ezio79
23-03-2007, 15:46
La mia prima maratona – ROMA 18 marzo 2007 (XIII edizione)
Da qualche corsetta per tenersi in attività, verso la fine di quest'estate una delle mie tante piccole passioni sportive si era trasformata in qualcosa di più grazie all'incontro di persone speciali.
Con Ventidio, Cesare, Fabio e Floriano (ed altri amici ... un po' meno costanti!) siamo partiti quasi per scherzo verso metà agosto con qualche veloce passeggiata in collina, ritrovandoci ben presto a percorrere sempre più km ogni settimana, diventando, con la colorita espressione di 20dio (Lui si firma così!), “drogati di corsa”.
E così, dopo la Ascoli-San Benedetto di settembre, cui abbiamo partecipato decisamente alla garibaldina e senza iscrizione (per mancanza di certificato medico sportivo ...), sono arrivati il primo pettorale (n. 686) alla “Corsa di San Martino” a Controguerra (16km), la “Passeggiata dell'amicizia” il 26 dicembre a Pagliare (12km non competitivi, ma molto veloci!), la prima mezza maratona (pettorale n. 534) il 6 gennaio a San Benedetto (il percorso della “Maratonina dei Magi” si svolge attraverso il lungomare da Porto d'Ascoli a Grottammare) che, oltre ad una discreta prestazione cronometrica, mi ha – come sapete – casualmente regalato l'apparizione sullo sfondo di una foto della rivista “Correre”, ai primi di gennaio si è deciso di provare a preparare la maratona più partecipata d'Italia (e a detta di molti “la più bella del mondo”).
Due mesi e mezzo di allenamenti ed eccoci finalmente giunti al giorno X.
Dopo il suono della sveglia alle 6, una doccia veloce e la colazione “autogestita” in camera (non potendo ovviamente aspettare le sette e trenta per l'apertura della sala da pranzo dell'albergo) con il solito caffé&latte in uno scomodo bicchiere, una fetta di ciambellotto, biscotti, fette biscottate e marmellata.
Quindi riordino della stanza e dei bagagli; vestizione (in corsa avrei avuto indosso semplicemente uno smanicato molto leggero ed il classico pantaloncino dall'aspetto di ridicolo mutandone, ma data l'ora e l'attesa ho preferito mettere anche degli artigianalissimi scaldapolpacci, una tuta di cotone e una vecchia maglia che avrei lasciato solo alla partenza).
Alle sette ancora una barretta, poi la sistemazione degli ultimi dettagli (pettorale n. 12089, bandana, occhiali, mp3, ...) e via: lasciamo l'albergo e ci incamminiamo verso il Colosseo.
Non c'è molta gente in giro (in fondo è domenica mattina ... presto!), quasi esclusivamente altri atleti, il cui numero si intensifica mano a mano che ci si avvicina ai Fori.
In prossimità della partenza incontriamo gli amici della Polisportiva Porto85 (che ci hanno permesso di partecipare alla manifestazione iscrivendoci alla Fidal), partiti nella notte da San Benedetto; qualche chiacchiera e poi subito a spogliarsi ed a lasciare la busta al deposito.
C'è gente, ma ancora non ci sono file noiose, almeno fino ai bagni chimici, dove invece la calca non manca; per fortuna i bisogni non sono urgenti e si pazienta senza problemi pur di liberarsi di tutto il superflo.
Ancora qualche saluto, poi la decisione di entrare nella “gabbia di partenza”, nel mio caso la “D”, l'ultima, quella dove sono stipate circa 8.000 persone, nel vano tentativo di guadagnare qualche posizione e non partire proprio in fondo al gruppo (cosa che avrebbe compromesso gravemente i primi 8-10km).
L'impresa è ardua, ma alla fine riesco ad a collocarmi intorno alla metà gruppo.
Purtroppo nel caos della situazione (l'unico modo per descrivere le “gabbie” è il paragone con le bolge infernali!) non mi accorgo che si approssima la partenza e mi ritrovo allo start con ancora indosso la maglia da gettare e i calzini di cotone tagliati; non ho molta scelta: riesco solo a sfilarmi la maglia e ad allacciarmi in corsa le scarpette (non allacciate appunto per facilitare la rimozione degli scaldapolpacci che invece non è stata possibile).
La massa si muove inesorabile quanto lenta.
Solo diversi minuti dopo lo start ufficiale riusciamo a passare sotto l'arco della partenza.
Cerco di farmi strada tra la folla nella remota speranza di intravedere quanto prima il palloncino colorato di un pacemaker, ovvero i pazienti volontari che aiutano i partecipanti a mantenere un ritmo costante in vista di un determinato tempo finale.
Questi primi minuti accrescono ancora di più il nervosismo iniziale; si procede ad un ritmo scostante e terribilmente stressante, mediamente lento, ma fatto di brusche accelerazioni ed imprevisti rallentamenti fin quasi a fermarsi.
Mi guardo intorno cercando qualche varco; procedo prevalentemente sul margine sinistro, tra marciapiedi, divisori, cordoni e ostacoli di ogni genere (persino ciclomotori che l'organizzazione non aveva fatto in tempo a rimuovere!); la paura di farsi male è forte.
Nella confusione perdo l'elastico deputato a bloccare il tubetto di enervit nel polsino destro, per cui mi trovo costretto a spostare la bustina di carbogel (più leggera e meno ballerina) nel polsino di destra, per fermare i sali in quello di sinistra ... insomma ennesima imprevista complicazione.
Inizio a vedere che diverse persone oltrepassano i cordoni per correre temporaneamente lungo i meno affollati marciapiedi riservati agli ancora pochi spettatori; sono dubbioso, il microchip legato alla caviglia per rilevare i passaggi e i tempi potrebbe creare problemi, inoltre c'è il rischio di non riuscire a rientrare, ma la muraglia umana nel percorso ufficiale è troppo folta e mi rassegno a questa piccola infrazione.
Più che a correre penso mi sforzo di seguire il treno giusto per avanzare ... non è il massimo!
Per fortuna la calca si inizia a diradare.
Sono accodato ad un gruppetto di quattro cinque persone che sembra procedere ordinato e spedito; dopo un pò però mi ritrovo a seguire un solo atleta, sulla cinquantina, con il fisico asciutto tipico del podista consumato, una bella falcata e un passo molto regolare; mi rendo conto che può essere un ottimo compagno di avventura, così gli domando che intenzioni abbia, ma capita una cosa che avevo completamente sottovalutato: è straniero!
Mi risponde qualcosa tipo “no intiendo” “ablo espagnol”.
Noto, però cortesia e disponibilità nella risposta, per cui provo con qualche parola e frase di inglese maccheronico; inizialmente fraintende e mi comunica il tempo trascorso dallo start, poi si ravvede e capisco che insegue i palloncini verdi e gialli, che dovrebbero rispettivamente portare a concludere la corsa in tre ore e un quarto e in poco meno di tre ore.
E' qualcosa oltre le mie più rosee aspettative, ma preferisco provare così piuttosto che rincorrere da solo i palloncini.
Dopo poco si sforza di spiegarmi che è la sua prima maratona, sorrido e gli dico che anche per me è lo stesso.
Il primo ristoro all'altezza dei cinque km è difficile a causa della calca e degli stili di rifornimento troppo diversi, da chi si ferma a chi taglia orizzontalmente la strada per arrivare all'agognata bevanda.
Inizio precauzionalmente a mettere in bocca i primi sali, anche se non essendo riuscito a liberarmi dei calzettoni di cotone difficilmente avrò problemi di crampi; in compenso inizio già a sentire troppo caldo ai polpacci.
Giunti in prossimità della Basilica di San Paolo, il passo regolare, la strada sempre più libera il sorpasso ai palloncini delle tre ore e mezza, mi rasserenano.
Il lungo Tevere è un falso piano in lieve salita, ma ormai corsa procede come in discesa.
L'abbigliamento ultraleggero, per me novità assoluta, al cui azzardo sono stato costretto da un marzo incredibilmente caldo, si rivela perfettamente indovinato e privo delle svariate controindicazioni (irritazioni in prossimità dell'interno coscia e delle ascelle, freddo allo stomaco) di cui da più parti avevo avuto avvertimenti.
Purtroppo, invece, le mie fide scarpe intermedie, che ho usato senza problemi in diverse occasioni e scrupolosamente testato con successo di recente in un lungo di 25km, proprio con gli stessi calzini, e nonostante avessi avuto anche l'accortezza di stendere un velo di grasso, mi generano una fastidiosa vescica sulla parte anteriore della pianta del piede destro; peccato perché per il resto avverto la consueta ottimale sensazione di leggerezza, spinta e protezione.
Al passaggio del decimo km abbiamo già una media dallo start (quindi comprensivo dei minuti persi prima di varcare l'arco della partenza) di 4'40” min/km e procediamo senza particolare fatica tra i 4'15 e i 4'20”.
Prima dello spugnaggio del dodicesimo km e mezzo abbiamo raggiunto e superato i palloncini delle tre ore e un quarto; rifletto sul da farsi: in fondo è quello il passo che avevo sperato, quindi dovrei agganciarmi, ma c'è ancora troppa gente (lo abbiamo intravisto al rifornimento dei dieci km), respiro e battito sono regolari, le gambe stanno bene; inoltre con il compagno di corsa sembra essersi instaurato il giusto feeling, per cui decido di procedere.
Intorno al quattordicesimo km sorridiamo intravedendo dall'altro lato della strada il passaggio del 34km, psicologicamente ormai facile!
La vista di San Pietro, percorrendo via della Conciliazione, è entusiasmante; il nervosismo della partenza è solo un lontano ricordo.
Avendo il gruppo palloncino alle spalle il ristoro del quindicesimo km è incredibilmente agevole.
All'altezza del ventesimo km ci riportiamo sul lungotevere ed arriva l'ennesimo abbeveraggio.
A parte la vescica non mi sembra ancora di aver iniziato a correre e forse sottovaluto anche il caldo che inizia a farsi sentire, sebbene un piacevole venticello e qualche nuvoletta provvedano a stemperarlo senza disturbare.
Il riscontro cronometrico della mezza supera ogni più rosea previsione: sono passati appena 1h e 34' dall'inizio della gara.
All'altezza del Foro Italico durante lo spugnaggio perdo la bustina di carbogel che scivola dal polsino bagnato.
Incuranti della leggera salita continuiamo in progressione e percorriamo viale della Moschea a 4 min/km: il palloncino giallo non si vede, ma psicologicamente è sempre più vicino.
Nonostante il rifornimento del venticinquesimo km, poco dopo avverto di nuovo sete.
È l'unico segnale veramente negativo avvertito fino a quel momento (la vescica si sopporta abbastanza bene), ma è davvero una bruttissima sensazione e tra poco mi renderò conto che c'è poco da fare.
Tengo duro, ma verso il ventisettesimo km capisco che in quelle condizioni non posso continuare a spingere.
Mi stacco alla ricerca di un ritmo più moderato.
Del compagno spagnolo memorizzo però il pettorale (n. 10409) cosa che mi permetterà in seguito di conoscerne nome (Jesus Fernando Ibarra) e prestazione (3h07'26” – 3h04'34” ottima, tale la valergli la 650ma posizione, ma purtroppo anche per Lui sopra il mitico muro delle tre ore).
La sete si fa sempre più forte e l'idea che manchino diversi km al prossimo ristoro è un altro brutto colpo dal punto di vista psicologico, aspetto già duramente colpito dall'idea di aver irrimediabilmente perduto il compagno spagnolo e le chance che quell'andatura prometteva.
Al successivo spugnaggio fatico davvero ad autoconvincermi di non bere l'acqua delle spugne.
Però, complice il falso piano in discesa, il ritmo si mantiene accettabile ed ogni passo mi avvicina alla desideratissima acqua!
Inizio a sentire anche un lieve affaticamento muscolare, ma non è nulla di preoccupante e procedo cercando la massima regolarità possibile.
Finalmente intravedo il ristoro del trentesimo km, dove trangugio due bicchieri di acqua, uno di sali e riparto con una bottiglietta da mezzo litro in mano, soluzione decisamente scomoda, ma inevitabile per garantirmi la necessaria serenità psicologica dopo la scampata disidratazione!
La bottiglietta mi accompagna fino alla fine del lungotevere, poco dopo l'ennesimo spugnaggio.
Si sta ormai rientrando nel cuore della città, è una parte dura, accidentata, contorta, ma incredibilmente bella ed affascinante, oltre che incoraggiante perché sempre più prossima all'arrivo.
Passata piazza Navona arriva il penultimo ristoro, da dove, dopo aver ingurgitato acqua, sali, zuccheri e anche qualche biscotto, riparto con una bottiglia d'acqua grande (purtroppo mezza vuota); ma questa è davvero troppo scomoda e dopo poco più di un km, quasi esaurita, me ne libero.
Poco dopo corso Vittorio Emanuele approfitto di una bustina di carbogel inavvertitamente abbandonata, quasi che il destino dopo avermela tolta una decina di km prima avesse deciso che fosse quello il momento giusto!
Supero piazza Venezia, via del Corso, piazza del Popolo, via del Babbuino e piazza di Spagna affollate di gente festante.
Non avendo prima d'ora mai percorso più di 36km, mi sembra di varcare le colonne d'Ercole verso un confine inesplorato.
Ora ho in mente solo il trentanovesimo km di via della Pilotta rimasto impresso dalla passeggiata del giorno prima.
La stanchezza ormai è marcata, ma anche la consapevolezza che manchi davvero poco.
Si passa ancora piazza Venezia e prima del quarantesimo km si avvista il teatro di Marcello, le cui arcate illudono in lontananza di esser prossimi all'anfiteatro Flavio, ma in fondo non si è comunque lontani!
Si sfrutta fino in fondo anche l'ultimo ristoro per dissetarsi ed alimentarsi e si riparte per gli ultimi km.
La tanto temuta salita del Celio che porta al Colosseo si rivela meno impervia del previsto anche per il costante incitamento della folla.
La vista dell'arrivo lungo i Fori riempie di gioia e fornisce l'energia per un ultimo simbolico sprint.
I circa 200 minuti impiegati sembrano ormai volati e il risultato, pur non essendo degno di nota e tendenzialmente negativo rispetto a quello di gare più brevi e dell'ottima prima parte di gara, riempie comunque di soddisfazione (scoprirò poi che il mio real time è di circa 3h e 17', per una classifica complessiva che mi colloca poco sopra alla 1300ma posizione e 1203 in base al tempo effettivo).
Tagliato il traguardo si viene avvolti dai volontari nei teli termici, ma la giornata è splendida e la precauzione è quasi superflua.
Quindi si lascia il chip, si riceve un sacchetto con i viveri e si recupera la borsa al deposito.
La fatica è tanta e si sente, ma c'è ancora adrenalina, così dopo un cambio veloce e un paio di barrette energetiche si è pronti per organizzare il resto della giornata: il pranzo, una passeggiata, il recupero dei bagagli in albergo e dell'auto in garage ed infine, verso sera, via verso casa.
Grazie, Roma!
Da qualche corsetta per tenersi in attività, verso la fine di quest'estate una delle mie tante piccole passioni sportive si era trasformata in qualcosa di più grazie all'incontro di persone speciali.
Con Ventidio, Cesare, Fabio e Floriano (ed altri amici ... un po' meno costanti!) siamo partiti quasi per scherzo verso metà agosto con qualche veloce passeggiata in collina, ritrovandoci ben presto a percorrere sempre più km ogni settimana, diventando, con la colorita espressione di 20dio (Lui si firma così!), “drogati di corsa”.
E così, dopo la Ascoli-San Benedetto di settembre, cui abbiamo partecipato decisamente alla garibaldina e senza iscrizione (per mancanza di certificato medico sportivo ...), sono arrivati il primo pettorale (n. 686) alla “Corsa di San Martino” a Controguerra (16km), la “Passeggiata dell'amicizia” il 26 dicembre a Pagliare (12km non competitivi, ma molto veloci!), la prima mezza maratona (pettorale n. 534) il 6 gennaio a San Benedetto (il percorso della “Maratonina dei Magi” si svolge attraverso il lungomare da Porto d'Ascoli a Grottammare) che, oltre ad una discreta prestazione cronometrica, mi ha – come sapete – casualmente regalato l'apparizione sullo sfondo di una foto della rivista “Correre”, ai primi di gennaio si è deciso di provare a preparare la maratona più partecipata d'Italia (e a detta di molti “la più bella del mondo”).
Due mesi e mezzo di allenamenti ed eccoci finalmente giunti al giorno X.
Dopo il suono della sveglia alle 6, una doccia veloce e la colazione “autogestita” in camera (non potendo ovviamente aspettare le sette e trenta per l'apertura della sala da pranzo dell'albergo) con il solito caffé&latte in uno scomodo bicchiere, una fetta di ciambellotto, biscotti, fette biscottate e marmellata.
Quindi riordino della stanza e dei bagagli; vestizione (in corsa avrei avuto indosso semplicemente uno smanicato molto leggero ed il classico pantaloncino dall'aspetto di ridicolo mutandone, ma data l'ora e l'attesa ho preferito mettere anche degli artigianalissimi scaldapolpacci, una tuta di cotone e una vecchia maglia che avrei lasciato solo alla partenza).
Alle sette ancora una barretta, poi la sistemazione degli ultimi dettagli (pettorale n. 12089, bandana, occhiali, mp3, ...) e via: lasciamo l'albergo e ci incamminiamo verso il Colosseo.
Non c'è molta gente in giro (in fondo è domenica mattina ... presto!), quasi esclusivamente altri atleti, il cui numero si intensifica mano a mano che ci si avvicina ai Fori.
In prossimità della partenza incontriamo gli amici della Polisportiva Porto85 (che ci hanno permesso di partecipare alla manifestazione iscrivendoci alla Fidal), partiti nella notte da San Benedetto; qualche chiacchiera e poi subito a spogliarsi ed a lasciare la busta al deposito.
C'è gente, ma ancora non ci sono file noiose, almeno fino ai bagni chimici, dove invece la calca non manca; per fortuna i bisogni non sono urgenti e si pazienta senza problemi pur di liberarsi di tutto il superflo.
Ancora qualche saluto, poi la decisione di entrare nella “gabbia di partenza”, nel mio caso la “D”, l'ultima, quella dove sono stipate circa 8.000 persone, nel vano tentativo di guadagnare qualche posizione e non partire proprio in fondo al gruppo (cosa che avrebbe compromesso gravemente i primi 8-10km).
L'impresa è ardua, ma alla fine riesco ad a collocarmi intorno alla metà gruppo.
Purtroppo nel caos della situazione (l'unico modo per descrivere le “gabbie” è il paragone con le bolge infernali!) non mi accorgo che si approssima la partenza e mi ritrovo allo start con ancora indosso la maglia da gettare e i calzini di cotone tagliati; non ho molta scelta: riesco solo a sfilarmi la maglia e ad allacciarmi in corsa le scarpette (non allacciate appunto per facilitare la rimozione degli scaldapolpacci che invece non è stata possibile).
La massa si muove inesorabile quanto lenta.
Solo diversi minuti dopo lo start ufficiale riusciamo a passare sotto l'arco della partenza.
Cerco di farmi strada tra la folla nella remota speranza di intravedere quanto prima il palloncino colorato di un pacemaker, ovvero i pazienti volontari che aiutano i partecipanti a mantenere un ritmo costante in vista di un determinato tempo finale.
Questi primi minuti accrescono ancora di più il nervosismo iniziale; si procede ad un ritmo scostante e terribilmente stressante, mediamente lento, ma fatto di brusche accelerazioni ed imprevisti rallentamenti fin quasi a fermarsi.
Mi guardo intorno cercando qualche varco; procedo prevalentemente sul margine sinistro, tra marciapiedi, divisori, cordoni e ostacoli di ogni genere (persino ciclomotori che l'organizzazione non aveva fatto in tempo a rimuovere!); la paura di farsi male è forte.
Nella confusione perdo l'elastico deputato a bloccare il tubetto di enervit nel polsino destro, per cui mi trovo costretto a spostare la bustina di carbogel (più leggera e meno ballerina) nel polsino di destra, per fermare i sali in quello di sinistra ... insomma ennesima imprevista complicazione.
Inizio a vedere che diverse persone oltrepassano i cordoni per correre temporaneamente lungo i meno affollati marciapiedi riservati agli ancora pochi spettatori; sono dubbioso, il microchip legato alla caviglia per rilevare i passaggi e i tempi potrebbe creare problemi, inoltre c'è il rischio di non riuscire a rientrare, ma la muraglia umana nel percorso ufficiale è troppo folta e mi rassegno a questa piccola infrazione.
Più che a correre penso mi sforzo di seguire il treno giusto per avanzare ... non è il massimo!
Per fortuna la calca si inizia a diradare.
Sono accodato ad un gruppetto di quattro cinque persone che sembra procedere ordinato e spedito; dopo un pò però mi ritrovo a seguire un solo atleta, sulla cinquantina, con il fisico asciutto tipico del podista consumato, una bella falcata e un passo molto regolare; mi rendo conto che può essere un ottimo compagno di avventura, così gli domando che intenzioni abbia, ma capita una cosa che avevo completamente sottovalutato: è straniero!
Mi risponde qualcosa tipo “no intiendo” “ablo espagnol”.
Noto, però cortesia e disponibilità nella risposta, per cui provo con qualche parola e frase di inglese maccheronico; inizialmente fraintende e mi comunica il tempo trascorso dallo start, poi si ravvede e capisco che insegue i palloncini verdi e gialli, che dovrebbero rispettivamente portare a concludere la corsa in tre ore e un quarto e in poco meno di tre ore.
E' qualcosa oltre le mie più rosee aspettative, ma preferisco provare così piuttosto che rincorrere da solo i palloncini.
Dopo poco si sforza di spiegarmi che è la sua prima maratona, sorrido e gli dico che anche per me è lo stesso.
Il primo ristoro all'altezza dei cinque km è difficile a causa della calca e degli stili di rifornimento troppo diversi, da chi si ferma a chi taglia orizzontalmente la strada per arrivare all'agognata bevanda.
Inizio precauzionalmente a mettere in bocca i primi sali, anche se non essendo riuscito a liberarmi dei calzettoni di cotone difficilmente avrò problemi di crampi; in compenso inizio già a sentire troppo caldo ai polpacci.
Giunti in prossimità della Basilica di San Paolo, il passo regolare, la strada sempre più libera il sorpasso ai palloncini delle tre ore e mezza, mi rasserenano.
Il lungo Tevere è un falso piano in lieve salita, ma ormai corsa procede come in discesa.
L'abbigliamento ultraleggero, per me novità assoluta, al cui azzardo sono stato costretto da un marzo incredibilmente caldo, si rivela perfettamente indovinato e privo delle svariate controindicazioni (irritazioni in prossimità dell'interno coscia e delle ascelle, freddo allo stomaco) di cui da più parti avevo avuto avvertimenti.
Purtroppo, invece, le mie fide scarpe intermedie, che ho usato senza problemi in diverse occasioni e scrupolosamente testato con successo di recente in un lungo di 25km, proprio con gli stessi calzini, e nonostante avessi avuto anche l'accortezza di stendere un velo di grasso, mi generano una fastidiosa vescica sulla parte anteriore della pianta del piede destro; peccato perché per il resto avverto la consueta ottimale sensazione di leggerezza, spinta e protezione.
Al passaggio del decimo km abbiamo già una media dallo start (quindi comprensivo dei minuti persi prima di varcare l'arco della partenza) di 4'40” min/km e procediamo senza particolare fatica tra i 4'15 e i 4'20”.
Prima dello spugnaggio del dodicesimo km e mezzo abbiamo raggiunto e superato i palloncini delle tre ore e un quarto; rifletto sul da farsi: in fondo è quello il passo che avevo sperato, quindi dovrei agganciarmi, ma c'è ancora troppa gente (lo abbiamo intravisto al rifornimento dei dieci km), respiro e battito sono regolari, le gambe stanno bene; inoltre con il compagno di corsa sembra essersi instaurato il giusto feeling, per cui decido di procedere.
Intorno al quattordicesimo km sorridiamo intravedendo dall'altro lato della strada il passaggio del 34km, psicologicamente ormai facile!
La vista di San Pietro, percorrendo via della Conciliazione, è entusiasmante; il nervosismo della partenza è solo un lontano ricordo.
Avendo il gruppo palloncino alle spalle il ristoro del quindicesimo km è incredibilmente agevole.
All'altezza del ventesimo km ci riportiamo sul lungotevere ed arriva l'ennesimo abbeveraggio.
A parte la vescica non mi sembra ancora di aver iniziato a correre e forse sottovaluto anche il caldo che inizia a farsi sentire, sebbene un piacevole venticello e qualche nuvoletta provvedano a stemperarlo senza disturbare.
Il riscontro cronometrico della mezza supera ogni più rosea previsione: sono passati appena 1h e 34' dall'inizio della gara.
All'altezza del Foro Italico durante lo spugnaggio perdo la bustina di carbogel che scivola dal polsino bagnato.
Incuranti della leggera salita continuiamo in progressione e percorriamo viale della Moschea a 4 min/km: il palloncino giallo non si vede, ma psicologicamente è sempre più vicino.
Nonostante il rifornimento del venticinquesimo km, poco dopo avverto di nuovo sete.
È l'unico segnale veramente negativo avvertito fino a quel momento (la vescica si sopporta abbastanza bene), ma è davvero una bruttissima sensazione e tra poco mi renderò conto che c'è poco da fare.
Tengo duro, ma verso il ventisettesimo km capisco che in quelle condizioni non posso continuare a spingere.
Mi stacco alla ricerca di un ritmo più moderato.
Del compagno spagnolo memorizzo però il pettorale (n. 10409) cosa che mi permetterà in seguito di conoscerne nome (Jesus Fernando Ibarra) e prestazione (3h07'26” – 3h04'34” ottima, tale la valergli la 650ma posizione, ma purtroppo anche per Lui sopra il mitico muro delle tre ore).
La sete si fa sempre più forte e l'idea che manchino diversi km al prossimo ristoro è un altro brutto colpo dal punto di vista psicologico, aspetto già duramente colpito dall'idea di aver irrimediabilmente perduto il compagno spagnolo e le chance che quell'andatura prometteva.
Al successivo spugnaggio fatico davvero ad autoconvincermi di non bere l'acqua delle spugne.
Però, complice il falso piano in discesa, il ritmo si mantiene accettabile ed ogni passo mi avvicina alla desideratissima acqua!
Inizio a sentire anche un lieve affaticamento muscolare, ma non è nulla di preoccupante e procedo cercando la massima regolarità possibile.
Finalmente intravedo il ristoro del trentesimo km, dove trangugio due bicchieri di acqua, uno di sali e riparto con una bottiglietta da mezzo litro in mano, soluzione decisamente scomoda, ma inevitabile per garantirmi la necessaria serenità psicologica dopo la scampata disidratazione!
La bottiglietta mi accompagna fino alla fine del lungotevere, poco dopo l'ennesimo spugnaggio.
Si sta ormai rientrando nel cuore della città, è una parte dura, accidentata, contorta, ma incredibilmente bella ed affascinante, oltre che incoraggiante perché sempre più prossima all'arrivo.
Passata piazza Navona arriva il penultimo ristoro, da dove, dopo aver ingurgitato acqua, sali, zuccheri e anche qualche biscotto, riparto con una bottiglia d'acqua grande (purtroppo mezza vuota); ma questa è davvero troppo scomoda e dopo poco più di un km, quasi esaurita, me ne libero.
Poco dopo corso Vittorio Emanuele approfitto di una bustina di carbogel inavvertitamente abbandonata, quasi che il destino dopo avermela tolta una decina di km prima avesse deciso che fosse quello il momento giusto!
Supero piazza Venezia, via del Corso, piazza del Popolo, via del Babbuino e piazza di Spagna affollate di gente festante.
Non avendo prima d'ora mai percorso più di 36km, mi sembra di varcare le colonne d'Ercole verso un confine inesplorato.
Ora ho in mente solo il trentanovesimo km di via della Pilotta rimasto impresso dalla passeggiata del giorno prima.
La stanchezza ormai è marcata, ma anche la consapevolezza che manchi davvero poco.
Si passa ancora piazza Venezia e prima del quarantesimo km si avvista il teatro di Marcello, le cui arcate illudono in lontananza di esser prossimi all'anfiteatro Flavio, ma in fondo non si è comunque lontani!
Si sfrutta fino in fondo anche l'ultimo ristoro per dissetarsi ed alimentarsi e si riparte per gli ultimi km.
La tanto temuta salita del Celio che porta al Colosseo si rivela meno impervia del previsto anche per il costante incitamento della folla.
La vista dell'arrivo lungo i Fori riempie di gioia e fornisce l'energia per un ultimo simbolico sprint.
I circa 200 minuti impiegati sembrano ormai volati e il risultato, pur non essendo degno di nota e tendenzialmente negativo rispetto a quello di gare più brevi e dell'ottima prima parte di gara, riempie comunque di soddisfazione (scoprirò poi che il mio real time è di circa 3h e 17', per una classifica complessiva che mi colloca poco sopra alla 1300ma posizione e 1203 in base al tempo effettivo).
Tagliato il traguardo si viene avvolti dai volontari nei teli termici, ma la giornata è splendida e la precauzione è quasi superflua.
Quindi si lascia il chip, si riceve un sacchetto con i viveri e si recupera la borsa al deposito.
La fatica è tanta e si sente, ma c'è ancora adrenalina, così dopo un cambio veloce e un paio di barrette energetiche si è pronti per organizzare il resto della giornata: il pranzo, una passeggiata, il recupero dei bagagli in albergo e dell'auto in garage ed infine, verso sera, via verso casa.
Grazie, Roma!