ConteZero
15-02-2010, 17:15
Via malvino ( http://malvino.ilcannocchiale.it/2010/02/15/didache.html )
La Didaché è fra i testi antichi che imbarazzano maledettamente la Chiesa di Roma, costringendo il suo intellettuale collettivo a sforzi sovrumani di argomentazione contro l’evidenza. Naturalmente, parlo dei testi che ci sono pervenuti, perché chissà quanti altri – e chissà quanto imbarazzanti – saranno stati distrutti lungo i secoli in cui la Chiesa di Roma fu incontrastata egemone culturale. L’imbarazzo, così, nasce in età moderna, quando gli umanisti, da Petrarca a Schliemann e oltre, vanno scavare in ciò che è scampato al setaccio dei chierici, e ne cavano testi – cristiani e pre-cristiani – che mettono seriamente in discussione il fatto che la Chiesa di Roma stia davvero tramandando una verità. La Didaché è uno di questi.
Indubitabilmente cristiano. Indubitabilmente del I secolo. Indubitabilmente coerente ai più o meno coevi vangeli di Matteo e di Marco. Eppure il Didachista descrive un’eucaristia che tutta un’altra cosa rispetto a ciò che sta nel dogma dell’ostia come vera carne e vero sangue del Cristo vivente: nella Didaché l’eucaristia è una tavolata alla memoria del fondatore della setta, non il mangiarselo a comunione.
Il testo è questo: “Per quanto riguarda l’Eucaristia rendete grazie così. Dapprima per il calice: «Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo figlio; a te gloria nei secoli». Poi, allo spezzare del pane: «Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e per la scienza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo figlio; gloria a Te nei secoli. Come questo pane fu dapprima grano sparso sui monti e poscia raccolto divenne uno, così si raduna la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno: poiché tua è la gloria ed il potere per Gesù Cristo nei secoli». Nessuno poi mangi o beva della vostra Eucaristia, se non quelli che abbiano ricevuto il battesimo nel nome del Signore. Poiché a questo riguardo il Signore disse: non date ciò che è santo ai cani”.
Di grazia, dove starebbe la cosa più importante, il dogma, e cioè che pane e vino sono carne e sangue? Zero, neppure la più lontana allusione.
Di più: in nessun punto della preghiera di ringraziamento si fa cenno all’ultima cena o alla morte di Gesù, così fa notare Manlio Simonetti (L’Osservatore Romano, 13.2.2010).
Dal 1883 ad oggi, lo sforzo dell’intellettuale collettivo è stato sovrumano, per lo più nel glissare sulla questione, dirottando l’attenzione su altre, di assai minore rilevanza (cosa c’è di più importante che quel dogma?), e tutte concordanti, indubitabilmente, sulla natura cristianissima del testo. Come nel gioco dell’oca, ogni volta l’intellettuale collettivo torna alla casella di partenza: alla fonte primigenia il dogma manca, vuoi vedere che è posticcio alla fede vera? E si può capire l’imbarazzo. Ultimo giro del gioco, su L’Osservatore Romano, col succitato Simonetti.
La Didaché è cristianissima, per carità, ci mancherebbe, il Simonetti non si permette di mettere in discussione. Ed è un testo scritto praticamente a cadavere caldo (o come vuole la vulgata: risorto or ora). E di carne e sangue a cena, zero. Ed ecco lo sforzo sovrumano di Manlio Simonetti: “A molti è parso sconcertante”.
Ok, vogliamo analizzare la cosa? Macché, parliamo d’altro…
Davvero interessante...
La Didaché è fra i testi antichi che imbarazzano maledettamente la Chiesa di Roma, costringendo il suo intellettuale collettivo a sforzi sovrumani di argomentazione contro l’evidenza. Naturalmente, parlo dei testi che ci sono pervenuti, perché chissà quanti altri – e chissà quanto imbarazzanti – saranno stati distrutti lungo i secoli in cui la Chiesa di Roma fu incontrastata egemone culturale. L’imbarazzo, così, nasce in età moderna, quando gli umanisti, da Petrarca a Schliemann e oltre, vanno scavare in ciò che è scampato al setaccio dei chierici, e ne cavano testi – cristiani e pre-cristiani – che mettono seriamente in discussione il fatto che la Chiesa di Roma stia davvero tramandando una verità. La Didaché è uno di questi.
Indubitabilmente cristiano. Indubitabilmente del I secolo. Indubitabilmente coerente ai più o meno coevi vangeli di Matteo e di Marco. Eppure il Didachista descrive un’eucaristia che tutta un’altra cosa rispetto a ciò che sta nel dogma dell’ostia come vera carne e vero sangue del Cristo vivente: nella Didaché l’eucaristia è una tavolata alla memoria del fondatore della setta, non il mangiarselo a comunione.
Il testo è questo: “Per quanto riguarda l’Eucaristia rendete grazie così. Dapprima per il calice: «Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo figlio; a te gloria nei secoli». Poi, allo spezzare del pane: «Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e per la scienza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo figlio; gloria a Te nei secoli. Come questo pane fu dapprima grano sparso sui monti e poscia raccolto divenne uno, così si raduna la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno: poiché tua è la gloria ed il potere per Gesù Cristo nei secoli». Nessuno poi mangi o beva della vostra Eucaristia, se non quelli che abbiano ricevuto il battesimo nel nome del Signore. Poiché a questo riguardo il Signore disse: non date ciò che è santo ai cani”.
Di grazia, dove starebbe la cosa più importante, il dogma, e cioè che pane e vino sono carne e sangue? Zero, neppure la più lontana allusione.
Di più: in nessun punto della preghiera di ringraziamento si fa cenno all’ultima cena o alla morte di Gesù, così fa notare Manlio Simonetti (L’Osservatore Romano, 13.2.2010).
Dal 1883 ad oggi, lo sforzo dell’intellettuale collettivo è stato sovrumano, per lo più nel glissare sulla questione, dirottando l’attenzione su altre, di assai minore rilevanza (cosa c’è di più importante che quel dogma?), e tutte concordanti, indubitabilmente, sulla natura cristianissima del testo. Come nel gioco dell’oca, ogni volta l’intellettuale collettivo torna alla casella di partenza: alla fonte primigenia il dogma manca, vuoi vedere che è posticcio alla fede vera? E si può capire l’imbarazzo. Ultimo giro del gioco, su L’Osservatore Romano, col succitato Simonetti.
La Didaché è cristianissima, per carità, ci mancherebbe, il Simonetti non si permette di mettere in discussione. Ed è un testo scritto praticamente a cadavere caldo (o come vuole la vulgata: risorto or ora). E di carne e sangue a cena, zero. Ed ecco lo sforzo sovrumano di Manlio Simonetti: “A molti è parso sconcertante”.
Ok, vogliamo analizzare la cosa? Macché, parliamo d’altro…
Davvero interessante...