majin mixxi
16-11-2005, 21:34
TUNISI - La decisione è di decidere tra cinque anni, forse. L'accordo raggiunto al Summit mondiale sulla società dell'informazione è più o meno questo. La montagna di diplomazia che si è riunita a Tunisi da giorni a porte chiuse e da oggi a venerdì in udienza pubblica ha partorito un topolino. L'impegno, ribadito stamani dal segretario generale dell'Onu Kofi Annan, di discutere all'interno di un forum internazionale quale dovrà essere l'evoluzione di internet. Chi farà parte di questo forum ("istituzioni, società civile, imprese" si è detto), di che cosa esattamente si parlerà per il momento non è dato sapere.
Tra i due litiganti -gli Stati Uniti accusati di controllare lo sviluppo del web attraverso la società privata Icann, e un gruppo di paesi (tra cui Cina, Iran e Brasile) che reclamavano la fine di questo monopolio- ha vinto il primo. Perché, in pratica, da domani non cambierà niente: la californiana Icann continuerà a gestire l'assegnazione dei domini (gli indirizzi internettiani) mentre il consesso internazionale discuterà di come, eventualmente, inventarsi un'entità che la sostituisca. Una "terza via", questa, sostenuta anche dall'Italia, qui rappresentata dal ministro dell'Innovazione Lucio Stanca, che spingeva per una soluzione di compromesso, più moderata di Francia e Germania, particolarmente critici nei confronti di Washington.
Un falso problema, per molti analisti. "L'idea di impadronirsi dell'Icann è un po' un'assurdità" ha detto nei giorni scorsi al New York Times Robert Kahn che, assieme a Vinton Cerf, fu uno dei due inventori dell'infrastruttura telematica che oggi chiamamo internet. Perché, ha spiegato, non è attraverso l'assegnazione dei domini che si controllano i contenuti delle pagine web: la censura avviene, benissimo, già adesso e responsabili non sono gli americani ma i governi che decidono di farla (molti dei quali proprio i più strenui sostenitori della gestione multilaterale della rete).
Quindi il problema, che non è ozioso, è più politico che tecnologico. Si ripropone nel mondo virtuale la contrapposizione del mondo reale tra unilateralismo statunitense (che su internet sin qui ha funzionato bene) e multilateralismo onusiano, soluzione teoricamente assai migliore ma che incontra nella pratica una quantità di ostacoli tecnologici ancora da risolvere. Preoccupazione che si è accentuata da quando l'amministrazione Bush, a giugno scorso, ha dichiarato di voler mantenere una "supervisione a tempo indeterminato" sull'Icann attraverso il ministero del Commercio che sin qui non si è mai troppo immischiato nelle scelte dell'organismo.
Discussioni, però, che hanno lasciato in ombra molti altri temi importanti messi sul tavolo nella fase preliminare del Summit che si tenne a Ginevra nel 2003. Allora si promise che, entro il 2015, ogni villaggio del mondo sarebbe stato collegato a internet. Ma non si stanziarono fondi e da allora a oggi nessuno sembra essersi particolarmente interessato al tema, derubricato anche a Tunisi nella categoria delle "varie ed eventuali".
Stasera Nicholas Negroponte, fondatore del Media Lab del Mit e Annan presenteranno il computer da 100 dollari pensato per i paesi poveri e che vorrebbe cominciare nei fatti a colmare il drammatico divario di alfabetizzazione informatica tra nord e sud del mondo. Ma non è che un primo passo.
Il segretario generale Onu ha ripetuto, nel suo discorso di apertura, che bisogna "passare dalla diagnosi ai fatti", che si deve uscire da Tunisi con delle "soluzioni" che "espandano le opportunità digitali per tutti". E, a scanso di equivoci, ha ripetuto come immagina il ruolo della sua organizzazione: "Deve essere assolutamente chiaro che l'Onu non vuole controllare internet ma assicurare che i suoi immensi benefici siano disponibili per la maggior parte della popolazione del mondo".
Intanto, fuori dai tendoni del vertice, la Tunisia si è come fermata. Una bolla di sicurezza di più di un chilometro, poliziotti ogni 2-300 metri per strada dalla capitale ad Hammamet, dove molti degli oltre 20 mila delegati sono stati sistemati.
Prosegue, in città, lo sciopero della fame di sette persone (magistrati, avvocati, giornalisti) che dal 18 ottobre non mangiano per protestare contro gli abusi del governo di Ben Alì, particolarmente attivo nel reprimere ogni forma di dissidenza, inclusa quella cyber.
Nei giorni scorsi sono stati picchiati un giornalista francese e altri belgi che lavorano a un'inchiesta sui diritti civili nel paese ospite e sono stati oscurati, tra gli altri, i siti di repubblica.it e di vari gruppi che si occupano di libertà di stampa come quelli italiani di Lettera 22 e di Amisnet. Un triste paradosso a margine di un convegno che si occupa di come fare arrivare l'informazione in ogni angolo del mondo.
Tra i due litiganti -gli Stati Uniti accusati di controllare lo sviluppo del web attraverso la società privata Icann, e un gruppo di paesi (tra cui Cina, Iran e Brasile) che reclamavano la fine di questo monopolio- ha vinto il primo. Perché, in pratica, da domani non cambierà niente: la californiana Icann continuerà a gestire l'assegnazione dei domini (gli indirizzi internettiani) mentre il consesso internazionale discuterà di come, eventualmente, inventarsi un'entità che la sostituisca. Una "terza via", questa, sostenuta anche dall'Italia, qui rappresentata dal ministro dell'Innovazione Lucio Stanca, che spingeva per una soluzione di compromesso, più moderata di Francia e Germania, particolarmente critici nei confronti di Washington.
Un falso problema, per molti analisti. "L'idea di impadronirsi dell'Icann è un po' un'assurdità" ha detto nei giorni scorsi al New York Times Robert Kahn che, assieme a Vinton Cerf, fu uno dei due inventori dell'infrastruttura telematica che oggi chiamamo internet. Perché, ha spiegato, non è attraverso l'assegnazione dei domini che si controllano i contenuti delle pagine web: la censura avviene, benissimo, già adesso e responsabili non sono gli americani ma i governi che decidono di farla (molti dei quali proprio i più strenui sostenitori della gestione multilaterale della rete).
Quindi il problema, che non è ozioso, è più politico che tecnologico. Si ripropone nel mondo virtuale la contrapposizione del mondo reale tra unilateralismo statunitense (che su internet sin qui ha funzionato bene) e multilateralismo onusiano, soluzione teoricamente assai migliore ma che incontra nella pratica una quantità di ostacoli tecnologici ancora da risolvere. Preoccupazione che si è accentuata da quando l'amministrazione Bush, a giugno scorso, ha dichiarato di voler mantenere una "supervisione a tempo indeterminato" sull'Icann attraverso il ministero del Commercio che sin qui non si è mai troppo immischiato nelle scelte dell'organismo.
Discussioni, però, che hanno lasciato in ombra molti altri temi importanti messi sul tavolo nella fase preliminare del Summit che si tenne a Ginevra nel 2003. Allora si promise che, entro il 2015, ogni villaggio del mondo sarebbe stato collegato a internet. Ma non si stanziarono fondi e da allora a oggi nessuno sembra essersi particolarmente interessato al tema, derubricato anche a Tunisi nella categoria delle "varie ed eventuali".
Stasera Nicholas Negroponte, fondatore del Media Lab del Mit e Annan presenteranno il computer da 100 dollari pensato per i paesi poveri e che vorrebbe cominciare nei fatti a colmare il drammatico divario di alfabetizzazione informatica tra nord e sud del mondo. Ma non è che un primo passo.
Il segretario generale Onu ha ripetuto, nel suo discorso di apertura, che bisogna "passare dalla diagnosi ai fatti", che si deve uscire da Tunisi con delle "soluzioni" che "espandano le opportunità digitali per tutti". E, a scanso di equivoci, ha ripetuto come immagina il ruolo della sua organizzazione: "Deve essere assolutamente chiaro che l'Onu non vuole controllare internet ma assicurare che i suoi immensi benefici siano disponibili per la maggior parte della popolazione del mondo".
Intanto, fuori dai tendoni del vertice, la Tunisia si è come fermata. Una bolla di sicurezza di più di un chilometro, poliziotti ogni 2-300 metri per strada dalla capitale ad Hammamet, dove molti degli oltre 20 mila delegati sono stati sistemati.
Prosegue, in città, lo sciopero della fame di sette persone (magistrati, avvocati, giornalisti) che dal 18 ottobre non mangiano per protestare contro gli abusi del governo di Ben Alì, particolarmente attivo nel reprimere ogni forma di dissidenza, inclusa quella cyber.
Nei giorni scorsi sono stati picchiati un giornalista francese e altri belgi che lavorano a un'inchiesta sui diritti civili nel paese ospite e sono stati oscurati, tra gli altri, i siti di repubblica.it e di vari gruppi che si occupano di libertà di stampa come quelli italiani di Lettera 22 e di Amisnet. Un triste paradosso a margine di un convegno che si occupa di come fare arrivare l'informazione in ogni angolo del mondo.