c.m.g
24-09-2013, 07:45
lunedì 23 settembre 2013
Una class action per denunciare le pratiche con cui il social network dissemina email indesiderate ai contatti degli utenti registrati. LinkedIn ribatte: è l'utente a scegliere
Roma - L'accusa è quella di rastrellare contatti attingendo alle caselle di posta elettronica personali fornite per scopi di sicurezza, contatti a cui verrebbero inviate email con insistenti inviti a connettersi con l'utente o a prendere parte alla rete sociale di LinkedIn: il social network è ora nel mirino di una class action (http://www.linkedinclassaction.com/) intentata da quattro utenti statunitensi.
Email imbarazzanti, inviate (http://gigaom.com/2013/09/21/linkedin-is-breaking-into-user-emails-spamming-contacts-lawsuit/) a ex-partner, a colleghi di lavoro ritenuti non equilibrati, alla concorrenza, a persone che probabilmente non ricordano affatto il nome del mittente che LinkedIn ha impersonato per disseminare i propri inviti. Per questo motivo quattro utenti del social network hanno sporto denuncia (http://www.linkedinclassaction.com/files/74631323.pdf): nel momento in cui ci si iscrive al social network, LinkedIn chiede di fornire un indirizzo email personale per confermare la propria identità e per recuperare eventuali dati di accesso perduti. Questo indirizzo email, qualora l'utente si lasciasse convincere a intessere una di contatti più fitta e non leggesse con attenzione le condizioni d'uso, finisce per trasformarsi in un distributore di inviti indifferenziati, importando gli indirizzi dei propri contatti e disseminando email a nome del possessore dell'account.
Il nodo della questione, sottolinea l'accusa, è il metodo con cui LinkedIn procede al prelievo delle email di soggetti terzi: "Se un utente LinkedIn lascia aperto il proprio account di una email esterna, LinkedIn si spaccia per l'utente e scarica sui propri server gli indirizzi email contenuti ovunque nell'account". Il tutto, denunciano gli utenti senza però fornire alcun dettaglio tecnico, senza richiedere una password o senza ottenere il consenso dall'utente.L'obiettivo di LinkedIn? Quello di tempestare questi contatti di inviti formato email (in un numero di tre (http://help.linkedin.com/app/answers/detail/a_id/3882), per evitare che il messaggio sfugga al destinatario) a nome dell'utente, con un meccanismo (http://help.linkedin.com/app/utils/auth/callback/%2Fapp%2Fanswers%2Fdetail%2Fa_id%2F26) poco chiaro per interrompere il processo. Il tutto per conquistare nuovi membri, oltre ai 238 milioni che il social network vantava nel mese di giugno 2013, assorbiti (http://bits.blogs.nytimes.com/2013/09/21/users-sue-linkedin-over-harvesting-of-e-mail-addresses/?_r=0) grazie anche a queste pratiche virali. Si tratterebbe di membri che, secondo l'accusa, valgono non poco, dato che LinkedIn vende ai propri utenti a un prezzo di 10 dollari il contatto con account non direttamente collegati alla propria rete di conoscenze, altrimenti irraggiungibili.
L'accusa pretende che LinkedIn ponga fine a queste pratiche, che violerebbero le leggi sulla privacy, le leggi che tutelano dalle intercettazioni e dall'accesso non autorizzato alle informazioni, che regolano le comunicazioni commerciali, e chiede un risarcimento non meglio specificato.
LinkedIn non ha esitato a replicare smentendo (http://www.bloomberg.com/news/2013-09-20/linkedin-customers-say-company-hacked-their-e-mail-address-books.html) qualsiasi comportamento illegale e ribadendo il proprio impegno nell'agire con la massima trasparenza rispetto agli utenti. Semplicemente, il comportamento descritto nella class action "non è vero": la pratica di importare i contatti dell'utente da fonti terze, oltre ad essere comune a pressoché qualsiasi social network, sarebbe (http://blog.linkedin.com/2013/09/21/setting-the-record-straight-on-false-accusations/) sotto il completo controllo dell'utente.
Gaia Bottà
Fonte: Punto Informatico (http://punto-informatico.it/3894991/PI/News/linkedin-rastrellamenti-scopo-spam.aspx)
Una class action per denunciare le pratiche con cui il social network dissemina email indesiderate ai contatti degli utenti registrati. LinkedIn ribatte: è l'utente a scegliere
Roma - L'accusa è quella di rastrellare contatti attingendo alle caselle di posta elettronica personali fornite per scopi di sicurezza, contatti a cui verrebbero inviate email con insistenti inviti a connettersi con l'utente o a prendere parte alla rete sociale di LinkedIn: il social network è ora nel mirino di una class action (http://www.linkedinclassaction.com/) intentata da quattro utenti statunitensi.
Email imbarazzanti, inviate (http://gigaom.com/2013/09/21/linkedin-is-breaking-into-user-emails-spamming-contacts-lawsuit/) a ex-partner, a colleghi di lavoro ritenuti non equilibrati, alla concorrenza, a persone che probabilmente non ricordano affatto il nome del mittente che LinkedIn ha impersonato per disseminare i propri inviti. Per questo motivo quattro utenti del social network hanno sporto denuncia (http://www.linkedinclassaction.com/files/74631323.pdf): nel momento in cui ci si iscrive al social network, LinkedIn chiede di fornire un indirizzo email personale per confermare la propria identità e per recuperare eventuali dati di accesso perduti. Questo indirizzo email, qualora l'utente si lasciasse convincere a intessere una di contatti più fitta e non leggesse con attenzione le condizioni d'uso, finisce per trasformarsi in un distributore di inviti indifferenziati, importando gli indirizzi dei propri contatti e disseminando email a nome del possessore dell'account.
Il nodo della questione, sottolinea l'accusa, è il metodo con cui LinkedIn procede al prelievo delle email di soggetti terzi: "Se un utente LinkedIn lascia aperto il proprio account di una email esterna, LinkedIn si spaccia per l'utente e scarica sui propri server gli indirizzi email contenuti ovunque nell'account". Il tutto, denunciano gli utenti senza però fornire alcun dettaglio tecnico, senza richiedere una password o senza ottenere il consenso dall'utente.L'obiettivo di LinkedIn? Quello di tempestare questi contatti di inviti formato email (in un numero di tre (http://help.linkedin.com/app/answers/detail/a_id/3882), per evitare che il messaggio sfugga al destinatario) a nome dell'utente, con un meccanismo (http://help.linkedin.com/app/utils/auth/callback/%2Fapp%2Fanswers%2Fdetail%2Fa_id%2F26) poco chiaro per interrompere il processo. Il tutto per conquistare nuovi membri, oltre ai 238 milioni che il social network vantava nel mese di giugno 2013, assorbiti (http://bits.blogs.nytimes.com/2013/09/21/users-sue-linkedin-over-harvesting-of-e-mail-addresses/?_r=0) grazie anche a queste pratiche virali. Si tratterebbe di membri che, secondo l'accusa, valgono non poco, dato che LinkedIn vende ai propri utenti a un prezzo di 10 dollari il contatto con account non direttamente collegati alla propria rete di conoscenze, altrimenti irraggiungibili.
L'accusa pretende che LinkedIn ponga fine a queste pratiche, che violerebbero le leggi sulla privacy, le leggi che tutelano dalle intercettazioni e dall'accesso non autorizzato alle informazioni, che regolano le comunicazioni commerciali, e chiede un risarcimento non meglio specificato.
LinkedIn non ha esitato a replicare smentendo (http://www.bloomberg.com/news/2013-09-20/linkedin-customers-say-company-hacked-their-e-mail-address-books.html) qualsiasi comportamento illegale e ribadendo il proprio impegno nell'agire con la massima trasparenza rispetto agli utenti. Semplicemente, il comportamento descritto nella class action "non è vero": la pratica di importare i contatti dell'utente da fonti terze, oltre ad essere comune a pressoché qualsiasi social network, sarebbe (http://blog.linkedin.com/2013/09/21/setting-the-record-straight-on-false-accusations/) sotto il completo controllo dell'utente.
Gaia Bottà
Fonte: Punto Informatico (http://punto-informatico.it/3894991/PI/News/linkedin-rastrellamenti-scopo-spam.aspx)