View Full Version : [Obama] Colpo di stato?
Oggi, mentre leggevo le varie news ed editoriali relativi ad Obama sui giornali nostrani ho notato che praticamente tutti erano concordi che il nuovo presidente semplicemente non ha abbastanza potere (sia perché il supporto da parte del congresso è insufficiente, sia perché gli stati esteri non vogliono collaborare, sia perché anche la popolazione stessa non lo sopporta più come all'inizio) per mettere in atto tutte le riforme che aveva in mente (e che, da quello che ho capito, ha davvero intenzione di applicare).
Quindi mi chiedevo, sarebbe fattibile per Obama fare un colpo di stato ed acquisire con la forza il potere che necessita per mettere in pratica tutte le riforme ed i miglioramenti che ha in mente?
Altrimenti, avrebbe altri metodi per avere tale potere?
Dream_River
10-12-2009, 22:54
è a dir pico impossibile che Obama possa riuscire in un colpo di stato, sarebbe un folle nella sua posizione, gli obiettivi ambiziosi che si è posto potrà realizzarli solo con molta abilità politica
Poi non credo che sia il caso di prendere troppo quello che dicono i giornali, si stanno ancora sgonfiando le fantasmagoriche e ingenue aspettative che si era fatti su di lui, per il semplice fatto che era di colore e che ha lanciato una moda politica non da poco (La moda del "rinnovamento" del "Yes, we can")
non credo proprio :)
la differenza fra quello che qui ci viene proposto come capo del governo e quello che hanno in usa è che obama quando fa le riforme cerca il consenso e fa la discussione con i repubblicani. qua, invece, colui che si spaccia come il migliore primo ministro degli ultimi 150 anni fa la fiducia su tutto senza ascoltare l'altra parte.
Quindi mi chiedevo, sarebbe fattibile per Obama fare un colpo di stato ed acquisire con la forza il potere che necessita per mettere in pratica tutte le riforme ed i miglioramenti che ha in mente?
Altrimenti, avrebbe altri metodi per avere tale potere?
Ma nel mondo dei sogni come si sta? :D
Fradetti
10-12-2009, 23:01
domanda stupida: ma i colpi di stato non vengono organizzati da chi non è al governo?
Dream_River
10-12-2009, 23:02
non credo proprio :)
la differenza fra quello che qui ci viene proposto come capo del governo e quello che hanno in usa è che obama quando fa le riforme cerca il consenso e fa la discussione con i repubblicani. qua, invece, colui che si spaccia come il migliore primo ministro degli ultimi 150 anni fa la fiducia su tutto senza ascoltare l'altra parte.
Che ricerchi il consenso popolare non ne sarei cosi convinto, altrimenti non mi spiegherei la caduta di popolarità (in America, non intendo nella socialista Europa!:D ) a cui la condotto la riforma sanitaria
E verissimo invece per quanto riguarda il forte lato diplomatico di Obama, ma oltre a essere lui un presidente che crede molto nel dialogo, e dovuto anche alla diversa cultura e struttura politica in USA
domanda stupida: ma i colpi di stato non vengono organizzati da chi non è al governo?
Ehhhh, ma ci sono i poteri occulti... le logge plutogiudomassoniche...
Ma colpo de stato de che?!?!? :D
MadJackal
10-12-2009, 23:25
domanda stupida: ma i colpi di stato non vengono organizzati da chi non è al governo?
Teoricamente è indipendente: se la maggioranza o l'opposizione o gruppi esterni cercano di sovvertire l'ordine dello stato ("annientando" fazioni opposte) è comunque colpo di stato, IIRC.
Per il resto, dubito che sia anche solo nei sogni di Obama fare un colpo di stato, personalmente. Lavorerà piano cercando di strappare le riforme ai repubblicani (che sanno anche loro che servono), senza cercare troppo lo scontro.
Lavorerà piano cercando di strappare le riforme ai repubblicani (che sanno anche loro che servono), senza cercare troppo lo scontro.
Infatti oggi ha fatto il discorso delle "guerre giuste" che piace tanto a loro :D
Mah... gli USA non sono mica l'italia...
Ma si un bel colpo di stato, d'altronde chi è questo "abbronzato"*?
E' solo l'uomo più potente del mondo.
* http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/politica/abbronzati-roma/ap143328690711191310_big.jpg
MadJackal
10-12-2009, 23:36
Infatti oggi ha fatto il discorso delle "guerre giuste" che piace tanto a loro :D
Business as usual ;)
zerothehero
10-12-2009, 23:51
domanda stupida: ma i colpi di stato non vengono organizzati da chi non è al governo?
Non solo.
Anche chi è al governo può organizzare un colpo di stato. :fagiano:
zerothehero
10-12-2009, 23:55
Business as usual ;)
Obama mica è un alieno..si iscrive sempre nella tradizione americana.
E poi sulla guerra dice cose giuste. :O
||ElChE||88
10-12-2009, 23:57
Un colpo di stato negli USA? :rotfl:
Varilion
11-12-2009, 03:50
non ha abbastanza potere, per mettere in atto tutte le riforme che aveva in mente
è normale.
Anche Berlusconi non ha abbastanza potere per mettere in atto tutte le riforme che ha in mente.
Un colpo di stato può riuscire solo in uno stato profondamente instable.
optijet980
11-12-2009, 04:21
L’Uomo Meno Potente del Mondo (http://saigon2k.altervista.org/?p=438)
Postato il 02 dicembre 2009 da Redazione
Il fantoccio Obama
Fonte: InformationClearingHouse
Traduzione: saigon2k.altervista.org (http://saigon2k.altervista.org/)
di Paul Craig Roberts
1 Dicembre 2009 — Non c’è voluto molto per la Lobby di Israele a mettere in ginocchio il Presidente Obama per il suo divieto di costruire nuovi insediamenti illegali Israeliani nei territori Palestinesi occupati. Obama ha scoperto che un semplice presidente Americano è impotente quando viene affrontato dalla Lobby di Israele, e che agli Stati Uniti semplicemente non viene permesso di avere una politica in Medio Oriente diversa da quella di Israele.
Obama ha anche scoperto che non può cambiare niente, sempre che ne avesse mai avuto l’intenzione.
Nell’agenda della lobby militare e della difesa c’è la guerra e uno stato di polizia interno, e un semplice presidente Americano non può farci niente.
Il Presidente Obama può ordinare che vengano chiuse le camere della tortura di Guantanamo, e che i sequestri di persona e le torture vengano fermati, ma nessuno esegue i suoi ordini.
In pratica, Obama è irrilevante.
Il Presidente Obama può promettere che porterà a casa le truppe, e la lobby militare dice, “No, invece li manderai in Afghanistan, e nel frattempo inizierai una guerra in Pakistan e costringerai l’Iran in una posizione che ci darà un pretesto per fare una guerra anche lì. Le guerre sono troppo lucrose per noi perchè tu possa fermarle”. E il piccolo presidente dirà, “Sissignore!”.
Obama può promettere l’assistenza sanitaria a 50 milioni di Americani che non ce l’hanno, ma non può sconfiggere il veto della lobby della guerra e della lobby delle assicurazioni. La lobby della guerra dice che i profitti di guerra sono più importanti dell’assistenza sanitaria e che il paese non si può permettere sia la “guerra al terrore” che la “medicina socializzata”.
La lobby delle assicurazioni dice che l’assistenza sanitaria deve venir data dalle assicurazioni sanitarie private; altrimenti non possiamo permettercela.
Le lobbies della guerra e delle assicurazioni hanno sventolato le loro agende con i contributi versati in campagna [elettorale] e molto velocemente hanno convinto il Congresso e la Casa Bianca che lo scopo reale del progetto di legge sull’assistenza sanitaria è di salvare soldi tagliando i benefici a Medicare e Medicaid, e quindi “mettere gli entitlements [Ndr. diritti acquisiti] sotto controllo”.
Entitlements è una parola usata dalla destra per denigrare le poche cose che, in un lontano passato, il governo faceva per i suoi cittadini. La Social Security e Medicare, ad esempio, vengono denigrati come “entitlements”. La destra continua senza sosta a parlare della Social Security e di Medicare come se fossero regali dati a persone incapaci che rifiutano di prendersi cura di se stesse, quando in realtà i cittadini vengono di gran lunga sovratassati con un’imposta del 15% nelle loro paghe per avere in cambio dei magri benefici.
Infatti per decenni ormai il governo federale ha finanziato le sue guerre e i budget militari con le entrate in surplus raccolte dalla tassa sul lavoro della Social Security.
Sostenere, come fa la destra, che non possiamo permetterci l’unica cosa nell’intero budget che ha in modo consistente prodotto delle entrate in eccesso sta ad indicare che lo scopo reale è di portare il cittadino medio ad uno stato di indigenza.
I veri entitlements non vengono mai menzionati. Il budget della “difesa” è un entitlement per il complesso militare e della difesa, sul quale il Presidente Eisenhower ci mise in guardia 50 anni fa. Una persona dev’essere folle per credere che gli Stati Uniti, “l’unica superpotenza del mondo”, protetta da oceani ad Est e a Ovest e da stati fantoccio a Nord e a Sud, abbia bisogno di un budget della “difesa” superiore all’intera spesa militare del resto mondo messo insieme.
Il budget militare è nient’altro che un entitlement per il complesso militare e della sicurezza. Per nascondere questo fatto, l’entitlement viene mascherato come una protezione contro i “nemici” e fatto passare attraverso il Pentagono.
Io dico, eliminiamo l’intermediario e distribuiamo semplicemente una percentuale del budget federale al complesso militare e della sicurezza. In questo modo non avremo bisogno di inventare scuse per invadere altri paesi e andare a fare la guerra con il solo scopo di dare al complesso militare e della difesa il suo entitlement. Sarebbe molto più economico dargli i soldi direttamente, e salverebbe anche un sacco di vite umane e sofferenze in patria e all’estero.
L’invasione Statunitense dell’Iraq non aveva proprio niente a che fare con gli interessi nazionali Americani. Aveva a che fare con i profitti sugli armamenti e con l’eliminazione di un ostacolo all’espansione territoriale Israeliana. Il costo della guerra, oltre i 3 trilioni di dollari, è stato di 4,000 Americani morti, oltre 30,000 feriti e mutilati, decine di migliaia di matrimoni Americani distrutti e carriere perdute, un milione di Irackeni morti, quattro milioni di Irackeni dislocati e un paese ridotto in macerie.
Tutto questo è stato fatto per i profitti del complesso militare e della sicurezza e anche affinchè la paranoide Israele, armata con 200 bombe nucleari, potesse sentirsi “sicura”.
La mia proposta renderebbe il complesso militare e della difesa ancora più ricco dato che le compagnie riceverebbero i soldi senza aver bisogno di costruire le armi. Piuttosto, tutti i soldi potrebbero venir usati per bonus multimilionari e dividendi distribuiti agli azionisti. Nessuno, in patria o all’estero, dovrebbe venir ucciso, e il contribuente sarebbe ben più felice.
Non c’è alcun interesse nazionale Americano nella guerra in Afghanistan. Come rivelato dall’ex Ambasciatore Britannico Craig Murray, lo scopo della guerra è di proteggere gli interessi della Unocal per un oleodotto che passa attraverso l’Afghanistan. Il costo della guerra è di gran lunga superiore all’investimento dell’Unocal nell’oleodotto. L’ovvia soluzione è di comprare l’Unocal e dare l’oleodotto agli Afghani come parziale risarcimento per la distruzione che abbiamo inflitto a quel paese e alla sua popolazione, e di portare le truppe a casa.
Il motivo per cui le mie ragionevoli soluzioni non verranno attuate è che le lobbies pensano che i loro entitlements non potrebbero sopravvivere se diventassero evidenti a tutti. Loro pensano che se il popolo Americano sapesse che le guerre stanno venendo combattute per arricchire le industrie degli armamenti e del petrolio, la gente fermerebbe le guerre.
In realtà, il popolo Americano non ha diritto di opinione su ciò che il “suo” governo fa. I sondaggi mostrano che metà o più della metà del popolo Americano non sostiene le guerre in Iraq e Afghanistan e non sostiene l’escalation del Presidente Obama per quanto riguarda la guerra in Afghanistan. Nonostante ciò, le occupazioni e le guerre continuano. Secondo il Generale Stanley McChrystal, le 40,000 truppe aggiuntive sono sufficienti per mettere in stallo la guerra, cioè, per farla continuare all’infinito, una situazione ideale per la lobby degli armamenti.
Il popolo vuole l’assistenza sanitaria, ma il governo non lo ascolta.
Il popolo vuole un lavoro, ma Wall Street vuole azioni più costose e costringe le aziende Americane a trasferire i posti di lavoro in paesi dove la manodopera è più economica.
Il popolo Americano non ha il controllo su niente. Non può influire su niente. E’ diventato irrilevante come Obama. E continuerà ad essere irrilevante fino a quando gruppi di interesse organizzati potranno comprare il governo USA.
L’incapacità della democrazia Americana di produrre un qualsivoglia risultato che gli elettori vogliono è un fatto dimostrato. La completa assenza di reazione del governo al popolo è il contributo che il conservatorismo ha dato alla democrazia Americana. Qualche anno fa ci fu un tentativo di rimettere il governo nelle mani del popolo mettendo un freno alla capacità dei gruppi d’interesse organizzati di versare enormi somme di denaro nelle campagne politiche e, quindi, obbligare gli ufficiali eletti ad essere dipendenti a coloro che avevano versato i soldi. I conservatori dissero che ogni restrizione sarebbe stata una violazione del Primo Amendamento che garantisce la libertà di parola.
Gli stessi “protettori” della “libertà di parola” non ebbero alcuna obiezione però quando la Lobby di Israele fece passare il disegno di legge sull’ “hate speech”, che ha criminalizzato le critiche al trattamento genocida che Israele riserva ai Palestinesi e al costante furto della loro terra.
In meno di un anno, il Presidente Obama ha tradito tutti i suoi sostenitori e rotto tutte le sue promesse. Obama è il prigioniero dell’oligarchia degli imperanti gruppi d’interesse. A meno che venga salvato da un evento orchestrato tipo l’11 Settembre, la presidenza Obama non durerà più di un termine. In realtà, l’economia al collasso lo dannerà indipendentemente da un “attacco terrorista”.
I Repubblicani stanno preparando la Palin. La nostra prima presidentessa femmina, dopo il nostro primo presidente nero, completerà la transizione ad uno stato di polizia Americano arrestando i critici e i contestatori dell’immorale politica estera e domestica di Washington, e la Palin completerà così la distruzione della reputazione Americana all’estero.
La Russia di Putin ha già paragonato gli USA alla Germania Nazista, e il premier Cinese ha paragonato gli USA ad un debitore irresponsabile e immorale.
In modo sempre più crescente il resto del mondo vede gli USA come l’unica fonte di tutti i suoi problemi. La Germania ha perso il capo delle sue forze armate e il suo ministro della difesa, perchè gli USA convinsero o premettero, in un modo o nell’altro, il governo Tedesco a violare la propria Costituzione e mandare truppe a combattere per gli interessi della Unocal in Afghanistan. I Tedeschi hanno fatto finta che le loro truppe non stavano davvero combattendo, ma che fossero impegnati in una “operazione di peace-keeping”. Questo ha funzionato più o meno finchè i Tedeschi hanno ordinato un’attacco aereo che ha ucciso oltre 100 donne e bambini che aspettavano in fila per un pò di carburante.
Gli Inglesi stanno indagando sul loro capo criminale, l’ex primo ministro Tony Blair, e l’inganno che mise in piedi contro il suo stesso consiglio dei ministri per fornire una scusa a Bush per la sua invasione illegale dell’Iraq. Agli investigatori Inglesi è stata negata l’abilità di presentare accuse penali, ma la questione della guerra basata interamente su una macchinazione di bugie e inganni sta venendo ben diffusa. Riecheggierà per tutto il pianeta, e il mondo vedrà che non esiste un’indagine simile negli USA, il paese da dove ebbe origine la Guerra Falsa.
Nel frattempo, le banche d’investimento USA, che hanno distrutto la stabilità finanziaria di molti governi, incluso quello degli USA, continuano a controllare, come hanno sempre fatto fin dall’amministrazione Clinton, la politica economica e finanziaria degli USA. Il mondo ha sofferto in modo terribile per i gangsters di Wall Street, e adesso guarda all’America con un occhio critico.
Gli Stati Uniti non suscitano più il rispetto che suscitavano sotto il Presidente Ronald Reagan o il Presidente George Herbert Walker Bush. I sondaggi nel mondo mostrano che gli USA e il suo capo-fantoccio vengono visti come le due più grandi minacce per la pace. Washington e Israele superano nella lista dei più pericolosi il regime pazzoide della Nord Korea.
Il mondo sta iniziando a vedere l’America come un paese che deve andarsene via. Quando il dollaro sarà sovra-inflazionato da una Washington incapace di pagare i suoi conti, il mondo sarà motivato dall’avidità e cercherà di salvarci per salvare i suoi investimenti, oppure dirà, grazie a Dio, che liberazione.
Fonte: InformationClearingHouse
Traduzione: saigon2k.altervista.org (http://saigon2k.altervista.org/)
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L’Uomo-di-Pace Obama ha un regalo natalizio per l’Afghanistan
(http://saigon2k.altervista.org/?p=438)
Postato il 03 dicembre 2009 da Redazione
Buone Feste: Il Presidente e Uomo-di-Pace Obama ha un regalo natalizio per l’Afghanistan
Fonte: ThisCantBeHappening
Traduzione: saigon2k.altervista.org (http://saigon2k.altervista.org/)
di Dave Lindorff
1 Dicembre 2009 — Buon Natale soldati! L’Uomo di Pace, il Premio Nobel, Presidente Barack Obama, il vostro comandante-in-capo e gallina-da-combattimento, vi sta spedendo come regalo natalizio al popolo dell’Afghanistan.
E voi consegnerete per il 25 Dicembre proiettili e bombe, con sopra il mio nome e il nome degli altri contribuenti Americani, al da-tempo-sofferente popolo dell’Afghanistan, questo secondo quanto annunciato alla nazione in un discorso dato a West Point l’altra notte dal Signor “Speranza e Cambiamento”.
(Vittime dei bombardamenti americani in Afghanistan)
(Vittime dei bombardamenti americani in Afghanistan)
Mentre qui in America, la terra dei liberi e coraggiosi, verranno le vacanze, e cercheremo di mettere insieme i soldi per comprare piccoli regali per i nostri figli, possibilmente senza dover evitare di pagare l’affitto o una rata del mutuo. Per nostra fortuna, abbiamo i Food Stamps [Ndr. una sorta di ticket per comprare cibo], che stanno, ci dicono, invadendo i sobborghi, e “non sono più uno stigma”, quindi non avremo troppi problemi per la cena di Natale—anche se i Food Stamps non possono ancora venire usati per comprare lo zabaione.
Sarà interessante sentire i vostri comandanti dirvi qual’è la vostra missione. Il presidente sta dicendo che dobbiamo tenere Al Qaeda fuori dall’Afghanistan, che in modo disonesto ha definito “l’epicentro” del terrorismo globale, ma da quel che ho sentito, non ci sono agenti di Al Qaeda nel paese. Se ne sono tutti andati via per pascoli più verdi—in posti come il Pakistan, la Somalia, e forse l’Europa e gli USA. Diamine, possono andare dove gli pare. Come fai comunque a riconoscere un membro di Al Qaeda ? I tipi che salirono sul volo di Boston l’11-9 erano perfettamente rasati e vestivano magliette Brooks Brothers, e assomigliavano più a dei commercianti che a dei bombaroli.
No, invece voi andrete a colpire i Taliban. Ma i Taliban sono Afghani, e hanno lo stesso aspetto delle persone che non sono Taliban, quindi quel che farete molto probabilmente per la metà del tempo sarà sparare contro semplici contadini e bottegai Afghani, o partecipanti di matrimoni e funerali, con i parenti infuriati che poi cercheranno vendetta preparando trappole o imboscate per voi.
Da quel che ho sentito, noi contribuenti pagheremo oltre 1 milione di dollari per ognuno di voi per ogni anno che verrete spediti in Afghanistan. Ovviamente voi non vedrete la maggior parte di quei soldi, (la maggior parte dei quattrini finirà agli affaristi-della-guerra che producono le vostre uniformi, la vostra pistola, i vostri proiettili, mezzi di trasporto etc.), ma forse vi farà sentir bene sapere che viene fatto un così grande investimento su di voi.
E verrete anche chiamati “i nostri eroi”. Non so perchè. Voglio dire, ci vuole un pò di coraggio per registrarsi ad un gruppo come i Marines, lo so (mio padre fu volontario per i Marines nella Seconda Guerra Mondiale). Ma non capisco cosa ci sia di eroico nel fare parte della meglio armata, meglio addestrata forza di combattimento nella storia dell’umanità, e andare a combattere contro un gruppo di contadini poveri, senza istruzione, armati al massimo con dei Kalashnikovs e esplosivi fatti in casa—specialmente considerato che voi ragazzi superate di numero il vostro nemico con una proporzione di 10 a 1, e avete il sostegno completamente senza rivali della forza aerea—F-16, elicotteri da combattimento, gunships ad ala fissa e bombardieri B-1.
Questa non è una battaglia. E’ una carneficina.
Ho avuto un assaggio di questo quando ho portato mio figlio e un suo amico all’Army Experience Center, un centro sperimentale di reclutamento nel Northeast Philadelphia, dove abbiamo avuto l’opportunità di guidare la riproduzione di un Humvee e sfrecciare attraverso un villaggio simulato, sparando con la torretta mitragliatrice contro presunti guerriglieri Talebani, che ne sbucavano fuori dal nulla, oppure sistemavano IED [Ndr. ordigni esplosivi improvvisati] sulla nostra strada. Alla fine della corsa, un reclutatore e veterano della guerra in Iraq ci ha fatto le congratulazioni, per l’alto numero delle nostre uccisioni e per la bassa percentuale di “errori” (25%)—questi erano il numero di civili, generalmente donne e bambini, che abbiamo sparato nella nostra fretta di essere i primi ad aprire il fuoco. Ci è stato detto che un simile “danno collaterale” è da mettere in conto in una guerra.
Buon Compleanno Afghanistan!
Barack Obama dice che voi andrete a stabilizzare l’Afghanistan e a tenere i Taliban lontani abbastanza a lungo finchè il popolo dell’Afghanistan non si sarà creato un governo vero, e un esercito abbastanza addestrato che prenderà il vostro posto.
Abbiamo già sentito una simile favoletta da un altro presidente della “pace”, Lyndon Johnson. Il giorno di Pasqua fece il suo discorso dove annunciò di spedire due divisioni di Marine e sette dell’Esercito in Vietnam, dicendo che stavano andando solo per proteggere il popolo e permettere al governo Sud Vietnamita di migliorare il proprio esercito di modo che potesse combattere contro gli altri Vietnamiti che tentavano di rovesciarlo. Dieci anni dopo circa 2 milioni di quei Vietnamiti erano morti, la maggior parte per mano dei nostri “eroi”.
Buona Pasqua, Vietnam.
Quindi quando sarete laggiù, cercate di uccidere meno Afghani che potete. Questo sarebbe un genuino atto di eroismo. O semplicemente rifiutatevi di andare. Questo sarebbe ancora più eroico.
Non credete al vostro comandante-in-capo quando dice che laggiù state difendendo l’America. Sono sicuro che vedrete molto velocemente una volta che siete lì che la nozione secondo cui quella povera gente potrebbe in qualche modo essere una minaccia per questa nazione è oltremodo ridicola.
No, quel che andrete a difendere sarà il piano del vincitore del Nobel per la Pace Barack Obama per apparire un duro per quanto riguarda la difesa, ed essere in grado di spingere questa brutta e insensata guerra oltre le elezioni del 2012, senza dover fare la parte del “presidente che perse l’Afghanistan”. Voi difenderete la sua intenzione di vincere contributi per la campagna elettorale dai costruttori militari come Boeing e Northrop Grumman. Voi difenderete la miriade di membri del Congresso che diedero voti vigliacchi e stupidi nel 2001 per sottoscrivere la dichiarazione di una Guerra Globale al Terrore del Presidente George Bush e del Vice Presidente Dick Cheney—una finta “guerra” che è stata adesso adottata dal Presidente Obama.
Buona fortuna laggiù nell’Hindu Kush. Spero che non verrete uccisi o feriti, ma allo stesso tempo, non posso dire di augurarvi successo, perchè il successo, come definito dal vostro comandante-in-capo, sembra essere il massacro di molti Afghani innocenti, e l’ulteriore difesa di un brutale governo di narco-stato in una delle nazioni più povere del mondo.
No, il mio desiderio è che voi e i vostri amici torniate a casa presto, e prima di fare ciò ammazziate il meno possibile.
Buon Natale.
Fonte: ThisCantBeHappening
Traduzione: saigon2k.altervista.org (http://saigon2k.altervista.org/)
zerothehero
11-12-2009, 07:59
Quante schiocchezze in quell'articolo.
E' Obama (che non è e non sarà mai un "pacifista", la pace di per sè non significa nulla in politica) a non voler riportare immediatamente le truppe a casa, mica la lobby del Pentagono. :sofico:
Oggi, mentre leggevo le varie news ed editoriali relativi ad Obama sui giornali nostrani ho notato che praticamente tutti erano concordi che il nuovo presidente semplicemente non ha abbastanza potere (sia perché il supporto da parte del congresso è insufficiente, sia perché gli stati esteri non vogliono collaborare, sia perché anche la popolazione stessa non lo sopporta più come all'inizio) per mettere in atto tutte le riforme che aveva in mente (e che, da quello che ho capito, ha davvero intenzione di applicare).
Quindi mi chiedevo, sarebbe fattibile per Obama fare un colpo di stato ed acquisire con la forza il potere che necessita per mettere in pratica tutte le riforme ed i miglioramenti che ha in mente?
Altrimenti, avrebbe altri metodi per avere tale potere?
Ad Obama ci vorranno anni per correggere 10 anni d'incultura diffusa da Bush.
E pensa a quanti anni ci vorranno in Italia per correggere 15 anni di incultura diffusa da Berlusconi...
Forse ne verremo fuori nel 2030-40!
Obama mica è un alieno..si iscrive sempre nella tradizione americana.
Ma dai.....non ci arrivava nessuno :D
Questo cmq dimostra quanto siano idioti quelli che sostengono "MAOBAMA" e simili sciocchezze.
http://feralpatriot.com/images/2009/02/chairman_maobama.jpg
E poi sulla guerra dice cose giuste. :O
Nel senso di "sensate" sicuramente, ma fa un po' sorridere che sia stato insignito del premio Nobel PREVENTIVO :asd: per la pace.
Dreammaker21
11-12-2009, 09:00
Ho letto gli articoli, mi paiono piuttosto futili, inconcludenti ed inutili.
Poi questo non significa che le Lobby non esercitino forti pressioni, ma gli articoli mi paiono fuffa.
Rei & Asuka
11-12-2009, 10:44
E' più probabile che succeda il contrario... Cioè i Repubblicani se lo levino di torno, che un colpo di stato...
Non credo sia possibile che un presidente USA possa con un atto di forza ottenere più potere di quello che già ha, e che è enorme rispetto ad un capo dell'esecutivo di un qualsiasi paese europeo.
Inoltre, anche se uno ci provasse, dovrebbe avere l'appoggio dell'esercito (è una premessa nei colpi di stato), e solitamente i militari sono più filo-repubblicani.
Poi gli USA sono troppo grandi. In realtà non è uno stato, ma una federazione di stati, ognuno con una sua notevole autonomia legislativa e organizzativa, comprese forze armate locali di polizia.
Al più, e di ciò se ne parlave in un libro mi pare (non ricordo il titolo), potrebbe accadere che in un futuro caratterizzato da condizioni socio-politico-economiche particolari si abbia un nuovo tentativo di secessione, cioè una riedizione della guerra civile di metà ottocento tra nord e sud.
Ovvero qualche stato o una parte di essi potrebbe volersi staccare dall'unione dando vita ad un nuovo soggetto. Non è nemmeno detto che debba nascere una guerra, in quanto la cosa potrebbe risolversi pacificamente.
Ma al momento anche questo rischio mi pare trascurabile, proprio perché ogni stato alla fine ha il suo buon grado di autonomia.
Gnubbolo
11-12-2009, 12:10
gli USA hanno una costituzione "rivoluzionaria", ogni cittadino ha il diritto di possedere armi con lo scopo, sottinteso, di poter rovesciare i governi oligarchici.
quando verrà abolito vorra dire che lo stato di polizia è pienamente operante.
zerothehero
11-12-2009, 13:36
Obama's speech.
Vostre Maestà, vostra Altezza Reale, Onorevoli Membri del Comitato Norvegese del Premio Nobel, cittadini d’America e cittadini del mondo:
ricevo questo onore con profonda gratitudine e grande umiltà. È un riconoscimento che parla alle nostre più alte aspirazioni – quella che per quanto grandi siano la crudeltà e le difficoltà del nostro mondo, noi non siamo prigionieri del fato. Le nostre azioni hanno un peso e possono indirizzare la storia nella direzione della giustizia.
Tuttavia, peccherei di negligenza se non ammettessi che la vostra generosa decisione ha sollevato una notevole controversia. In parte dovuta al fatto che io sono all’inizio, e non alla fine, del mio impegno sul palcoscenico del mondo. Rispetto ad alcuni giganti della storia che hanno ricevuto questo premio – Schweitzer e King, Marshall e Mandela – le mie conquiste sono minime. E poi nel mondo ci sono uomini e donne che sono stati imprigionati e battuti nella loro ricerca delle giustizia; e quelli che si impegnano allo stremo nelle organizzazioni umanitarie per alleviare le sofferenze; e i milioni di persone i cui silenziosi atti di coraggio e di compassione riescono a toccare perfino i più cinici. Non posso controbattere niente a coloro che trovano questi uomini e queste donne – alcuni noti, altri sconosciuti tranne che a coloro che essi aiutano – di gran lunga più meritevoli di questo onore di quanto possa esserlo io.
Ma forse l’obiezione più seria che viene fatta la mia accettazione di questo premio è il fatto che io sia il comandante il capo di una nazione che si trova nel mezzo di due guerre. Una delle quali sta volgendo alla sua conclusione. L’altra è un conflitto che l’America non si è andata a cercare; una guerra nella quale siamo affiancati da quarantatre nazioni, inclusa la Norvegia, nello sforzo di difendere noi stessi e tutte le nazioni da ulteriori attacchi.
Tuttavia, siamo in guerra, e io sono responsabile dell’invio di migliaia di giovani americani a fare la guerra in terre lontane. Alcuni uccideranno. Alcuni saranno uccisi. Perciò sono qui dolorosamente consapevole dei costi di un conflitto armato – peno di interrogativi difficili sulla relazione tra guerra e pace, e sul nostro sforzo di sostituire l’una con l’altra.
Questi interrogativi non sono nuovi. La guerra, in una forma o nell’altra, comparve insieme al primo uomo. All’alba della storia non era messa in discussione la sua moralità: era semplicemente un dato di fatto, come la siccità o la malattia – il modo in cui le tribù e dopo le società civili cercavano di ottenere il potere e sistemare le loro controversie.
Nel tempo, così come i codici e le leggi tentarono di controllare la violenza all’interno delle comunità, così anche i filosofi, i religiosi e gli uomini di stato cercarono di regolamentare il potere distruttivo della guerra. Emerse il concetto di “guerra giusta” che suggeriva che la guerra è giustificato solo quando soddisfa certe precondizioni: se viene combattuta come estrema risorsa o per autodifesa; se la forza usata è proporzionale e se, quando sia possibile, i civili vengano risparmiati dalla violenza.
Per la maggior parte della storia questo concetto di guerra giusta è stato raramente rispettato. L’abilità degli esseri umani di concepire nuovi metodi per uccidersi a vicenda si è dimostrata inesauribile, come lo è stata la nostra capacità di escludere dalla nostra misericordia coloro che hanno un aspetto diverso dal nostro o pregato un Dio diverso. Le guerre tra eserciti aprirono la strada alle guerre tra nazioni – guerre totali nelle quali la distinzione tra combattenti e civili divenne sempre più confusa. Nel giro di trent’anni la carneficina avrebbe inghiottito ben due volte questo continente. E se resta difficile concepire una causa più giusta della sconfitta del Terzo Reich e delle potenze dell’Asse, la Seconda guerra Mondiale è stato un conflitto nel quale il numero totale dei civili che furono uccisi supera il numero dei soldati in combattimento.
In seguito a tale distruzione e con l’avvento dell’era nucleare, divenne chiaro sia ai vincitori sia agli sconfitti che il mondo aveva bisogno di istituzioni che impedissero un’altra guerra mondiale. Fu così che un quarto di secolo dopo che il Senato degli Stati Uniti aveva rifiutato la Lega delle Nazioni – un’idea per la quale Woodrow Wilson ricevette questo stesso premio – l’America condusse il mondo verso la costruzione di un’architettura che consentisse di mantenere la pace: il Piano Marshall e le Nazioni unite, meccanismi per governare la conduzione delle guerre, trattati per proteggere i diritti umani, impedire i genocidi e limitare l’uso delle armi più micidiali.
Questi sforzi ebbero successo in più di un’occasione. Certo, si sono combattute guerre terribili e sono state commesse atrocità. Ma non c’è stata una Terza Guerra Mondiale. La Guerra Fredda si è conclusa con folle festanti che hanno tirato giù un muro. I commerci hanno ricucito i lembi di gran parte del mondo. Miliardi di persone si sono rialzate dalla povertà. Gli ideali di libertà, autodeterminazione, uguaglianza e predominio della legge, seppure a fatica, si sono fatti strada. Noi siamo gli eredi della fortezza d’animo e della lungimiranza delle generazioni passate, ed è un’eredità di cui il mio Paese va giustamente fiero.
Appena un decennio del nuovo millennio è passato e questa vecchia architettura sta già scricchiolando sotto il peso di nuove minacce. Forse il mondo non rabbrividisce più alla prospettiva di un conflitto nucleare tra due superpotenze, ma la proliferazione di armi atomiche può aumentare il rischio di una catastrofe.
Da molto tempo il terrorismo è una tattica, ma la tecnologia moderna permette a pochi, piccoli uomini animati da un furore smisurato di uccidere orribilmente innocenti su larga scala.
Inoltre le guerre tra nazioni sono sempre più sostituite da guerre interne alle nazioni stesse. Il riacutizzarsi di conflitti etnici o tra fazioni; la nascita di movimenti secessionisti, rivolte e stati non realizzati, sempre più hanno intrappolato i civili in uno stato di caos senza fine. Nelle guerre contemporanee vengono uccisi molti più civili di militari; vengono sparsi i semi di futuri ulteriori conflitti, le economie collassano, le società civili vengono dissestate, i rifugiati si ammassano, i bambini portano i segni di quelle ferite.
Oggi non sono venuto a portare una soluzione definitiva ai problemi della guerra. Quello che so bene, invece, è che affrontare queste sfide richiederà la stessa capacità di visione, lo stesso duro lavoro e determinazione di quegli uomini e donne che decenni fa agirono con tanto coraggio. E questo ci imporrà di ripensare in nuovi modi le nozioni di guerra giusta e gli imperativi di una pace giusta.
Dobbiamo incominciare riconoscendo una dura verità, e cioè che non riusciremo a eradicare i conflitti violenti nell’arco della nostra vita. Ci saranno ancora tempi in cui le nazioni – agendo individualmente o in concerto con le altre – riterranno l’uso della forza non solo necessario ma moralmente giustificabile.
Faccio questa considerazione ricordando quanto Martin Luther King disse in occasione di questa stessa cerimonia molti anni fa: “La violenza non porta mai una pace permanente. Non risolve alcun problema sociale: semplicemente ne crea di nuovi e più complicati”. Da uomo che si trova qui come diretta conseguenza del lavoro di una vita del dottor King, io sono la testimonianza vivente della forza morale della non violenza. E so che non c’è niente di debole, niente di passivo, niente di naif, nel credo e nelle vite di Gandhi e di King.
Ma da capo di stato che ha fatto giuramento di proteggere e difendere la propria nazione , non posso farmi guidare esclusivamente dal loro esempio. Affronto il mondo per quello che è, e non posso rimanere inerte davanti alle minacce contro il popolo americano. Perché attenzione, non commettiamo errori: il male esiste nel mondo. Un movimento non violento non sarebbe riuscito a fermare le armate di Hitler.
I negoziati non riescono a convincere i capi di al Quaeda a deporre le armi. Dire che la forza qualche volta è necessaria non è prova di cinismo, è prendere atto della storia; delle imperfezioni dell’uomo e dei limiti della ragione.
Sollevo questo punto perché in molte nazioni oggi è presente una profonda ambivalenza sull’azione militare, a prescindere dalle cause. A volte questo sentimento si accompagna al clima di sospetto nei riguardi dell’America, l’unica superpotenza militare del mondo.
Il mondo deve ricordare che non sono state solo le istituzioni internazionali – non solo i trattati e le dichiarazioni – che hanno portato la stabilità al mondo postbellico della Seconda Guerra Mondiale. Qualsiasi errore possiamo aver fatto la semplice realtà è questa: gli Stati uniti d’America hanno contribuito a garantire la sicurezza globale per oltre sei decenni con il sangue dei nostri cittadini e la forza delle nostre armi. Il servizio e il sacrificio dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme hanno portato pace e prosperità dalla Germania alla Corea e hanno favorito l’affermazione della democrazia in luoghi come i Balcani. Abbiamo portato questo peso non perché vogliamo imporre la nostra volontà. Lo abbiamo fatto non per illuminato interesse personale, ma perché vogliamo un futuro migliore per i nostri figli e i nostri nipoti, e crediamo che le loro vite saranno migliori se i figli e i nipoti di altri popoli potranno vivere in libertà e prosperità.
Perciò, sì, gli strumenti di guerra certamente hanno un ruolo da giocare nel mantenimento della pace. Tuttavia questa verità deve coesistere con un’altra verità: che, non importa quanto sia giustificabile, la guerra promette tragedie umane. Il coraggio e il sacrificio del soldato è pieno di gloria, esprime devozione verso il proprio paese, alla causa e ai propri commilitoni. Ma la guerra in sé non è mai gloriosa, e non dobbiamo mai sbandierarla come se lo fosse.
Quindi parte della nostra sfida è riconciliare queste due verità apparentemente inconciliabili, cioè che la guerra qualche volta è necessaria, e che la guerra è, a un certo livello, espressione dei sentimenti umani. In concreto dobbiamo indirizzare i nostri sforzi verso il compito cui il presidente Kennedy ci richiamò tanto tempo fa. “Concentriamoci”, disse, “su una pace più pratica, più raggiungibile, basata non su una improvvisa rivoluzione nella natura umana ma su una graduale evoluzione nelle istituzioni umane”.
Come sarà questa evoluzione? Quali saranno questi passi pratici?
Per incominciare, credo che tutte le nazioni, tanto quelle forti che quelle più deboli, debbano adeguarsi agli standard che regolamentano l’uso della forza. Io – come qualsiasi capo di Stato – mi riservo il diritto di agire unilateralmente se necessario per difendere la mia nazione. Cionondimeno ritengo che attenersi a uno standard rafforzi coloro che lo fanno e isolo, e quindi indebolisca, coloro che lo rifiutano.
Il mondo si è stretto attorno all’America dopo gli attacchi dell’11 settembre e continua a sostenere i nostri sforzi in Afghanistan, per l’orrore di quegli attacchi insensati e per il principio riconosciuto dell’autodifesa. Nello stesso modo il mondo ha riconosciuto la necessità di affrontare Saddam Hussein quando invase il Kuwait, un consenso che ha mandato un messaggio forte a tutti sul costo di un’aggressione.
Inoltre, l’America non può pretendere che gli altri seguano le regole della strada se rifiuta di seguirle lei per prima. Perché quando non lo facciamo, la nostra azione può apparire arbitraria e minare la legittimità di nostri futuri interventi, a prescindere da quanto possano essere giustificati.
Questo diventa particolarmente importante quando lo scopo dell’azione militare va oltre l’autodifesa o la difesa di una nazione che viene aggredita. Sempre più frequentemente ci troviamo ad affrontare difficili interrogativi sul come impedire il massacro di civili da parte del loro stesso governo, o fermare una guerra civile la cui violenza e le cui sofferenze dilagano in un’intera regione del mondo.
Io credo che la forza possa essere giustificata per scopi umanitari, come è stato per i Balcani, o in altri posti che sono stati sconvolti dalla guerra. L’inazione grava sulle nostre coscienze e può indurre a interventi tardivi molto più costosi. Questo è il motivo per cui tutte le nazioni responsabili devono assumersi il ruolo che eserciti con un mandato chiaro e preciso possono svolgere per mantenere la pace.
L’impegno dell’America per la sicurezza globale non verrà mai meno. Ma in un mondo in cui le minacce sono sempre più diffuse e le missioni più complesse, l’America non può agire da sola. Questo vale per l’Afghanistan. Questo vale per stati allo sbando come la Somalia, dove il terrorismo e la pirateria si accompagnano alla carestia e alle sofferenze umane. E, purtroppo, continuerà ad essere così in regioni instabili per gli anni a venire.
I leader e i soldati dei paesi della Nato – e altri amici e alleati – dimostrano questa verità con le capacità e il coraggio che hanno dimostrato in Afghanistan. Ma in molti paesi si è verificata una sconnessione tra gli sforzi di coloro che sono impegnati militarmente e i sentimenti ambivalenti dell’opinione pubblica. Io comprendo i motivi per cui la guerra non è popolare. Ma so anche questo: credere semplicemente che la pace sia desiderabile non è sufficiente per conquistarla. La pace richiede senso di responsabilità. La pace richiede sacrifici. Per questo la NATO continua a essere indispensabile. Per questo dobbiamo rafforzare le Nazioni unite e il pacekeeping nelle regioni del mondo, e non lasciare che siano pochi paesi a farsene carico. Per questo rendiamo onore a chi ritorna a casa dalle missioni di peacekeeping e di addestramento, e tornano a Oslo e a Roma, a Ottawa e Sydney, a Dhaka e a Kigali, e li onoriamo non come costruttori di guerra ma costruttori di pace.
Consentitemi un’ultima considerazione sull’uso della forza. Anche quando prendiamo decisioni difficili sull’entrare in guerra, dobbiamo anche riflettere con chiarezza a come la combattiamo. Il Comitato del Premio Nobel ha riconosciuto questa verità nell’assegnare il premio per la pace a Henry Dunant, il fondatore della Croce Rossa, e una forza propulsiva dietro alle Convenzioni di Ginevra.
Quando la forza si rende necessaria abbiamo un interesse morale e strategico in attenerci strettamente a certe regole di condotta. E perfino quando affrontiamo un nemico malvagio che non rispetta alcuna regola, io credo che gli Stati Uniti d’America debbano rimanere i portabandiera nella conduzione di una guerra. È questo che ci fa diversi da coloro contro i quali combattiamo. È questa la sorgente della nostra forza. È per questo che io ho proibito la tortura. È per questo che ho ordinato la chiusura del carcere di Guantanamo Bay. Ed è per questo che ho riconfermato l’impegno dell’America a rispettare le convenzioni di Ginevra. Siamo destinati a perdere noi stessi quando compromettiamo proprio gli ideali per difendere i quali combattiamo. E rendiamo onore a quegli ideali sostenendoli non solo quando è facile, ma quando è difficile.
Ho parlato delle questioni che dobbiamo soppesare con la mente e con il cuore quando scegliamo di fare una guerra. Ma permettetemi ora di affrontare i nostri sforzi per evitare queste scelte drammatiche e di esporvi i tre modi con cui noi possiamo costruire una pace giusta e duratura.
Primo: nel trattare con quelle nazioni che infrangono regole e leggi, credo che dobbiamo sviluppare alternative all’uso della violenza che siano sufficientemente convincenti da fargli cambiare comportamento – perché se vogliamo una pace duratura, allora le parole dette dalla comunità internazionale devono pur significare qualcosa. Quei regimi che infrangono le regole devono renderne conto. Le sanzioni devono stabilire ed esigere il giusto prezzo. L’intransigenza si può ottenere esercitando pressioni crescenti, e tali pressioni funzionano solo se il mondo agisce come un sol uomo.
Un esempio pressante è lo sforzo di impedire la diffusione di armi nucleari, e cercare di costruire un mondo dove non ne esistono più. Alla metà del secolo scorso le nazioni concordarono di vincolarsi ad un trattato di non proliferazione il cui obiettivo era semplice: tutti avranno diritto al libero accesso al nucleare per fini pacifici; coloro che non dispongono di armamenti nucleari rinunceranno a dotarsene; e coloro che ne dispongono lavoreranno in direzione del disarmo. Io sono impegnato a rispettare questo trattato. È il caposaldo della mia politica estera. E sto lavorando con il presidente Medvedev per ridurre gli armamenti nucleare dell’America e delle Russia.
Ma è imperativo per tutti noi insistere che nazioni come l’Iran e la Corea del Nord non mettano a rischio il sistema. Quelli che proclamano di rispettare le leggi internazionali n on possono girare gli occhi quando quelle leggi vengono derise. Quelli che hanno a cuore la propria sicurezza non possono ignorare il pericolo di una corsa agli armamenti nel medio Oriente e nell’Asia dell’Est. Quelli che vogliono la pace non possono starsene inerti mentre delle nazioni si armano per una guerra nucleare.
Lo stesso principio vale per coloro che violano le leggi internazionali brutalizzando il loro stesso popolo. Quando in Darfur c’è il genocidio; lo stupro sistematico nel Congo, o la repressione a Burma, ci devono essere adeguate conseguenze. E più uniti saremo meno saremo costretti a dover scegliere tra intervento armato e complicità nell’oppressione.
Questo mi conduce ad un secondo punto, la natura della pace che andiamo cercando. Perché la pace non è semplicemente l’assenza di un conflitto visibile. Solo una pace giusta basata sui diritti inalienabili e la dignità di ogni singola persona può essere davvero durevole.
Fu questa acuta intuizione che guidò coloro che redassero la dichiarazione universale dei diritti umani dopo la Seconda Guerra Mondiale. Di fronte a tanta devastazione riconobbero che se i diritti umani non vengono tutelati la pace è una vuota promessa.
E tuttavia queste parole troppo spesso vengono ignorate. In alcuni paesi il non rispetto dei diritti umani viene giustificato con la falsa spiegazione che sono principi occidentali, estranei alle culture locali o a una certa fase dello sviluppo della nazione. E, per rimanere in America, a lungo c’è stata tensione tra coloro che si definiscono realisti e coloro che si definiscono idealisti, una tensione che presuppone una scelta netta tra il mero perseguimento dei propri interessi o un’infinita campagna per imporre i nostri valori.
Io rifiuto questa scelta. Io credo che la pace sia instabile dove ai cittadini viene negato il diritto di esprimersi liberamente o professare la propria fede; scegliere i loro governanti o riunirsi senza paura. Reprimere le dimostrazioni di protesta le inasprisce e la soppressione dell’identità tribale e religiosa può condurre alla violenza. Sappiamo che l’opposto è altrettanto vero. Solo quando l’Europa fu libera trovò finalmente la pace. L’America non ha mai condotto una guerra contro una democrazia, e i nostri amici più stretti sono governi che prteggono i diritti dei loro cittadini. A prescindere dalla durezza con cui vengono definiti, né gli interessi dell’America né quelli del mondo traggono vantaggio dalla negazione delle aspirazioni umane. --> questo è proprio "americano", da destino manifesto.
Così, anche se noi rispettiamo le culture peculiari e le tradizioni di paesi diversi dai nostri, l’America avrà sempre voce per quelle aspirazioni che sono universali. Saremo testimoni della quieta dignità di riformatori come Aung Sang Suu Kyi; o del coraggio del popolo dello Zimbabwe che depone il suo voto nell’urna davanti ai pestaggi; delle centinaia di migliaia che hanno marciato silenziosamente nelle strade dell’Iran. È significativo che i leader di questi governi temano le aspirazioni del loro stesso popolo più del potere di qualsiasi altra nazione. Ed è responsabilità di tutte le persone libere e di tutte le nazioni libere far comprendere chiaramente a questi movimenti che la speranza e la storia stanno dalla loro parte.
Permettete che aggiunga questo: la promozione dei diritti umani non può limitarsi alla pura esortazione. Ci sono momenti in cui deve associarsi al lavoro meticoloso della diplomazia. So che l’impegno con regimi repressivi è privo della purezza remunerante dell’indignazione. Ma so anche che le sanzioni senza prospettive – e la condanna senza discussioni – può portare a un paralizzante status quo. Nessun regime repressivo può incamminarsi su una strada nuova a meno che abbia la scelta di imboccare una porta aperta.
Alla luce degli orrori della Rivoluzione Culturale, l’incontro di Nixon con Mao apparve imperdonabile – e tuttavia aiutò sicuramente a instradare la Cina su un cammino nel quale milioni di suoi cittadini sono usciti dalla povertà e sono entrati in contatto con società aperte. L’impegno di Papa Giovanni Paolo con la Polonia ha creato uno spazio non solo per la chiesa cattolica ma anche per leader dei lavoratori come Lech Walesa. Gli sforzi di Ronald Reagan sul controllo degli armamenti e il sostegno alla perestrojka non solo ha migliorato le relazioni con l’Unione Sovietica, ma ha rafforzato anche i dissidenti in tutta l’Europa dell’Est. Non esiste una formula semplice. Ma dobbiamo provare a fare del nostro meglio per bilanciare isolamento e impegno; pressioni e incentivi, in modo tale che diritti umani e dignità progrediscano.
Terzo: una pace giusta non implica solo diritti civili e politici – deve comportare anche sicurezza economica e opportunità. Perché una pace vera non è soltanto essere liberi dalla paura, ma essere liberi dal bisogno.
Indubbiamente lo sviluppo raramente ha salde radici senza la sicurezza; ma è altrettanto vero che la sicurezza non esiste dove gli esseri umani non hanno accesso al cibo necessario, o ad acqua pulita, o alle medicine che servono per sopravvivere. Non esiste dove i bambini non possono aspirare a un’educazione accettabile o a un lavoro che gli consenta di sostentare la famiglia. L’assenza di speranza può far marcire una società dall’interno.
E per questo aiutare gli agricoltori a produrre cibo per sfamare la propria gente, o aiutare le nazioni a dare un’istruzione ai loro bambini e prendersi cura dei malati, non è pura carità. Ed è anche un motivo per cui il mondo deve affrontare tutto insieme i cambiamenti climatici. Ci sarà poco da discutere sul piano scientifico se non facciamo niente: andremo incontro a siccità, carestie, grandi spostamenti di masse che alimenteranno ulteriori conflitti per decenni. Per questa ragione non sono soltanto gli scienziati e gli attivisti che invocano un’azione rapida ed efficace, sono i capi militari del mio paese e di altri che hanno compreso che la sicurezza comune è a rischio.
Accordi tra le nazioni. Istituzioni forti. Sostegno ai diritti umani. Investimenti nello sviluppo. Sono tutti ingredienti vitali per produrre l’evoluzione di cui parlava il presidente Kennedy. Tuttavia non credo avremo la volontà o il potere di portare a termine questo lavoro senza qualcos’altro, e cioè la continua espansione della nostra indignazione morale; un’insistenza che esiste qualcosa di irriducibile che tutti dobbiamo condividere.
Mentre il mondo diventa sempre più piccolo, si potrebbe pensare che dovrebbe essere più facile che gli esseri umani riconoscano quanto siamo simili tra di noi; comprendere che in fondo vogliamo tutti la stessa cosa; che tutti desideriamo avere l’opportunità di vivere la nostra vita con un po’ di felicità e soddisfazione per noi e per le nostre famiglie.
E tuttavia, dato il ritmo vertiginoso della globalizzazione e il livellamento culturale della modernità, non sorprende che la gente tema la perdita del portato delle loro identità peculiari, la loro razza, la loro tribù, e, forse con maggior forza, la loro religione. In alcune parti del mondo questa paura ha generato conflitti. A volte sembra perfino che facciamo passi indietro. Lo constatiamo nel Medio Oriente, dal momento che il conflitto tra arabi ed ebrei sembra inasprirsi. Lo vediamo in nazioni lacerate da confini tribali.
Più pericolosamente lo vediamo nel modo in cui la religione viene usata per giustificare l’assassinio di innocenti da parte di coloro che hanno distorto e profanato la grande religione dell’Islam, e che hanno attaccato la mia nazione dall’Afghanistan. Questi estremisti non sono i primi a uccidere nel nome di Dio; le crudeltà delle Crociate sono ampiamente documentate. Ma ci ricordano che nessuna Guerra Santa può essere una guerra giusta. Perché se si crede sinceramente di realizzare la volontà divina, ebbene, allora non ci sarà freno, non ci sarà bisogno di risparmiare la donna che porta un figlio in seno, o il medico, o perfino una persona della tua stessa religione. Una visione così distorta della religione non solo non è compatibile con il concetto di pace, ma con lo scopo della fede stessa, perché l’unico comandamento che riposa al cuore di ogni religione maggiore è fare al tuo prossimo ciò che vorresti fosse fatto a te.
Obbedire a questa legge d’amore è sempre stato il nodo centrale della natura umana. Siamo fallaci. Facciamo errori, e cadiamo vittime della tentazione dell’orgoglio e del potere, e qualche volta del male. Perfino quelli di noi con le migliori intenzioni a volte non riescono a raddrizzare i torti che vediamo davanti ai nostri occhi.
Ma non è necessario pensare che la natura umana sia perfetta per ritenere che la condizione umana sia perfettibile. Non è necessario vivere in un mondo idealizzato per continuare di lottare per quegli ideali che ne faranno un posto migliore. La non violenza praticata da uomini come Gandhi e King può non essere praticabile o possibile in qualsiasi circostanza, ma l’amore che essi hanno predicato, la loro fede nel progresso umano, deve essere la stella polare che ci guida nel nostro viaggio.
Perché se perdiamo quella fede, se la respingiamo perché sciocca o ingenua, se la separiamo dalle decisioni che prendiamo su questioni vitali come guerra e pace, allora noi perderemo la parte migliore della nostra umanità. Perderemo il sentimento della possibilità. Perderemo la bussola morale.
Come altre generazioni anno fatto prima di noi, dobbiamo rifiutare quel futuro. Come il reverendo King disse tanti anni fa, “Io rifiuto di accettare la disperazione come risposta finale alle ambiguità della storia. Rifiuto di accettare che “l’essere” della natura dell’uomo oggi lo renda moralmente incapace di ricercare “il dover essere” che sempre gli starà davanti”.
Allora tentiamo di raggiungere il mondo come dovrebbe essere, quella scintilla di divino che ancora si agita dentro le nostre anime. Oggi, in qualche luogo, un luogo qui e ora, un soldato sa che il nemico ha una potenza di fuoco maggiore rispetto alla sua, ma non cede e resta saldo per mantenere la pace. Oggi, in qualche luogo, una giovane dimostrante si aspetta la brutalità del suo governo ma ha il coraggio di continuare la marcia. Oggi, in qualche luogo, una madre subisce una desolante povertà ma trova il tempo di insegnare al suo bambino, che crede che un mondo crudele ha ancora un posto per i suoi sogni.
Cerchiamo di vivere seguendo il loro esempio. Possiamo anche ammettere che l’oppressione camminerà sempre al nostro fianco, ma continueremo a batterci per la giustizia. Possiamo anche ammettere l’intrattabilità della depravazione, ma continueremo a batterci per la dignità. Possiamo anche comprendere che ci sarà ancora guerra, ma continueremo a batterci per la pace. Lo possiamo fare, perché questa è la storia del progresso dell’umanità; questa è la speranza di tutto il mondo; e, in questo momento di sfida, questo dovrà essere il nostro lavoro qui, sulla Terra.
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