lunaticgate
06-10-2006, 17:03
Vi posto un'articolo un pò lunghetto ma molto interessante.
Una piccola premessa: ho votato Prodi, e me ne sto pentendo!
Senza vergogna: nella finanziaria di Prodi, di Padoa-Schioppa e degli
altri miliardari di Stato ci sono incentivi per chi cambia il
frigorifero. Guarda caso, fa notare un blog ben informato (1), nella
Commissione attività produttive c’è Maria Paola Merloni, figlia del
produttore marchigiano di cucine, eletta nell’Ulivo. Essendo la
fabbrica quotata in Borsa, il regalo è doppio.
Anche i titoli Fiat sono saliti, grazie alla Finanziaria, dell’1,63 %.
Merito degli incentivi per chi compra una Euro-4, e dei disincentivi
per chi ha un SUV (domanda un lettore non ingenuo: qual è la sola casa
automobilistica nel pianeta che non fabbrica SUV? La Fiat), ma anche
del regalo che rende possibile il prepensionamento degli operai.
Chi ha i soldi per l’auto nuova ha l’esenzione dal bollo per 5 anni.
Chi ha un vecchio diesel, viene bastonato col superbollo: che, fra
l’altro, distrugge il valore dell’usato, nota l’imprenditore dai
pensieri in libertà. Domanda: chi è più ricco?
Chi compra l’auto nuova, o chi deve tenersi una vecchia auto diesel?
Visco afferma: non abbiamo reintrodotto la tassa di successione.
No, l’ha semplicemente sostituita con una tassa di registro. Chi passa
il bilocale al figlio sarà sur-tassato. Ovviamente non i ricchi, che
passano ai figli beni che risultano di società, magari all’estero,
azioni e fondi neri in Liechtenstein. Nella Finanziaria non manca un
colossale falso in bilancio: viene conteggiata come «entrata» il debito
(perché è un debito) costituito dalle liquidazioni (TFR) dei dipendenti
, forzosamente trasferite dalle aziende all’INPS. L’avesse fatto
Tremonti, sarebbero stato tuoni e fulmini.
Invece l’ha fatto Prodi, e tutti zitti: sindacati, economisti dei
grandi media, giornalisti (opportunamente scesi in sciopero per
garantire il silenzio-stampa alla protesta popolare), radicali (hanno
avuto il loro regalo), la Chiesa (ha avuto i suoi), insomma tutte le
lobby, poteri costituiti, burocrazie inadempienti che s’ingrassano sui
soldi nostri, mentre noi diventiamo più poveri ogni giorno.
Padoa-Schioppa parla persino di «equità»: senza vergogna.
I BOT sono tassatissimi, il prelievo dal 39 al 43 % colpisce quel ceto
medio dipendente che è la forza della nazione, tipicamente i medici
ospedalieri, i quadri, i piccoli dirigenti, i tecnici specializzati.
I senza-vergogna rispondono: «Solo l’1,5 % percepisce oltre i 70 mila
euro, solo il 2,5 % ha un reddito imponibile oltre i 50 mila».
Per far credere che sono pochi privilegiati ad essere stangati.
Ma rileva l’imprenditore: già, ma quel 2,5 % rappresenta il 17 % del
reddito totale, e produce ben il 31 % del gettito complessivo IRPEF
(dati 2001, non sostanzialmente cambiati da allora). E’ il 2,5 % che
lavora e paga di più. Questo 2,5% produce circa un quinto del reddito
nazionale. E questa «piccola fascia privilegiata» è quella che paga già
più tasse di tutti, e che non evade niente: tanto è vero che mentre ha
il 17% del reddito, contribuisce alle spese dello Stato (e agli
stipendi dei suoi miliardari) per il 31%. Altro che privilegiati.
L’inasprimento fiscale su questa categoria è un’ingiustizia bruciante,
perché colpisce precisamente la classe che da sempre paga troppe tasse:
lo mostra la differenza su quel che prendono (il 17% del reddito
nazionale) e quel che pagano in tasse (il 31%). Non è abbastanza grande
il loro contributo alla «solidarietà nazionale»?, scherza amaro
l’imprenditore.
Senza contare che l’aumentata progressività diventa poi piatta: pagherà
il 43 % chi ha 70 mila euro lordi annui come chi ne prende 700 mila o
1,5 milioni (Ciampi, Draghi, Padoa-Schioppa). Ma ovviamente è diverso
vivere con 3 mila euro netti l’anno, o con 30 mila. Ma i ricchi, i veri
ricchi, non devono piangere: sono loro, quelli che ci hanno stangato.
Oltretutto, la supertassazione di questa classe media produrrà
l’effetto ben noto e studiato: non l’aumento, bensì il calo del
gettito. Non c’è bisogno di esibire ancora una volta la «curva di
Laffer», né l’esperienza di questi ultimi anni in tutti i sistemi
fiscali del mondo: diminuire la progressività del prelievo è il solo
modo sano per accrescere il gettito.
Specie per questa categoria già tartassata, infatti, l’aggravio
stronca la propensione a guadagnare di più con straordinari e piegando
ancor più la schiena. Non conviene studiare, manca l’incentivo a
intraprendere e ad avere nuove idee. Conviene evadere, rifugiarsi nel
nero. Persino Visco deve saperlo. Non può non saperlo. Perciò, la
conclusione da trarre è una sola: la casta dei miliardari di Stato che
si autodefinisce «la sinistra» vuole deliberatamente liquidare la
classe media che non l’ha votata.
Ed è pronta a pagare un prezzo in arretramento dell’economia e della
nazione. Per gli stessi motivi ideologici per cui Stalin provocò la
più grande carestia mai vista al mondo, nel 1937, per liquidare i
kulaki, i coltivatori diretti produttivi, relativamente benestanti,
che occupavano braccianti. Il dubbio non è più possibile dopo aver
letto l’ottimo pezzo di Claudio Bianchini su queste pagine.
Per i nostri neo-stalinisti con lo yacht, il nemico di classe sono «le
partite IVA», questa categoria nata per necessità e per la
globalizzazione: auto-impiegati, spesso precari e tutt’altro che
benestanti, a cui i datori di lavoro fanno aprire una partita IVA per
non stipendiarli né pagar loro i contributi. Questa categoria non sta
coi sindacati, né con la sinistra, questa categoria ha votato, per sua
disgrazia, il Polo, va punita. Anzi, va eliminata dal panorama sociale.
Giustamente dice Bianchini: la stangata è rivolta specificamente contro
le attività minime, di sopravvivenza, marginali. Un grande consulente
o professionista, una «partita IVA da un milione di euro», non sarà
aggravata dagli obblighi nuovi, di aprire un conto corrente per le sue
attività, o di acquistare un computer, o di farsi assistere da un
commercialista.
L’aggravio stroncherà le partire Iva da 10, 20, trentamila euro l’anno.
Specie le attività di sopravvivenza giovanili sono colpite: appunto il
caso di studenti che aprano una piccola attività.Essi dovranno pagare
in anticipo le imposte per il primo anno, come acconto d’imposta per
l’anno successivo, su un reddito che non hanno ancora cominciato a
percepire, e che forse non percepiranno.
Come non capire che questo meccanismo - leninista - uccide sul nascere
ogni conato di micro-imprenditorialità, ogni inizio di attività basato
su poco o nullo capitale, ma su qualche idea? E così tutte le attività
commerciali e artigianali minime, calzolai e artigiani di servizio,
saranno stroncate.I «piccoli» devono sparire, solo la grande
distribuzione e le COOP - il feudo rosso sostanzialmente esentasse -
devono restare.
Si tratta di attività il cui sviluppo, nel clima della concorrenza
globale, è addirittura necessario: uno dei pochi sbocchi rimasti a una
gioventù che non ha che vaghe possibilità di occupazione fissa, nel
mondo dove la grandi aziende si mutano in finanziarie per
l’arricchimento di pochi signori, o trasferiscono i posti di lavoro là
dove le paghe sono bassissime. Prodi, Visco e Padoa-Schioppa lo sanno
benissimo. E stroncano apposta queste possibilità dei giovani.
Perseguono deliberatamente l’aumento della spaccatura sociale che il
libero mercato globale già determina in sè: quella fra gli esposti
alla competizione globale, e i «garantiti» che ne sono al riparo.
Quelli il cui salario cala verso i 70 euro mensili dei cinesi, e quelli
che possono arricchirsi scandalosamente, perché non sono in concorrenza
con la Cina. Il liberismo globale ha infatti divaricato tragicamente
la situazione di coloro che producono merci o servizi «vendibili» da
quella di chi si occupa di beni e servizi «non vendibili».
I beni «vendibili» per eccellenza sono le merci industriali e
artigianali: scarpe, tessili, parti meccaniche, motori. Sono merci
«commerciabili», che possono essere esportate, e che per questo
subiscono la concorrenza di importazioni, ossia di merci, fabbricate a
prezzi competitivi all’estero. Per contro, beni e servizi «non
vendibili» sono quelli che hanno solo un mercato interno. Di che si
tratta? Sono servizi «non vendibili» alcune attività di basso profilo
sociale e di modesta redditività, come quella di taxista o barbiere
(non conviene andare a farsi tagliare i capelli da un barbiere cinese),
i servizi «alla persona» (manicures, badanti, para-sanitari) e i
servizi alberghieri (cameriere, donna delle pulizie) o di vendita al
dettaglio (commessi).
Ma il grosso dei servizi «non-vendibili» veramente lucrosi è costituito
dall’insieme delle attività pubbliche. Per quanto le nostre ferrovie o
autostrade facciano schifo, non possiamo che servirci di quelle, e
dunque dobbiamo sopportarne il personale e le inefficienze. Allo stesso
modo, non possiamo servirci di magistrati francesi o svedesi, benchè
migliori dei nostri: dobbiamo tenerci quelli che abbiamo, che lavorino
o no, che siano serii o no.
Non possiamo importare dalla Cina insegnanti, né statali meno
fancazzisti. Draghi è sicuramente meno competitivo del capo della
Banca Centrale USA Bernanke (che guadagna tre volte meno), ma dobbiamo
continuare a pagarlo.Né possiamo liberarci dei grand commis, dei
dirigenti statali italiani, «esternalizzando» il loro lavoro in Albania
o a Taiwan. Né sostituire Padoa Schioppa o l’inutile senatore a vita
Ciampi con tre o quattrocento indiani, quanti potremmo assumerne con
il loro emolumento. Ciò significa che i produttori di merci e di
servizi vendibili devono diventare sempre più produttivi e
«flessibili» nel tentativo di sostenere la competizione di produttori
cinesi; e il tentativo è per lo più vano, essendo le paghe in Cina e
India così basse, da consigliare ai capitali di aprire là le fabbriche
ed «esternalizzare» le produzioni, chiudendo le fabbriche della
nazione.
Sicchè, nonostante gli sforzi, le dedizioni e le genialità consumate,
le classi produttive di beni «vendibili», ineluttabilmente, si
impoveriscono e diventano ogni giorno più precarie. E le loro paghe
reali, irresistibilmente, calano sotto i livelli di povertà.
Per contro, chi si occupa di servizi «non vendibili» non ha da temere
concorrenza alcuna. Perciò gli statali, i Ciampi e i giudici non hanno
alcun incentivo a migliorarsi, a rendere servizi più efficienti, a non
degradare le ferrovie o le autostrade oltre un certo limite.
Le attività «pubbliche» o «sociali» per il presunto «bene collettivo»
possono guastarsi all’infinito, senza che chi se ne occupa debba pagare
alcun prezzo.
Il numero degli insegnanti può aumentare, anche se per le note ragioni
demografiche il numero degli alunni diminuisce. Il loro stipendio
(degli insegnanti, ma non dei grand commis) sarà modesto, ma almeno è
sicuro e perenne. La vita di tutti coloro che si occupano di servizi
«pubblici», non vendibili, diventa ogni giorno più facile - almeno in
rapporto alle fatiche e prospettive calanti della parte di società che
è esposta nei servizi e merci «vendibili».
Questo è di per sé un dramma anche in Paesi dove i pubblici dipendenti
mantengono un alto livello di lealtà ed efficienza. Come ha spesso
notato Pat Buchanan, ciò che il grande capitale mirava ad ottenere
imponendo il liberismo globale (l’abolizione dei dazi sulle
importazioni) non è mai stato «il commercio», né tanto meno «la
disponibilità al consumatore di merci a basso prezzo».
Ciò che voleva il capitale era sbattere fuori i lavoratori nazionali
ormai troppo costosi rispetto ai cinesi, non pagare più la sicurezza
sociale e i costi di pensione e di sanità. E’ la tragica rottura del
patto sociale che univa le società occidentali in quanto comunità di
destino: dove cioè ricchi e poveri, produttori e capitalisti, servitori
dello Stato e privati, erano in qualche misura «nella stessa barca».
Ma c’è di peggio. Come nota Paul Craig Roberts, vice-ministro del
Tesoro sotto Reagan, si sta verificando un impoverimento più fatale di
quello economico: l’impoverimento culturale, intellettuale delle
società occidentali ad alto reddito. (2) In USA, tra il 2001 e il 2005,
le paghe nel settore della «computer science» sono calate del 12,7 %,
nella «computer engineering» del 10,2 %, nel marketing, un calo del
6,5%; nell’amministrazione gestionale, del 5,7 % e nonostante la
«competitività» accresciuta a spese di questi lavoratori, l’America ha
perso 100 mila posti nell’«engineering».
Insomma anche i mestieri «alti», ad alto contenuto tecnologico o di
competenza, sono colpiti dalla concorrenza estera dei Paesi a basso
salario. Al punto che «non vale la pena» e il costo di studiare, di
laurearsi in ingegneria o in settori scientifici, di apprendere
competenze più ricche di contenuti. E non parliamo nemmeno dei lavori
operai: il settore tessile USA ha perso il 43 % dei posti, quello
meccanico il 20 %.
L’America crea ancora nuovi posti di lavoro, un milione e 50 mila tra
il 2001 e il 2006: ma di questi, un milione e 9 mila sono nati nel
settore pubblico. Il resto, nei «servizi alla persona», alberghieri,
para-sanitari. E non abbastanza da coprire l’offerta: se in Italia a
un concorso di scritturale comunale o netturbino si presentano
diecimila giovani, è accaduto che a Chicago, per 325 posti per il
grande magazzino Wal-Mart si sono presentati 25 mila disoccupati.
Ma ovviamente nessuna nazione è mai prosperata annullando i propri
posti da ingegnere, tecnico, operaio specializzato, e rimpiazzandoli
con posti da netturbino, cameriere, portinaio, donna delle pulizie,
servitore domestico e commesso.
La qualità della società decade. La classe media scompare.E la società
si polarizza fra i pochi enormemente ricchi (che non pagano più tasse
né contribuiscono ai costi sociali nazionali, avendo i loro interessi
in Cina) e un sottoproletariato sempre più de-qualificato e sempre più
precario. Questo sottoproletariato ignorante, ad un certo punto,
«produce» violenza e criminalità: non a caso gli USA contano 2,5
milioni di detenuti, ma basta guardare ad esempi nostrani, come Napoli.
Questo in USA.
Ma in Italia, abbiamo in più una patologia morale aggiuntiva: i
garantiti, gli occupanti dei servizi «non vendibili» e non esposti alla
competizione, diventano i veri ricchi. In USA almeno i super-ricchi
sono i signori del settore privato, che in qualche modo producono idee
o muovono capitali; in Italia, i soli miliardari veri sono ormai i
parassiti improduttivi: i Ciampi, i direttori generali, i manager delle
università, i dirigenti regionali, i capi di partito e di sindacato, i
magistrati inamovibili.
O i cosiddetti «imprenditori» che si sono fatti assegnare dai burocrati
pubblici dei monopoli pubblici e li hanno privatizzati, come Tronchetti
o il losco mister Tod’s e le lobby più o meno occulte cui fanno
riferimento. Una categoria che si deve comprendere sotto una etichetta
complessiva: le burocrazie inadempienti. «Inadempienti» perché,
essendo al riparo dalla competizione, hanno cessato del tutto di
eseguire i loro lavori e di provvedere a servizi pubblici di qualità.
Ma in compenso, si assegnano da sé - unici nel panorama sociale -
aumenti di paghe e di privilegi, scandalosamente, senza vergogna.
Insomma: in Italia, la sinistra - che si identifica non più con gli
operai, ma con le alte burocrazie inadempienti - non solo fa il lavoro
distruttivo che fanno, nel liberismo avanzato anglo-americano, i
finanzieri e gli imprenditori che là si arricchiscono pagando meno i
lavoratori del Terzo Mondo; non solo la «sinistra» aggrava e spacca il
patto sociale storico, non solo tiene bordone alla dittatura della
globalizzazione finanziaria.
In più, da noi, la «sinistra» che è nient’altro che la burocrazia
pubblica e le sue lobby complici o alleate, si accomoda come casta
apertamente parassitaria ed esibisce ricchezze sempre più scandalose
- come in certi Stati sudamericani - risucchiandole dalle tasche di una
popolazione in via di impoverimento.
Gli avidi finanzieri americani, almeno, non traggono i loro profitti
ributtanti dall’esazione fiscale: i nostri «nuovi padroni» sì. Sono i
miliardari di Stato. E’ con le finanziarie che si arricchiscono.
A loro, il superbollo sul diesel non costerà nulla, perché hanno l’auto
blu, da noi pagata. Il balzello sull’eredità non li riguarda, perché
hanno appartamenti lussuosi in comodato pubblico, o con affitti
risibili (perchè sono in posizione di approfittare dei favori
immobiliari degli enti previdenziali), e ai loro figli trasferiscono
posti privilegiati super-pagati.
Così, loro additano come «ricchi» e nuovi kulaki chi guadagna tremila
euro al mese e ne dà altri 3 mila al fisco; mentre loro ne guadagnano
30 mila, e non hanno spese di auto, di casa e nemmeno di cellulare.
E per di più (per il solo fatto di essersi autonominati «di sinistra»)
ci dicono che le loro stangate servono a migliorare le condizioni dei
poveri, sono «equità», che dunque loro sono «sociali» e non egoisti.
Ci stanno riducendo un sottoproletariato disoccupato e ignorante, e si
atteggiano a riformatori sociali. Sono parassiti, e danno dei parassiti
agli altri, a chi paga i loro emolumenti scandalosi.
Non pagano tasse nemmeno lontanamente in proporzione ai loro redditi
principeschi (per loro, niente progressività), e bollano come evasori
quelli che pagano per loro. Li paghiamo perché devastino la società e
la comunità di destino che ci tiene insieme. Li paghiamo troppo per
servizi «non vendibili» di cui, a questo punto, possiamo fare a meno:
a che servono magistrati che lasciano impuniti il 98 % dei furti e il
72 % degli omicidi? USL che per una tac vi mettono in lista d’attesa
per otto mesi?
Senatori a vita da 1,5 milioni di euro l’anno che votano come voterebbe
un robot? Sindacati che estraggono dalle buste-paga di quel che resta
della classe operaia 900 milioni di euro l’anno, per impedire poi a
quella classe la rivolta, ed anche la coscienza dello sfruttamento?
E’ questo il problema politico primario in Italia, la vera ultima lotta
di classe: come eliminare questi parassiti che, oltre a sfruttarci, ci
distruggono socialmente, moralmente e intellettualmente?
FONTE (http://www.limprenditore.blogspot.com/ )
Una piccola premessa: ho votato Prodi, e me ne sto pentendo!
Senza vergogna: nella finanziaria di Prodi, di Padoa-Schioppa e degli
altri miliardari di Stato ci sono incentivi per chi cambia il
frigorifero. Guarda caso, fa notare un blog ben informato (1), nella
Commissione attività produttive c’è Maria Paola Merloni, figlia del
produttore marchigiano di cucine, eletta nell’Ulivo. Essendo la
fabbrica quotata in Borsa, il regalo è doppio.
Anche i titoli Fiat sono saliti, grazie alla Finanziaria, dell’1,63 %.
Merito degli incentivi per chi compra una Euro-4, e dei disincentivi
per chi ha un SUV (domanda un lettore non ingenuo: qual è la sola casa
automobilistica nel pianeta che non fabbrica SUV? La Fiat), ma anche
del regalo che rende possibile il prepensionamento degli operai.
Chi ha i soldi per l’auto nuova ha l’esenzione dal bollo per 5 anni.
Chi ha un vecchio diesel, viene bastonato col superbollo: che, fra
l’altro, distrugge il valore dell’usato, nota l’imprenditore dai
pensieri in libertà. Domanda: chi è più ricco?
Chi compra l’auto nuova, o chi deve tenersi una vecchia auto diesel?
Visco afferma: non abbiamo reintrodotto la tassa di successione.
No, l’ha semplicemente sostituita con una tassa di registro. Chi passa
il bilocale al figlio sarà sur-tassato. Ovviamente non i ricchi, che
passano ai figli beni che risultano di società, magari all’estero,
azioni e fondi neri in Liechtenstein. Nella Finanziaria non manca un
colossale falso in bilancio: viene conteggiata come «entrata» il debito
(perché è un debito) costituito dalle liquidazioni (TFR) dei dipendenti
, forzosamente trasferite dalle aziende all’INPS. L’avesse fatto
Tremonti, sarebbero stato tuoni e fulmini.
Invece l’ha fatto Prodi, e tutti zitti: sindacati, economisti dei
grandi media, giornalisti (opportunamente scesi in sciopero per
garantire il silenzio-stampa alla protesta popolare), radicali (hanno
avuto il loro regalo), la Chiesa (ha avuto i suoi), insomma tutte le
lobby, poteri costituiti, burocrazie inadempienti che s’ingrassano sui
soldi nostri, mentre noi diventiamo più poveri ogni giorno.
Padoa-Schioppa parla persino di «equità»: senza vergogna.
I BOT sono tassatissimi, il prelievo dal 39 al 43 % colpisce quel ceto
medio dipendente che è la forza della nazione, tipicamente i medici
ospedalieri, i quadri, i piccoli dirigenti, i tecnici specializzati.
I senza-vergogna rispondono: «Solo l’1,5 % percepisce oltre i 70 mila
euro, solo il 2,5 % ha un reddito imponibile oltre i 50 mila».
Per far credere che sono pochi privilegiati ad essere stangati.
Ma rileva l’imprenditore: già, ma quel 2,5 % rappresenta il 17 % del
reddito totale, e produce ben il 31 % del gettito complessivo IRPEF
(dati 2001, non sostanzialmente cambiati da allora). E’ il 2,5 % che
lavora e paga di più. Questo 2,5% produce circa un quinto del reddito
nazionale. E questa «piccola fascia privilegiata» è quella che paga già
più tasse di tutti, e che non evade niente: tanto è vero che mentre ha
il 17% del reddito, contribuisce alle spese dello Stato (e agli
stipendi dei suoi miliardari) per il 31%. Altro che privilegiati.
L’inasprimento fiscale su questa categoria è un’ingiustizia bruciante,
perché colpisce precisamente la classe che da sempre paga troppe tasse:
lo mostra la differenza su quel che prendono (il 17% del reddito
nazionale) e quel che pagano in tasse (il 31%). Non è abbastanza grande
il loro contributo alla «solidarietà nazionale»?, scherza amaro
l’imprenditore.
Senza contare che l’aumentata progressività diventa poi piatta: pagherà
il 43 % chi ha 70 mila euro lordi annui come chi ne prende 700 mila o
1,5 milioni (Ciampi, Draghi, Padoa-Schioppa). Ma ovviamente è diverso
vivere con 3 mila euro netti l’anno, o con 30 mila. Ma i ricchi, i veri
ricchi, non devono piangere: sono loro, quelli che ci hanno stangato.
Oltretutto, la supertassazione di questa classe media produrrà
l’effetto ben noto e studiato: non l’aumento, bensì il calo del
gettito. Non c’è bisogno di esibire ancora una volta la «curva di
Laffer», né l’esperienza di questi ultimi anni in tutti i sistemi
fiscali del mondo: diminuire la progressività del prelievo è il solo
modo sano per accrescere il gettito.
Specie per questa categoria già tartassata, infatti, l’aggravio
stronca la propensione a guadagnare di più con straordinari e piegando
ancor più la schiena. Non conviene studiare, manca l’incentivo a
intraprendere e ad avere nuove idee. Conviene evadere, rifugiarsi nel
nero. Persino Visco deve saperlo. Non può non saperlo. Perciò, la
conclusione da trarre è una sola: la casta dei miliardari di Stato che
si autodefinisce «la sinistra» vuole deliberatamente liquidare la
classe media che non l’ha votata.
Ed è pronta a pagare un prezzo in arretramento dell’economia e della
nazione. Per gli stessi motivi ideologici per cui Stalin provocò la
più grande carestia mai vista al mondo, nel 1937, per liquidare i
kulaki, i coltivatori diretti produttivi, relativamente benestanti,
che occupavano braccianti. Il dubbio non è più possibile dopo aver
letto l’ottimo pezzo di Claudio Bianchini su queste pagine.
Per i nostri neo-stalinisti con lo yacht, il nemico di classe sono «le
partite IVA», questa categoria nata per necessità e per la
globalizzazione: auto-impiegati, spesso precari e tutt’altro che
benestanti, a cui i datori di lavoro fanno aprire una partita IVA per
non stipendiarli né pagar loro i contributi. Questa categoria non sta
coi sindacati, né con la sinistra, questa categoria ha votato, per sua
disgrazia, il Polo, va punita. Anzi, va eliminata dal panorama sociale.
Giustamente dice Bianchini: la stangata è rivolta specificamente contro
le attività minime, di sopravvivenza, marginali. Un grande consulente
o professionista, una «partita IVA da un milione di euro», non sarà
aggravata dagli obblighi nuovi, di aprire un conto corrente per le sue
attività, o di acquistare un computer, o di farsi assistere da un
commercialista.
L’aggravio stroncherà le partire Iva da 10, 20, trentamila euro l’anno.
Specie le attività di sopravvivenza giovanili sono colpite: appunto il
caso di studenti che aprano una piccola attività.Essi dovranno pagare
in anticipo le imposte per il primo anno, come acconto d’imposta per
l’anno successivo, su un reddito che non hanno ancora cominciato a
percepire, e che forse non percepiranno.
Come non capire che questo meccanismo - leninista - uccide sul nascere
ogni conato di micro-imprenditorialità, ogni inizio di attività basato
su poco o nullo capitale, ma su qualche idea? E così tutte le attività
commerciali e artigianali minime, calzolai e artigiani di servizio,
saranno stroncate.I «piccoli» devono sparire, solo la grande
distribuzione e le COOP - il feudo rosso sostanzialmente esentasse -
devono restare.
Si tratta di attività il cui sviluppo, nel clima della concorrenza
globale, è addirittura necessario: uno dei pochi sbocchi rimasti a una
gioventù che non ha che vaghe possibilità di occupazione fissa, nel
mondo dove la grandi aziende si mutano in finanziarie per
l’arricchimento di pochi signori, o trasferiscono i posti di lavoro là
dove le paghe sono bassissime. Prodi, Visco e Padoa-Schioppa lo sanno
benissimo. E stroncano apposta queste possibilità dei giovani.
Perseguono deliberatamente l’aumento della spaccatura sociale che il
libero mercato globale già determina in sè: quella fra gli esposti
alla competizione globale, e i «garantiti» che ne sono al riparo.
Quelli il cui salario cala verso i 70 euro mensili dei cinesi, e quelli
che possono arricchirsi scandalosamente, perché non sono in concorrenza
con la Cina. Il liberismo globale ha infatti divaricato tragicamente
la situazione di coloro che producono merci o servizi «vendibili» da
quella di chi si occupa di beni e servizi «non vendibili».
I beni «vendibili» per eccellenza sono le merci industriali e
artigianali: scarpe, tessili, parti meccaniche, motori. Sono merci
«commerciabili», che possono essere esportate, e che per questo
subiscono la concorrenza di importazioni, ossia di merci, fabbricate a
prezzi competitivi all’estero. Per contro, beni e servizi «non
vendibili» sono quelli che hanno solo un mercato interno. Di che si
tratta? Sono servizi «non vendibili» alcune attività di basso profilo
sociale e di modesta redditività, come quella di taxista o barbiere
(non conviene andare a farsi tagliare i capelli da un barbiere cinese),
i servizi «alla persona» (manicures, badanti, para-sanitari) e i
servizi alberghieri (cameriere, donna delle pulizie) o di vendita al
dettaglio (commessi).
Ma il grosso dei servizi «non-vendibili» veramente lucrosi è costituito
dall’insieme delle attività pubbliche. Per quanto le nostre ferrovie o
autostrade facciano schifo, non possiamo che servirci di quelle, e
dunque dobbiamo sopportarne il personale e le inefficienze. Allo stesso
modo, non possiamo servirci di magistrati francesi o svedesi, benchè
migliori dei nostri: dobbiamo tenerci quelli che abbiamo, che lavorino
o no, che siano serii o no.
Non possiamo importare dalla Cina insegnanti, né statali meno
fancazzisti. Draghi è sicuramente meno competitivo del capo della
Banca Centrale USA Bernanke (che guadagna tre volte meno), ma dobbiamo
continuare a pagarlo.Né possiamo liberarci dei grand commis, dei
dirigenti statali italiani, «esternalizzando» il loro lavoro in Albania
o a Taiwan. Né sostituire Padoa Schioppa o l’inutile senatore a vita
Ciampi con tre o quattrocento indiani, quanti potremmo assumerne con
il loro emolumento. Ciò significa che i produttori di merci e di
servizi vendibili devono diventare sempre più produttivi e
«flessibili» nel tentativo di sostenere la competizione di produttori
cinesi; e il tentativo è per lo più vano, essendo le paghe in Cina e
India così basse, da consigliare ai capitali di aprire là le fabbriche
ed «esternalizzare» le produzioni, chiudendo le fabbriche della
nazione.
Sicchè, nonostante gli sforzi, le dedizioni e le genialità consumate,
le classi produttive di beni «vendibili», ineluttabilmente, si
impoveriscono e diventano ogni giorno più precarie. E le loro paghe
reali, irresistibilmente, calano sotto i livelli di povertà.
Per contro, chi si occupa di servizi «non vendibili» non ha da temere
concorrenza alcuna. Perciò gli statali, i Ciampi e i giudici non hanno
alcun incentivo a migliorarsi, a rendere servizi più efficienti, a non
degradare le ferrovie o le autostrade oltre un certo limite.
Le attività «pubbliche» o «sociali» per il presunto «bene collettivo»
possono guastarsi all’infinito, senza che chi se ne occupa debba pagare
alcun prezzo.
Il numero degli insegnanti può aumentare, anche se per le note ragioni
demografiche il numero degli alunni diminuisce. Il loro stipendio
(degli insegnanti, ma non dei grand commis) sarà modesto, ma almeno è
sicuro e perenne. La vita di tutti coloro che si occupano di servizi
«pubblici», non vendibili, diventa ogni giorno più facile - almeno in
rapporto alle fatiche e prospettive calanti della parte di società che
è esposta nei servizi e merci «vendibili».
Questo è di per sé un dramma anche in Paesi dove i pubblici dipendenti
mantengono un alto livello di lealtà ed efficienza. Come ha spesso
notato Pat Buchanan, ciò che il grande capitale mirava ad ottenere
imponendo il liberismo globale (l’abolizione dei dazi sulle
importazioni) non è mai stato «il commercio», né tanto meno «la
disponibilità al consumatore di merci a basso prezzo».
Ciò che voleva il capitale era sbattere fuori i lavoratori nazionali
ormai troppo costosi rispetto ai cinesi, non pagare più la sicurezza
sociale e i costi di pensione e di sanità. E’ la tragica rottura del
patto sociale che univa le società occidentali in quanto comunità di
destino: dove cioè ricchi e poveri, produttori e capitalisti, servitori
dello Stato e privati, erano in qualche misura «nella stessa barca».
Ma c’è di peggio. Come nota Paul Craig Roberts, vice-ministro del
Tesoro sotto Reagan, si sta verificando un impoverimento più fatale di
quello economico: l’impoverimento culturale, intellettuale delle
società occidentali ad alto reddito. (2) In USA, tra il 2001 e il 2005,
le paghe nel settore della «computer science» sono calate del 12,7 %,
nella «computer engineering» del 10,2 %, nel marketing, un calo del
6,5%; nell’amministrazione gestionale, del 5,7 % e nonostante la
«competitività» accresciuta a spese di questi lavoratori, l’America ha
perso 100 mila posti nell’«engineering».
Insomma anche i mestieri «alti», ad alto contenuto tecnologico o di
competenza, sono colpiti dalla concorrenza estera dei Paesi a basso
salario. Al punto che «non vale la pena» e il costo di studiare, di
laurearsi in ingegneria o in settori scientifici, di apprendere
competenze più ricche di contenuti. E non parliamo nemmeno dei lavori
operai: il settore tessile USA ha perso il 43 % dei posti, quello
meccanico il 20 %.
L’America crea ancora nuovi posti di lavoro, un milione e 50 mila tra
il 2001 e il 2006: ma di questi, un milione e 9 mila sono nati nel
settore pubblico. Il resto, nei «servizi alla persona», alberghieri,
para-sanitari. E non abbastanza da coprire l’offerta: se in Italia a
un concorso di scritturale comunale o netturbino si presentano
diecimila giovani, è accaduto che a Chicago, per 325 posti per il
grande magazzino Wal-Mart si sono presentati 25 mila disoccupati.
Ma ovviamente nessuna nazione è mai prosperata annullando i propri
posti da ingegnere, tecnico, operaio specializzato, e rimpiazzandoli
con posti da netturbino, cameriere, portinaio, donna delle pulizie,
servitore domestico e commesso.
La qualità della società decade. La classe media scompare.E la società
si polarizza fra i pochi enormemente ricchi (che non pagano più tasse
né contribuiscono ai costi sociali nazionali, avendo i loro interessi
in Cina) e un sottoproletariato sempre più de-qualificato e sempre più
precario. Questo sottoproletariato ignorante, ad un certo punto,
«produce» violenza e criminalità: non a caso gli USA contano 2,5
milioni di detenuti, ma basta guardare ad esempi nostrani, come Napoli.
Questo in USA.
Ma in Italia, abbiamo in più una patologia morale aggiuntiva: i
garantiti, gli occupanti dei servizi «non vendibili» e non esposti alla
competizione, diventano i veri ricchi. In USA almeno i super-ricchi
sono i signori del settore privato, che in qualche modo producono idee
o muovono capitali; in Italia, i soli miliardari veri sono ormai i
parassiti improduttivi: i Ciampi, i direttori generali, i manager delle
università, i dirigenti regionali, i capi di partito e di sindacato, i
magistrati inamovibili.
O i cosiddetti «imprenditori» che si sono fatti assegnare dai burocrati
pubblici dei monopoli pubblici e li hanno privatizzati, come Tronchetti
o il losco mister Tod’s e le lobby più o meno occulte cui fanno
riferimento. Una categoria che si deve comprendere sotto una etichetta
complessiva: le burocrazie inadempienti. «Inadempienti» perché,
essendo al riparo dalla competizione, hanno cessato del tutto di
eseguire i loro lavori e di provvedere a servizi pubblici di qualità.
Ma in compenso, si assegnano da sé - unici nel panorama sociale -
aumenti di paghe e di privilegi, scandalosamente, senza vergogna.
Insomma: in Italia, la sinistra - che si identifica non più con gli
operai, ma con le alte burocrazie inadempienti - non solo fa il lavoro
distruttivo che fanno, nel liberismo avanzato anglo-americano, i
finanzieri e gli imprenditori che là si arricchiscono pagando meno i
lavoratori del Terzo Mondo; non solo la «sinistra» aggrava e spacca il
patto sociale storico, non solo tiene bordone alla dittatura della
globalizzazione finanziaria.
In più, da noi, la «sinistra» che è nient’altro che la burocrazia
pubblica e le sue lobby complici o alleate, si accomoda come casta
apertamente parassitaria ed esibisce ricchezze sempre più scandalose
- come in certi Stati sudamericani - risucchiandole dalle tasche di una
popolazione in via di impoverimento.
Gli avidi finanzieri americani, almeno, non traggono i loro profitti
ributtanti dall’esazione fiscale: i nostri «nuovi padroni» sì. Sono i
miliardari di Stato. E’ con le finanziarie che si arricchiscono.
A loro, il superbollo sul diesel non costerà nulla, perché hanno l’auto
blu, da noi pagata. Il balzello sull’eredità non li riguarda, perché
hanno appartamenti lussuosi in comodato pubblico, o con affitti
risibili (perchè sono in posizione di approfittare dei favori
immobiliari degli enti previdenziali), e ai loro figli trasferiscono
posti privilegiati super-pagati.
Così, loro additano come «ricchi» e nuovi kulaki chi guadagna tremila
euro al mese e ne dà altri 3 mila al fisco; mentre loro ne guadagnano
30 mila, e non hanno spese di auto, di casa e nemmeno di cellulare.
E per di più (per il solo fatto di essersi autonominati «di sinistra»)
ci dicono che le loro stangate servono a migliorare le condizioni dei
poveri, sono «equità», che dunque loro sono «sociali» e non egoisti.
Ci stanno riducendo un sottoproletariato disoccupato e ignorante, e si
atteggiano a riformatori sociali. Sono parassiti, e danno dei parassiti
agli altri, a chi paga i loro emolumenti scandalosi.
Non pagano tasse nemmeno lontanamente in proporzione ai loro redditi
principeschi (per loro, niente progressività), e bollano come evasori
quelli che pagano per loro. Li paghiamo perché devastino la società e
la comunità di destino che ci tiene insieme. Li paghiamo troppo per
servizi «non vendibili» di cui, a questo punto, possiamo fare a meno:
a che servono magistrati che lasciano impuniti il 98 % dei furti e il
72 % degli omicidi? USL che per una tac vi mettono in lista d’attesa
per otto mesi?
Senatori a vita da 1,5 milioni di euro l’anno che votano come voterebbe
un robot? Sindacati che estraggono dalle buste-paga di quel che resta
della classe operaia 900 milioni di euro l’anno, per impedire poi a
quella classe la rivolta, ed anche la coscienza dello sfruttamento?
E’ questo il problema politico primario in Italia, la vera ultima lotta
di classe: come eliminare questi parassiti che, oltre a sfruttarci, ci
distruggono socialmente, moralmente e intellettualmente?
FONTE (http://www.limprenditore.blogspot.com/ )