frankytop
03-02-2010, 22:32
«La Cina utilizza la valuta per gonfiare in maniera artificiale i prezzi delle nostre esportazioni e abbassare il prezzo dei loro prodotti». Barack Obama torna a usare toni duri con la Cina dopo le tensioni di questi ultimi giorni per la vendita di armi americane a Taiwan e l'annuncio del prossimo incontro tra il presidente americano e il Dalai Lama a Washington. E torna su un tema caldo, quello del rapporto yuan-dollaro. Un tema caldo da diversi mesi. Da tempo, e lo hanno fatto anche al recente vertice di Davos, Stati Uniti ed Europa chiedono a Pechino un intervento per rafforzare la valuta tale da riequilibrare lo squilibrio nei rapporti commerciali. Quello dell'apertura del mercato cinese è un tema che tiene banco da tempo nei vertici internazionali. La ripresa dipende molto da questo dal commercio commercio internazionale. Lo sa bene il presidente americano che ha promesso «una maggiore severità» nei confronti della Cina, per fare rispettare gli accordi sugli interscambi commerciali tra i due Paesi. «Il nostro approccio nei confronti di Pechino - ha detto Obama a una platea di parlamentari democratici - è quello di una maggiore severità sul rispetto delle regole. Continuaremo a premere perchè sia la Cina che altri Paesi aprano i loro mercati ai nostri beni». (An. Fr)
La Cina resta un paese ad alto rischio politico
La rivolta di Google contro la censura. La vendita di armi americane a Taiwan. Il viaggio del Dalai Lama negli Stati Uniti. La proposta di Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo. Le numerose diatribe scoppiate all'improvviso negli ultimi giorni tra Washington e Pechino hanno precipitato le relazioni sino-americane a uno dei livelli più bassi dell'ultimo decennio.
La reazione cinese è stata a dir poco scomposta. Dopo essere riuscita a tenere il confronto sul caso Google entro i recinti della diplomazia e del buon senso, nelle ultime ore la nomenklatura ha perso letteralmente le staffe investendo gli Stati Uniti con una raffica di invettive e di minacce di ritorsioni senza precedenti. Una in particolare, le sanzioni contro le aziende americane che venderanno armi a Taiwan, rappresenta una novità assoluta e, al tempo stesso, un salto di qualità importante negli strumenti di engagement cinesi in politica internazionale.
La replica rabbiosa di Pechino e la rappresaglia contro le società Usa ricorda al mondo intero una cosa molto importante, di cui ci si era ormai quasi dimenticati: nonostante la formidabile crescita economica dell'ultimo ventennio, la Cina continua a essere un paese ad elevato rischio politico.
Gli strali e le intimidazioni lanciati dal Dragone nelle ultime ore dimostrano l'esistenza di due Cine. C'è la Cina buona, quella che si percepisce quando si sbarca nelle grandi città del paese restando a bocca aperta di fronte alle mirabilie dello sviluppo e della modernizzazione cinese. E c'è la Cina cattiva, quella retriva, liberticida, paranoica, nazionalista, che viene a galla puntualmente in tutte le crisi politiche che colpiscono la superpotenza asiatica dall'interno o dall'esterno.
Indipendentemente da quale sarà l'epilogo delle numerose querelle che avvelenano i rapporti tra la nomenklatura e l'Amministrazione Obama, un fatto è certo: la comunità internazionale dovrà fare sempre di più i conti anche con la Cina cattiva. E questo è un fattore di cui anche gli investitori internazionali, ingolositi dal mercato da 1,3 miliardi di consumatori e frastornati dalle lusinghe di consulenti, finanzieri e faccendieri vari, in futuro dovranno tenere in debito conto prima di portare i loro quattrini oltre la Grande Muraglia.
Cina verso il rialzo dei tassi tra rischio bolla e inflazione
L'economia cinese continua a crescere a ritmi sostenuti. Lo ha certificato l'indice sulla produzione industriale della banca britannica Hsbc che, a gennaio, ha toccato livelli record. Ai massimi da venti mesi anche il dato della locale China Federation of Logistics and Purchasing. Oltre all'attività manifatturiera, hanno iniziato a crescere anche i prezzi. La spinta inflazionistica ha messo in allarme i mercati finanziari, già depressi dopo le recenti misure di stretta creditizia recentemente adottate dall'esecutivo cinese. Ora in molti scommettono su un rialzo dei tassi d'interesse da parte della banca centrale cinese. Il timore di una stretta creditizia ha influito sulla seduta poco brillante delle Borse asiatiche e sull'avvio negativo dell'Europa, poi risalita sulla scorta di alcuni dati americani.
Ma non sono solo le indicazioni sul fronte dei prezzi a renderla probabile. C'è anche la necessità di disinnescare il rischio bolla dei mercati azionari. Un pericolo di cui ilsole24ore.com aveva già parlato nei mesi scorsi e che il consigliere della banca centrale Fan Gang ha recentemente definito «la vera preoccupazione per l'economia cinese». Per far fronte alla stretta creditizia anche Pechino, come Europa e Stati Uniti ha tagliato il costo del denaro. Ma così facendo ha inondato il mercato di liquidità, finita soprattutto in Borsa e nel mercato immobiliare. I prezzi di case e azioni sono cresciuti a ritmo sostenuto in questi ultimi mesi, al punto che diversi esperti e addetti ai lavori hanno suonato il campanello d'allarme sul «rischio bolla».
La combinazione di due elementi (speculazione immobiliare-finanziaria e inflazione) fanno quindi scommettere su un rialzo dei tassi. Secondo Ba Shusong, consulente del Governo cinese, questo potrebbe avvenire se i prezzi al consumo dovessero superare il tasso di riferimento per i depositi a un anno (2,25%). Altri invece sono convinti che la Banca centrale adotterà altre misure. Ad esempio, come ha già fatto le scorse settimane, imponendo alle banche di aumentare il coefficente di riserva obbligatoria. Questa mossa, tra l'altro, ha fatto già sentire i suoi primi effetti sui finanziamenti concessi dagli istituti di credito. Come riporta l'Economic Information Daily dell'agenzia ufficiale Xinhu, a gennaio le banche hanno prestato 1.600 miliardi di yuan (234,4 miliardi di dollari). In calo rispetto ai 1.620 miliardi di gennaio 2009. È significativo notare poi come il grosso della crescita (1.100 miliardi di yuan) sia avvenuto solo nei primi dieci giorni del mese. Cioè prima dell'entrata in vigore della nuova normativa sulle riserve bancarie.
Ma quali conseguenze potrebbero esserci sul mercato valutario? È possibile che la stretta creditizia inneschi quella rivalutazuione dello yuan tanto invocata a occidente per riequilibrare gli scambi internazionali? Su questo fronte le indicazioni sono contrastanti. Le recenti oscillazioni della valuta cinese dimostrano come il mercato non abbia avuto indicazioni definite. Alla riapertura degli scambi la moneta cinese, invece che apprezzarsi per effetto delle rinnovate voci di stretta monetaria, si è svalutata dopo che il vicepresidente della banca centrale Zhu Min ha detto che non ci sono piani a breve termine per rafforzare lo yuan. Un'inversione di tendenza rispetto alla scorsa settimana quando le parole, questa volta di un membro dell'esecutivo, avevano fatto scommettere su una risalita dello yuan. Il vicepresidente Li Keqiang aveva infatti detto che il governo, per favorire l'economia, avrebbe puntato più sui consumi interni che sulle esportazioni. Tutto fa pensare quindi che, a differenza di quanto avviene in occidente, Pechino riesca a restringere il credito evitando il rafforzamento della valuta. Un altro effetto dello strano capitalismo della Cina comunista.
Il Sole 24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2010/02/obama-cina-svalutazione-yuan-accordi-commerciali.shtml?uuid=4ba77802-10ec-11df-a809-c23ba46922d2&DocRulesView=Libero)
La Cina resta un paese ad alto rischio politico
La rivolta di Google contro la censura. La vendita di armi americane a Taiwan. Il viaggio del Dalai Lama negli Stati Uniti. La proposta di Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo. Le numerose diatribe scoppiate all'improvviso negli ultimi giorni tra Washington e Pechino hanno precipitato le relazioni sino-americane a uno dei livelli più bassi dell'ultimo decennio.
La reazione cinese è stata a dir poco scomposta. Dopo essere riuscita a tenere il confronto sul caso Google entro i recinti della diplomazia e del buon senso, nelle ultime ore la nomenklatura ha perso letteralmente le staffe investendo gli Stati Uniti con una raffica di invettive e di minacce di ritorsioni senza precedenti. Una in particolare, le sanzioni contro le aziende americane che venderanno armi a Taiwan, rappresenta una novità assoluta e, al tempo stesso, un salto di qualità importante negli strumenti di engagement cinesi in politica internazionale.
La replica rabbiosa di Pechino e la rappresaglia contro le società Usa ricorda al mondo intero una cosa molto importante, di cui ci si era ormai quasi dimenticati: nonostante la formidabile crescita economica dell'ultimo ventennio, la Cina continua a essere un paese ad elevato rischio politico.
Gli strali e le intimidazioni lanciati dal Dragone nelle ultime ore dimostrano l'esistenza di due Cine. C'è la Cina buona, quella che si percepisce quando si sbarca nelle grandi città del paese restando a bocca aperta di fronte alle mirabilie dello sviluppo e della modernizzazione cinese. E c'è la Cina cattiva, quella retriva, liberticida, paranoica, nazionalista, che viene a galla puntualmente in tutte le crisi politiche che colpiscono la superpotenza asiatica dall'interno o dall'esterno.
Indipendentemente da quale sarà l'epilogo delle numerose querelle che avvelenano i rapporti tra la nomenklatura e l'Amministrazione Obama, un fatto è certo: la comunità internazionale dovrà fare sempre di più i conti anche con la Cina cattiva. E questo è un fattore di cui anche gli investitori internazionali, ingolositi dal mercato da 1,3 miliardi di consumatori e frastornati dalle lusinghe di consulenti, finanzieri e faccendieri vari, in futuro dovranno tenere in debito conto prima di portare i loro quattrini oltre la Grande Muraglia.
Cina verso il rialzo dei tassi tra rischio bolla e inflazione
L'economia cinese continua a crescere a ritmi sostenuti. Lo ha certificato l'indice sulla produzione industriale della banca britannica Hsbc che, a gennaio, ha toccato livelli record. Ai massimi da venti mesi anche il dato della locale China Federation of Logistics and Purchasing. Oltre all'attività manifatturiera, hanno iniziato a crescere anche i prezzi. La spinta inflazionistica ha messo in allarme i mercati finanziari, già depressi dopo le recenti misure di stretta creditizia recentemente adottate dall'esecutivo cinese. Ora in molti scommettono su un rialzo dei tassi d'interesse da parte della banca centrale cinese. Il timore di una stretta creditizia ha influito sulla seduta poco brillante delle Borse asiatiche e sull'avvio negativo dell'Europa, poi risalita sulla scorta di alcuni dati americani.
Ma non sono solo le indicazioni sul fronte dei prezzi a renderla probabile. C'è anche la necessità di disinnescare il rischio bolla dei mercati azionari. Un pericolo di cui ilsole24ore.com aveva già parlato nei mesi scorsi e che il consigliere della banca centrale Fan Gang ha recentemente definito «la vera preoccupazione per l'economia cinese». Per far fronte alla stretta creditizia anche Pechino, come Europa e Stati Uniti ha tagliato il costo del denaro. Ma così facendo ha inondato il mercato di liquidità, finita soprattutto in Borsa e nel mercato immobiliare. I prezzi di case e azioni sono cresciuti a ritmo sostenuto in questi ultimi mesi, al punto che diversi esperti e addetti ai lavori hanno suonato il campanello d'allarme sul «rischio bolla».
La combinazione di due elementi (speculazione immobiliare-finanziaria e inflazione) fanno quindi scommettere su un rialzo dei tassi. Secondo Ba Shusong, consulente del Governo cinese, questo potrebbe avvenire se i prezzi al consumo dovessero superare il tasso di riferimento per i depositi a un anno (2,25%). Altri invece sono convinti che la Banca centrale adotterà altre misure. Ad esempio, come ha già fatto le scorse settimane, imponendo alle banche di aumentare il coefficente di riserva obbligatoria. Questa mossa, tra l'altro, ha fatto già sentire i suoi primi effetti sui finanziamenti concessi dagli istituti di credito. Come riporta l'Economic Information Daily dell'agenzia ufficiale Xinhu, a gennaio le banche hanno prestato 1.600 miliardi di yuan (234,4 miliardi di dollari). In calo rispetto ai 1.620 miliardi di gennaio 2009. È significativo notare poi come il grosso della crescita (1.100 miliardi di yuan) sia avvenuto solo nei primi dieci giorni del mese. Cioè prima dell'entrata in vigore della nuova normativa sulle riserve bancarie.
Ma quali conseguenze potrebbero esserci sul mercato valutario? È possibile che la stretta creditizia inneschi quella rivalutazuione dello yuan tanto invocata a occidente per riequilibrare gli scambi internazionali? Su questo fronte le indicazioni sono contrastanti. Le recenti oscillazioni della valuta cinese dimostrano come il mercato non abbia avuto indicazioni definite. Alla riapertura degli scambi la moneta cinese, invece che apprezzarsi per effetto delle rinnovate voci di stretta monetaria, si è svalutata dopo che il vicepresidente della banca centrale Zhu Min ha detto che non ci sono piani a breve termine per rafforzare lo yuan. Un'inversione di tendenza rispetto alla scorsa settimana quando le parole, questa volta di un membro dell'esecutivo, avevano fatto scommettere su una risalita dello yuan. Il vicepresidente Li Keqiang aveva infatti detto che il governo, per favorire l'economia, avrebbe puntato più sui consumi interni che sulle esportazioni. Tutto fa pensare quindi che, a differenza di quanto avviene in occidente, Pechino riesca a restringere il credito evitando il rafforzamento della valuta. Un altro effetto dello strano capitalismo della Cina comunista.
Il Sole 24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2010/02/obama-cina-svalutazione-yuan-accordi-commerciali.shtml?uuid=4ba77802-10ec-11df-a809-c23ba46922d2&DocRulesView=Libero)