Ser21
28-03-2008, 08:42
Parli come bada
di Marco Travaglio
Se in Italia le Authority fossero una cosa seria, ce ne vorrebbe una per la tutela della parole.Contro gli abusi e le torsioni che subiscono, contro l’immondo mercato che le trasforma in merci buone per tutti gli usi.
Esempio: si discute sull’opportunità o meno di nominare Di Pietro ministro della Giustizia, dopo che Veltroni ha detto alla Bignardi che non se ne parla proprio. Ciascuno può pensarla come gli pare, purchè * possibilmente * argomenti il suo pensiero. Non è questo il caso di Polito che ha dichiarato al QN: «Di Pietro ministro di Giustizia in un governo del Pd è inimmagina- bile: è come se, sul versante opposto, pensassero a Previti ministro della Giustizia. Previti e Di Pietro sono i due estremi di una guerra tra politica e magistratura, alla quale il Pd si propone di mettere fine». Concentriamoci sulle parole «Previti», «Di Pietro», «estremi», «guerra». Previti è un pregiudicato, condannato definitivamente a 7 anni e mezzo per corruzione giudiziaria, avendo pagato alcuni giudici per compra- re due sentenze: la prima procurò all’amico Rovelli un risarcimento non dovuto di 1.000 miliardi dallo Stato; la seconda procurò all’amico Berlusconi la Mondado- ri, sottratta al proprietario De Benedetti. Di Pietro è un ex pm, noto per aver condotto con alcuni colleghi la più importante indagine anticorruzione della storia d’Europa, facendo condan- nare 1200 colletti bianchi e salvando il Paese dalla bancarotta finanziaria e morale. Fra l’altro Di Pietro non s’è mai occupato di Previti, essendosi dimesso dal pool nel dicembre ’94, mentre le indagini sulle toghe sporche iniziarono nell’estate ‘95. In che senso i due sarebbero gli «estremi di una guerra fra politica e magistratura»? Quale guerra? Dichiarata da chi? Combattuta, vinta, persa, pareggiata da chi? Negli Usa il governatore di New York è l’ex procuratore Rudolph Giuliani, noto per le sue indagini sulla mafia e i colletti bianchi di Wall Street (vedi film con Michael Douglas), che fece arrestare in gran quantità: a qualcuno è mai venuto in mente di paragonarlo ai suoi ex-imputati, di dire che questi e quello sono gli «estremi di una guerra tra mafia/alta finanza e magistratura»? Totò direbbe: «Ma mi faccia il piacere, parli come bada». Sullo stesso tema si esercita un altro gigante del pensiero, Boselli, quello che usa Gesù come testimonial per far rieleggere De Michelis e Bobo Craxi: «Di Pietro è il simbolo della giustizia spettacolo, non può fare il Guardasigilli». Che significa «giustizia spettacolo»? Di Pietro partecipò forse a show televisivi ai tempi di Mani Pulite? Mai visto in tv, mai dato interviste ai giornali (salvo una, molto generica, a Biagi). Giustizia spettacolo è quella di Cogne, Rignano, Erba, Perugia, Garlasco, cioè dei processi celebrati in tv: Di Pietro i suoi li faceva in aula, infatti i colpevoli venivano scoperti e condannati. Boselli dica che Di Pietro non gli piace perchè ha fatto condannare i suoi migliori amici e lui non se n’è ancora riavuto. Ma che senso ha vaneggiare di «giustizia spettacolo»? Il fatto è che, quando si parla di giustizia, chi non ha argomenti innesta il pilota automatico e dà fiato alla bocca con le solite frasi fatte senza senso. Don Gelmini, imputato di molestie sessuali su dieci ragazzi, ha così commentato la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Terni: «È il risultato della tempesta mediatica che ha accompagnato l’inchiesta». Ma l’inchiesta non è stata accompagnata da alcuna tempesta mediatica, visto che se n’è saputo qualcosa solo quand’era finita. I giornali ne hanno scritto per la notorietà dell’indagato e per la gravità delle accuse: ma questa si chiama cronaca giudiziaria, non tempesta mediatica. E non può essere la causa dell’indagine, visto che è venuta dopo: è l’effetto. Così come la richiesta di rinvio a giudizio è l’effetto dell’indagine, non della cronaca giudiziaria. Sergio Romano, che sulla giustizia non ne ha mai azzeccata una, si arrampica sugli specchi del Corriere a proposito degli evasori in Liechtenstein: a suo avviso c’è stata una «reazione giustizialista di una parte dell’opinione pubblica». Che significa «reazione giustizia- lista»? E, di grazia, quale sarebbe la reazione appropriata del cittadino che paga le tasse anche per i furboni che occultano il bottino a Vaduz? Dovrebbe chiamare i furboni per complimentarsi? O scrivere ai giudici perché non li disturbino? Ci faccia sapere. Uliwood party
27 marzo 2008
C'è poco da dire....quando un giornalista entra nel merito delle dichiarazione dei politici,se non è servo dei padroni o schierato in maniera cieca,ci mette 3 secondi a metterli in ridicolo nelle loro perenni balle e contraddizioni.
di Marco Travaglio
Se in Italia le Authority fossero una cosa seria, ce ne vorrebbe una per la tutela della parole.Contro gli abusi e le torsioni che subiscono, contro l’immondo mercato che le trasforma in merci buone per tutti gli usi.
Esempio: si discute sull’opportunità o meno di nominare Di Pietro ministro della Giustizia, dopo che Veltroni ha detto alla Bignardi che non se ne parla proprio. Ciascuno può pensarla come gli pare, purchè * possibilmente * argomenti il suo pensiero. Non è questo il caso di Polito che ha dichiarato al QN: «Di Pietro ministro di Giustizia in un governo del Pd è inimmagina- bile: è come se, sul versante opposto, pensassero a Previti ministro della Giustizia. Previti e Di Pietro sono i due estremi di una guerra tra politica e magistratura, alla quale il Pd si propone di mettere fine». Concentriamoci sulle parole «Previti», «Di Pietro», «estremi», «guerra». Previti è un pregiudicato, condannato definitivamente a 7 anni e mezzo per corruzione giudiziaria, avendo pagato alcuni giudici per compra- re due sentenze: la prima procurò all’amico Rovelli un risarcimento non dovuto di 1.000 miliardi dallo Stato; la seconda procurò all’amico Berlusconi la Mondado- ri, sottratta al proprietario De Benedetti. Di Pietro è un ex pm, noto per aver condotto con alcuni colleghi la più importante indagine anticorruzione della storia d’Europa, facendo condan- nare 1200 colletti bianchi e salvando il Paese dalla bancarotta finanziaria e morale. Fra l’altro Di Pietro non s’è mai occupato di Previti, essendosi dimesso dal pool nel dicembre ’94, mentre le indagini sulle toghe sporche iniziarono nell’estate ‘95. In che senso i due sarebbero gli «estremi di una guerra fra politica e magistratura»? Quale guerra? Dichiarata da chi? Combattuta, vinta, persa, pareggiata da chi? Negli Usa il governatore di New York è l’ex procuratore Rudolph Giuliani, noto per le sue indagini sulla mafia e i colletti bianchi di Wall Street (vedi film con Michael Douglas), che fece arrestare in gran quantità: a qualcuno è mai venuto in mente di paragonarlo ai suoi ex-imputati, di dire che questi e quello sono gli «estremi di una guerra tra mafia/alta finanza e magistratura»? Totò direbbe: «Ma mi faccia il piacere, parli come bada». Sullo stesso tema si esercita un altro gigante del pensiero, Boselli, quello che usa Gesù come testimonial per far rieleggere De Michelis e Bobo Craxi: «Di Pietro è il simbolo della giustizia spettacolo, non può fare il Guardasigilli». Che significa «giustizia spettacolo»? Di Pietro partecipò forse a show televisivi ai tempi di Mani Pulite? Mai visto in tv, mai dato interviste ai giornali (salvo una, molto generica, a Biagi). Giustizia spettacolo è quella di Cogne, Rignano, Erba, Perugia, Garlasco, cioè dei processi celebrati in tv: Di Pietro i suoi li faceva in aula, infatti i colpevoli venivano scoperti e condannati. Boselli dica che Di Pietro non gli piace perchè ha fatto condannare i suoi migliori amici e lui non se n’è ancora riavuto. Ma che senso ha vaneggiare di «giustizia spettacolo»? Il fatto è che, quando si parla di giustizia, chi non ha argomenti innesta il pilota automatico e dà fiato alla bocca con le solite frasi fatte senza senso. Don Gelmini, imputato di molestie sessuali su dieci ragazzi, ha così commentato la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Terni: «È il risultato della tempesta mediatica che ha accompagnato l’inchiesta». Ma l’inchiesta non è stata accompagnata da alcuna tempesta mediatica, visto che se n’è saputo qualcosa solo quand’era finita. I giornali ne hanno scritto per la notorietà dell’indagato e per la gravità delle accuse: ma questa si chiama cronaca giudiziaria, non tempesta mediatica. E non può essere la causa dell’indagine, visto che è venuta dopo: è l’effetto. Così come la richiesta di rinvio a giudizio è l’effetto dell’indagine, non della cronaca giudiziaria. Sergio Romano, che sulla giustizia non ne ha mai azzeccata una, si arrampica sugli specchi del Corriere a proposito degli evasori in Liechtenstein: a suo avviso c’è stata una «reazione giustizialista di una parte dell’opinione pubblica». Che significa «reazione giustizia- lista»? E, di grazia, quale sarebbe la reazione appropriata del cittadino che paga le tasse anche per i furboni che occultano il bottino a Vaduz? Dovrebbe chiamare i furboni per complimentarsi? O scrivere ai giudici perché non li disturbino? Ci faccia sapere. Uliwood party
27 marzo 2008
C'è poco da dire....quando un giornalista entra nel merito delle dichiarazione dei politici,se non è servo dei padroni o schierato in maniera cieca,ci mette 3 secondi a metterli in ridicolo nelle loro perenni balle e contraddizioni.