Ewigen
01-11-2005, 10:06
Un cugino: «In tanti hanno guadagnato dalla sua storia»
Amina, salvata e dimenticata dal mondo
Doveva essere lapidata per adulterio. Il mondo si mobilitò per lei. Oggi non ha più i soldi per sfamare i suoi figli
Ricordate Amina Lawal, la donna nigeriana condannata a morte per adulterio da un tribunale islamico e salvata da una grande dimostrazione di solidarietà internazionale (furono raccolte milioni di firme da Amnesty Internazional)? Ora vive emarginata, protetta solo dalla sua famiglia e senza soldi per poter allevare i suoi figli. Uno dei suoi cugini, Awal, accusa: «In tanti hanno guadagnato dalla storia di Amina. Quelli che l'hanno difesa hanno ricevuto premi e inviti a tenere conferenze in tutto il mondo. Ma lei non ha visto neanche un soldo».
Intervistata dal quotidiano spagnolo El Pais, la donna salvata da una catena si solidarietà senza precedenti, ammette di essere alla fame, ma sembra rassegnata: «Sono sola - confessa - senza un marito e non posso dar da mangiare ai miei figli. Ma se questa è la volontà di Dio non posso farci niente».
Nel febbraio del 2002, Amina era stata condannata in primo grado a una morte orrenda. Con il corpo interrato in una fossa e la sola testa fuori dalla terra, avrebbe dovuto essere lapidata. Era divorziata da poco per la seconda volta (il primo marito l’aveva abbandonata, dall’ultimo se ne era andata perché le impediva di vedere il padre) ma aveva dato alla luce una bambina, Wasila, nata da una relazione con Jahaya Mamud, che aveva promesso di sposarla. Chiamato a testimoniare, l'uomo aveva negato di essere il padre della piccola. I giudici così lo avevano scarcerato (la testimonianza maschile nei tribunali islamici vale doppio) e avevano punito la ragazza.
Amina, che oggi ha 34 anni, fu salvata in appello. I suoi avvocati si richiamarono al curioso pensiero islamico malikì (corrente fondata nell'ottavo secolo) secondo cui una donna può dare alla luce un figlio fino a 5 anni dopo il concepimento. Una teoria un po’ astrusa che però convinse i giudici (assieme, si suppone, alla valanga di firme raccolte da Amnesty International e a un appello del presidente nigeriano Olusegun Obasanjo).
Kurami, il villaggio dove vive Amina, nello stato di Katsina (Nigeria settentrionale) è poverissimo. Chi lo visita non può certo credere che si trovi in un Paese che è il sesto produttore di petrolio al mondo. Le donne vivono infagottate in un velo islamico che le copre dalla testa ai piedi lasciando visibile solo il volto. Le regole di vita musulmane sono applicate con rigore, ma per la sharia non è mai stato giustiziato nessuno. «Non è una seria minaccia per la Nigeria ed è applicata sin dall’indipendenza - spiega al Corriere il direttore del quotidiano laico This Day, il cristiano Eniola Bello -. Tutta la pubblicità data in questi ultimi anni, a partire dal 2000, ha un fine più politico che religioso».
This Day è il giornale che nel novembre 2002, poco prima che si aprisse il concorso di Miss Mondo a Lagos pubblicò un articolo – a firma della giornalista Isioma Daniel - nel quale, ironicamente, si sosteneva che la selezione sarebbe piaciuta anche al profeta Maometto che tra quelle bellezze forse avrebbe trovato una moglie. Apriti cielo (è il caso di dirlo)! Lo scritto diede il via a una rivolta dei musulmani che provocò oltre 200 morti. La Daniel e il suo direttore, Bello, furono colpiti da una fatwa, una condanna a morte islamica, per il contenuto “blasfemo” di quell’articolo.
Ma Bello minimizza: «Nelle zone islamiche chi non è fedele di Allah continua i suoi affari senza problemi – assicura -. Non credo poi che in Nigeria sarà mai eseguita una condanna a morte pronunciata in nome della sharia. Ripeto: in Nigeria questo non è un problema». Forse ha ragione: i veri problemi della Nigeria sono altri: povertà, malattie mancanza di servizi, corruzione. (Corriere della sera)
Amina, salvata e dimenticata dal mondo
Doveva essere lapidata per adulterio. Il mondo si mobilitò per lei. Oggi non ha più i soldi per sfamare i suoi figli
Ricordate Amina Lawal, la donna nigeriana condannata a morte per adulterio da un tribunale islamico e salvata da una grande dimostrazione di solidarietà internazionale (furono raccolte milioni di firme da Amnesty Internazional)? Ora vive emarginata, protetta solo dalla sua famiglia e senza soldi per poter allevare i suoi figli. Uno dei suoi cugini, Awal, accusa: «In tanti hanno guadagnato dalla storia di Amina. Quelli che l'hanno difesa hanno ricevuto premi e inviti a tenere conferenze in tutto il mondo. Ma lei non ha visto neanche un soldo».
Intervistata dal quotidiano spagnolo El Pais, la donna salvata da una catena si solidarietà senza precedenti, ammette di essere alla fame, ma sembra rassegnata: «Sono sola - confessa - senza un marito e non posso dar da mangiare ai miei figli. Ma se questa è la volontà di Dio non posso farci niente».
Nel febbraio del 2002, Amina era stata condannata in primo grado a una morte orrenda. Con il corpo interrato in una fossa e la sola testa fuori dalla terra, avrebbe dovuto essere lapidata. Era divorziata da poco per la seconda volta (il primo marito l’aveva abbandonata, dall’ultimo se ne era andata perché le impediva di vedere il padre) ma aveva dato alla luce una bambina, Wasila, nata da una relazione con Jahaya Mamud, che aveva promesso di sposarla. Chiamato a testimoniare, l'uomo aveva negato di essere il padre della piccola. I giudici così lo avevano scarcerato (la testimonianza maschile nei tribunali islamici vale doppio) e avevano punito la ragazza.
Amina, che oggi ha 34 anni, fu salvata in appello. I suoi avvocati si richiamarono al curioso pensiero islamico malikì (corrente fondata nell'ottavo secolo) secondo cui una donna può dare alla luce un figlio fino a 5 anni dopo il concepimento. Una teoria un po’ astrusa che però convinse i giudici (assieme, si suppone, alla valanga di firme raccolte da Amnesty International e a un appello del presidente nigeriano Olusegun Obasanjo).
Kurami, il villaggio dove vive Amina, nello stato di Katsina (Nigeria settentrionale) è poverissimo. Chi lo visita non può certo credere che si trovi in un Paese che è il sesto produttore di petrolio al mondo. Le donne vivono infagottate in un velo islamico che le copre dalla testa ai piedi lasciando visibile solo il volto. Le regole di vita musulmane sono applicate con rigore, ma per la sharia non è mai stato giustiziato nessuno. «Non è una seria minaccia per la Nigeria ed è applicata sin dall’indipendenza - spiega al Corriere il direttore del quotidiano laico This Day, il cristiano Eniola Bello -. Tutta la pubblicità data in questi ultimi anni, a partire dal 2000, ha un fine più politico che religioso».
This Day è il giornale che nel novembre 2002, poco prima che si aprisse il concorso di Miss Mondo a Lagos pubblicò un articolo – a firma della giornalista Isioma Daniel - nel quale, ironicamente, si sosteneva che la selezione sarebbe piaciuta anche al profeta Maometto che tra quelle bellezze forse avrebbe trovato una moglie. Apriti cielo (è il caso di dirlo)! Lo scritto diede il via a una rivolta dei musulmani che provocò oltre 200 morti. La Daniel e il suo direttore, Bello, furono colpiti da una fatwa, una condanna a morte islamica, per il contenuto “blasfemo” di quell’articolo.
Ma Bello minimizza: «Nelle zone islamiche chi non è fedele di Allah continua i suoi affari senza problemi – assicura -. Non credo poi che in Nigeria sarà mai eseguita una condanna a morte pronunciata in nome della sharia. Ripeto: in Nigeria questo non è un problema». Forse ha ragione: i veri problemi della Nigeria sono altri: povertà, malattie mancanza di servizi, corruzione. (Corriere della sera)