zerothehero
24-02-2009, 12:57
I medici pietosi che si affannano accanto al moribondo Partito democratico, dopo l’ennesimo disastro elettorale e le dimissioni di Veltroni, si dividono sostanzialmente in due scuole: i leaderisti e i politicisti. Formulano due diagnosi diverse e suggeriscono due terapie diverse. I primi, sedotti dalla moda presidenzialista , formula vincente della politica nel nuovo secolo, sostengono che il male del Pd è stata l’inadeguatezza del leader, prigioniero dei cacicchi che lo circondavano. Ritengono che, come in tutte le democrazie moderne, il candidato premier, dopo la sconfitta, avrebbe dovuto dimettersi subito e che il ricambio del segretario e il rinnovamento della classe dirigente del partito sia la vera ricetta per guarire il malato. Insomma, facce nuove, con un’età più verde e con il volto meno segnato dalle ferite di antiche battaglie.
I secondi , più sensibili alla lezione dei numeri e della storia, anche recente, nel nostro Paese, pensano invece che si debba innanzitutto ricostruire un solido partito socialdemocratico che arrivi, da solo, almeno al 30-35% dei consensi.
Giunti a quella soglia si vedrà come ristabilire un’alleanza con tutte le sinistre per sperare di giungere al fatidico 51% . Così i leaderisti si entusiasmano di fronte a ogni fuoco fatuo che si accende nel cimitero della sinistra italiana, in una patetica galleria di improbabili nuove star della politica. E i politicisti affidano al bravo e simpatico Bersani, che non meriterebbe una sorte così ingrata, il compito sul quale si è già immolato il povero Fassino.
L’impressione è che i medici pietosi, come dice il proverbio, servano solo ad allungare l’agonia del malato. Le loro terapie saranno forse necessarie, ma sicuramente non sono sufficienti, perché le loro diagnosi si ostinano a ignorare la verità e le loro ricette parlano agli italiani con un linguaggio ormai sconosciuto.
Il punto di partenza, se quei medici non vogliono più cullarsi nell’illusione consolatoria, è la comprensione di quanto è successo quasi un anno fa. L’esito delle elezioni non ha segnato solo la sconfitta di un candidato della sinistra, ma la ricomposizione, sotto le bandiere di Berlusconi, di quel blocco sociale e politico che ha consentito alla Dc di governare l’Italia per i primi 45 anni della storia repubblicana. Con una sola variante: l’assorbimento, nella maggioranza moderata del Paese, dell’eredità postfascista e la contemporanea espulsione della sinistra cattolica. Un cambiamento, peraltro, che uniforma in una fisionomia europea quella che era un’anomalia del nostro sistema politico rispetto alle altre democrazie occidentali.
Per la sinistra italiana, perciò, il rischio non è di una fisiologica alternanza al potere, come si è verificata nella seconda Repubblica, quella che è cominciata dai primi Anni 90. Ma di una terza Repubblica, con caratteristiche molto simili alla prima, almeno dal punto di vista della stabile presenza di un solo schieramento alla guida del Paese . Se questo è lo scenario del prossimo futuro, la sinistra può rassegnarsi al ruolo che ebbero il Pci e i suoi piccoli alleati di allora, quello di un’opposizione, magari forte, ma permanente. Un’eterna minoranza che tuteli il suo ceto politico, le forze sociali di riferimento e le residue e sempre più limitate aree del Paese dove potrà ancora governare. Per questo obiettivo, basta certamente cambiare un segretario logorato con un altro e cercare di ricostruire un partito socialdemocratico.
Se il centrosinistra italiano, invece, vuole tornare, un giorno, a Palazzo Chigi, l’ambizione e il compito sono ben più alti. Bisogna ammettere, innanzitutto, che le idee e le parole con le quali questo schieramento si è rivolto agli italiani sono vecchie e non corrispondono più al comune sentire della grande maggioranza dei concittadini. Occorre operare, perciò, una vera rivoluzione culturale e politica e pagare un prezzo, anche gravoso, con le liturgie, i miti, i compromessi, le bugie, le procedure del passato.
Non è vero che il Pd sia fallito perché non è riuscito a fondere l’eredità post-comunista con quella cattolico-democratica . Veltroni, al contrario, ha perso la scommessa perché si è ostinato a tenerle insieme, a farle sopravvivere, con continui compromessi e al costo di tante ambiguità. Senza attuare il vero progetto esposto al Lingotto di Torino, quello di mandarle in soffitta. Con tutto il rispetto per i cari antenati, ma riconoscendo che, oggi, quelle due tradizioni non significano più niente per tantissimi italiani. Perché non servono né a scaldare i loro cuori, né a rassicurare i loro portafogli. Perché parlano con il linguaggio del secolo scorso, astratto, ideologico, ipocrita. Perché non sono di nessun aiuto rispetto ai problemi nuovi di un secolo nuovo.
È inutile, allora, che il centrosinistra italiano vada , con la lanterna di Diogene, a cercare nuovi leader sparsi per tutta Italia, belli, giovani e, magari, abbronzati. Così, è assurdo cercare di ricostruire il vecchio Pci cambiandogli il nome, come è stato già fatto, prima trasformandolo in Pds, poi in Ds. Proprio nel momento in cui, evidentemente, si stanno sfaldando i rapporti di consenso tra il partito e il suo tradizionale elettorato: gli operai, i giovani, gli intellettuali. Il Pd, finora, ha parlato sempre dentro una vecchia e residuale coalizione di consensi, rassicurato, ogni tanto, dai falsi plebisciti delle primarie e dalle piazze falsamente moltiplicate. Se non avrà il coraggio di guardare alla realtà, la minoranza in Italia sarà sempre e sicuramente il suo destino.LUIGI LASPINA-LASTAMPA
I secondi , più sensibili alla lezione dei numeri e della storia, anche recente, nel nostro Paese, pensano invece che si debba innanzitutto ricostruire un solido partito socialdemocratico che arrivi, da solo, almeno al 30-35% dei consensi.
Giunti a quella soglia si vedrà come ristabilire un’alleanza con tutte le sinistre per sperare di giungere al fatidico 51% . Così i leaderisti si entusiasmano di fronte a ogni fuoco fatuo che si accende nel cimitero della sinistra italiana, in una patetica galleria di improbabili nuove star della politica. E i politicisti affidano al bravo e simpatico Bersani, che non meriterebbe una sorte così ingrata, il compito sul quale si è già immolato il povero Fassino.
L’impressione è che i medici pietosi, come dice il proverbio, servano solo ad allungare l’agonia del malato. Le loro terapie saranno forse necessarie, ma sicuramente non sono sufficienti, perché le loro diagnosi si ostinano a ignorare la verità e le loro ricette parlano agli italiani con un linguaggio ormai sconosciuto.
Il punto di partenza, se quei medici non vogliono più cullarsi nell’illusione consolatoria, è la comprensione di quanto è successo quasi un anno fa. L’esito delle elezioni non ha segnato solo la sconfitta di un candidato della sinistra, ma la ricomposizione, sotto le bandiere di Berlusconi, di quel blocco sociale e politico che ha consentito alla Dc di governare l’Italia per i primi 45 anni della storia repubblicana. Con una sola variante: l’assorbimento, nella maggioranza moderata del Paese, dell’eredità postfascista e la contemporanea espulsione della sinistra cattolica. Un cambiamento, peraltro, che uniforma in una fisionomia europea quella che era un’anomalia del nostro sistema politico rispetto alle altre democrazie occidentali.
Per la sinistra italiana, perciò, il rischio non è di una fisiologica alternanza al potere, come si è verificata nella seconda Repubblica, quella che è cominciata dai primi Anni 90. Ma di una terza Repubblica, con caratteristiche molto simili alla prima, almeno dal punto di vista della stabile presenza di un solo schieramento alla guida del Paese . Se questo è lo scenario del prossimo futuro, la sinistra può rassegnarsi al ruolo che ebbero il Pci e i suoi piccoli alleati di allora, quello di un’opposizione, magari forte, ma permanente. Un’eterna minoranza che tuteli il suo ceto politico, le forze sociali di riferimento e le residue e sempre più limitate aree del Paese dove potrà ancora governare. Per questo obiettivo, basta certamente cambiare un segretario logorato con un altro e cercare di ricostruire un partito socialdemocratico.
Se il centrosinistra italiano, invece, vuole tornare, un giorno, a Palazzo Chigi, l’ambizione e il compito sono ben più alti. Bisogna ammettere, innanzitutto, che le idee e le parole con le quali questo schieramento si è rivolto agli italiani sono vecchie e non corrispondono più al comune sentire della grande maggioranza dei concittadini. Occorre operare, perciò, una vera rivoluzione culturale e politica e pagare un prezzo, anche gravoso, con le liturgie, i miti, i compromessi, le bugie, le procedure del passato.
Non è vero che il Pd sia fallito perché non è riuscito a fondere l’eredità post-comunista con quella cattolico-democratica . Veltroni, al contrario, ha perso la scommessa perché si è ostinato a tenerle insieme, a farle sopravvivere, con continui compromessi e al costo di tante ambiguità. Senza attuare il vero progetto esposto al Lingotto di Torino, quello di mandarle in soffitta. Con tutto il rispetto per i cari antenati, ma riconoscendo che, oggi, quelle due tradizioni non significano più niente per tantissimi italiani. Perché non servono né a scaldare i loro cuori, né a rassicurare i loro portafogli. Perché parlano con il linguaggio del secolo scorso, astratto, ideologico, ipocrita. Perché non sono di nessun aiuto rispetto ai problemi nuovi di un secolo nuovo.
È inutile, allora, che il centrosinistra italiano vada , con la lanterna di Diogene, a cercare nuovi leader sparsi per tutta Italia, belli, giovani e, magari, abbronzati. Così, è assurdo cercare di ricostruire il vecchio Pci cambiandogli il nome, come è stato già fatto, prima trasformandolo in Pds, poi in Ds. Proprio nel momento in cui, evidentemente, si stanno sfaldando i rapporti di consenso tra il partito e il suo tradizionale elettorato: gli operai, i giovani, gli intellettuali. Il Pd, finora, ha parlato sempre dentro una vecchia e residuale coalizione di consensi, rassicurato, ogni tanto, dai falsi plebisciti delle primarie e dalle piazze falsamente moltiplicate. Se non avrà il coraggio di guardare alla realtà, la minoranza in Italia sarà sempre e sicuramente il suo destino.LUIGI LASPINA-LASTAMPA