolutizzazione dell’occidentalismo, da difendere con ogni mezzo, e la radicale sfiducia nella possibilità di intrecciare un dialogo con l’Islam, giudicato strutturalmente votato al fondamentalismo, conducono esattamente al conflitto.
Anche sulla teoria della "reciprocità" è bene intendersi. E’ chiaro che dobbiamo pretendere il rispetto delle elementari libertà civili e religiose da parte dei paesi islamici. Ma domando: dobbiamo forse noi, fieri della nostra democrazia liberale che conferisce un valore diciamo così sacrale ai diritti umani e civili, condizionare il riconoscimento e l’attribuzione di tali diritti ai cittadini di fede islamica a un corrispondente riconoscimento da parte dei regimi di quei paesi? Se così ci regolassimo, che ne sarebbe dell’asserita "superiorità" non già dell’occidente, ma dei regimi politici democratici di cui andiamo giustamente fieri e a forgiare i quali hanno concorso precisamente le radici cristiane positivamente intrecciate con il portato buono dell’illuminismo?
* (cattolico e giornalista della rivista dei paolini ,politologo (è il politologo più ascoltato dal cardinale Carlo Maria Martini) in parlamento dal 1996, ed è stato capogruppo alla camera dei Democratici di Romano Prodi e Francesco Rutelli. E prima d'entrare in politica è stato presidente dell'Azione cattolica di Milano.)
E' un punto di vista: tra l'altro Monaco si è preso la briga di criticare il papa in punta di dottrina, sulla democrazia, quindi anche lui "ha dato lezioni alla chiesa" :D
http://www.kattoliko.it/leggendanera/politica/magister_monaco.htm
Andreucciolo
11-06-2004, 12:00
Interessante:)
Ha anche sottolineato un punto abbastanza importante, la necessità di non cadere in uno storicismo che per un cristiano dovrebbe essere blasfemia pura; ovvero il fatto che il Dio dei cristiani non può essere in alcun modo chiamato in causa nella storia degli uomini, tanto per intenderci non può essere nè il "Dio degli eserciti", nè il Dio di una sola parte, pena la perdita del carattere universale della rivelazione cristiana. Per intenderci, le invocazioni di Bush sono ad esempio chiaramente blasfeme, sarebbero il tentativo di piegare la volontà di Dio, assoluta ed inconoscibile, alla contingenza della storia fatta dagli uomini. Su questo mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, soprattutto Anakin e Bet (ni.jo no perchè è solo un ateo peccatore:D...va be, anche tu dai.....:D ).
mmh...oggi sono polemico...(dal corriere (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/06_Giugno/10/brigitte.shtml) )
«Non si ha più il diritto di scandalizzarsi quando dei clandestini o degli accattoni profanano e prendono d'assalto le nostre chiese per trasformarle in porcherie umane, per defecare dietro l' altare o fare la pipì contro le colonne, sprigionando i loro odori nauseabondi sotto le volte consacrate dei cori».
Si che c'è...m'inkazzerei anch'io: questa frase mi ricorda una cosa scritta dalla Fallaci, sulle colonne delle chiese di Firenze usat ecome vespasiani.Brigitte Bardot, la Fallaci cugina d'oltralpe...
Ma questa?:
«Eccoci costretti a far venir fuori una dignità politicamente corretta nel mischiarci, nel mescolare i nostri geni, nel cancellare le nostre radici e lasciare così incrociare per sempre le nostre discendenze da predominanze laiche o religiose fanaticamente emerse dai nostri antagonismi più viscerali».
Infatti è stata condannata per istigazione all'odio razziale.
Quindi tutto sommato è un punto a favore dei difensori della doemocrazia occidentale.
sti giorni non riesco a leggermi i 3D sul forum,ho troppe cose da fare!:D
e martedi' ho un esame..
ma prima o poi,torno:D
Originariamente inviato da ni.jo
Sabato 15 Maggio 2004
Pera, il laicista che dà lezioni alla Chiesa
Franco Monaco
Confesso di essere sobbalzato alla lettura della lezione...
E' un punto di vista: tra l'altro Monaco si è preso la briga di criticare il papa in punta di dottrina, sulla democrazia, quindi anche lui "ha dato lezioni alla chiesa" :D
http://www.kattoliko.it/leggendanera/politica/magister_monaco.htm
Letti.
Sono un po' stanco ed in effetti è già tanto se li ho letti, quindi non mi perdo in tanti distinguo.
Sono d'accordo sulla critica di Monaco a Pera.
A scanso di equivoci faccio notare che in uno dei miei primi interventi avevo scritto "Qualche altro passaggio [n.d.Bet: di Pera] lo condivido meno : e mi riferivo proprio ai passaggi sulla Chiesa.
Ma quello che sostanzialmente condivido di Pera è la parte che avevo originariamente quotato e che parla d'altro.
In merito all'altro articolo, sono d'accordo su come descrive il comportamento di un cristiano in politica ma credo che abbia forzato il significato del testo del Papa, che non credo volesse dare disposizione dirette ed immediate sul comportamento da tenere: è più un discorso in generle sui valori e sulla loro importanza.
Per il resto mi sembrano osservazioni abbastanza corrette: è noto che il card. Martini non abbia una linea identica a quella del Papa. Ho letto anche qualcosa di Angelini (molto bravo!) e anche lui, su alcuni argomenti, ha linee differenti. Mi sembra più strana invece l'osservazione sui Ruini.
Originariamente inviato da Andreucciolo
Interessante:)
Ha anche sottolineato un punto abbastanza importante, la necessità di non cadere in uno storicismo che per un cristiano dovrebbe essere blasfemia pura; ovvero il fatto che il Dio dei cristiani non può essere in alcun modo chiamato in causa nella storia degli uomini, tanto per intenderci non può essere nè il "Dio degli eserciti", nè il Dio di una sola parte, pena la perdita del carattere universale della rivelazione cristiana. Per intenderci, le invocazioni di Bush sono ad esempio chiaramente blasfeme, sarebbero il tentativo di piegare la volontà di Dio, assoluta ed inconoscibile, alla contingenza della storia fatta dagli uomini. Su questo mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, soprattutto Anakin e Bet (ni.jo no perchè è solo un ateo peccatore:D...va be, anche tu dai.....:D ).
Beh, i proclami tipo "Gott mit uns" non mi sono mai piaciuti... vorrei vedere come si puo' sostenere una cosa del genere.
La tua introduzione invece non è molto chiara: che vuoi dire con "il fatto che il Dio dei cristiani non può essere in alcun modo chiamato in causa nella storia degli uomini"? Se è nel senso del chiamarlo dalla propria parte e contro qualcuno hai ragione; altrimenti è necessario sottolineare che il cristianesimo è per sua natura un qualcosa di storico. Tra l'altro è una delle differenze fondamentali rispetto alle altre religioni.
x ni.jo su B.B.
se l'hanno condannata anche per la prima frase si sono bevuti il cervello
cmq era una grandissima gnocca :D
Originariamente inviato da Bet
cmq era una grandissima gnocca :D
Vedo che questa discussione sta tornando a livelli "umani"... stiamo scendendo dall'Empireo? :D
Originariamente inviato da Bet
x ni.jo su B.B.
se l'hanno condannata anche per la prima frase si sono bevuti il cervello
cmq era una grandissima gnocca :D
Si, diciamo che era gnocca in senso assoluto...:D :oink:
Originariamente inviato da Mixmar
Vedo che questa discussione sta tornando a livelli "umani"... stiamo scendendo dall'Empireo? :D
no, anzi! è con Brigitte Bardot che stiamo salendo all'Empireo! :p :oink:
Andreucciolo
12-06-2004, 19:00
Originariamente inviato da Bet
Beh, i proclami tipo "Gott mit uns" non mi sono mai piaciuti... vorrei vedere come si puo' sostenere una cosa del genere.
La tua introduzione invece non è molto chiara: che vuoi dire con "il fatto che il Dio dei cristiani non può essere in alcun modo chiamato in causa nella storia degli uomini"? Se è nel senso del chiamarlo dalla propria parte e contro qualcuno hai ragione; altrimenti è necessario sottolineare che il cristianesimo è per sua natura un qualcosa di storico. Tra l'altro è una delle differenze fondamentali rispetto alle altre religioni.
La prima che hai detto;) :D
Su B.B.,......bè....io ho sempre preferito Claudia Cardinale:oink: :O , non capisco questa esterofilia:O ......anche se...certo.....da giovane...:oink: :oink: :oink:
Per quanto riguarda la frase sborona in tedesco......per quello che mi riguarda potresti anche aver scritto "Andreucciolo è un minchione", e io non lo saprò mai:D
Originariamente inviato da Andreucciolo
...
Per quanto riguarda la frase sborona in tedesco......per quello che mi riguarda potresti anche aver scritto "Andreucciolo è un minchione", e io non lo saprò mai:D
ecco svelato l'arcano http://www.cronologia.it/storia/a1913c.htm
non sai il tedesco eh? allora ne approfitto: Anduretcholen is tonnen :D
Andreucciolo
15-06-2004, 02:17
Originariamente inviato da Bet
ecco svelato l'arcano http://www.cronologia.it/storia/a1913c.htm
non sai il tedesco eh? allora ne approfitto: Anduretcholen is tonnen :D
:ahahah: :ncomment: :ahahah: :incazzed:
:D
un manifesto elettorale del partito politico di Pera, col faccione di Borghezio, visto ieri a Vinovo (to) :
STOP ISLAM!
(non stop terrorismo o stop prepotenti,fanatici estremisti, integralisti o stop al relativismo assoluto :D )
StefAno Giammarco
15-06-2004, 14:33
Originariamente inviato da ni.jo
un manifesto elettorale del partito politico di Pera, col faccione di Borghezio, visto ieri a Vinovo (to) :
STOP ISLAM!
(non stop terrorismo o stop prepotenti,fanatici estremisti, integralisti o stop al relativismo assoluto :D )
Due cose non sapevo: che Pera aderisse alla Lega e che Borghezio fosse un muslim :D
Originariamente inviato da StefAno Giammarco
Due cose non sapevo: che Pera aderisse alla Lega e che Borghezio fosse un muslim :D
sai che hai ragione, Pera è di F.I. mi pareva troppo moderato, infatti... :D
...ma perchè lo davano in forza alla lega, perchè la difende a spada tratta? Boh. Mea culpa, comunque.
edit: polemica vs lega non in tono, spostato in altro 3d :)
Uppo l’interessante discussione con alcuni spunti cardini della morale laica…e non:
:
-Lutero: è opportuno comportarsi con decenza, o magari con generosità, indipendentemente dalla paura del castigo.
-Kant: basta ascoltare la voce dell’intelletto, della saggezza umana che, a chi vuol ascoltare, parla chiaro (molto buddhista, come considerazione)
-Bacone: si può ben essere individui morali senza essere credenti.
-un sacerdote citato da Enzo Biagi (che ancora in vita nonostante l’editto bulgaro si occupa della rubrica “diciamoci tutto” su corriere della sera magazine) che gli ha detto :<<La morale è come una montagna: non si abbassa tocca all’uomo scalarla>>
Originariamente inviato da ni.jo
-Lutero: è opportuno comportarsi con decenza, o magari con generosità, indipendentemente dalla paura del castigo.
questo comunque è fondamentale anche per il cattolicesimo,anzi direi che messa in quei termini è anche poco decisa come frase.
io non mi esprimerei con un "è opportuno" fare qualcosa indipendentemente dalla paura del castigo..quasi che fosse una cosa normale agire per paura,perche' ritengo che un cristiano che faccia il cristiano per la paura del castigo,in paradiso magari ci entra ma con il proverbiale calcio nel culo.
uno le cose le dovrebbe fare per amore,non per paura di Dio,non è indifferente,non ci sara' mai un santo che diventa tale per "paura" di Dio.
insomma come per un laico,le cose si fanno bene,perche' è di qua(non nel aldila') che ci sembrano piu' belle e degne(per quanto piu' faticose magari),o si evitano perche' è di qua che ci sembrano brutte(per quanto magari facili e comode)
chi segue la morale pensando al aldila',non è ne laico ne veramente cristiano,perche' non ha un rapporto con Dio alla fine..
perche' è proprio in forza di quel rapporto che uno agisce in un modo o in un altro.
se uno stima e vuol bene ad una persona,non fa l'opposto di quel che questa gli chiede,per paura della rabbia che verra',ma innanzitutto per un rapporto a cui si tiene.
si ragiona nella prima ottica,con il prof a scuola,il capoufficio,o insomma gente che non si ama e con cui non si ha un vero rapporto..è per questo che dicevo che costui,che ragiona per paura,non avrebbe un rapporto con Dio infatti.
per completezza dico anche che in questo rapporto uno prende personalmente coscienza della bonta' di certe azioni,o del inopportunita' di altre..questo per dire che la morale cristiana non è un elenco di leggi da eseguire senza capirle solo per stima e amore ad una persona.
l'amore è cieco,ma non è cieco:p
si puo venire e vedere..
(sono andato un po OT ops)
Originariamente inviato da Anakin
questo comunque è fondamentale anche per il cattolicesimo,anzi direi che messa in quei termini è anche poco decisa come frase.
io non mi esprimerei con un "è opportuno" fare qualcosa indipendentemente dalla paura del castigo..quasi che fosse una cosa normale agire per paura,perche' ritengo che un cristiano che faccia il cristiano per la paura del castigo,in paradiso magari ci entra ma con il proverbiale calcio nel culo.
uno le cose le dovrebbe fare per amore,non per paura di Dio,non è indifferente,non ci sara' mai un santo che diventa tale per "paura" di Dio.
insomma come per un laico,le cose si fanno bene,perche' è di qua(non nel aldila') che ci sembrano piu' belle e degne(per quanto piu' faticose magari),o si evitano perche' è di qua che ci sembrano brutte(per quanto magari facili e comode)
chi segue la morale pensando al aldila',non è ne laico ne veramente cristiano,perche' non ha un rapporto con Dio alla fine..
perche' è proprio in forza di quel rapporto che uno agisce in un modo o in un altro.
se uno stima e vuol bene ad una persona,non fa l'opposto di quel che questa gli chiede,per paura della rabbia che verra',ma innanzitutto per un rapporto a cui si tiene.
si ragiona nella prima ottica,con il prof a scuola,il capoufficio,o insomma gente che non si ama e con cui non si ha un vero rapporto..è per questo che dicevo che costui,che ragiona per paura,non avrebbe un rapporto con Dio infatti.
per completezza dico anche che in questo rapporto uno prende personalmente coscienza della bonta' di certe azioni,o del inopportunita' di altre..questo per dire che la morale cristiana non è un elenco di leggi da eseguire senza capirle solo per stima e amore ad una persona.
l'amore è cieco,ma non è cieco:p
si puo venire e vedere..
(sono andato un po OT ops)
mi spieghi che cosa si intende propriamente per "timor" di Dio?
Non ho mai capito la connotazione positiva del temere il creatore, e ho sempre interpretato con il "credere"; però la confusione tra timor di Dio e "paura del castigo" è tanto facile da farmi ipotizzare
che non pochi credenti non compiano azioni "peccaminose" per paura dell'inferno, non perchè esse siano sbagliate in quanto moralmente riprovevoli.
In questo c'è un effetto secondario non trascurabile: se un autorità ti impone un divieto che tu non senti tuo, (che non sia la voce dell’intelletto e della saggezza umana a suggerirti) non è forse vero che la tentazione è di fare esattamente il contrario?
(o.t. anch'io pensavo di essere nel 3d sul Diavolo!!! :muro: ninna, vah!!! :coffee: )
StefAno Giammarco
18-06-2004, 14:39
:muro: :muro: :muro: :muro: :muro: :muro:
Timore sta per reverenza, rispetto, fiducia. :rolleyes:
PS Ci cascano in molti, la parola "timore" ha due significati quasi contrari :D :D :D
Originariamente inviato da StefAno Giammarco
:muro: :muro: :muro: :muro: :muro: :muro:
Timore sta per reverenza, rispetto, fiducia. :rolleyes:
PS Ci cascano in molti, la parola "timore" ha due significati quasi contrari :D :D :D
mica tanto contrari, secondo per lo meno il significato attuale. :muro:
2 sentimento di rispetto e soggezione: i ragazzi hanno timore dei professori | timore reverenziale, sentimento che si prova nei riguardi di persone alle quali si sia legati da particolare e profonda deferenza
3 timore di Dio, (teol.) sottomissione e reverenza fiduciosa dell'uomo verso Dio, che costituisce uno dei sette doni dello Spirito Santo ' essere senza timor di Dio, (fig.) essere spregiudicato, senza scrupoli.
Ma non hai risposto alla domanda, per te è per paura dell'inferno e non perchè esse siano sbagliate in quanto moralmente riprovevoli che non si fanno certe cose?
StefAno Giammarco
18-06-2004, 15:09
Hai messo 2 e 3, se guardi 1 (immagino) si parli di sinomino di paura che non è il contrario ma quasi del rispetto e della fiducia :cool:
Originariamente inviato da StefAno Giammarco
Hai messo 2 e 3, se guardi 1 (immagino) si parli di sinomino di paura che non è il contrario ma quasi del rispetto e della fiducia :cool:
non vorrei insistere, ma continuo a pensare che abbiano la stessa etimologia e che solo in seguito si siano specializzati i due significati, ma rimangono molto simili (per lo meno comunemente): chi è in soggezione di qualcuno sovente nè ha paura: piuttosto la differenza mi sembra nel "incertezza che si prova davanti a un pericolo" del 1 e nel "reverenza fiduciosa"del 3, questi si in antitesi.
(garzanti)
timore
Sillabazione/Fonetica: [ti-mó-re]
Etimologia: Dal lat. timo¯re(m), deriv. di timìre 'temere'
Vedi: Sinonimi e contrari
Definizione: s. m.
1 sentimento di ansia, di apprensione, di incertezza che si prova davanti a un pericolo o a un danno vero o supposto; preoccupazione, trepidazione: il timore degli esami, delle malattie; aveva timore di non essere promosso; era in gran timore per il suo ritardo; vivere tra continui timori; avere l'animo diviso tra la speranza e il timore; provare, incutere timore; timor panico, panico. DIM. timorino
2 sentimento di rispetto e soggezione: i ragazzi hanno timore dei professori | timore reverenziale, sentimento che si prova nei riguardi di persone alle quali si sia legati da particolare e profonda deferenza
3 timore di Dio, (teol.) sottomissione e reverenza fiduciosa dell'uomo verso Dio, che costituisce uno dei sette doni dello Spirito Santo ' essere senza timor di Dio, (fig.) essere spregiudicato, senza scrupoli.
Originariamente inviato da ni.jo
Uppo l’interessante discussione con alcuni spunti cardini della morale laica…e non:
:
-Lutero: è opportuno comportarsi con decenza, o magari con generosità, indipendentemente dalla paura del castigo.
credo (ma non ne sono sicuro) che fosse una frase atta a chiarire una questione trattata nella Chiesa... anzi forse proprio una questione della Scolastica medievale (visto che è trattato nella Summa Theologiae di Tommaso... e Lutero non ha mai mandato giù la Scolastica :D ) . La cosa infatti è stata ripresa poco dopo Lutero, in ambito cattolico dai giansenisti (un giansenista, per es. era Pascal)
Originariamente inviato da Bet
credo (ma non ne sono sicuro) che fosse una frase atta a chiarire una questione trattata nella Chiesa... anzi forse proprio una questione della Scolastica medievale (visto che è trattato nella Summa Theologiae di Tommaso... e Lutero non ha mai mandato giù la Scolastica :D ) . La cosa infatti è stata ripresa poco dopo Lutero, in ambito cattolico dai giansenisti (un giansenista, per es. era Pascal)
Ah, il fù Mattia :D
...si ma tu cosa ne pensi di questa frase (magari nell'altro 3d...quì è completamente o.t, ho sbagliato io...)
Originariamente inviato da ni.jo
Ah, il fù Mattia :D
...si ma tu cosa ne pensi di questa frase (magari nell'altro 3d...quì è completamente o.t, ho sbagliato io...)
non mi vado ad impelagare nell'altro 3d :p : penso che abbia ragione
Originariamente inviato da Bet
non mi vado ad impelagare nell'altro 3d :p : penso che abbia ragione
Ecco, il 4° significato:
Il Timor del 3d. :sofico:
Originariamente inviato da ni.jo
non vorrei insistere, ma continuo a pensare che abbiano la stessa etimologia e che solo in seguito si siano specializzati i due significati, ma rimangono molto simili (per lo meno comunemente): chi è in soggezione di qualcuno sovente nè ha paura: piuttosto la differenza mi sembra nel "incertezza che si prova davanti a un pericolo" del 1 e nel "reverenza fiduciosa"del 3, questi si in antitesi.
Sarebbe interessante sapere qual'era la parola usata inizialmente ed in quale lingua... mi spiego meglio: sicuramente all'origine vi è un termine latino, che probabilmente però deriva da un termine greco, a sua volta ripreso da un termine aramaico... magari nel passaggio dall'aramaico al greco il significato è mutato, per un problema di traduzione o per una scelta precisa (dottrinale) di imposizione di termine... e lo stesso può essere capitato passando alla lingua latina. Semprechè il termine non sia stato introdotto direttamente in latino, o magari tradotto direttamente dall'originale biblico (in aramaico? ma se non sbaglio non tutta la Bibbia è in aramaico, una parte è stata scritta in una lingua più antica, senza dimenticare la parte scritta in greco (il vangelo di Luca, mi sembra...) ), forse da S. Girolamo... boh? :D
Originariamente inviato da Mixmar
Sarebbe interessante sapere qual'era la parola usata inizialmente ed in quale lingua... mi spiego meglio: sicuramente all'origine vi è un termine latino, che probabilmente però deriva da un termine greco, a sua volta ripreso da un termine aramaico... magari nel passaggio dall'aramaico al greco il significato è mutato, per un problema di traduzione o per una scelta precisa (dottrinale) di imposizione di termine... e lo stesso può essere capitato passando alla lingua latina. Semprechè il termine non sia stato introdotto direttamente in latino, o magari tradotto direttamente dall'originale biblico (in aramaico? ma se non sbaglio non tutta la Bibbia è in aramaico, una parte è stata scritta in una lingua più antica, senza dimenticare la parte scritta in greco (il vangelo di Luca, mi sembra...) ), forse da S. Girolamo... boh? :D
fermiamoci al latino: Dal lat. timo¯re(m), deriv. di timìre 'temere' :mc:
StefAno Giammarco
18-06-2004, 17:23
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010601b.htm
ALESSANDRO ZACCURI
Bobbio: povera repubblica, non c'è più timor di Dio
In un libro-intervista il filosofo torinese ammette a sorpresa la superiorità del cristianesimo rispetto alla cultura laica
Si fa troppo spettacolo sui delitti commessi dai ragazzi. Mi hanno chiesto una consulenza per la fictionsu Novi Ligure ma ho rifiutato
Nel '76 Paolo VI mi invitò a ricordare che il demonio esiste davvero. In questi ultimi tempi ho spesso ripensato alle sue parole
Non c'è più timor di Dio, dicevano una volta i vecchi. Non c'è più timor di Dio, sostiene oggi un grande vecchio. E questa volta la frase rischia di trasformarsi in un piccolo caso. Perché a pronunciarla è, a sorpresa, Norberto Bobbio, 92 anni l'ottobre prossimo, indiscusso punto di riferimento di una sinistra ancora alle prese con i postumi della sconfitta elettorale del 13 maggio. Una sinistra a suo modo ancora battagliera, che oggi - vigilia del 2 giugno, ritrovata festa nazionale - porta in libreria un Dialogo intorno alla repubblica (Laterza, pagine 132, lire 24.000), nel quale ritroviamo lo stesso Bobbio intento a ragionare con uno storico e politologo di qualche generazione più giovane, Maurizio Viroli.
Docente a Princeton e autore di importanti studi sul repubblicanesimo e, in particolare, sulla figura di Machiavelli, nel libro Viroli assume la parte dello scettico a tutti i costi, davanti al quale Bobbio si ritrova a impersonare il ruolo - in buona misura inedito - del vecchio saggio ammirato, se non addirittura tentato, dal cristianissimo mistero della carità. Un approdo quasi stupefacente per un "dialofo" che assume come punto di partenza il legame (necessario, ma spesso disatteso) tra repubblica e virtù civili, passando con disinvoltura da teorizzazioni generali all'analisi di casi specifici. Come quello del rimpatrio dei Savoia, rispetto al quale Bobbio si dimostra più che possibilista.
Il filosofo però non si accontenta di citare l'amato Hobbes e il prediletto Verdi (la rilettura del Ballo in maschera come denuncia del volto arcano del potere ha un indubbio fascino). Si sbilancia in qualcosa che assomiglia a un progetto quando dichiara: "Se avessi ancora qualche anno di vita, che non avrò, sarei tentato di scrivere L'età dei doveri. ovvero il seguito del suo celebre saggio su L'età dei diritti. Poi, il colpo di scena.
"C'è indubbiamente un vuoto di autorevolezza morale fra i laici - ammette Bobbio -. Questo vuoto è riempito in misura crescente dalla religione". Viroli concorda sull'analisi, ma esprime una valutazione sostanzialmente negativa, osservando che "di fronte al mistero i cattolici accolgono l'aiuto della fede, mentre i laici accettano che il mistero resti tale". Al che, a sorpresa, Bobbio ribatte: "Una delle ragioni fondamentali per compiere azioni morali è quella che si chiama il timor di Dio. Togliete il timor di Dio e gli uomini saranno tutti libertini".
Il dibattito si fa impervio, da Beccaria si passa a Veltroni, ma a un certo punto le argomentazioni teologiche tornano a imporsi. Viroli si lancia in una distinzione tra "carità cristiana" (che sarebbe "la condivisione della sofferenza") e "carità laica" (nella quale subentrerebbe "lo sdegno contro coloro che sono responsabili della sofferenza"), ma Bobbio lo invita a non confondere carità e giustizia. è vero, dice, una volta "i gradini delle chiese erano pieni di storpi, di zoppi, di ciechi". Ma è la carità, per esempio, ad aver reso possibile la nascita del Cottolengo. "Non c'è nessuna associazione di laici che abbia dato vita a un'istituzione simile", sottolinea con semplicità Bobbio. E poco dopo ribadisce il suo pensiero con un perentorio: "Il cristianesimo, inteso nel senso più alto, inteso nel senso del Vangelo, ha una forza superiore a quella dei laici".
Una persuasione che nasce, tra l'altro, da memorie molto lontane. Quando Viroli accomuna, in modo un po' sbrigativo, "scuole confessionali" e "ospedali in cui ci sono solo o prevalentemnte suore", Bobbio ribatte cosi: "Mio padre era medico, e ha sempre avuto a che fare con suore. A volte erano imperiose, ma è anche vero che operavano in base a una vocazione cristiana profonda: cristiana, ripeto, non mazziniana". Una testimonianza, forse, di quella "storia nascosta" dalla quale il vecchio maestro si dichiara - ed è un'altra sorpresa - fortemente attratto. Pur senza rinunciare alla più drammatica delle convinzioni: "C'è una dimensione della vita, che io chiamo il sacro, contrapposto a profano, che il laico non vive. Io non la vivo, non la vivo. La morte per me è la morte".
StefAno Giammarco
18-06-2004, 17:30
Qusta non l'ho letta per cui non so se concordo:
Spinoza, Sacra Scrittura e lume naturale
Attraverso l'analisi puntuale (linguistica e dei contenuti) di due passi delle Scritture, Spinoza mostra come esse non soltanto non vietino, ma addirittura impongano all'uomo l'uso della ragione per conoscere la grandezza di Dio e le norme morali.
B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. IV
Infine in questi Proverbi di Salomone si deve soprattutto considerare il contenuto del secondo capitolo che conferma apertamente quanto io penso. Il versetto 3 di tale capitolo inizia infatti cosí: “Infatti se tu invocherai la prudenza e rivolgerai la tua voce all'intelligenza ecc., allora comprenderai il timor di Dio e scoprirai la scienza di Dio (o meglio l'amore di Dio perché il vocabolo Jadah significa entrambe le cose). Infatti Dio (N.B.) dà la sapienza; dalla sua bocca (promanano) la scienza e la prudenza”. Con queste parole Salomone indica prima di tutto che soltanto la sapienza e cioè l'intelletto promuove in noi un saggio timor di Dio, ossia ci insegna ad onorarlo secondo la vera religione; in secondo luogo ci insegna che la sapienza e la scienza provengono dalla bocca di Dio e che è Dio a concederle. Cosa questa che ho dimostrato anche prima, sostenendo che il nostro intelletto e la nostra scienza dipendono e traggono origine e perfezione esclusivamente dall'idea, cioè dalla conoscenza, di Dio. Continua quindi con il versetto 9 dichiarando apertamente che tale scienza contiene in sé la vera etica e la vera politica, tanto che entrambe sono deducibili da essa: “Allora comprenderai la giustizia, il retto giudizio, l'equità delle azioni (e) ogni buon sentiero”. Non pago di ciò prosegue: “Quando la scienza entrerà nel tuo cuore e la sapienza ti sarà motivo di gioia, allora la tua previdenza veglierà su di te e la prudenza ti sarà custode”. Ora tutto ciò concorda pienamente con la scienza naturale che insegna l'etica e la vera virtú dopo che s'è raggiunta la conoscenza e si è apprezzato il sommo valore della scienza. Perciò la felicità e la serenità di chi coltiva l'intelletto naturale non dipendono, anche secondo il pensiero di Salomone, dal dominio della fortuna (cioè dall'aiuto esterno di Dio), ma dipendono in massimo grado dall'interiore virtú di ciascuno (cioè dall'aiuto interno di Dio); e questo perché l'uomo si conserva soprattutto vigilando, operando e rettamente consigliandosi.
Non dobbiamo infine dimenticare il passo di Paolo che si trova nell'Epistola ai Romani, I, 20, dove (secondo la versione di Tremellio del testo siriano) è detto: “I misteri di Dio infatti si colgono fin dalle origini del mondo nelle Sue creature per mezzo dell'intelletto e cosí pure la Sua potenza e la Sua divinità che è eterna. Sono cosí senza scampo”. Con queste parole Paolo mostra con evidenza che ciascuno di noi mediante il lume naturale chiaramente comprende la potenza e la divinità eterna di Dio, dalla quale può dedurre quali cose debbano essere perseguite e quali evitate; conclude perciò che non c'è scampo per nessuno e che l'ignoranza non può costituire una scusante: il che invece sarebbe, se Paolo parlasse di lume soprannaturale e della passione e della resurrezione della carne di Cristo, ecc. Cosí poco dopo, al versetto 24, continua: “Perciò Dio li ha abbandonati alle immonde brame del loro cuore, ecc.” fino alla fine del capitolo. Con queste parole Paolo descrive i vizi che accompagnano l'ignoranza e li elenca come se fossero le pene dell'ignoranza stessa: questo concorda pienamente con quel proverbio di Salomone (XVI, 22) che ho già citato, ove è detto “e la pena degli stolti è la stoltezza”. Non fa dunque meraviglia che Paolo dica che i malvagi non hanno possibilità di scusa, perché ciascuno miete secondo ciò che semina: dai mali nascono necessariamente dei mali, se non si correggono con la sapienza; e dai beni dei beni, se li accompagna la costanza dello spirito.
La Scrittura dunque esalta sotto ogni aspetto il lume e la legge divina naturale: e cosí io ho assolto il compito che m'ero proposto in questo capitolo.
(B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 467-469)
Originariamente inviato da ni.jo
fermiamoci al latino: Dal lat. timo¯re(m), deriv. di timìre 'temere' :mc:
Anche su questo avrei dei dubbi... ritengo che il significato non sia esattamente quello del vocabolario: sappiamo che la Chiesa usava (e usa tuttora, a volte) un latino un po' particolare, ricco di termini poco comuni nel latino classico, e con termini classici "reinterpretati"...
Comunque, forse il suo significato va inteso in senso "negativo": il "timor di Dio" è una locuzione che indica una virtù, identificata negando il suo opposto. Effettivamente nella lingua italiana il suo suono è piuttosto inquientante: parlando di "sottomissione" sembra rasentare il significato di un altra parola: "islam", che se non sbaglio vuol dire proprio "sottomissione (a Dio)". Ma forse dobbiamo considerare l'atteggiamento (negativo) di chi si comporta "senza timor di Dio": cioè, come se Dio non ci fosse, oppure, come se ci fosse ma non gli importasse...
Forse il concetto del timor di Dio è meglio reso da quello di pietas latina: il timoroso di Dio è in realtà l'uomo pio: quello cioè conscio dei suoi limiti nei confronti della divinità (ma non mite e mansueto, non necessariamente almeno) ma anche del suo ruolo nel rapporto tra l'umano ed il divino... attento a non travalicare questi limiti e non cadere nell'empietà, derivata dall'arroganza (ubris).
Ho combinato un casino con i due 3d...
"C'è indubbiamente un vuoto di autorevolezza morale fra i laici - ammette Bobbio
Questo vuoto è riempito in misura crescente dalla religione"
Mi sembra più la constatazione di una perdita di autorevolezza che un affermazione del tipo "la laicità è intrinsecamente meno autorevole in quanto a morale " della religione.
"Una delle ragioni fondamentali per compiere azioni morali è quella che si chiama il timor di Dio. Togliete il timor di Dio e gli uomini saranno tutti libertini"
non mi ci ritrovo proprio....non credo che tutti gli atei siano libertini e non credo che tutti i religiosi non lo siano :p
Originariamente inviato da Bet
Lutero non ha mai mandato giù la Scolastica :D
Al contrario del suo allievo e sucessore Melantone (di formazione erasmiana come il fondatore dei Riformati,Zwingli).
Lutero poi non era comunque non esempio di laicismo come si vuole prendere oggi,anzi al contrario (es:la dottrina dei due regni,ossia che che sia quello temporale che quello spirituale devono servire la volontà di Dio).Piuttosto lo fu il suo "avversario" Erasmo.
Originariamente inviato da Mixmar
...Forse il concetto del timor di Dio è meglio reso da quello di pietas latina: il timoroso di Dio è in realtà l'uomo pio: quello cioè conscio dei suoi limiti nei confronti della divinità (ma non mite e mansueto, non necessariamente almeno) ma anche del suo ruolo nel rapporto tra l'umano ed il divino... attento a non travalicare questi limiti e non cadere nell'empietà, derivata dall'arroganza (ubris).
più chiaro così in effetti. :)
ni.jo, piuttosto che dare ragione a Stefano, hai banalizzato uno dei + grandi personaggi della sx italiana :p ;)
StefAno Giammarco
19-06-2004, 00:27
Originariamente inviato da Bet
ni.jo, piuttosto che dare ragione a Stefano, hai banalizzato uno dei + grandi personaggi della sx italiana :p ;)
Si è, sostanzialmente, se mi è concesso un linguaggio aulico anche se un un po' curiale, dato una martellata sui coglioni :D
già... il solito dispetto alla moglie :asd:
StefAno Giammarco
19-06-2004, 00:37
Originariamente inviato da Bet
già... il solito dispetto alla moglie :asd:
:gluglu: :eheh: :eheh: :eheh:
Originariamente inviato da Bet
ni.jo, piuttosto che dare ragione a Stefano, hai banalizzato uno dei + grandi personaggi della sx italiana :p ;)
ehi, che avete messo sù voi due, la Santa Alleanza contro ni.jo? :mbe:
Mica ho detto che era in piena senilità, mi è sembrato di capire che volesse rimproverare ai laici una perdita di autorevolezza, e penso che avesse anche tutte le ragioni per farlo; era un uomo molto attento alla società in cui viveva, anzi alle persone, e il vuoto di cui parla è qualcosa che non è difficile sentire, se ne hai la capacità: non sò se la mancanza di autorevolezza siala causa della riscoperta delle spiritualità di oggi, dopo il crollo delle ideologie che potrebbe essere la causa del vuoto di cui Bobbio parla...magari ci si è accorti che tutto sommato da "soli" la notte è piuttosto freddina :D
"Una delle ragioni fondamentali per compiere azioni morali è quella che si chiama il timor di Dio." .
Sull'ultima non mi trovo d'accordo, di certo per mio difetto e non suo (comunque mi riservo sempre la presunzione di non essere d'accordo con chicchessia) perchè, ripeto, al mondo ci sono fior di persone religiose (ma non monoteistiche) e non religiose assai più moralissime di molti timorati di Dio.
Inoltre se come mi pare di aver capito "il Dio" è il Dio unico delle tre grandi religioni, e non il generico riferimento religioso che ognuno si cerca (che può essere una filosofia, un ideologia, addirittura qualcuno direbbe un ideale politico!), allora rilancio (ovviamente a voi e non a lui :( ) dicendo che secondo me milioni di buddhisti compiono azioni molto più morali di milioni di cattolici. :p
(vi ringrazio per l'interessamento per i miei zebedei, ma dopo la dura battaglia per l'ottenimento di due misere settimane di ferie e il conseguente vorticoso roteare degli stessi l'ultima cosa che manca loro è proprio una martellata...):(
Originariamente inviato da ni.jo
ehi, che avete messo sù voi due, la Santa Alleanza contro ni.jo? :mbe:
ci manca ancora un sovrano assoluto per la Santa Alleanza :angel: : chi si offre?
questa gentaglia rivoluzionaria sarà messa a tacere x sempre! :boxe: :asd:
Originariamente inviato da ni.jo
allora rilancio (ovviamente a voi e non a lui :( ) dicendo che secondo me milioni di buddhisti compiono azioni molto più morali di milioni di cattolici. :p
E i "criticoni" dei buddisti dell'estremo oriente fanno lo stesso discorso,ma a parti invertite.Paese che vai,Ni.Jo che trovi :D
Originariamente inviato da Ewigen
E i "criticoni" dei buddisti dell'estremo oriente fanno lo stesso discorso,ma a parti invertite.Paese che vai,Ni.Jo che trovi :D
...che bello, facciamo un gemellaggio col partito nijolista indiano...ah, no, mi han detto che agli indu gli italiani che vengono dal piemonte non vanno a genio...:( :D :sofico:
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