View Full Version : Raghuram G. Rajan e Luigi Zingales «Salvare il capitalismo dai capitalisti»
Qualche giorno fà da Ferrara c'era un giovanissimo economista italiano (ma ben quotato, insegna in un Università Usa) che ha portato avanti un discorso molto pragmatico e sensato sul futuro del capitalismo.
Tra le altre cose, tanto per ravvivare la discussione, ha risposto a precisa domanda di Ferrara se il governo della sinistra avesse fatto meglioo no di quello di Berlusconi e la risposta è stata un si abbastanza deciso, (più per demeriti del cav. che per meriti del centrosinistra) :p
L'idea di base è che i capitalisti monopolistici, grazie agli appoggi politici (sovvenzioni alle campagne o interventi diretti) siano il principale nemico del libero mercato e del capitalismo basato sulla libera concorrenza tra elementi.
Dallo scandalo Enron a Parmalat: il viaggio di due giovani economisti alla scoperta dei mali del mercato e del potere finanziario.
«Se mi venisse chiesto quale scoperta abbia più profondamente influenzato le fortune della razza umana, si potrebbe probabilmente dichiarare: la scoperta che il debito è una merce vendibile». Lo scriveva, oltre un secolo fa, Henry Dunning McLeod: potrebbe essere un exergo per il libro di Raghuram G. Rajan e Luigi Zingales, Salvare il capitalismo dai capitalisti . Non si contano i libri che dagli scandali Enron e WorldCom, Cirio e Parmalat traggono la conferma di una degenerazione inarrestabile del capitalismo, di una malattia che, soppressi gli anticorpi, è diventata epidemica. Non sono attacchi portati da posizioni di sinistra antagonista o da giottini arrabbiati. Sono critiche che vengono dall’interno del capitalismo. A volte, pensose riflessioni di personaggi che ne sono stati protagonisti.
Questo è un libro diverso. Posandolo, vien da pensare che i capitalisti da cui salvare il capitalismo siano proprio quelli che lo vedono avviato verso un inevitabile declino: e che ne scrivono. Questo è un libro fresco. Scritto da due quarantenni, che, muniti di solida dottrina economica, guardano al mondo con occhi sgombri da pregiudizi, non certo proclivi a un ottimismo panglossiano, semmai più inclini a un radicalismo riformista. Alcune delle proposte per il «salvataggio» contenute nell’ultimo capitolo faranno alzare il sopracciglio a più di un liberista: imposta patrimoniale, imposta di successione, antitrust che colpisca anche le posizioni dominanti formatesi per crescita endogena.
«La nostra argomentazione è semplice: - scrivono - coloro che stanno al potere, le élite dominanti, non vogliono perderlo. Si sentono minacciati dai liberi mercati, e i più problematici sono quelli finanziari, perché forniscono risorse ai nuovi arrivati che, poi, possono rendere competitivi anche altri mercati. Pertanto, quelli da ostacolare sono soprattutto i mercati finanziari». Vedono come «scenario da incubo» quello in cui «con il pretesto di conquistare maggiore sicurezza per i disagiati, le classi dominanti ottengono invece la propria sicurezza sopprimendo il mercato». Contro il pericolo di un mercato che «regredisca al sistema delle relazioni, in cui non sono le idee fertili ma la ricchezza a generare il credito», il capitalismo che vogliono salvare è quello in cui contano le capacità, e in cui ci si può proteggere meglio dai rischi.
Sull’attività finanziaria grava un antico pregiudizio ostile. Si manifesta sia negli argomenti con cui viene accusata, sia nelle ragioni con cui viene giustificata. L’accusa canonica contro il prestito e chi lo pratica, perché la maturazione dell'interesse si fa nel tempo e il tempo è di Dio, pronunciata dal Sinodo di Elvira dell’anno 300, accomunò scolastica e riforma, diede vita a Shylock, finì per ingrossare i fiotti antisemiti. L’accusa di origine materialista contrappone l’economia cosiddetta reale a quella finanziaria, virtuosa la prima e parassitaria la seconda: una fallacia che i due economisti smontano con rigore deduttivo.
Ma il pregiudizio più resistente è quello implicito nella difesa che si fa dei vizi privati in nome delle pubbliche virtù. «L'interesse - scrivono invece Rajan e Zingales - è il più puro degli stimoli». Il «vizio» non è la greatness, non l’avidità del danaro, radice di tutti i mali, secondo la citazione di Lutero con cui Guido Rossi suggella il suo Conflitto epidemico . «Vizi» sono il beneficio privato del controllo e la difesa di privilegi. I mercati finanziari sviluppati offrono alla politica strumenti di straordinaria efficacia per ampliare le libertà, ripartire i rischi, aumentare il benessere. I tanto deprecati strumenti derivati hanno consentito di promuovere l’azionariato popolare nelle privatizzazioni, di ridurre i rischi degli agricoltori, di migliorare la qualità della vita di malati terminali.
Rajan e Zingales raccontano le storie parallele di Sufia, che nel suo villaggio in Bangladesh fabbricava sgabelli di bambù; e di Kevin Toweel, che studiava a Stanford. A Sufia - si rese conto Muhammad Yunus, il fondatore della Grameen Bank - mancavano solo 22 centesimi per comperare la materia prima senza dover passare sotto le grinfie degli intermediari. Kevin riuscì a farsi finanziare da un search fund la ricerca di un’azienda, la comprò con i soldi di altri investitori, e realizzò il suo sogno di essere imprenditore in proprio.
Inevitabile chiedersi: dove sta chi, da noi in Italia, avrebbe le idee di una Grameen Bank o di un search fund? Forse nel nostro sistema bancario? Quale forza politica mette in testa al suo programma lo sviluppo di una finanza che dia prospettive e fiducia a chi ha necessità e entusiasmi, bisogni e idee?
«La maggior disponibilità di capitale sta lentamente compensando molti mali del capitalismo . I cittadini hanno più possibilità di avere successo se lavorano in proprio e, anche quando lavorano in un’azienda, sono trattati meglio, perché le aziende sono diventate luoghi di lavoro meno autoritari». I mercati finanziari sono il punto di attacco di ogni politica riformista.
www.corriere.it
Il libro è di Raghuram G. Rajan e Luigi Zingales «Salvare il capitalismo dai capitalisti» (editore Einaudi)
...successone...vabbeh chi tace acconsente....:D
Originariamente inviato da ni.jo
L'idea di base è che i capitalisti monopolistici, grazie agli appoggi politici (sovvenzioni alle campagne o interventi diretti) siano il principale nemico del libero mercato e del capitalismo basato sulla libera concorrenza tra elementi. E' un vecchi cavallo di battaglia del liberalismo...
Finchè non ci sarà una diffusione scolastica universale ed uno sforzo politico delle classi dirigenti, per far capire "all'uomo della strada" le categorie di base del mondo economico in cui viviamo, la discussione sul capitalismo rimarrà una materia esclusiva.
In altre parole, non si può discutere di capitalismo nel 2004 finchè "capitalismo" il 90% delle persone lo identifica come la dialettica tra Rockfeller e i personaggi dei quadri di Pellizza da Volpedo.
Originariamente inviato da SaMu
Finchè non ci sarà una diffusione scolastica universale ed uno sforzo politico delle classi dirigenti, per far capire "all'uomo della strada" le categorie di base del mondo economico in cui viviamo, la discussione sul capitalismo rimarrà una materia esclusiva.
In altre parole, non si può discutere di capitalismo nel 2004 finchè "capitalismo" il 90% delle persone lo identifica come la dialettica tra Rockfeller e i personaggi dei quadri di Pellizza da Volpedo.
bel quadro: ma in soldoni cosa ne pensi della tesi dei due economisti? (p.s hai seguito la puntata di 8 1/2 in questione?)
Non mi sembra una tesi particolarmente rivoluzionaria.. è noto che chi ha privilegi si senta minacciato dai liberi mercati.
Il titolo del libro purtroppo si presta fin troppo facilmente alla degenerazione del mio post precedente, cioè alla lettura in chiave di dicotomia marxista (l'unica interpretazione diffusa dell'economia che c'è nella nostra società, a prescindere dalla posizione politica).
Quando scrivi "L'idea di base è che i capitalisti monopolistici, grazie agli appoggi politici (sovvenzioni alle campagne o interventi diretti) siano il principale nemico del libero mercato e del capitalismo basato sulla libera concorrenza tra elementi." mi sembra che anche tu intenda (o almeno così mi pare:)) "i capitalisti" come un'elite di pochi multimilionari che dalle loro fortezze si difendono dal libero mercato.
In realtà se guardi alla realtà ci sono settori in cui le imprese, le imprese tutte dall'azionista di maggioranza all'ultimo dei dipendenti, operano in condizioni di privilegio.
Pensa ad Autostrade s.p.a.: il lavoro di Autostrade e di tutti i suoi dipendenti consiste essenzialmente nel contrattare col CIPE gli aumenti tariffari. Autostrade non può fallire. Autostrade non può perdere. Deve solo contrattare quanto vincere.
Fiat Auto e Alitalia erano società così.. quando i produttori stranieri di auto non potevano entrare nel mercato italiano seriamente, quando i voli interni erano monopolio della compagnia di bandiera, Fiat Auto e Alitalia non potevano perdere.. potevano solo decidere quanto vincere.. dall'azionista di controllo, giù fino all'ultimo dei dipendenti.
Oggi Fiat Auto e Alitalia sono esposte al mercato.. alla concorrenza.. Daewoo viene in Italia, apre concessionarie, propone i suoi prodotti, buoni, ai suoi prezzi, bassi, e la gente sceglie liberamente.. sceglie Daewoo, i suoi azionisti e i suoi dipendenti, lascia Fiat, i suoi azionisti e i suoi dipendenti.
"Il privilegio" nel mondo di oggi appartiene a chi fa impresa, a chi lavora per imprese, a chi deve il suo reddito a imprese, che operano in settori senza concorrenza.. penso a tutte le PA, ai servizi a prezzi regolati.. e guarda caso, è ciò che tutti vorrebbero: quando la zucchina costa troppo, la richiesta spontanea qual'è? Un prezzo regolato.. regolato alto? Buono per chi vende e i dipendenti di vende.. regolato basso? Buono per chi compra, chi vende perde, lo stato paga.. comunque, privilegio.
Chi opera nei settori aperti alla concorrenza, dall'imprenditore ai dipendenti, vive in un altro mondo.. è più privilegiato Michael Dell o mia mamma che insegna in una media statale? Probabilmente mia mamma.. Michael Dell in 20 anni ha fatto una compagnia che fattura 100 milioni di dollari al giorno, con una sola idea: vendiamo PC direttamente.. non ha rubato cacao in Abissinia, ne' petrolio in Venezuela, ne' caffè alla compagnia delle indie.. non può nemmeno brevettare, chiunque può copiarlo.. eppure.. quello è il massimo della concorrenza.
In definitiva: la linea di demarcazione tra privilegio e concorrenza, non è orizzontale sul reddito delle persone, ma verticale tra settori.
Tutti aborrono il privilegio (Mughini docet:D) ma tutti lo ricercano come soluzione ai loro problemi.. Benetton lascia la concorrenza dei vestiti, e investe nelle tariffe concordate di Autostrade.. la massaia vuole il prezzo regolato delle zucchine.
I sistemi finanziari sono importanti, perchè finanziano.. su questo non sono con gli autori del libro però: tutti dicono "finanziamo le idee, non i privilegi" certo, però quanta gente conosci che presta soldi a venture capitalist, a nuove idee? Pochissimi.. tutti preferiscono BOT e CCT, i titoli dell'unica azienda italiana che non può fallire.
Anche qui insomma.. tutti aborrono il privilegio, ma tutti corrono a finanziare il privilegio perchè è l'unico che da' rendimenti solidi e sicuri.. pochi finanziano chi opera esposto alla concorrenza, pochissimi finanziano le idee, perchè per definizione le idee possono essere buone ma anche cattive, se sono cattive i soldi si perdono e nessuno vuole perdere.
Originariamente inviato da SaMu
Non mi sembra una tesi particolarmente rivoluzionaria.. è noto che chi ha privilegi si senta minacciato dai liberi mercati.
Il titolo del libro purtroppo si presta fin troppo facilmente alla degenerazione del mio post precedente, cioè alla lettura in chiave di dicotomia marxista (l'unica interpretazione diffusa dell'economia che c'è nella nostra società, a prescindere dalla posizione politica).
Quando scrivi "L'idea di base è che i capitalisti monopolistici, grazie agli appoggi politici (sovvenzioni alle campagne o interventi diretti) siano il principale nemico del libero mercato e del capitalismo basato sulla libera concorrenza tra elementi." mi sembra che anche tu intenda (o almeno così mi pare:)) "i capitalisti" come un'elite di pochi multimilionari che dalle loro fortezze si difendono dal libero mercato.
In realtà se guardi alla realtà ci sono settori in cui le imprese, le imprese tutte dall'azionista di maggioranza all'ultimo dei dipendenti, operano in condizioni di privilegio.
Pensa ad Autostrade s.p.a.: il lavoro di Autostrade e di tutti i suoi dipendenti consiste essenzialmente nel contrattare col CIPE gli aumenti tariffari. Autostrade non può fallire. Autostrade non può perdere. Deve solo contrattare quanto vincere.
Fiat Auto e Alitalia erano società così.. quando i produttori stranieri di auto non potevano entrare nel mercato italiano seriamente, quando i voli interni erano monopolio della compagnia di bandiera, Fiat Auto e Alitalia non potevano perdere.. potevano solo decidere quanto vincere.. dall'azionista di controllo, giù fino all'ultimo dei dipendenti.
Oggi Fiat Auto e Alitalia sono esposte al mercato.. alla concorrenza.. Daewoo viene in Italia, apre concessionarie, propone i suoi prodotti, buoni, ai suoi prezzi, bassi, e la gente sceglie liberamente.. sceglie Daewoo, i suoi azionisti e i suoi dipendenti, lascia Fiat, i suoi azionisti e i suoi dipendenti.
"Il privilegio" nel mondo di oggi appartiene a chi fa impresa, a chi lavora per imprese, a chi deve il suo reddito a imprese, che operano in settori senza concorrenza.. penso a tutte le PA, ai servizi a prezzi regolati.. e guarda caso, è ciò che tutti vorrebbero: quando la zucchina costa troppo, la richiesta spontanea qual'è? Un prezzo regolato.. regolato alto? Buono per chi vende e i dipendenti di vende.. regolato basso? Buono per chi compra, chi vende perde, lo stato paga.. comunque, privilegio.
Chi opera nei settori aperti alla concorrenza, dall'imprenditore ai dipendenti, vive in un altro mondo.. è più privilegiato Michael Dell o mia mamma che insegna in una media statale? Probabilmente mia mamma.. Michael Dell in 20 anni ha fatto una compagnia che fattura 100 milioni di dollari al giorno, con una sola idea: vendiamo PC direttamente.. non ha rubato cacao in Abissinia, ne' petrolio in Venezuela, ne' caffè alla compagnia delle indie.. non può nemmeno brevettare, chiunque può copiarlo.. eppure.. quello è il massimo della concorrenza.
In definitiva: la linea di demarcazione tra privilegio e concorrenza, non è orizzontale sul reddito delle persone, ma verticale tra settori.
Tutti aborrono il privilegio (Mughini docet:D) ma tutti lo ricercano come soluzione ai loro problemi.. Benetton lascia la concorrenza dei vestiti, e investe nelle tariffe concordate di Autostrade.. la massaia vuole il prezzo regolato delle zucchine.
I sistemi finanziari sono importanti, perchè finanziano.. su questo non sono con gli autori del libro però: tutti dicono "finanziamo le idee, non i privilegi" certo, però quanta gente conosci che presta soldi a venture capitalist, a nuove idee? Pochissimi.. tutti preferiscono BOT e CCT, i titoli dell'unica azienda italiana che non può fallire.
Anche qui insomma.. tutti aborrono il privilegio, ma tutti corrono a finanziare il privilegio perchè è l'unico che da' rendimenti solidi e sicuri.. pochi finanziano chi opera esposto alla concorrenza, pochissimi finanziano le idee, perchè per definizione le idee possono essere buone ma anche cattive, se sono cattive i soldi si perdono e nessuno vuole perdere.
La discussione sul piano in cui l'hanno proposta i due giovani economisti ha il pregio di attirare l'attenzione proprio di chi, come me, fà parte del 90% dei semignoranti: in effetti è dura pensare al capitalismo come un sistema che comprenda tutto e che non sia invece diviso a metà orizzontalmente come nel binomio rockfeller/pellizza; il chè è facile da comprendere, anche se "i capitalisti" in toto non sono l'elite di pochi multimilionari che dalle loro fortezze si difendono dal libero mercato, è anche vero che questa caratteristica è molto comune come dici anche tu.
Così di primo acchitto direi che nel caso di Alitalia e Fiat una delle cause dell'attuale crisi mi pare proprio l'esposizione al mercato di aziende affatto pronte, che uscite dal privilegio si son ritrovate preda di un mercato ben più dinamico (che ha speso in ricerca, in miglioramenti, in joint veinture...in tagli, non solo dal basso).
Capisco inoltre cosa intendi con "privilegio vantaggioso", certo che attualmente è naturale che l'investitore e la massaia finiscano per favorirlo: il problema che mi pare i due sottolineino è che le spinte politiche che dovrebbero essere illuministe, in questo senso, sono invece molto ostacolate dai cattivi "capitalisti", per cui ci si dirige assolutamente nella parte opposta...il chè, a mio avviso, è uno dei motivi della stagnazione.
INTERVISTA
Contaminazione etica
Banca Etica Una avventura iniziata nel 1999. Un'esperienza unica. La vita i successi della banca raccontata dal direttore generale Mario Crosta
BRUNO PERINI
«La Banca Etica? Diciamo che è una sfida alla finanziarizzazione dell'economia e al mercato senza regole. E' un bene che il mercato funzioni da regolatore. Ma dovrebbe essere un mercato efficiente, altrimenti si trasforma in una giungla ingovernabile, in gradodi produrre soltanto dissesti industriali e finanziari come quelli di Cirio e Parmalat». Mario Crosta, 40 anni, è direttore generale di Banca Etica. Per vent'anni ha lavorato in una delle cattedrali del credito italiano, l'Istituto San Paolo di Torino, poi si è imbarcato nell'ambiziosa avventura di Banca Etica al fianco di uno dei fondatori dell'Istituto bancario padovano: Fabio Salviato. Mario Crosta è un tipo discreto, con i piedi per terra. E' convinto che la Banca Etica potrebbe diventare un modello importante per fermare la deriva totalizzante della finanza ma è altrettanto consapevole che la strada è ancora lunga, che la sfida non potrà mai avvenire sulle dimensioni ma sulla qualità del credito e delle sue procedure.
Come mai nasce a Padova la Banca Etica?
Banca Etica nasce nel 1999 e si intreccia con un tessuto sociale favorevole, dove ha sempre dominato una tradizione di volontarismo cattolico e associazionismo laico, cementati da una cultura della solidarietà molto diffusa. Tenga conto che 120 anni fa in questa zona nasceva la prima Cassa Rurale, simbolo dell'economia solidaristica. Cos'è Banca Etica? Si può spiegare con poche cifre. Giuridicamente è equiparabile a una banca popolare. E' l'unica banca di questa natura ad avere statutariamente l'approvazione di Banca d'Italia. Ha 23.000 clienti, di cui 3000 sono persone giuridiche. Il capitale sociale è di 16 milioni e 300 mila euro, mentre la raccolta è di 280 milioni. In termini di dimensioni possiamo dire che è comparabile a una Cassa Rurale o a una banca di credito cooperativo medio grande. 8 sportelli collocati nelle principali città italiane, 81 dipendenti.
Oggi, anche nella finanza e nei grandi istituti di credito, tutti parlano di etica: ci sono i bilanci etici, i codici etici e così via. Poi si scoprono buchi neri finanziari delle dimensioni di Parmalat o finanziamenti bancari assai discutibili. L'etica non rischia di diventare un puro strumento di immagine?
Il sospetto che molte realtà economiche e finanziarie usino l'etica per altri fini è molto forte. E' una realtà dalla quale è bene guardarsi. La nostra strategia è chiara: noi crediamo che sia possibile inserire nell'attività finanziaria dei percorsi di partecipazione e democrazia. Il risparmiatore che si avvicina a Banca Etica ha la possibilità di scegliere l'utilizzo che vuole sia fatto dei suoi soldi e dunque il percorso del denaro. Il risparmio viene canalizzato in quattro ambiti cooperativi: sociale, internazionale, ricreativo e ambientale. Al cliente di Banca Etica non viene chiesto soltanto di decidere dove vuole che si investano i quattrini ma viene garantita la trasparenza
Procedure di questo tipo non vengono adottate anche dalle banche normali?
Non mi risulta. Non c'è banca in Italia che pubblichi le realtà finanziate, i soggetti e il tipo di progetto.
Come si concilia eticità e profittabilità?
E' un equilibrio difficile ma è possibile realizzarlo. Uno degli slogan che ci è riuscito meglio è che l'interesse più alto è quello di tutti. Un risparmiatore può essere chiamato magari a rinunciare a uno 0,10 ma sa quel sacrificio verrà spalmato su una platea di attori che difficilmente avrebbero accesso al credito. I nostri chiodi fissi sono trasparenza e accessibilità al credito dei soggetti più deboli. L'etica è di moda, lo sappiamo bene. C'è chi si sta buttando sull'etica perché la considera un'area di business, ci sono fondi etici che investono soltanto in alcuni settori ma quasi nessuno ti consente di controllare il percorso del denaro fino alla destinazione finale. Noi anche sul terreno della finanza «pura» abbiamo voluto lanciare una sfida
Di cosa si tratta?
Nel febbraio del 2003 Banca Etica ha dato vita a una Sgr, una società di gestione del risparmio. Le linee su cui si muove sono classiche; la società gestisce tre tipologie, i fondi monetari, quelli bilanciati e quelli obbligazionari. Ciò che cambia è la qualità dei destinatari: il risparmio va a soggetti, siano essi Stati o società, che hanno ricevuto una certificazione etica da Etibel, una società di rating che usa criteri di qualità come la responsabilità interna, (democrazia), la responsabilità esterna, (rispetto dell'ambiente), le politiche economiche, (attenzione all'uso delle tecnologie). I fondi bilanciati, ovviamente, investono anche in titoli azionari con gli stessi criteri. Tra le certificazioni buone fornite da Etibel ci sono ad esempio la Merloni e la Wolkswagen
Voi pensate che esperienze come la vostra siano in gradi di fermare o arginare il fiume in piena della finanziarizzazione dell'economia reale? C'è chi considera questa impresa un'utopia, la nostalgia per un economia, quella reale, che non ha più ossigeno
E' evidente che le masse che siamo in gradi di muovere sono limitate. Eppur qualcosa si muove. Noi siamo convinti che con la finanza etica l'economnia reale possa essere rivitalizzata. Non ci facciamo illusioni, viviamo con i piedi per terra ma ci rendiamo anche conto che sia i risparmiatori, sia i consumatori cominciano a cambiare mentalità. Si tratta di milioni di persone sempre più attente alla qualità del consumo e del risparmio e ai temi del controllo e delle regole. D'altronde gli effetti devastanti della finanziarizzazione sono sotto gli occhi di tutti. I casi Cirio, Parmalat, Giacomelli, sono figli di un uso della finanza fine a se stessa. La finanza non può produrre ricchezza, è un gioco a somma negativa. Pensi alla quantità di derivati che ci sono in giro. Si tratta di bombe a orologeria pericolosissime che hanno già prodotto effetti drammatici sulle imprese
Come pensate di influenzare la finanza ufficiale?
Certo non con i volumi. E' impensabile fare concorrenza ai giganti del credito. Il nostro obiettivo è diventare contagiosi. Fino a un po' di tempo fa di etica non si parlava, oggi almeno l'etica è diventata un'area di business. Chissà che in un futuro prossimo venturo non diventi l'anima della finanza. Tra l'altro, e ci tengo a sottolinearlo, le nostre porte sono aperte: la società di gestione del risparmio la stiamo condividendo con la Popolare di Milano, la popolare di Sondrio e l'Icrea. Insomma, vogliamo stare nel mercato ma con le nostre prerogative. Questa è un po' la filosofia di Banca Etica
Uno dei virus che minano le istituzioni finanziarie è il conflitto d'interesse. E' un tema a cui siete sensibili o la Banca Etica è proiettata soltanto all'esterno?
Non può esserci una realtà etica per definizione. L'eticità si conquista giorno per giorno e sulla base di regole chiare.
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