FabioGreggio
31-03-2006, 08:05
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di Gianfranco Pasquino
È un ottimo segno che ispiratori e collaboratori del Cavaliere abbiano già iniziato il fuoco di sbarramento per proteggere le proprietà di colui che considerano il futuro ex premier dalle notorie inclinazioni alla confisca e all’esproprio da parte del centro-sinistra che, peraltro, si dimostrò incapace di esercitarle nei suoi 5 anni di governo.
Astutamente, i berluscones intendono difendere così anche il loro posto di lavoro oltre che salvaguardare l’ipotizzabile ruolo politico di Berlusconi come capo dell’opposizione (faccio fatica ad aggiungere parlamentare, forse, meglio, “popolare”) a condizione che siano d’accordo Casini e Fini.
Pessimo, invece, è il segno della loro quasi totale incomprensione (o subdola manipolazione) di che cosa costituisce conflitto d’interessi in una democrazia, a maggior ragione liberale, dal momento che, peraltro, il liberalismo non è mai stato il tratto distintivo della democrazia italiana, tantomeno dopo cinque anni di (mal)governo della Casa delle Libertà nella quale i “liberali” hanno avuto limitata accoglienza e scarsissima agibilità.
Personalmente, sono del parere, magari anche criticabile e probabilmente non maggioritario, che qualsiasi legge sul conflitto di interessi dovrebbe comunque consentire a Berlusconi di continuare a fare il parlamentare della Repubblica. Dunque, sarei contrario a qualsivoglia clausola di ineleggibilità.
Per quanto enormi siano le sue ricchezze e influentissime le sue proprietà, una volta in Parlamento, Berlusconi potrà disporre ad ogni buon conto soltanto del suo voto, e di quello dei suoi collaboratori ed estimatori, ma, in quanto parlamentare, non potrà decidere.
Dovrà convincere una maggioranza e, allora, ciascuno dei parlamentari si assumerà la sua trasparente responsabilità se volesse mai legiferare a favore degli interessi di Berlusconi e dei suoi cari.
Il conflitto di interessi riguarda, invece e più precisamente, i titolari delle cariche di governo (e di sottogoverno, per fare un esempio, nient’affatto peregrino, il Cnel incluso).
La legge deve stabilire che coloro che hanno determinate proprietà, non soltanto nel settore della televisione, ma anche in quello delle banche, dell’editoria, delle assicurazioni, delle cliniche, delle imprese edilizie, non possono ricoprire cariche di governo a meno che non si spoglino dei loro interessi in modo sia da non favorirli sia da non trovarsi in imbarazzo al momento di decisioni rilevanti che li riguardino.
Naturalmente, il problema di Berlusconi è, come tutto quello che lo riguarda, enorme e straordinario.
Nessuno vuole ridurlo in povertà. Uno strumento tecnico per risolvere il suo conflitto in tutti i settori di sua competenza, ad esclusione di quello televisivo, consiste, come era previsto nei progetti di legge del centrosinistra, nella creazione di un blind trust al quale affidare, nelle mani di un gestore indicato dalla legge, le azioni di sua proprietà e, eventualmente, la conduzione delle attività senza che il proprietario sappia che cosa farà il gestore e quindi non si trovi mai in grado e non cada in tentazione di favorire i suoi propri interessi.
Purtroppo, la stessa soluzione non sembra possibile per Mediaset a meno che, rapidamente, Berlusconi stesso la trasformi in una società per azioni e metta le azioni sul mercato. Abbiamo la certezza che andrebbero letteralmente a ruba, a prescindere dalla loro quotazione iniziale.
Ma Berlusconi, persino quando gli si presentò la grande occasione di vendere a Murdoch, rifiutò.
Motivò, quasi con le lacrime agli occhi, che non poteva separarsi dall’impresa della sua vita. Comprensibile, ma le imprese della vita di Berlusconi sono più d’una: Mediaset, l’Associazione Calcio Milan e la politica fatta da Palazzo Chigi.
Berlusconi vuole rimanere in politica non soltanto facendo opposizione, ma anche preparandosi a ritornare al governo. Allora, deve risolvere il problema del suo conflitto di interessi liberandosi anche di Mediaset (e non con una semplice cessione ai figli) secondo i parametri delle legislazioni esistenti un po’ in tutte le democrazie europee e negli Usa.
Quella di Bloomberg, sindaco di New York, è, a prescindere dallo squilibrio delle dimensioni del conflitto, una storia molto diversa. Insomma, Berlusconi si troverà di fronte ad un bivio. Può scegliere Mediaset oppure la politica. Non potrà avere entrambi anche se, questo è il sospetto, la prima è del tutto funzionale e forse indispensabile alla sua attività politica. Certamente, però, non ha giovato alla qualità della sua politica e del suo modo di governare. Separandosene sarebbe un potenziale governante più libero.
di Gianfranco Pasquino
È un ottimo segno che ispiratori e collaboratori del Cavaliere abbiano già iniziato il fuoco di sbarramento per proteggere le proprietà di colui che considerano il futuro ex premier dalle notorie inclinazioni alla confisca e all’esproprio da parte del centro-sinistra che, peraltro, si dimostrò incapace di esercitarle nei suoi 5 anni di governo.
Astutamente, i berluscones intendono difendere così anche il loro posto di lavoro oltre che salvaguardare l’ipotizzabile ruolo politico di Berlusconi come capo dell’opposizione (faccio fatica ad aggiungere parlamentare, forse, meglio, “popolare”) a condizione che siano d’accordo Casini e Fini.
Pessimo, invece, è il segno della loro quasi totale incomprensione (o subdola manipolazione) di che cosa costituisce conflitto d’interessi in una democrazia, a maggior ragione liberale, dal momento che, peraltro, il liberalismo non è mai stato il tratto distintivo della democrazia italiana, tantomeno dopo cinque anni di (mal)governo della Casa delle Libertà nella quale i “liberali” hanno avuto limitata accoglienza e scarsissima agibilità.
Personalmente, sono del parere, magari anche criticabile e probabilmente non maggioritario, che qualsiasi legge sul conflitto di interessi dovrebbe comunque consentire a Berlusconi di continuare a fare il parlamentare della Repubblica. Dunque, sarei contrario a qualsivoglia clausola di ineleggibilità.
Per quanto enormi siano le sue ricchezze e influentissime le sue proprietà, una volta in Parlamento, Berlusconi potrà disporre ad ogni buon conto soltanto del suo voto, e di quello dei suoi collaboratori ed estimatori, ma, in quanto parlamentare, non potrà decidere.
Dovrà convincere una maggioranza e, allora, ciascuno dei parlamentari si assumerà la sua trasparente responsabilità se volesse mai legiferare a favore degli interessi di Berlusconi e dei suoi cari.
Il conflitto di interessi riguarda, invece e più precisamente, i titolari delle cariche di governo (e di sottogoverno, per fare un esempio, nient’affatto peregrino, il Cnel incluso).
La legge deve stabilire che coloro che hanno determinate proprietà, non soltanto nel settore della televisione, ma anche in quello delle banche, dell’editoria, delle assicurazioni, delle cliniche, delle imprese edilizie, non possono ricoprire cariche di governo a meno che non si spoglino dei loro interessi in modo sia da non favorirli sia da non trovarsi in imbarazzo al momento di decisioni rilevanti che li riguardino.
Naturalmente, il problema di Berlusconi è, come tutto quello che lo riguarda, enorme e straordinario.
Nessuno vuole ridurlo in povertà. Uno strumento tecnico per risolvere il suo conflitto in tutti i settori di sua competenza, ad esclusione di quello televisivo, consiste, come era previsto nei progetti di legge del centrosinistra, nella creazione di un blind trust al quale affidare, nelle mani di un gestore indicato dalla legge, le azioni di sua proprietà e, eventualmente, la conduzione delle attività senza che il proprietario sappia che cosa farà il gestore e quindi non si trovi mai in grado e non cada in tentazione di favorire i suoi propri interessi.
Purtroppo, la stessa soluzione non sembra possibile per Mediaset a meno che, rapidamente, Berlusconi stesso la trasformi in una società per azioni e metta le azioni sul mercato. Abbiamo la certezza che andrebbero letteralmente a ruba, a prescindere dalla loro quotazione iniziale.
Ma Berlusconi, persino quando gli si presentò la grande occasione di vendere a Murdoch, rifiutò.
Motivò, quasi con le lacrime agli occhi, che non poteva separarsi dall’impresa della sua vita. Comprensibile, ma le imprese della vita di Berlusconi sono più d’una: Mediaset, l’Associazione Calcio Milan e la politica fatta da Palazzo Chigi.
Berlusconi vuole rimanere in politica non soltanto facendo opposizione, ma anche preparandosi a ritornare al governo. Allora, deve risolvere il problema del suo conflitto di interessi liberandosi anche di Mediaset (e non con una semplice cessione ai figli) secondo i parametri delle legislazioni esistenti un po’ in tutte le democrazie europee e negli Usa.
Quella di Bloomberg, sindaco di New York, è, a prescindere dallo squilibrio delle dimensioni del conflitto, una storia molto diversa. Insomma, Berlusconi si troverà di fronte ad un bivio. Può scegliere Mediaset oppure la politica. Non potrà avere entrambi anche se, questo è il sospetto, la prima è del tutto funzionale e forse indispensabile alla sua attività politica. Certamente, però, non ha giovato alla qualità della sua politica e del suo modo di governare. Separandosene sarebbe un potenziale governante più libero.