cprintf
04-07-2007, 09:40
Vi riporto questo articolo di Blondet: Qualcuno può confermare?
Ma soprattutto: sono a rischio anche i nostri fondi pensione?
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2117¶metro=economia
<<
Il crollo finanziario
Maurizio Blondet
03/07/2007
Prima le buone notizie: se volete comprare casa in California, fatelo.
I prezzi sono calati del 37%.
Anzi, è meglio che aspettiate, caleranno ancora.
Di questi tempi, nel mondo finanziario americano, tornano di moda vecchi modi di dire.
Uno suona: «Nessuno previde la grande depressione anni ‘30».
Un altro dice: «Non c’è mai un solo scarafaggio».
Ossia: se vedete uno scarafaggio schiacciato, vuol dire che la vostra cucina ne è piena.
Lo scarafaggio morto (che ne annuncia altri) è la banca d’affari Bear Stearns, che per sostenere due suoi fondi speculativi (hedge fund) appena nati e già in fallimento, ha dovuto iniettarvi un quarto del proprio capitale.
Come spiega flemmatico il Financial Times, quei due fondi «s’erano indebitati per comprare derivati garantiti da mutui sub-prime» (ossia mutui concessi a persone che hanno una storia di insolvenza). Quando il prezzo dei derivati è caduto, i creditori dei fondi hanno chiesto indietro i loro soldi, il che significava che quei fondi avrebbero dovuto vendere un po’ di quelle loro obbligazioni garantite da mutui. La vendita si è dimostrata molto difficile».
Celeste eufemismo britannico!
Nessuno si è fatto avanti a comprare quelle obbligazioni garantite da insolventi.
Nessuno.
Per questo la Bear Stearns ha dovuto metterci i capitali suoi.
Infatti, spiega il FT, «il mercato per queste obbligazioni è cresciuto in modo esponenziale… ma c’è poco scambio e poca liquidità in prodotti come questi, e di conseguenza non ci sono prezzi di mercato. E’ possibile che questi prodotti siano sistematicamente sopravvalutati nei libri contabili dei fondi speculativi, assicuratori e banche, e la loro nuova valutazione può far male».
Dunque, il giornale dell’altissima finanza riesce a parlare di un mercato «cresciuto in modo esponenziale» che però ha «pochi scambi e poca liquidità».
Un grandissimo mercato dove si scambia poco è, nella dimenticata scienza chiamata logica, una «contraddizione in termini».
Ciò richiede un chiarimento preliminare.
I mutui «subprime» (contratti da gente con passato di insolvenza) sono acquistati dalle banche d’investimento - con denaro preso a prestito, a basso costo grazie alla politica lassista della Federal Reserve - e «confezionati» in obbligazioni chiamate «Residential Mortgage Backed Securities» (RMBS).
Ciascuna di queste obbligazioni può contenere migliaia di mutui, ossia di debiti su cui i debitori pagano (se possono) un interesse.
Per di più, esse sono suddivise in varie «tranches» di rischio, ed ogni «tranche» - proprio perché ha poco mercato, non è normalmente scambiata - riceve una valutazione da una delle agenzie di rating, Moody’s, Standard & Poor, Fitch.
Dunque, non è il «mercato» che fa i prezzi, ma le agenzie che assicurano: se comprate questa «tranche» essa vale tot.
Sulla parola.
O meglio: le tranches che ricevono il rating più alto sono le prime che riceveranno i soldi ricevuti dal fondo; poi c’è la linea seconda, terza e quarta, fino alle ultime che saranno pagate se le cose andranno male.
Le tranches dell’ultima fila sono chiamate «i rifiuti tossici» della finanza.
La tranches mediana ha di solito un rating BBB.
Ora, questa tranches, non la più rischiosa, è crollata di valore, da gennaio, del 42%.
Il fatto è che ora c’è il prezzo di mercato, ed è –42%.
Lo stesso ribasso lo subiscono tutte le banche, fondi e istituzioni che possiedono la stessa tranches con lo stesso rating.
Sicchè dopo il bagno di Bear Stearns, quando Merrill Lynch ha provato a vendere un po’ dei suoi «attivi» coperti (diciamo così) da quel tipo di debito, i prezzi offerti dal mercato sono stati un trauma per la banca.
Anzi, per la maggior parte degli «attivi» non c’è stata offerta.
Non un’offerta bassa, ma nessuna offerta affatto.
Merrill Lynch ha ritirato i suoi gioielli di sterco dal mercato…
Il FT si domanda, flemmatico, se questo può «danneggiare i mercati del credito più ampi», e conclude di no, state tranquilli.
Tranquilli i lavoratori.
I loro fondi pensione americani hanno comprato quello sterco al prezzo valutato dalle agenzie di rating.
Il General Retirement System di Detroit, per esempio, ha 39 milioni di quegli «attivi» nel suo portafoglio, il fondo pensioni degli insegnanti del Texas ne ha 63 milioni.
Ma la lista è lunga, e comprende istituzioni europee e asiatiche.
Perché hanno comprato quella roba?
Perché quei debiti collateralizzati con mutui (di semi-insolventi) pagavano interessi oltre il 10% più alti del LIBOR.
O almeno così assicuravano le banche come Bear Stearns.
«Le maggiori agenzie di rating sorvegliano queste obbligazioni», diceva la sua pubblicità.
Ora le «maggiori agenzie» prendono le distanze.
Moody’s ha dichiarato: «C’è qui un equivoco molto diffuso. In realtà, noi forniamo solamente una valutazione del credito e un commento».
Fitch: «Noi non forniamo alcuna sorveglianza».
Standard & Poors: «Ci limitiamo a dare un rating alle transazioni che gli emittenti ci portano, basandoci sui nostri criteri pubblicati».
C’è la fondata speranza che il crollo seppellirà anche la reputazione delle agenzie di rating: ecco la seconda buona notizia.
Queste obbligazioni si sono dimostrate sterco per un semplice motivo: 2,2 milioni di americani che hanno contratto un mutuo «subprime» dal 1998 ad oggi hanno perso la loro casa per impossibilità di pagare i ratei dell’ipoteca.
Si tratta di un debitore su cinque di quelli che hanno ottenuto tali prestiti nel 2005: una percentuale di fallimenti mai visto nella storia americana.
E ovviamente, mentre i sequestri immobiliari aumentano, così il «mercato» finanziario dei CDO, le obbligazioni garantite da quelle ipoteche è crollato.
Tanto più che nei «pacchetti» chiamati CDO, in media il 45% del composto è fatto di prestiti «subprime» (di potenziali insolventi).
Precipitosamente svalutate dalla rispettate agenzie di rating, queste obbligazioni dovranno essere vendute da chi le ha comprate (a credito, ricordiamolo): ciò, secondo Bloomberg, «prosciugherà il mercato delle obbligazioni coperte da mutui subprime, che vale 800 miliardi di dollari, e i trilione di dollari di CDO, obbligazioni coperte da debiti, che sono la parte in più rapida crescita del mercato».
O lo erano.
Ora è il mercato in più rapida de-crescita.
Alla fine, sui CDO si rischia di perdere il 25%, ossia 250 miliardi di dollari, o anche più: nessuno può dirlo.
Si spera solo che il letame sia sparso tra migliaia di fondi, privati e istituzioni, in modo da spalmare il danno.
Ma la KKR ha rimandato l’offerta di obbligazioni «sane» di una delle ditte che ha in portafoglio, la US Foodservice, per mancanza di capitalisti sottoscrittori.
Il gruppo di analisi Lombard Street Research ha fatto una nera previsione: «L’eccesso di liquidità nel sistema globale sarà disseccato. Il capitale delle banche può essere decimato, il che richiederà il richiamo di una quantità di prestiti. Ciò aggraverà l’atterraggio duro in USA» («Baaaanks set to call in swathe of loans», Telegraph, 26 giugno 2007).
L’economista Henry C. K. Liu, su Asia Times, conclude: «Il boom della liquidità scatenato dai bassi tassi della FED ha fornito una forte crescita consistente in inflazione degli attivi finanziari, senza aggiungere un’espansione dell’economia reale in proporzione. Diversamente dai beni fisici reali, i miraggi finanziari che nascono dall’aria possono evaporare nell’aria senza preavviso. Via via che l’inflazione prende velocità, il boom della liquidità e l’inflazione degli attivi finirà, lasciando un’economia vuota di sostanza».
Secondo lui, «una crisi finanziaria globale è inevitabile».
Il Financial Times dice di no.
Tranquilli.
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Ma soprattutto: sono a rischio anche i nostri fondi pensione?
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2117¶metro=economia
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Il crollo finanziario
Maurizio Blondet
03/07/2007
Prima le buone notizie: se volete comprare casa in California, fatelo.
I prezzi sono calati del 37%.
Anzi, è meglio che aspettiate, caleranno ancora.
Di questi tempi, nel mondo finanziario americano, tornano di moda vecchi modi di dire.
Uno suona: «Nessuno previde la grande depressione anni ‘30».
Un altro dice: «Non c’è mai un solo scarafaggio».
Ossia: se vedete uno scarafaggio schiacciato, vuol dire che la vostra cucina ne è piena.
Lo scarafaggio morto (che ne annuncia altri) è la banca d’affari Bear Stearns, che per sostenere due suoi fondi speculativi (hedge fund) appena nati e già in fallimento, ha dovuto iniettarvi un quarto del proprio capitale.
Come spiega flemmatico il Financial Times, quei due fondi «s’erano indebitati per comprare derivati garantiti da mutui sub-prime» (ossia mutui concessi a persone che hanno una storia di insolvenza). Quando il prezzo dei derivati è caduto, i creditori dei fondi hanno chiesto indietro i loro soldi, il che significava che quei fondi avrebbero dovuto vendere un po’ di quelle loro obbligazioni garantite da mutui. La vendita si è dimostrata molto difficile».
Celeste eufemismo britannico!
Nessuno si è fatto avanti a comprare quelle obbligazioni garantite da insolventi.
Nessuno.
Per questo la Bear Stearns ha dovuto metterci i capitali suoi.
Infatti, spiega il FT, «il mercato per queste obbligazioni è cresciuto in modo esponenziale… ma c’è poco scambio e poca liquidità in prodotti come questi, e di conseguenza non ci sono prezzi di mercato. E’ possibile che questi prodotti siano sistematicamente sopravvalutati nei libri contabili dei fondi speculativi, assicuratori e banche, e la loro nuova valutazione può far male».
Dunque, il giornale dell’altissima finanza riesce a parlare di un mercato «cresciuto in modo esponenziale» che però ha «pochi scambi e poca liquidità».
Un grandissimo mercato dove si scambia poco è, nella dimenticata scienza chiamata logica, una «contraddizione in termini».
Ciò richiede un chiarimento preliminare.
I mutui «subprime» (contratti da gente con passato di insolvenza) sono acquistati dalle banche d’investimento - con denaro preso a prestito, a basso costo grazie alla politica lassista della Federal Reserve - e «confezionati» in obbligazioni chiamate «Residential Mortgage Backed Securities» (RMBS).
Ciascuna di queste obbligazioni può contenere migliaia di mutui, ossia di debiti su cui i debitori pagano (se possono) un interesse.
Per di più, esse sono suddivise in varie «tranches» di rischio, ed ogni «tranche» - proprio perché ha poco mercato, non è normalmente scambiata - riceve una valutazione da una delle agenzie di rating, Moody’s, Standard & Poor, Fitch.
Dunque, non è il «mercato» che fa i prezzi, ma le agenzie che assicurano: se comprate questa «tranche» essa vale tot.
Sulla parola.
O meglio: le tranches che ricevono il rating più alto sono le prime che riceveranno i soldi ricevuti dal fondo; poi c’è la linea seconda, terza e quarta, fino alle ultime che saranno pagate se le cose andranno male.
Le tranches dell’ultima fila sono chiamate «i rifiuti tossici» della finanza.
La tranches mediana ha di solito un rating BBB.
Ora, questa tranches, non la più rischiosa, è crollata di valore, da gennaio, del 42%.
Il fatto è che ora c’è il prezzo di mercato, ed è –42%.
Lo stesso ribasso lo subiscono tutte le banche, fondi e istituzioni che possiedono la stessa tranches con lo stesso rating.
Sicchè dopo il bagno di Bear Stearns, quando Merrill Lynch ha provato a vendere un po’ dei suoi «attivi» coperti (diciamo così) da quel tipo di debito, i prezzi offerti dal mercato sono stati un trauma per la banca.
Anzi, per la maggior parte degli «attivi» non c’è stata offerta.
Non un’offerta bassa, ma nessuna offerta affatto.
Merrill Lynch ha ritirato i suoi gioielli di sterco dal mercato…
Il FT si domanda, flemmatico, se questo può «danneggiare i mercati del credito più ampi», e conclude di no, state tranquilli.
Tranquilli i lavoratori.
I loro fondi pensione americani hanno comprato quello sterco al prezzo valutato dalle agenzie di rating.
Il General Retirement System di Detroit, per esempio, ha 39 milioni di quegli «attivi» nel suo portafoglio, il fondo pensioni degli insegnanti del Texas ne ha 63 milioni.
Ma la lista è lunga, e comprende istituzioni europee e asiatiche.
Perché hanno comprato quella roba?
Perché quei debiti collateralizzati con mutui (di semi-insolventi) pagavano interessi oltre il 10% più alti del LIBOR.
O almeno così assicuravano le banche come Bear Stearns.
«Le maggiori agenzie di rating sorvegliano queste obbligazioni», diceva la sua pubblicità.
Ora le «maggiori agenzie» prendono le distanze.
Moody’s ha dichiarato: «C’è qui un equivoco molto diffuso. In realtà, noi forniamo solamente una valutazione del credito e un commento».
Fitch: «Noi non forniamo alcuna sorveglianza».
Standard & Poors: «Ci limitiamo a dare un rating alle transazioni che gli emittenti ci portano, basandoci sui nostri criteri pubblicati».
C’è la fondata speranza che il crollo seppellirà anche la reputazione delle agenzie di rating: ecco la seconda buona notizia.
Queste obbligazioni si sono dimostrate sterco per un semplice motivo: 2,2 milioni di americani che hanno contratto un mutuo «subprime» dal 1998 ad oggi hanno perso la loro casa per impossibilità di pagare i ratei dell’ipoteca.
Si tratta di un debitore su cinque di quelli che hanno ottenuto tali prestiti nel 2005: una percentuale di fallimenti mai visto nella storia americana.
E ovviamente, mentre i sequestri immobiliari aumentano, così il «mercato» finanziario dei CDO, le obbligazioni garantite da quelle ipoteche è crollato.
Tanto più che nei «pacchetti» chiamati CDO, in media il 45% del composto è fatto di prestiti «subprime» (di potenziali insolventi).
Precipitosamente svalutate dalla rispettate agenzie di rating, queste obbligazioni dovranno essere vendute da chi le ha comprate (a credito, ricordiamolo): ciò, secondo Bloomberg, «prosciugherà il mercato delle obbligazioni coperte da mutui subprime, che vale 800 miliardi di dollari, e i trilione di dollari di CDO, obbligazioni coperte da debiti, che sono la parte in più rapida crescita del mercato».
O lo erano.
Ora è il mercato in più rapida de-crescita.
Alla fine, sui CDO si rischia di perdere il 25%, ossia 250 miliardi di dollari, o anche più: nessuno può dirlo.
Si spera solo che il letame sia sparso tra migliaia di fondi, privati e istituzioni, in modo da spalmare il danno.
Ma la KKR ha rimandato l’offerta di obbligazioni «sane» di una delle ditte che ha in portafoglio, la US Foodservice, per mancanza di capitalisti sottoscrittori.
Il gruppo di analisi Lombard Street Research ha fatto una nera previsione: «L’eccesso di liquidità nel sistema globale sarà disseccato. Il capitale delle banche può essere decimato, il che richiederà il richiamo di una quantità di prestiti. Ciò aggraverà l’atterraggio duro in USA» («Baaaanks set to call in swathe of loans», Telegraph, 26 giugno 2007).
L’economista Henry C. K. Liu, su Asia Times, conclude: «Il boom della liquidità scatenato dai bassi tassi della FED ha fornito una forte crescita consistente in inflazione degli attivi finanziari, senza aggiungere un’espansione dell’economia reale in proporzione. Diversamente dai beni fisici reali, i miraggi finanziari che nascono dall’aria possono evaporare nell’aria senza preavviso. Via via che l’inflazione prende velocità, il boom della liquidità e l’inflazione degli attivi finirà, lasciando un’economia vuota di sostanza».
Secondo lui, «una crisi finanziaria globale è inevitabile».
Il Financial Times dice di no.
Tranquilli.
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