easyand
14-06-2006, 08:50
Afghanistan e Iraq, troppi giochi politici Il braccio legato dei nostri soldati
Ai tempi del Vietnam si diceva che i soldati americani combattevano «con un braccio legato dietro la schiena» a causa delle burrasche politiche a Washington. In realtà il Vietnam mobilitò buona parte della società statunitense, e non è possibile paragonare quella guerra atroce alle odierne missioni militari italiane. Ma se componenti non trascurabili della nostra classe politica procederanno sulla via che hanno imboccato, una somiglianza finirà per esistere: i soldati italiani vedranno moltiplicarsi i rischi da affrontare perché a Roma maggioranza e opposizione non avranno fatto chiarezza sui loro compiti.
Le reazioni all'intervista che il Segretario generale della Nato ha concesso al Corriere sono soltanto il sintomo più recente di una nevrosi politica tenace e irresponsabile, come se la solidarietà ai nostri militari impegnati all'estero dovesse esprimersi soltanto in occasione dei funerali. Marco Rizzo dei Comunisti italiani teme che il ritiro dall'Iraq si trasformi in un «macabro gioco dei quattro cantoni» e aggiunge che «per quanto lo riguarda» dobbiamo andar via anche dall'Afghanistan. Ma il Pdci non è presente in un governo che afferma invece di voler rimanere a Kabul, non tiene conto di un programma che di ritiro dall'Afghanistan non parla? E non si pongono simili problemi i Verdi e Rifondazione, quando con accenti appena più morbidi manifestano analoghe intenzioni?
Pur nella diversità dei ruoli, la situazione non è migliore sul fronte del centrodestra. Silvio Berlusconi, riferendosi all'Iraq, parla di «fuga ingloriosa». Ma non aveva programmato e avviato proprio lui il rientro dei militari dall'Iraq entro la fine del 2006? Se lo è scordato anche Fabrizio Cicchitto, quando afferma che «non ci possiamo coprire di vergogna e di inattendibilità»?
Inattendibili rischiamo di diventarlo davvero, perché a uno spettatore esterno l'Italia politica appare spaccata in tre: un governo che tenta troppo debolmente di fare chiarezza e che per fortuna comprende il presidente del Consiglio e i ministri degli Esteri e della Difesa; un governo dissidente che si muove in autonomia; e un'opposizione che per amor di polemica rinnega valori e scelte precedentemente affermate.
Eppure la via da seguire sarebbe semplice, se l'Italia fosse diversa.
Le nostre missioni militari, anche ora che incombe la scadenza del rifinanziamento, vanno valutate e giudicate separatamente. Il governo in carica ha ottime motivazioni per decidere in piena coerenza il ritiro dall'Iraq, e tacciarlo di anti-americanismo significa ignorare quel che pensa la grande maggioranza degli americani, oltre a quella, più importante, degli italiani. Presa la decisione essa deve valere anche nei confronti di eventuali malumori Usa. In Afghanistan si deve rimanere per le più volte ricordate differenze che intercorrono tra la missione a Kabul e quella a Nassiriya (differenze che la «sinistra antagonista» sembra non considerare). Il Segretario della Nato fa il suo mestiere chiedendo l'invio in Afghanistan di aerei e forze speciali, la risposta italiana deve essere sovrana e ispirata da considerazioni operative. Nei Balcani svolgiamo l'unica autentica missione di pace, che di certo non va revocata.
Semplice? Forse no, dal momento che la politica italiana non sembra in grado di identificare senza tormenti i nostri interessi nazionali. Ma proprio per questo, e per evitare che i nostri soldati abbiano anch'essi un braccio pericolosamente legato dietro la schiena, il governo deve farsi carico di risolvere nella chiarezza le sue contraddizioni. Mentre l'opposizione — chiediamo troppo? — deve rinunciare alla sua demagogia da campagna elettorale permanente.
Corriere della Sera
Franco Venturini
Ai tempi del Vietnam si diceva che i soldati americani combattevano «con un braccio legato dietro la schiena» a causa delle burrasche politiche a Washington. In realtà il Vietnam mobilitò buona parte della società statunitense, e non è possibile paragonare quella guerra atroce alle odierne missioni militari italiane. Ma se componenti non trascurabili della nostra classe politica procederanno sulla via che hanno imboccato, una somiglianza finirà per esistere: i soldati italiani vedranno moltiplicarsi i rischi da affrontare perché a Roma maggioranza e opposizione non avranno fatto chiarezza sui loro compiti.
Le reazioni all'intervista che il Segretario generale della Nato ha concesso al Corriere sono soltanto il sintomo più recente di una nevrosi politica tenace e irresponsabile, come se la solidarietà ai nostri militari impegnati all'estero dovesse esprimersi soltanto in occasione dei funerali. Marco Rizzo dei Comunisti italiani teme che il ritiro dall'Iraq si trasformi in un «macabro gioco dei quattro cantoni» e aggiunge che «per quanto lo riguarda» dobbiamo andar via anche dall'Afghanistan. Ma il Pdci non è presente in un governo che afferma invece di voler rimanere a Kabul, non tiene conto di un programma che di ritiro dall'Afghanistan non parla? E non si pongono simili problemi i Verdi e Rifondazione, quando con accenti appena più morbidi manifestano analoghe intenzioni?
Pur nella diversità dei ruoli, la situazione non è migliore sul fronte del centrodestra. Silvio Berlusconi, riferendosi all'Iraq, parla di «fuga ingloriosa». Ma non aveva programmato e avviato proprio lui il rientro dei militari dall'Iraq entro la fine del 2006? Se lo è scordato anche Fabrizio Cicchitto, quando afferma che «non ci possiamo coprire di vergogna e di inattendibilità»?
Inattendibili rischiamo di diventarlo davvero, perché a uno spettatore esterno l'Italia politica appare spaccata in tre: un governo che tenta troppo debolmente di fare chiarezza e che per fortuna comprende il presidente del Consiglio e i ministri degli Esteri e della Difesa; un governo dissidente che si muove in autonomia; e un'opposizione che per amor di polemica rinnega valori e scelte precedentemente affermate.
Eppure la via da seguire sarebbe semplice, se l'Italia fosse diversa.
Le nostre missioni militari, anche ora che incombe la scadenza del rifinanziamento, vanno valutate e giudicate separatamente. Il governo in carica ha ottime motivazioni per decidere in piena coerenza il ritiro dall'Iraq, e tacciarlo di anti-americanismo significa ignorare quel che pensa la grande maggioranza degli americani, oltre a quella, più importante, degli italiani. Presa la decisione essa deve valere anche nei confronti di eventuali malumori Usa. In Afghanistan si deve rimanere per le più volte ricordate differenze che intercorrono tra la missione a Kabul e quella a Nassiriya (differenze che la «sinistra antagonista» sembra non considerare). Il Segretario della Nato fa il suo mestiere chiedendo l'invio in Afghanistan di aerei e forze speciali, la risposta italiana deve essere sovrana e ispirata da considerazioni operative. Nei Balcani svolgiamo l'unica autentica missione di pace, che di certo non va revocata.
Semplice? Forse no, dal momento che la politica italiana non sembra in grado di identificare senza tormenti i nostri interessi nazionali. Ma proprio per questo, e per evitare che i nostri soldati abbiano anch'essi un braccio pericolosamente legato dietro la schiena, il governo deve farsi carico di risolvere nella chiarezza le sue contraddizioni. Mentre l'opposizione — chiediamo troppo? — deve rinunciare alla sua demagogia da campagna elettorale permanente.
Corriere della Sera
Franco Venturini