gretas
13-03-2007, 15:42
Un sms spedito dall'hacker delle firme false. Un appunto a favore del centro sanitario di Daniela Fini. Ecco i nuovi guai giudiziari per l'ex governatore della Regione Lazio
di Peter Gomez e Marco Lillo
Boia chi molla. Francesco Storace nonostante il rinvio a giudizio per l'hackeraggio informatico ai danni di Alessandra Mussolini, nonostante le rivelazioni de 'L'espresso' sulla Tangentopoli laziale della precedente giunta, resta al suo posto e lancia avvertimenti: "La bufera riguarda tutti noi. Intravedo momenti duri, vogliono arrivare al vertice del partito". Forse Storace si riferiva al file trovato nel computer dell'ex assessore di An Giulio Gargano, nel quale sono elencate tutte le mazzette che sarebbero state pagate a personaggi legati ad An e ad altri partiti del centrodestra. O forse si riferiva agli accertamenti che i magistrati romani stanno eseguendo sulle strutture sanitarie dei parenti e collaboratori più stretti di Gianfranco Fini. Una cosa è certa, Storace lancia un messaggio al suo leader: non mollarmi.
Il momento è difficile per l'ex governatore. Per capirlo bisognava vederlo in aula all'udienza sul Laziogate del 15 febbraio. Storace era accusato di avere convinto i suoi giovani collaboratori a effettuare una serie di incursioni illecite nell'Anagrafe comunale per trafugare i certificati e poi fare escludere Alessandra Mussolini dalla gara elettorale. "Io quella sera non c'ero", si è sempre difeso Storace. I tabulati telefonici però lo inchiodano: la notte del 9 marzo il cellulare del presidente era nel palazzone regionale. Stretto all'angolo, Storace ha fornito una versione minimal, sostenendo di essere passato in ufficio di ritorno da un viaggio in provincia, all'una di notte, per visionare un documento. E i suoi collaboratori? Sarebbero rimasti in una stanza diversa a smanettare sui computer a sua insaputa fino all'alba del 10 marzo. La versione, di per sé claudicante, ha subito un colpo pesante quando il pm Francesco Ciardi ha tirato fuori il suo asso nella manica: un sms spedito a Storace alle 8 e 12, proprio del mattino del 10 marzo e proprio dal direttore tecnico di Laziomatica Mirko Maceri, il protagonista dell'hackeraggio. Il testo non è stato rintracciato, ma per i magistrati quel messaggio, a quell'ora, è una prova a carico di Storace.
Accanto al processo Laziogate e al caso 'Torax' (nome del file trovato nel computer dell'ex assessore di An, Giulio Gargano, con l'elenco delle presunte mazzette), si sta per aprire un terzo fronte di indagine: le strutture sanitarie della famiglia Fini.
Tutto inizia quando il pm di Potenza, Henry John Woodcock intercetta il 19 aprile 2005 la voce di Daniela Fini che dice a Francesco Proietti (suo socio nelle imprese sanitarie, deputato e segretario di Gianfranco Fini) di avere ottenuto la convenzione per la risonanza e la tac "quando sono andata a sbattermi il culo con Storace". Lo 'sbattimento' presso il presidente regionale ha prodotto una convenzione molto redditizia per il Panigea, un grande laboratorio che ha per soci nell'ordine: la moglie, la cognata e il segretario di Fini. Lady Fini aveva ragione a vantarsi: la richiesta della Panigea era stata presentata l'11 febbraio ed era stata accolta il 18 (in una giunta da cui si era assentato Storace), un record. La cognata (moglie del fratello di Fini) però non vuole riconoscerle il merito e vorrebbe comprare tutte le quote del Panigea per pochi euro. Daniela si sfoga con il socio Proietti: "E che, ora che diventa il pozzo di San Patrizio te la do? 'A bella...!".
Ora, grazie all'inchiesta romana dei pm Capaldo e Bombardieri, si comprende come ha fatto la Panigea a diventare il 'pozzo di San Patrizio'. La funzionaria della regione Elda Melaragno ai pm ha raccontato che il 2 febbraio del 2005 l'allora assessore alla sanità Marco Verzaschi le chiese una lista delle srutture in attesa di accreditamento. Mancavano due mesi alle elezioni e i tempi stringevano. La Melaragno stende un elenco, ma il capo di gabinetto di Storace le chiede di aggiungere alcune strutture. Il pm Bombardieri, a questo punto dell'interrogatorio, le sventola sotto il naso l'elenco con le annotazioni a penna e nota che, tra le poche strutture aggiunte, c'è un centro raccomandato dall'assessore Gargano e proprio la Panigea. Accanto c'è un bell'Ok. Gli altri possono attendere e Daniela Fini può gioire per il suo pozzo di San Patrizio. Se tutto questo sia reato saranno i pm a stabilirlo. Certamente Storace ha ragione a dire: "Vedo momenti più duri per i vertici del partito".
di Peter Gomez e Marco Lillo
Boia chi molla. Francesco Storace nonostante il rinvio a giudizio per l'hackeraggio informatico ai danni di Alessandra Mussolini, nonostante le rivelazioni de 'L'espresso' sulla Tangentopoli laziale della precedente giunta, resta al suo posto e lancia avvertimenti: "La bufera riguarda tutti noi. Intravedo momenti duri, vogliono arrivare al vertice del partito". Forse Storace si riferiva al file trovato nel computer dell'ex assessore di An Giulio Gargano, nel quale sono elencate tutte le mazzette che sarebbero state pagate a personaggi legati ad An e ad altri partiti del centrodestra. O forse si riferiva agli accertamenti che i magistrati romani stanno eseguendo sulle strutture sanitarie dei parenti e collaboratori più stretti di Gianfranco Fini. Una cosa è certa, Storace lancia un messaggio al suo leader: non mollarmi.
Il momento è difficile per l'ex governatore. Per capirlo bisognava vederlo in aula all'udienza sul Laziogate del 15 febbraio. Storace era accusato di avere convinto i suoi giovani collaboratori a effettuare una serie di incursioni illecite nell'Anagrafe comunale per trafugare i certificati e poi fare escludere Alessandra Mussolini dalla gara elettorale. "Io quella sera non c'ero", si è sempre difeso Storace. I tabulati telefonici però lo inchiodano: la notte del 9 marzo il cellulare del presidente era nel palazzone regionale. Stretto all'angolo, Storace ha fornito una versione minimal, sostenendo di essere passato in ufficio di ritorno da un viaggio in provincia, all'una di notte, per visionare un documento. E i suoi collaboratori? Sarebbero rimasti in una stanza diversa a smanettare sui computer a sua insaputa fino all'alba del 10 marzo. La versione, di per sé claudicante, ha subito un colpo pesante quando il pm Francesco Ciardi ha tirato fuori il suo asso nella manica: un sms spedito a Storace alle 8 e 12, proprio del mattino del 10 marzo e proprio dal direttore tecnico di Laziomatica Mirko Maceri, il protagonista dell'hackeraggio. Il testo non è stato rintracciato, ma per i magistrati quel messaggio, a quell'ora, è una prova a carico di Storace.
Accanto al processo Laziogate e al caso 'Torax' (nome del file trovato nel computer dell'ex assessore di An, Giulio Gargano, con l'elenco delle presunte mazzette), si sta per aprire un terzo fronte di indagine: le strutture sanitarie della famiglia Fini.
Tutto inizia quando il pm di Potenza, Henry John Woodcock intercetta il 19 aprile 2005 la voce di Daniela Fini che dice a Francesco Proietti (suo socio nelle imprese sanitarie, deputato e segretario di Gianfranco Fini) di avere ottenuto la convenzione per la risonanza e la tac "quando sono andata a sbattermi il culo con Storace". Lo 'sbattimento' presso il presidente regionale ha prodotto una convenzione molto redditizia per il Panigea, un grande laboratorio che ha per soci nell'ordine: la moglie, la cognata e il segretario di Fini. Lady Fini aveva ragione a vantarsi: la richiesta della Panigea era stata presentata l'11 febbraio ed era stata accolta il 18 (in una giunta da cui si era assentato Storace), un record. La cognata (moglie del fratello di Fini) però non vuole riconoscerle il merito e vorrebbe comprare tutte le quote del Panigea per pochi euro. Daniela si sfoga con il socio Proietti: "E che, ora che diventa il pozzo di San Patrizio te la do? 'A bella...!".
Ora, grazie all'inchiesta romana dei pm Capaldo e Bombardieri, si comprende come ha fatto la Panigea a diventare il 'pozzo di San Patrizio'. La funzionaria della regione Elda Melaragno ai pm ha raccontato che il 2 febbraio del 2005 l'allora assessore alla sanità Marco Verzaschi le chiese una lista delle srutture in attesa di accreditamento. Mancavano due mesi alle elezioni e i tempi stringevano. La Melaragno stende un elenco, ma il capo di gabinetto di Storace le chiede di aggiungere alcune strutture. Il pm Bombardieri, a questo punto dell'interrogatorio, le sventola sotto il naso l'elenco con le annotazioni a penna e nota che, tra le poche strutture aggiunte, c'è un centro raccomandato dall'assessore Gargano e proprio la Panigea. Accanto c'è un bell'Ok. Gli altri possono attendere e Daniela Fini può gioire per il suo pozzo di San Patrizio. Se tutto questo sia reato saranno i pm a stabilirlo. Certamente Storace ha ragione a dire: "Vedo momenti più duri per i vertici del partito".