blamecanada
12-12-2007, 21:32
Il 12 dicembre 1969 esplode una bomba alla banca dell’Agricoltura a Milano, causando sedici morti, un’altra alla BNL di Roma (14 feriti) ed una alla Banca Commerciale di Milano, inesplosa, verrà fatta brillare senza che se ne sia analizzata la composizione.
Riportiamo alcuni estratti dall’articolo “‘68-’73, Anni che fecero tremare il mondo”.
Perché non c’è motivo di dimenticare, ma neppure c’è motivo di ricordare se il ricordo non è d’insegnamento per il presente.
(1969) […] A Padova scoppiano i primi “botti”, ovvero ordigni dimostrativi di matrice neofascista e, in seguito all’attentato all’ufficio del rettore dell’università di Padova, viene messo sotto controllo il telefono di Freda, già coinvolto in episodi di squadrismo e appartenente ad “Ordine Nuovo”, gruppo fondato da Pino Rauti nel ’56 per opporsi alla linea “molle” del MSI.
Il 18 aprile 1969 viene intercettata una telefonata di Freda che annuncia l’arrivo del “Camerata Pino”, che presiederà una riunione cui è presente anche Giannettini, agente del SID, come da deposizione di Pozzan, altro aderente all’organizzazione e come confermato dal generale del SID Maletti, che offrirà per il suo agente un alibi destinato a non reggere.
Rauti illustra il “cambio della guardia” che consiste nel rientro nel MSI; per chi voglia continuare la strada dell’extraparlamentarismo e dell’eversione Giannettini sarà il referente. Le istruzioni di quest’ultimo sono che Ordine Nuovo entri in Avanguardia Nazionale, gruppo con alle spalle una solida tradizione squadrista, che sarà colluso con il Golpe tentato dal generale Borghese e capitanato da Stefano Delle Chiaie, detto “Er caccola”, mutuandone mezzi e fini, ovvero l’infiltrazione e la provocazione, l’attuazione di attentati “macchiati di rosso” […]
Dopo la riunione del 18 aprile (coincidenza?) vengono sospese le intercettazioni a carico di Freda che, pur contenendo materiale allusivo ad azioni terroristiche, vengono definite “non rilevanti”.
Il 25 aprile Freda piazza una bomba alla questura di Milano in modo da far ricadere la colpa sugli anarchici: la strategia funziona.
Le contestazioni continuano, ed anche le bombe - al dipartimento di Padova della Pubblica Istruzione, alla sede del PSIUP.
Frattanto, a Padova, il questore Manganella, insoddisfatto dell’appurata “incapacità” del responsabile della polizia politica di incastrare i terroristi locali (la cellula Freda-Ventura), coinvolge nelle indagini il capo della mobile Juliano, “uno dei migliori dirigenti della polizia che abbia mai operato nella città veneta”, per dirla con le parole del Corriere della Sera. Juliano, agganciando i numerosi militanti di destra disposti a tradire camerati e causa per qualche migliaio di lire, usando cioè le tecniche impiegate normalmente dalla mobile contro la criminalità, riesce ad arrivare alla cellula Freda-Ventura, che gli informatori riferiscono abbia in programma attentati su vasta scala nelle maggiori città italiane. Siamo in giugno e, come ricorderà il giudice Stiz: “Se gli avessero dato ascolto, non ci sarebbero stati i sedici morti di piazza Fontana”. Juliano, tuttavia, accusato da due loschi figuri di vari ed eventuali abusi, viene sospeso dal servizio (sarà prosciolto da tali accuse) e il suo lavoro “archiviato”.
Il 12 dicembre esplode una bomba alla banca dell’Agricoltura a Milano, causando sedici morti, un’altra alla BNL di Roma (14 feriti) ed una alla Banca Commerciale di Milano, inesplosa, verrà fatta brillare senza che se ne sia analizzata la composizione.
La reazione delle forze dell’ordine si concretizza nella perquisizione di 367 case, nel fermo di 244 persone, di 81 sedi legate solo all’area dell’estrema sinistra.
La reazione fascista non si fa attendere: a San Babila vengono organizzati posti di blocco, squadre di picchiatori si aggirano per snidare i “rossi” (resterà percosso anche un senatore del PCI). Nella sede cittadina della DC la corrente dorotea bolla i terroristi come “cinesi” e chiede misure di sicurezza contro i loro complici annidati nel PCI, nel PSI e persino nell’ala sinistra della DC. Il PCI è preoccupato per “un clima d’allarme (…) che favorisca propositi e iniziative reazionarie o avventuristiche”. Le forze di destra denunciano il complotto comunista. Dal telegramma del presidente Saragat: “L’attentato di Milano è un anello di una tragica catena di atti terroristici che deve essere spezzata ad ogni costo per salvaguardare la vita e la libertà dei cittadini. Tocca ai cittadini assecondare l’opera della giustizia e delle forze dell’ordine democratico nella difesa della vita contro la violenza omicida”. Un invito all’azione. Inoltre, Saragat convoca al Quirinale ministro degli interni, generale dei carabinieri ed esponenti dei “corpi separati” per proporre di proclamare lo “stato di pericolo pubblico”. Il ministro degli interni pone come veto il coinvolgimento nella decisione almeno del presidente del consiglio, e Saragat si vede costretto ad aggiornare la riunione.
Frattanto, il commissario Calabresi, a capo delle indagini milanesi, si sofferma su due anarchici: Valpreda, che sarà incarcerato solo sulla base della testimonianza di un tassista, ed assolto tre anni dopo, e Pinelli, che precipiterà dalla finestra della questura di Milano, evocando la morte del defenestrato anarchico Salsedo.
Analizziamo in primo luogo il caso Valpreda; delucidante, a tal proposito, l’interrogazione del deputato Scalfari: “Già alle 19 del pomeriggio del 12 dicembre 1969, cioè ad appena tre ore di distanza dall’esplosione ed in assenza di qualunque elemento indiziario, anche il più vago, il commissario Calabresi dell’ufficio politico della questura e gli uomini da lui dipendenti erano convinti che il responsabile della strage doveva essere Valpreda. Tale circostanza risulta da una dichiarazione firmata, di cui il sottoscritto ha preso visione, redatta da un anarchico che fu fermato insieme a Pinelli e sottoposto a martellanti interrogatori durati due giorni da parte degli agenti della squadra politica guidati dal commissario Calabresi con l’intento, da essi esplicitamente dichiarato fin dalle ore 19 del 12 dicembre, di raccogliere indizi di colpevolezza a carico di Valpreda”. E ancora: il fermo di Valpreda dipese dalle “confessioni” di due aderenti al suo medesimo circolo anarchico: tale Merlino, che si scoprirà (primo processo di Catanzaro) essere un infiltrato, e Ippolito, agente di polizia infiltrato (“Le dichiarazioni di Merlino sul deposito di esplosivi e le notizie che mi aveva dato Ippolito”, i motivi che spinsero al fermo di Valpreda, quando Ippolito, al processo, sostenne di aver riferito “solo che Valpreda era andato a Milano”).
Un’ultima ombra è gettata dalla sparizione del verbale dell’interrogatorio di Valpreda, in cui egli asseriva di essersi trattenuto a Milano, dove era dovuto recarsi per rispondere in questura di un volantino sulla pillola, causa malattia.
Le inchieste giudiziarie che avrebbero dovuto far luce sul caso Pinelli verranno rinviate e poi definitivamente sospese. I documenti relativi verranno archiviati, ma da essi risulta:
1. La dichiarazione del questore Guida: “L’anarchico, preso da raptus, si è buttato dalla finestra sfracellandosi al suolo (…) avevo detto a Pinelli, per farlo confessare: abbiamo le prove che le bombe di 8 mesi fa alla stazione centrale sei stato tu a metterle”.
2. Le dichiarazioni di Calabresi: inizialmente: “Sono uscito dalla stanza e in seguito rientrato, e sempre fingendo, per farlo confessare, ho detto: mi hanno telefonato adesso da Roma, il tuo amico ballerino (Valpreda) ha confessato (…)”. Dopo aver saputo, dichiara Calabresi che Pinelli era “abbattuto e disperato, e gridando <è la fine dell’anarchia>” si era buttato.
3. In seguito, dopo che l’opinione pubblica ritiene gli agenti moralmente colpevoli del supposto suicidio di Pinelli, Calabresi, ritrattando, afferma: a) di avergli detto tali cose verso le 8 di sera, e non verso mezzanotte (ovvero l’ora in cui Pinelli si sarebbe buttato), come precedentemente dichiarato; b) che, dopo avergli detto delle bombe alla stazione, “l’anarchico non sembrava toccato dall’accusa, e sorrideva incredulo”; c) che dopo avergli detto di Valpreda “era sereno e continuava a sorridere”; d) che “naturalmente” sul ferroviere (Pinelli) non pesavano indizi concreti.
4. Inizialmente si dichiara alla stampa l’inesistenza di verbali sull’interrogatorio, poiché non si è fatto in tempo a redigerli. Dopo qualche settimana ne compaiono tre, tutti firmati di proprio pugno da Pinelli.
5. Calabresi dichiara che a mezzanotte nella stanza sono in sei, la finestra è ancora spalancata (n.b. 12 dicembre) e che l’anarchico, preso da raptus, si alza di scatto, prende la rincorsa e si butta al volo (Pinelli è alto 1.60 m e la finestra molto alta). Dei sei poliziotti nessuno fa in tempo ad intervenire tranne uno che dichiarerà al Corriere, il giorno seguente, di essere riuscito ad afferrarlo ma che in mano si era ritrovata solo la scarpa.
6. Nel cortile antistante c’è un gruppo di giornalisti delle principali testate milanesi, sentono il tonfo, accorrono, prendono nota dell’ora e tutti dichiarano che l’anarchico morente aveva ai piedi entrambe le scarpe.
7. La perizia della parabola di caduta sparisce dagli incartamenti dell’inchiesta archiviata. Nel referto dell’autopsia si parla di ecchimosi sul bulbo del collo, ma non ne vengono indagate le cause. I famigliari non potranno vedere il corpo. Spariscono anche i nastri con le registrazioni delle telefonate della questura, compresa quella per chiamare l’ambulanza. Il lettighiere della croce bianca testimonia che tale telefonata è avvenuta alle 23:58. I cronisti nel cortile asseriscono che la caduta è avvenuta alle 00:03 (forse una previsione del raptus, o forse Pinelli era stato picchiato così selvaggiamente da prevederne la morte, e quindi si è passati alla defenestrazione?).
8. L’alibi di Pinelli non viene considerato perché le testimonianze degli avventori del bar in cui lui aveva dichiarato di trovarsi vengono ritenute inattendibili in quanto si trattava (parole del questore Guida) di “persone anziane con poca salute e per di più invalidi”.
La chicca finale consiste nella dichiarazione di un altro fermato: “Quando mi hanno interrogato, il commissario del quarto piano (l’esimo Calabresi, nda) mi ha schiaffato a sedere sulla finestra, le gambe a penzoloni, e poi ha cominciato a provocarmi: buttati… insulti… perché non ti butti? Non hai il coraggio, eh? Falla finita! Cosa aspetti?”
Il 14 dicembre il ministero della difesa individua Delle Chiaie e Merlino. Il tenente Santoni invia un’informativa che segnala l’infiltrazione di Merlino nel suddetto circolo anarchico per compiere attentati da scaricare sui “rossi”, e indica in Delle Chiaie il mandante degli attentati romani, il tutto sulla base di una nota del SID. Durante l’iter burocratico, l’informativa di Santoni cambia decisamente i propri connotati, sparisce il riferimento a Merlino, Delle Chiaie passa dal ruolo di mandante a quello di collegamento, e come mandanti vengono indicati Leroy e Guerin-Serac, presentati come anarchici ma universalmente noti come hitleriani (Leroy era anche stato ufficiale delle SS).
Il questore di Padova manda un telex agli affari riservati in cui afferma che il 10 dicembre a Padova sono state acquistate le borse utilizzate per l’attentato dalla cellula Freda-Ventura. Lo sviluppo della pista parallela, che ha come inquisiti i terroristi “neri”, compromette la strategia della tensione che auspicava una svolta a destra.
“Alla vigilia dei funerali” scrive Rubini “sono numerose le voci, e non solo italiane, che si levano a denunciare il reale significato di ciò che è accaduto e a mettere in guardia su quanto potrà ancora accadere”; a tal proposito è chiarificatrice il servizio del londinese Observer (sempre del 14), in cui bolla la strategia saragattiana come “della tensione”, sottolineando che, con questa strategia, Saragat ha “incoraggiato i neofascisti ad andare verso il terrorismo” ma “Coloro che hanno puntato sul tanto peggio tanto meglio hanno sottovalutato la prudenza del PCI. Ben lungi dall’incoraggiare il caos, i comunisti italiani sono emersi come un partito d’ordine”.
Per il 15 dicembre, la “piazza di destra” organizza una manifestazione provocatoria, che viene però annientata dalla mobilitazione di PCI, PSI e sinistra extraparlamentare, che porta pacificamente in corteo 300.000 persone; Rumor ricorderà con queste parole l’impressione ricavata: “A contatto con quell’immensa moltitudine, adunata spontaneamente… vedendo quelle facce di uomini, di donne e anche di ragazzi… ecco, davanti a quella Milano così piena di umanità e di virile dignità, io mi sentii rinascere. Il popolo italiano non vuole la guerra civile, non vuole avventure pazzesche”.
Il 23 dicembre Moro e Saragat si incontrano: al termine della discussione di cui non è trapelato nulla, viene abbandonata la “pista nera” per la strage e ritirata la strategia della crisi (vedi sovracitata riunione tra Saragat, ministro interno e generali).
1970: A Milano viene posto il divieto di manifestare. Nel frattempo sorgono dubbi sulla morte di Pinelli - gli slogan che più si fanno sentire sono del tenore di: “La strage è di Stato - Valpreda innocente”.
L’affare Delle Chiaie viene definitivamente archiviato, grazie al lavoro dell’Ammiraglio Henke, che affermerà “Il SID non ha mai svolto indagini in merito”, ed ingiungerà ai subordinati di negare l’esistenza della nota del tenente Santoni.
Al giudice padovano Stiz viene rivelata da tal Lorenzon la locazione di un deposito di armi appartenente a Ventura; Stiz spicca il mandato per Freda e Ventura, vengono dissepolte le già intercettate e per due volte insabbiate telefonate di Freda (responsabile della duplice omissione è il capo della polizia politica padovana, Molino), viene riesumato anche il telex di Padova sulla perizia sulle borse per l’attentato, perizia che smentisce quella ufficiale; sulla base delle telefonate vengono spiccati i mandati per Rauti e Pozzan, mentre una volta ritrovato il telex vengono posti sotto inchiesta alcuni membri della politica per omissione di dati. Le armi di Ventura vengono ritrovate nella casa dell’uomo politico del PSI Marchesin (era proprio vero che nel PSI c’erano complici degli attentatori!); gli affari interni, a seguito dell’inchiesta e delle rivelazioni già citate di Pozzan, sono costretti a “bruciare” Giannettini che, vistosi perduto, espatria. Secondo Giannettini il consiglio di espatriare gli venne dato dal capitano La Bruna del SID, che però ha negato, mentre il fatto è confermato anche dal difensore di Ventura (le dichiarazioni dei tre risalgono al terzo processo di Catanzaro).
A seguito delle confessioni di Pozzan, Stiz aveva incriminato Rauti, Freda e Ventura; il primo sarà presto prosciolto per mancanza di prove, e tuttora fa politica a livello nazionale, indisturbato. Gli altri due, condannati, saranno assolti solo in ultimo grado e, nonostante siano state raccolte ulteriori prove riguardo alla Strage di Piazza Fontana, la legge italiana proibisce di processare per lo stesso fatto le stesse persone una seconda volta. Cade quindi la montatura su Pinelli e Valpreda, assolto, ma a tutt’oggi la strage non ha, per la giustizia dello Stato, colpevoli.
Il 17 maggio viene assassinato il commissario Calabresi, che proprio in quel periodo, caduta la pista anarchica, doveva essere sentito riguardo alla sua gestione delle indagini su Piazza Fontana.
(Fonte: Circolo Culturale un'Itaca (http://www.unitaca.it/))
Uno dei tanti casi rimasti irrisolti :rolleyes:.
Riportiamo alcuni estratti dall’articolo “‘68-’73, Anni che fecero tremare il mondo”.
Perché non c’è motivo di dimenticare, ma neppure c’è motivo di ricordare se il ricordo non è d’insegnamento per il presente.
(1969) […] A Padova scoppiano i primi “botti”, ovvero ordigni dimostrativi di matrice neofascista e, in seguito all’attentato all’ufficio del rettore dell’università di Padova, viene messo sotto controllo il telefono di Freda, già coinvolto in episodi di squadrismo e appartenente ad “Ordine Nuovo”, gruppo fondato da Pino Rauti nel ’56 per opporsi alla linea “molle” del MSI.
Il 18 aprile 1969 viene intercettata una telefonata di Freda che annuncia l’arrivo del “Camerata Pino”, che presiederà una riunione cui è presente anche Giannettini, agente del SID, come da deposizione di Pozzan, altro aderente all’organizzazione e come confermato dal generale del SID Maletti, che offrirà per il suo agente un alibi destinato a non reggere.
Rauti illustra il “cambio della guardia” che consiste nel rientro nel MSI; per chi voglia continuare la strada dell’extraparlamentarismo e dell’eversione Giannettini sarà il referente. Le istruzioni di quest’ultimo sono che Ordine Nuovo entri in Avanguardia Nazionale, gruppo con alle spalle una solida tradizione squadrista, che sarà colluso con il Golpe tentato dal generale Borghese e capitanato da Stefano Delle Chiaie, detto “Er caccola”, mutuandone mezzi e fini, ovvero l’infiltrazione e la provocazione, l’attuazione di attentati “macchiati di rosso” […]
Dopo la riunione del 18 aprile (coincidenza?) vengono sospese le intercettazioni a carico di Freda che, pur contenendo materiale allusivo ad azioni terroristiche, vengono definite “non rilevanti”.
Il 25 aprile Freda piazza una bomba alla questura di Milano in modo da far ricadere la colpa sugli anarchici: la strategia funziona.
Le contestazioni continuano, ed anche le bombe - al dipartimento di Padova della Pubblica Istruzione, alla sede del PSIUP.
Frattanto, a Padova, il questore Manganella, insoddisfatto dell’appurata “incapacità” del responsabile della polizia politica di incastrare i terroristi locali (la cellula Freda-Ventura), coinvolge nelle indagini il capo della mobile Juliano, “uno dei migliori dirigenti della polizia che abbia mai operato nella città veneta”, per dirla con le parole del Corriere della Sera. Juliano, agganciando i numerosi militanti di destra disposti a tradire camerati e causa per qualche migliaio di lire, usando cioè le tecniche impiegate normalmente dalla mobile contro la criminalità, riesce ad arrivare alla cellula Freda-Ventura, che gli informatori riferiscono abbia in programma attentati su vasta scala nelle maggiori città italiane. Siamo in giugno e, come ricorderà il giudice Stiz: “Se gli avessero dato ascolto, non ci sarebbero stati i sedici morti di piazza Fontana”. Juliano, tuttavia, accusato da due loschi figuri di vari ed eventuali abusi, viene sospeso dal servizio (sarà prosciolto da tali accuse) e il suo lavoro “archiviato”.
Il 12 dicembre esplode una bomba alla banca dell’Agricoltura a Milano, causando sedici morti, un’altra alla BNL di Roma (14 feriti) ed una alla Banca Commerciale di Milano, inesplosa, verrà fatta brillare senza che se ne sia analizzata la composizione.
La reazione delle forze dell’ordine si concretizza nella perquisizione di 367 case, nel fermo di 244 persone, di 81 sedi legate solo all’area dell’estrema sinistra.
La reazione fascista non si fa attendere: a San Babila vengono organizzati posti di blocco, squadre di picchiatori si aggirano per snidare i “rossi” (resterà percosso anche un senatore del PCI). Nella sede cittadina della DC la corrente dorotea bolla i terroristi come “cinesi” e chiede misure di sicurezza contro i loro complici annidati nel PCI, nel PSI e persino nell’ala sinistra della DC. Il PCI è preoccupato per “un clima d’allarme (…) che favorisca propositi e iniziative reazionarie o avventuristiche”. Le forze di destra denunciano il complotto comunista. Dal telegramma del presidente Saragat: “L’attentato di Milano è un anello di una tragica catena di atti terroristici che deve essere spezzata ad ogni costo per salvaguardare la vita e la libertà dei cittadini. Tocca ai cittadini assecondare l’opera della giustizia e delle forze dell’ordine democratico nella difesa della vita contro la violenza omicida”. Un invito all’azione. Inoltre, Saragat convoca al Quirinale ministro degli interni, generale dei carabinieri ed esponenti dei “corpi separati” per proporre di proclamare lo “stato di pericolo pubblico”. Il ministro degli interni pone come veto il coinvolgimento nella decisione almeno del presidente del consiglio, e Saragat si vede costretto ad aggiornare la riunione.
Frattanto, il commissario Calabresi, a capo delle indagini milanesi, si sofferma su due anarchici: Valpreda, che sarà incarcerato solo sulla base della testimonianza di un tassista, ed assolto tre anni dopo, e Pinelli, che precipiterà dalla finestra della questura di Milano, evocando la morte del defenestrato anarchico Salsedo.
Analizziamo in primo luogo il caso Valpreda; delucidante, a tal proposito, l’interrogazione del deputato Scalfari: “Già alle 19 del pomeriggio del 12 dicembre 1969, cioè ad appena tre ore di distanza dall’esplosione ed in assenza di qualunque elemento indiziario, anche il più vago, il commissario Calabresi dell’ufficio politico della questura e gli uomini da lui dipendenti erano convinti che il responsabile della strage doveva essere Valpreda. Tale circostanza risulta da una dichiarazione firmata, di cui il sottoscritto ha preso visione, redatta da un anarchico che fu fermato insieme a Pinelli e sottoposto a martellanti interrogatori durati due giorni da parte degli agenti della squadra politica guidati dal commissario Calabresi con l’intento, da essi esplicitamente dichiarato fin dalle ore 19 del 12 dicembre, di raccogliere indizi di colpevolezza a carico di Valpreda”. E ancora: il fermo di Valpreda dipese dalle “confessioni” di due aderenti al suo medesimo circolo anarchico: tale Merlino, che si scoprirà (primo processo di Catanzaro) essere un infiltrato, e Ippolito, agente di polizia infiltrato (“Le dichiarazioni di Merlino sul deposito di esplosivi e le notizie che mi aveva dato Ippolito”, i motivi che spinsero al fermo di Valpreda, quando Ippolito, al processo, sostenne di aver riferito “solo che Valpreda era andato a Milano”).
Un’ultima ombra è gettata dalla sparizione del verbale dell’interrogatorio di Valpreda, in cui egli asseriva di essersi trattenuto a Milano, dove era dovuto recarsi per rispondere in questura di un volantino sulla pillola, causa malattia.
Le inchieste giudiziarie che avrebbero dovuto far luce sul caso Pinelli verranno rinviate e poi definitivamente sospese. I documenti relativi verranno archiviati, ma da essi risulta:
1. La dichiarazione del questore Guida: “L’anarchico, preso da raptus, si è buttato dalla finestra sfracellandosi al suolo (…) avevo detto a Pinelli, per farlo confessare: abbiamo le prove che le bombe di 8 mesi fa alla stazione centrale sei stato tu a metterle”.
2. Le dichiarazioni di Calabresi: inizialmente: “Sono uscito dalla stanza e in seguito rientrato, e sempre fingendo, per farlo confessare, ho detto: mi hanno telefonato adesso da Roma, il tuo amico ballerino (Valpreda) ha confessato (…)”. Dopo aver saputo, dichiara Calabresi che Pinelli era “abbattuto e disperato, e gridando <è la fine dell’anarchia>” si era buttato.
3. In seguito, dopo che l’opinione pubblica ritiene gli agenti moralmente colpevoli del supposto suicidio di Pinelli, Calabresi, ritrattando, afferma: a) di avergli detto tali cose verso le 8 di sera, e non verso mezzanotte (ovvero l’ora in cui Pinelli si sarebbe buttato), come precedentemente dichiarato; b) che, dopo avergli detto delle bombe alla stazione, “l’anarchico non sembrava toccato dall’accusa, e sorrideva incredulo”; c) che dopo avergli detto di Valpreda “era sereno e continuava a sorridere”; d) che “naturalmente” sul ferroviere (Pinelli) non pesavano indizi concreti.
4. Inizialmente si dichiara alla stampa l’inesistenza di verbali sull’interrogatorio, poiché non si è fatto in tempo a redigerli. Dopo qualche settimana ne compaiono tre, tutti firmati di proprio pugno da Pinelli.
5. Calabresi dichiara che a mezzanotte nella stanza sono in sei, la finestra è ancora spalancata (n.b. 12 dicembre) e che l’anarchico, preso da raptus, si alza di scatto, prende la rincorsa e si butta al volo (Pinelli è alto 1.60 m e la finestra molto alta). Dei sei poliziotti nessuno fa in tempo ad intervenire tranne uno che dichiarerà al Corriere, il giorno seguente, di essere riuscito ad afferrarlo ma che in mano si era ritrovata solo la scarpa.
6. Nel cortile antistante c’è un gruppo di giornalisti delle principali testate milanesi, sentono il tonfo, accorrono, prendono nota dell’ora e tutti dichiarano che l’anarchico morente aveva ai piedi entrambe le scarpe.
7. La perizia della parabola di caduta sparisce dagli incartamenti dell’inchiesta archiviata. Nel referto dell’autopsia si parla di ecchimosi sul bulbo del collo, ma non ne vengono indagate le cause. I famigliari non potranno vedere il corpo. Spariscono anche i nastri con le registrazioni delle telefonate della questura, compresa quella per chiamare l’ambulanza. Il lettighiere della croce bianca testimonia che tale telefonata è avvenuta alle 23:58. I cronisti nel cortile asseriscono che la caduta è avvenuta alle 00:03 (forse una previsione del raptus, o forse Pinelli era stato picchiato così selvaggiamente da prevederne la morte, e quindi si è passati alla defenestrazione?).
8. L’alibi di Pinelli non viene considerato perché le testimonianze degli avventori del bar in cui lui aveva dichiarato di trovarsi vengono ritenute inattendibili in quanto si trattava (parole del questore Guida) di “persone anziane con poca salute e per di più invalidi”.
La chicca finale consiste nella dichiarazione di un altro fermato: “Quando mi hanno interrogato, il commissario del quarto piano (l’esimo Calabresi, nda) mi ha schiaffato a sedere sulla finestra, le gambe a penzoloni, e poi ha cominciato a provocarmi: buttati… insulti… perché non ti butti? Non hai il coraggio, eh? Falla finita! Cosa aspetti?”
Il 14 dicembre il ministero della difesa individua Delle Chiaie e Merlino. Il tenente Santoni invia un’informativa che segnala l’infiltrazione di Merlino nel suddetto circolo anarchico per compiere attentati da scaricare sui “rossi”, e indica in Delle Chiaie il mandante degli attentati romani, il tutto sulla base di una nota del SID. Durante l’iter burocratico, l’informativa di Santoni cambia decisamente i propri connotati, sparisce il riferimento a Merlino, Delle Chiaie passa dal ruolo di mandante a quello di collegamento, e come mandanti vengono indicati Leroy e Guerin-Serac, presentati come anarchici ma universalmente noti come hitleriani (Leroy era anche stato ufficiale delle SS).
Il questore di Padova manda un telex agli affari riservati in cui afferma che il 10 dicembre a Padova sono state acquistate le borse utilizzate per l’attentato dalla cellula Freda-Ventura. Lo sviluppo della pista parallela, che ha come inquisiti i terroristi “neri”, compromette la strategia della tensione che auspicava una svolta a destra.
“Alla vigilia dei funerali” scrive Rubini “sono numerose le voci, e non solo italiane, che si levano a denunciare il reale significato di ciò che è accaduto e a mettere in guardia su quanto potrà ancora accadere”; a tal proposito è chiarificatrice il servizio del londinese Observer (sempre del 14), in cui bolla la strategia saragattiana come “della tensione”, sottolineando che, con questa strategia, Saragat ha “incoraggiato i neofascisti ad andare verso il terrorismo” ma “Coloro che hanno puntato sul tanto peggio tanto meglio hanno sottovalutato la prudenza del PCI. Ben lungi dall’incoraggiare il caos, i comunisti italiani sono emersi come un partito d’ordine”.
Per il 15 dicembre, la “piazza di destra” organizza una manifestazione provocatoria, che viene però annientata dalla mobilitazione di PCI, PSI e sinistra extraparlamentare, che porta pacificamente in corteo 300.000 persone; Rumor ricorderà con queste parole l’impressione ricavata: “A contatto con quell’immensa moltitudine, adunata spontaneamente… vedendo quelle facce di uomini, di donne e anche di ragazzi… ecco, davanti a quella Milano così piena di umanità e di virile dignità, io mi sentii rinascere. Il popolo italiano non vuole la guerra civile, non vuole avventure pazzesche”.
Il 23 dicembre Moro e Saragat si incontrano: al termine della discussione di cui non è trapelato nulla, viene abbandonata la “pista nera” per la strage e ritirata la strategia della crisi (vedi sovracitata riunione tra Saragat, ministro interno e generali).
1970: A Milano viene posto il divieto di manifestare. Nel frattempo sorgono dubbi sulla morte di Pinelli - gli slogan che più si fanno sentire sono del tenore di: “La strage è di Stato - Valpreda innocente”.
L’affare Delle Chiaie viene definitivamente archiviato, grazie al lavoro dell’Ammiraglio Henke, che affermerà “Il SID non ha mai svolto indagini in merito”, ed ingiungerà ai subordinati di negare l’esistenza della nota del tenente Santoni.
Al giudice padovano Stiz viene rivelata da tal Lorenzon la locazione di un deposito di armi appartenente a Ventura; Stiz spicca il mandato per Freda e Ventura, vengono dissepolte le già intercettate e per due volte insabbiate telefonate di Freda (responsabile della duplice omissione è il capo della polizia politica padovana, Molino), viene riesumato anche il telex di Padova sulla perizia sulle borse per l’attentato, perizia che smentisce quella ufficiale; sulla base delle telefonate vengono spiccati i mandati per Rauti e Pozzan, mentre una volta ritrovato il telex vengono posti sotto inchiesta alcuni membri della politica per omissione di dati. Le armi di Ventura vengono ritrovate nella casa dell’uomo politico del PSI Marchesin (era proprio vero che nel PSI c’erano complici degli attentatori!); gli affari interni, a seguito dell’inchiesta e delle rivelazioni già citate di Pozzan, sono costretti a “bruciare” Giannettini che, vistosi perduto, espatria. Secondo Giannettini il consiglio di espatriare gli venne dato dal capitano La Bruna del SID, che però ha negato, mentre il fatto è confermato anche dal difensore di Ventura (le dichiarazioni dei tre risalgono al terzo processo di Catanzaro).
A seguito delle confessioni di Pozzan, Stiz aveva incriminato Rauti, Freda e Ventura; il primo sarà presto prosciolto per mancanza di prove, e tuttora fa politica a livello nazionale, indisturbato. Gli altri due, condannati, saranno assolti solo in ultimo grado e, nonostante siano state raccolte ulteriori prove riguardo alla Strage di Piazza Fontana, la legge italiana proibisce di processare per lo stesso fatto le stesse persone una seconda volta. Cade quindi la montatura su Pinelli e Valpreda, assolto, ma a tutt’oggi la strage non ha, per la giustizia dello Stato, colpevoli.
Il 17 maggio viene assassinato il commissario Calabresi, che proprio in quel periodo, caduta la pista anarchica, doveva essere sentito riguardo alla sua gestione delle indagini su Piazza Fontana.
(Fonte: Circolo Culturale un'Itaca (http://www.unitaca.it/))
Uno dei tanti casi rimasti irrisolti :rolleyes:.