zerothehero
13-06-2006, 21:45
Iraq: il Kurdistan verso la secessione
I curdi sparsi su un vasto territorio appartenenti a cinque stati (Turchia, Iran, Siria, Iraq, Armenia), sembrano in questo momento vicini al sogno di costruire uno stato autonomo, così come riuscirono gli ebrei decenni fa, e come ancora oggi i palestinesi auspicano di fare.
Domenico Guglielmi
Equilibri.net (13 giugno 2006)
Gli attori sulla scena del Kurdistan sono molti: la Turchia, colonna portante della Nato, alleato di Washington, che considera i curdi come parte integrante del paese “come turchi di montagna”; l’Iran, stato dove i curdi denunciano persecuzioni; l’ex repubblica sovietica dell’Armenia; la Siria settentrionale (che ne ospita 2 milioni); e infine l’Iraq. Proprio l’occupazione americana di quest’ultimo ha sparigliato nuovamente le carte della secolare questione curda, la quale non può essere analizzata chiaramente senza porla nel quadro più ampio dell’intera situazione del Medio Oriente. Nell’Iraq occupato la minoranza curda gode della protezione americana e di una indipendenza di fatto prossima alla secessione. Da pochi giorni il Parlamento del Kurdistan ha unificato formalmente l'amministrazione delle tre province a maggioranza curda nel nord, mettendo fine al sistema precedente con due amministrazioni separate. L'unificazione dei due governi regionali, uno controllato dal Partito Democratico, (KDP) e l'altro dall'Unione Patriottica (PUK), è stata approvata all'unanimità dai 105 membri del parlamento curdo. E' stato creato un Consiglio dei ministri congiunto, di 32 membri, nel quale i due maggiori partiti avranno la maggioranza dei ministeri. Il resto andrà ad altri partiti minori. In particolare, al PUK del Presidente iracheno Jalal Talabani, al quale andranno 14 ministeri, fra cui gli interni e la difesa (che controlla l’esercito curdo). Alla votazione erano presenti funzionari internazionali guidati dall'ambasciatore Usa in Iraq, Zalmay Khalilzad.
La strada della secessione ormai sembra inevitabile, anche perché l’inefficacia che ha dimostrato il governo di Baghdad in questi ultimi anni non sembra rendere possibile altra soluzione. Dall’inizio dell’occupazione americana ad oggi, il Kurdistan iracheno, è stata la sola regione del Paese che abbia conosciuto un certo sviluppo e un miglioramento nelle condizioni di vita. Da un lato un governo di Baghdad che non ha mai funzionato, e dall’altro un Kurdistan che ha rafforzato il suo sentimento di indipendenza traducendolo in realtà con la nascita di una vera e propria struttura statale: rafforzando le sue istituzioni, il suo esercito (addestrato e armato anche dagli israeliani) e sviluppando fortemente la sua economia. Attualmente, proprio a conferma del forte sviluppo della regione, il Governo regionale curdo (GRK) sta negoziando con il governo iraniano l’acquisto di elettricità per soddisfare l'accresciuta domanda della regione. Secondo Hersh Muharam, un alto funzionario curdo, la parte orientale della regione ha bisogno di circa 1.000 m.w. di elettricità, mentre il governo centrale ne fornisce attualmente solo circa 150, che non sono sufficienti per dare avvio alle decine di progetti industriali. Lo stesso Muharam, ha ribadito che è previsto che una delegazione curda ad alto livello si rechi presto in visita a Teheran per mettere a punto un accordo mediante il quale l'Iran costruirebbe centrali elettriche supplementari nei pressi dei suoi confini con l'Iraq, per fornire al Kurdistan circa 132 m.w. di elettricità, anche se, come lo stesso Muharam sostiene, questo non sarà sufficiente. I grandi progetti sono soprattutto legati allo sfruttamento delle risorse petrolifere ed energetiche ancora da scoprire, che saranno gestite dal Ministero per le risorse nazionali presiedute dal Primo Ministro Nechirvan Barzani, che ha già messo in moto la diplomazia curda. A metà maggio c’è stato un incontro al vertice con l’Emiro del Kuwait, nel quale sono stati discussi piani di investimento kuwaitiani in Kurdistan, con scambio di delegazione specializzate. I settori del gas, degli oli, del turismo e dell’agricoltura sono stati i settori di maggiore attrazione. Da questo incontro è emerso come ormai il parlamento curdo operi in modo sovrano. Dalle stesse agenzie di stampa che hanno trattato dell'incontro, è emersa palesemente la distinzione tra “popolo del Kurdistan” e “popolo dell’Iraq”: lo stesso emiro del Kuwait ha sottolineato come solo il Kurdistan è pronto per ricevere gli investimenti dell’Emirato, mentre Baghdad dovrà aspettare che la situazione interna si stabilizzi. La premiership irachena dal canto suo ha ribadito che non prenderà alcuna posizione circa i contratti per il petrolio in Kurdistan, prima di aver tenuto estesi dialoghi con i leader curdi. Secondo alcune fonti ci sono incomprensioni tra il presidente iracheno Talabani e il Primo ministro Al-Maliki. Da queste incomprensioni le compagnie petrolifere curde dovrebbero uniformarsi con le decisioni del Ministro del petrolio di Baghdad, Al-Shahrastani, che non ha alcuna intenzione di provocare scontri, anche se ribadisce illegali i contratti che non saranno approvati dal suo ministero. Negli ultimi anni troppe compagnie petrolifere straniere hanno scavalcato Baghdad e ratificato contratti con il GRK, per sfruttare le risorse petrolifere del Kurdistan . In questo quadro vanno segnalati i successi nel coordinamento tra l’OCUNA (Office of Coordination for United Nations Agencies) stanziato ad Erbil da ormai un anno ed il GRK, in merito a numerose attività, tra le quali spiccano quelle legate a far conoscere il GRK alla comunità internazionale. Molte agenzie e organizzazioni internazionali estere, con staff tecnici al seguito, hanno visitato il Kurdistan. Gli argomenti trattati sono stati quelli della sicurezza della regione ( migliore rispetto a quella dell’intero Iraq), degli investimenti stranieri per lo sviluppo economico, dei rifugiati curdi in Europa.
Quali scenari futuri?
L’ormai scontata secessione del Kurdistan iracheno rappresenta un grosso rischio per tutte l’area mediorientale. Come accennato all’inizio la “questione curda” non riguarda solo l’Iraq. ma coinvolge almeno altri quattro paesi, tra cui la Turchia. Un Kurdistan autonomo rende l’opposizione turca la questione più spinosa: Ankara, uno dei pilastri più importanti della Nato e fedele alleato di Washington, ha ammassato 250 mila militari al confine con l’Iraq settentrionale (che secondo alcune fonti stanno compiendo raid proprio in territorio iracheno contro gli esponenti del PKK). Ciò genera problemi con Washington ( risalenti già all’invasione Usa dell’Iraq). Il 3 maggio Ankara ha ricevuto con tutti gli onori Ari Larjani, il diplomatico iraniano per la questione nucleare. Un incontro chiesto dall’Iran, ma che la Turchia aveva sospeso per settimana per evitare di creare imbarazzo a Washington. La visita tenutasi al più alto livello, tra Larjani ed il primo ministro turco Erdogan, accompagnato dal ministro degli esteri Gul, ha avuto come tema centrale il “problema Pkk”. Anche per l’Iran (con il 14% della popolazione di etnia curda), come per la Turchia, il curdi sono un problema prioritario: anche il governo di Theran ha ammassato truppe al confine settentrionale, per fronteggiare l’infiltrazione del Pkk nel suo territorio. Lo stesso governo iracheno ha contestato, a sua volta, le incursioni sul proprio da parte dell’Iran, il quale ha colpevolizzato gli americani di armare il Pkk proprio per destabilizzare l’Iran. Un accusarsi a vicenda che rischia di generare un conflitto, dalle conseguenze incalcolabili. Tuttavia, nonostante i forti legami economici tra i Turchia e Iran, sembra difficile poter accettare la teoria di una strategia comune tra un paese Nato e uno “stato canaglia”, nonostante fonti sostengano che Theran abbia offerto di condividere la tecnologia nucleare alla Turchia. Sembra non reale la visione di molti analisti che vedono la Turchia affrontare una crisi diplomatica senza precedenti, divisa tra Washington e Theran. La crisi con gli Usa è una “crisi di facciata”: prima del viaggio della delegazione iraniana ad Ankara il 3 maggio, Condoleeza Rice ha incontrato i vertici turchi, per assicurarsi la fedeltà anche per il possibile futuro attacco all’Iran. Il ministro degli esteri turco Gul si è dichiarato pronto a fare qualsiasi cosa per la sicurezza della Turchia, ribadendo che proprio in termini di sicurezza “gli Stati Uniti sono quelli che comprendono meglio la posizione turca”. Crediamo che la diplomazia americana abbia ottenuto l’appoggio incondizionato di Ankara, la quale ha avuto come contropartita la sicurezza “dell’esodo turco” nella “Terra Promessa”( il nuovo Kurdistan iracheno). Un modo per Ankara per risolvere definitivamente il problema curdo senza il rischio di secessione. Chi pagherà la nascita del nuovo stato sarà probabilmente l’Iran: Washington ha un arma di ricatto in più sulla questione nucleare. Sospendere l’arricchimento dell’uranio da un lato, potrebbe garantire dall’altro che al Kurdistan iracheno non sarà integrato quello iraniano, dopo un attacco americano. Ma la predisposizione di Theran, a tale “baratto” non sembra al momento una strada percorribile.
Conclusioni
Sulla questione curda Mosca arriva a temere un ampliamento imprevedibile del conflitto, fino a “una nuova guerra mondiale”. L’ha detto il generale Yuri Baluyevsky, capo dello Stato maggiore, durante la parata della piazza Rossa. Affermando che la stabilità del mondo è meglio servita dalla “diplomazia preventiva” che dalla “guerra preventiva”.
Perché solo oggi il Kurdistan indipendente è diventato necessario? Nel mondo alcuni stati nascono “a tavolino” per enormi interessi internazionali. Gli stessi probabilmente che non permettono ad altri stati di autodeterminarsi. Che gli americani abbiano bisogno del Kurdistan autonomo è fatto chiarissimo: l’Iraq instabile e in costante guerra civile, genera il Kurdistan secessionista, il quale diventa arma fondamentale per ricattare gli altri due “stati canaglia”del Medio Oriente: l’Iran e la Siria.
I curdi sparsi su un vasto territorio appartenenti a cinque stati (Turchia, Iran, Siria, Iraq, Armenia), sembrano in questo momento vicini al sogno di costruire uno stato autonomo, così come riuscirono gli ebrei decenni fa, e come ancora oggi i palestinesi auspicano di fare.
Domenico Guglielmi
Equilibri.net (13 giugno 2006)
Gli attori sulla scena del Kurdistan sono molti: la Turchia, colonna portante della Nato, alleato di Washington, che considera i curdi come parte integrante del paese “come turchi di montagna”; l’Iran, stato dove i curdi denunciano persecuzioni; l’ex repubblica sovietica dell’Armenia; la Siria settentrionale (che ne ospita 2 milioni); e infine l’Iraq. Proprio l’occupazione americana di quest’ultimo ha sparigliato nuovamente le carte della secolare questione curda, la quale non può essere analizzata chiaramente senza porla nel quadro più ampio dell’intera situazione del Medio Oriente. Nell’Iraq occupato la minoranza curda gode della protezione americana e di una indipendenza di fatto prossima alla secessione. Da pochi giorni il Parlamento del Kurdistan ha unificato formalmente l'amministrazione delle tre province a maggioranza curda nel nord, mettendo fine al sistema precedente con due amministrazioni separate. L'unificazione dei due governi regionali, uno controllato dal Partito Democratico, (KDP) e l'altro dall'Unione Patriottica (PUK), è stata approvata all'unanimità dai 105 membri del parlamento curdo. E' stato creato un Consiglio dei ministri congiunto, di 32 membri, nel quale i due maggiori partiti avranno la maggioranza dei ministeri. Il resto andrà ad altri partiti minori. In particolare, al PUK del Presidente iracheno Jalal Talabani, al quale andranno 14 ministeri, fra cui gli interni e la difesa (che controlla l’esercito curdo). Alla votazione erano presenti funzionari internazionali guidati dall'ambasciatore Usa in Iraq, Zalmay Khalilzad.
La strada della secessione ormai sembra inevitabile, anche perché l’inefficacia che ha dimostrato il governo di Baghdad in questi ultimi anni non sembra rendere possibile altra soluzione. Dall’inizio dell’occupazione americana ad oggi, il Kurdistan iracheno, è stata la sola regione del Paese che abbia conosciuto un certo sviluppo e un miglioramento nelle condizioni di vita. Da un lato un governo di Baghdad che non ha mai funzionato, e dall’altro un Kurdistan che ha rafforzato il suo sentimento di indipendenza traducendolo in realtà con la nascita di una vera e propria struttura statale: rafforzando le sue istituzioni, il suo esercito (addestrato e armato anche dagli israeliani) e sviluppando fortemente la sua economia. Attualmente, proprio a conferma del forte sviluppo della regione, il Governo regionale curdo (GRK) sta negoziando con il governo iraniano l’acquisto di elettricità per soddisfare l'accresciuta domanda della regione. Secondo Hersh Muharam, un alto funzionario curdo, la parte orientale della regione ha bisogno di circa 1.000 m.w. di elettricità, mentre il governo centrale ne fornisce attualmente solo circa 150, che non sono sufficienti per dare avvio alle decine di progetti industriali. Lo stesso Muharam, ha ribadito che è previsto che una delegazione curda ad alto livello si rechi presto in visita a Teheran per mettere a punto un accordo mediante il quale l'Iran costruirebbe centrali elettriche supplementari nei pressi dei suoi confini con l'Iraq, per fornire al Kurdistan circa 132 m.w. di elettricità, anche se, come lo stesso Muharam sostiene, questo non sarà sufficiente. I grandi progetti sono soprattutto legati allo sfruttamento delle risorse petrolifere ed energetiche ancora da scoprire, che saranno gestite dal Ministero per le risorse nazionali presiedute dal Primo Ministro Nechirvan Barzani, che ha già messo in moto la diplomazia curda. A metà maggio c’è stato un incontro al vertice con l’Emiro del Kuwait, nel quale sono stati discussi piani di investimento kuwaitiani in Kurdistan, con scambio di delegazione specializzate. I settori del gas, degli oli, del turismo e dell’agricoltura sono stati i settori di maggiore attrazione. Da questo incontro è emerso come ormai il parlamento curdo operi in modo sovrano. Dalle stesse agenzie di stampa che hanno trattato dell'incontro, è emersa palesemente la distinzione tra “popolo del Kurdistan” e “popolo dell’Iraq”: lo stesso emiro del Kuwait ha sottolineato come solo il Kurdistan è pronto per ricevere gli investimenti dell’Emirato, mentre Baghdad dovrà aspettare che la situazione interna si stabilizzi. La premiership irachena dal canto suo ha ribadito che non prenderà alcuna posizione circa i contratti per il petrolio in Kurdistan, prima di aver tenuto estesi dialoghi con i leader curdi. Secondo alcune fonti ci sono incomprensioni tra il presidente iracheno Talabani e il Primo ministro Al-Maliki. Da queste incomprensioni le compagnie petrolifere curde dovrebbero uniformarsi con le decisioni del Ministro del petrolio di Baghdad, Al-Shahrastani, che non ha alcuna intenzione di provocare scontri, anche se ribadisce illegali i contratti che non saranno approvati dal suo ministero. Negli ultimi anni troppe compagnie petrolifere straniere hanno scavalcato Baghdad e ratificato contratti con il GRK, per sfruttare le risorse petrolifere del Kurdistan . In questo quadro vanno segnalati i successi nel coordinamento tra l’OCUNA (Office of Coordination for United Nations Agencies) stanziato ad Erbil da ormai un anno ed il GRK, in merito a numerose attività, tra le quali spiccano quelle legate a far conoscere il GRK alla comunità internazionale. Molte agenzie e organizzazioni internazionali estere, con staff tecnici al seguito, hanno visitato il Kurdistan. Gli argomenti trattati sono stati quelli della sicurezza della regione ( migliore rispetto a quella dell’intero Iraq), degli investimenti stranieri per lo sviluppo economico, dei rifugiati curdi in Europa.
Quali scenari futuri?
L’ormai scontata secessione del Kurdistan iracheno rappresenta un grosso rischio per tutte l’area mediorientale. Come accennato all’inizio la “questione curda” non riguarda solo l’Iraq. ma coinvolge almeno altri quattro paesi, tra cui la Turchia. Un Kurdistan autonomo rende l’opposizione turca la questione più spinosa: Ankara, uno dei pilastri più importanti della Nato e fedele alleato di Washington, ha ammassato 250 mila militari al confine con l’Iraq settentrionale (che secondo alcune fonti stanno compiendo raid proprio in territorio iracheno contro gli esponenti del PKK). Ciò genera problemi con Washington ( risalenti già all’invasione Usa dell’Iraq). Il 3 maggio Ankara ha ricevuto con tutti gli onori Ari Larjani, il diplomatico iraniano per la questione nucleare. Un incontro chiesto dall’Iran, ma che la Turchia aveva sospeso per settimana per evitare di creare imbarazzo a Washington. La visita tenutasi al più alto livello, tra Larjani ed il primo ministro turco Erdogan, accompagnato dal ministro degli esteri Gul, ha avuto come tema centrale il “problema Pkk”. Anche per l’Iran (con il 14% della popolazione di etnia curda), come per la Turchia, il curdi sono un problema prioritario: anche il governo di Theran ha ammassato truppe al confine settentrionale, per fronteggiare l’infiltrazione del Pkk nel suo territorio. Lo stesso governo iracheno ha contestato, a sua volta, le incursioni sul proprio da parte dell’Iran, il quale ha colpevolizzato gli americani di armare il Pkk proprio per destabilizzare l’Iran. Un accusarsi a vicenda che rischia di generare un conflitto, dalle conseguenze incalcolabili. Tuttavia, nonostante i forti legami economici tra i Turchia e Iran, sembra difficile poter accettare la teoria di una strategia comune tra un paese Nato e uno “stato canaglia”, nonostante fonti sostengano che Theran abbia offerto di condividere la tecnologia nucleare alla Turchia. Sembra non reale la visione di molti analisti che vedono la Turchia affrontare una crisi diplomatica senza precedenti, divisa tra Washington e Theran. La crisi con gli Usa è una “crisi di facciata”: prima del viaggio della delegazione iraniana ad Ankara il 3 maggio, Condoleeza Rice ha incontrato i vertici turchi, per assicurarsi la fedeltà anche per il possibile futuro attacco all’Iran. Il ministro degli esteri turco Gul si è dichiarato pronto a fare qualsiasi cosa per la sicurezza della Turchia, ribadendo che proprio in termini di sicurezza “gli Stati Uniti sono quelli che comprendono meglio la posizione turca”. Crediamo che la diplomazia americana abbia ottenuto l’appoggio incondizionato di Ankara, la quale ha avuto come contropartita la sicurezza “dell’esodo turco” nella “Terra Promessa”( il nuovo Kurdistan iracheno). Un modo per Ankara per risolvere definitivamente il problema curdo senza il rischio di secessione. Chi pagherà la nascita del nuovo stato sarà probabilmente l’Iran: Washington ha un arma di ricatto in più sulla questione nucleare. Sospendere l’arricchimento dell’uranio da un lato, potrebbe garantire dall’altro che al Kurdistan iracheno non sarà integrato quello iraniano, dopo un attacco americano. Ma la predisposizione di Theran, a tale “baratto” non sembra al momento una strada percorribile.
Conclusioni
Sulla questione curda Mosca arriva a temere un ampliamento imprevedibile del conflitto, fino a “una nuova guerra mondiale”. L’ha detto il generale Yuri Baluyevsky, capo dello Stato maggiore, durante la parata della piazza Rossa. Affermando che la stabilità del mondo è meglio servita dalla “diplomazia preventiva” che dalla “guerra preventiva”.
Perché solo oggi il Kurdistan indipendente è diventato necessario? Nel mondo alcuni stati nascono “a tavolino” per enormi interessi internazionali. Gli stessi probabilmente che non permettono ad altri stati di autodeterminarsi. Che gli americani abbiano bisogno del Kurdistan autonomo è fatto chiarissimo: l’Iraq instabile e in costante guerra civile, genera il Kurdistan secessionista, il quale diventa arma fondamentale per ricattare gli altri due “stati canaglia”del Medio Oriente: l’Iran e la Siria.