Deppe
15-12-2005, 08:20
A un anno dal terribile maremoto di Sumatra
Rischio tsunami nel Mediterraneo?
Secondo il direttore del Global Ocean Observing System c’è una probabilità superiore a quella dell’Oceano Indiano
È trascorso quasi un anno da quando la gigantesca onda generata da un sisma con epicentro al largo di Sumatra si abbatté rovinosamente su ampie regioni costiere del Sudest asiatico. La rivista scientifica Nature ha tracciato un bilancio dei sistemi di allarme anti-tsunami nell’Oceano Indiano soffermandosi sulla questione, per noi particolarmente scottante, dei rischi che corrono anche il Mar Mediterraneo e l’Atlantico nordorientale. Ne abbiamo parlato con Luigi Cavaleri, ingegnere e ricercatore dell’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Venezia.
Nel recente convegno dell’Intergovernmental Oceanographic Commission dell’Unesco tenuto a Roma, c’è stata unità di vedute o sono emerse contraddizioni e divergenze? «A Roma si sono incontrati i rappresentanti di 23 Paesi fra Europa occidentale, Africa e America settentrionale per discutere il progetto di una rete di monitoraggio e allarme anti-tsunami per il Nordest Atlantico e il Mediterraneo. La metodologia è ancora materia di dibattito. Molti supportano l’idea di collocare sul fondale marino sensori di pressione capaci di rilevare la presenza di un’onda anomala e di segnalarla (tramite apposite boe in superficie) ai centri interessati. Il problema nel Mediterraneo sono i tempi molto stretti per l’allarme alla popolazione. Poi occorre affrontare la questione degli investimenti, dato che ciascun sensore costa circa 300.000 dollari e va rinnovato ogni pochi anni. Se si tiene conto del fatto che, fortunatamente, gli tsunami sono eventi molto rari, è naturale che i governi di alcuni Paesi possano esitare davanti a simili spese».
Keith Alverson — direttore del Global Ocean Observing System — ha dichiarato che «nel Mediterraneo c’è una probabilità di tsunami superiore a quella dell’Oceano Indiano». È d’accordo? «Non proprio, perché nel Mediterraneo non ci si aspettano eventi come quello del 26 dicembre scorso. I valori degli tsunami che si sono registrati nel Mare Nostrum in tempi recenti sono molto inferiori a quelli dell’area dell’Oceano Indiano e del Pacifico. È vero che il maremoto di Messina del 1908 fu disastroso, tuttavia le conseguenze non sono paragonabili a quelle dello tsunami di Sumatra e, sia pur per ragioni diverse, di quello che si verificò in Alaska nel 1964. Inoltre non è possibile generalizzare i risultati nel Mediterraneo, dato che il comportamento di un’onda dipende anche dalle caratteristiche del fondale. Basti pensare alla diversità fra il Tirreno, profondo fin sotto costa, e l’Adriatico settentrionale, dove la profondità è limitata anche a 50-100 km dal litorale».
Quali sono, oltre ai fenomeni sismici, le possibili cause di maremoto nel Mediterraneo? «Innanzitutto le esplosioni e i collassi vulcanici, poi le frane, sia sulla costa che sui fondali relativamente poco profondi. L’onda lunga che investì Ginostra nel dicembre 2002 fu provocata proprio dal fatto che un costone dello Stromboli precipitò in mare. Ad oggi l’unico sistema di monitoraggio e allarme anti-tsunami del Mediterraneo è situato nell’arcipelago delle Eolie».
Nel Sudest asiatico si sta realizzando la rete di monitoraggio in queste settimane, come mai così tardi? «Le direttive per la creazione di quel sistema sono state fissate solo nel maggio scorso e di fatto non si è ancora concretizzata una vera e propria rete intergovernativa, come auspicato dall’Unesco. Non tutti i Paesi della regione hanno le stesse risorse economiche e tecnologiche e di conseguenza alcuni di loro, come l’India e l’Australia, stanno procedendo anche per conto proprio, mentre gli Stati più piccoli o meno ricchi (come Mauritius) sperano di poter fruire delle informazioni dei primi. Si arriverà certo ad una cooperazione, ma la tempistica resta un quesito aperto».
Marco Galvagni
14 dicembre 2005
Forse è un articolo sfuggito a molti...
Non sono un esperto, ma mi piacerebbe capire se si tratta solo di allarmismo o c'è un pericolo reale: non credo che il Mediterraneo abbia le caratteristiche geologiche e climatiche per riproporre un evento (peraltro già di per sè raro) come quello del sud-est asiatico.
Certo che con l'abusivismo edilizio che si è sviluppato sui litorali costieri del nostro paese il verificarsi di una tale situazione sarebbe una catastrofe.
Rischio tsunami nel Mediterraneo?
Secondo il direttore del Global Ocean Observing System c’è una probabilità superiore a quella dell’Oceano Indiano
È trascorso quasi un anno da quando la gigantesca onda generata da un sisma con epicentro al largo di Sumatra si abbatté rovinosamente su ampie regioni costiere del Sudest asiatico. La rivista scientifica Nature ha tracciato un bilancio dei sistemi di allarme anti-tsunami nell’Oceano Indiano soffermandosi sulla questione, per noi particolarmente scottante, dei rischi che corrono anche il Mar Mediterraneo e l’Atlantico nordorientale. Ne abbiamo parlato con Luigi Cavaleri, ingegnere e ricercatore dell’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Venezia.
Nel recente convegno dell’Intergovernmental Oceanographic Commission dell’Unesco tenuto a Roma, c’è stata unità di vedute o sono emerse contraddizioni e divergenze? «A Roma si sono incontrati i rappresentanti di 23 Paesi fra Europa occidentale, Africa e America settentrionale per discutere il progetto di una rete di monitoraggio e allarme anti-tsunami per il Nordest Atlantico e il Mediterraneo. La metodologia è ancora materia di dibattito. Molti supportano l’idea di collocare sul fondale marino sensori di pressione capaci di rilevare la presenza di un’onda anomala e di segnalarla (tramite apposite boe in superficie) ai centri interessati. Il problema nel Mediterraneo sono i tempi molto stretti per l’allarme alla popolazione. Poi occorre affrontare la questione degli investimenti, dato che ciascun sensore costa circa 300.000 dollari e va rinnovato ogni pochi anni. Se si tiene conto del fatto che, fortunatamente, gli tsunami sono eventi molto rari, è naturale che i governi di alcuni Paesi possano esitare davanti a simili spese».
Keith Alverson — direttore del Global Ocean Observing System — ha dichiarato che «nel Mediterraneo c’è una probabilità di tsunami superiore a quella dell’Oceano Indiano». È d’accordo? «Non proprio, perché nel Mediterraneo non ci si aspettano eventi come quello del 26 dicembre scorso. I valori degli tsunami che si sono registrati nel Mare Nostrum in tempi recenti sono molto inferiori a quelli dell’area dell’Oceano Indiano e del Pacifico. È vero che il maremoto di Messina del 1908 fu disastroso, tuttavia le conseguenze non sono paragonabili a quelle dello tsunami di Sumatra e, sia pur per ragioni diverse, di quello che si verificò in Alaska nel 1964. Inoltre non è possibile generalizzare i risultati nel Mediterraneo, dato che il comportamento di un’onda dipende anche dalle caratteristiche del fondale. Basti pensare alla diversità fra il Tirreno, profondo fin sotto costa, e l’Adriatico settentrionale, dove la profondità è limitata anche a 50-100 km dal litorale».
Quali sono, oltre ai fenomeni sismici, le possibili cause di maremoto nel Mediterraneo? «Innanzitutto le esplosioni e i collassi vulcanici, poi le frane, sia sulla costa che sui fondali relativamente poco profondi. L’onda lunga che investì Ginostra nel dicembre 2002 fu provocata proprio dal fatto che un costone dello Stromboli precipitò in mare. Ad oggi l’unico sistema di monitoraggio e allarme anti-tsunami del Mediterraneo è situato nell’arcipelago delle Eolie».
Nel Sudest asiatico si sta realizzando la rete di monitoraggio in queste settimane, come mai così tardi? «Le direttive per la creazione di quel sistema sono state fissate solo nel maggio scorso e di fatto non si è ancora concretizzata una vera e propria rete intergovernativa, come auspicato dall’Unesco. Non tutti i Paesi della regione hanno le stesse risorse economiche e tecnologiche e di conseguenza alcuni di loro, come l’India e l’Australia, stanno procedendo anche per conto proprio, mentre gli Stati più piccoli o meno ricchi (come Mauritius) sperano di poter fruire delle informazioni dei primi. Si arriverà certo ad una cooperazione, ma la tempistica resta un quesito aperto».
Marco Galvagni
14 dicembre 2005
Forse è un articolo sfuggito a molti...
Non sono un esperto, ma mi piacerebbe capire se si tratta solo di allarmismo o c'è un pericolo reale: non credo che il Mediterraneo abbia le caratteristiche geologiche e climatiche per riproporre un evento (peraltro già di per sè raro) come quello del sud-est asiatico.
Certo che con l'abusivismo edilizio che si è sviluppato sui litorali costieri del nostro paese il verificarsi di una tale situazione sarebbe una catastrofe.