Adric
24-10-2005, 11:56
Venerdì 21 Ottobre 2005
Arrivano i Nostri in difesa di Putin
Si chiamano Nashi, giovani "pretoriani" attivi in tutta la Russia.
Portano una stella rossa sulla maglia e sono favorevoli al Cremlino.
Obiettivo: "Contrastare le insurrezioni fasciste e anticostituzionali"
Sostenuti dallo staff presidenziale, ricordano modi e grinta dei pioneri sovietici
di ROBERTO LIVI
ROMA - Arrivano i Nostri a sostegno di Putin. Nashi, i Nostri appunto, è il nome scelto lo scorso aprile per ribattezzare una organizzazione giovanile che era nata, è vero, per sostenere lo zar venuto dal freddo dei servizi segreti, ma che non sembrava sufficientemente aggressiva per questi tempi travagliati. Il gruppo, fondato un anno fa, si chiamava “Idushije vmeste”, marciamo insieme. Con Putin, ovvio. E le poche migliaia di membri, avevano l’aria di bravi ragazzi, senza apparenti grilli nella testa, se non quello di prepararsi un futuro all’ombra dei poteri forti che si addensano al Cremlino: i siloviki, gli uomini della forza, ovvero la burocrazia con le stellette. Insomma si cercava di preparare la futura classe dei yesmen, guidati da un perfetto esponente dell’amministrazione presidenziale: giovane, dotato di una personalità sufficientemente forte, capace di argomentare le sue idee. E soprattutto con un’incrollabile fiducia nel presidente. Vasili Yakemenko, questo il nome del leader dei giovani pro-Cremlino, aveva dichiarato alla Bbc: «Putin è la sola persona (in Russia,ndr) convinta che democrazia e sovranità possano essere coniugate in questo Paese». E al giornalista della tv inglese era apparso «genuinamente entusiasta» della politica dello zar.Poi però sono giunti tempi difficili: la protesta dei pensionati, scesi nelle strade con decisione e tenacia mai viste prima per difendere le loro magre pensioni. Quindi si erano uniti gli studenti; e anche tra i bassi ranghi delle Forze armate si aggirava il malcontento. Ma la minaccia vera veniva dai vicini: a sud la ”rivoluzione delle rose” in Georgia e poi il boccone amarissimo della “rivoluzione arancione” in Ucraina. Entrambe vittoriose. Entrambe con forte componente antirussa. Entrambe portate avanti da una società civile e da un movimento giovanile improvvisamente svegliatisi dal letargo dei tempi sovietici e del post-Urss retto da dinosauri dell’epoca con falce e martello. Un altro fatto inquietante univa i movimenti georgiani e arancione: i fondi e l’organizzazione messi a disposizione da Ong che nemmeno ci provavano a nascondere i legami con il Dipartimento di Stato Usa (se non con la Cia). E questo per Putin e il suo entourage era davvero troppo. Era ora di reagire.
A questo punto è entrato in scena Vladislav Surkov, il vice capo dello staff presidenziale. Ha convocato Yakemenko e gli ha fatto un discorso chiaro. Una manica di ragazzi dalla faccia pulita non bastavano più a fare da diga alle «velleità» di imitare il movimento di opposizione Kmarz (Basta) georgiano e Porà (E’ ora) ucraino che serpeggiavano tra i giovani liberali di Yabloko che, contro Putin, si alleavano con i rossi. Insomma, per cercare di tradurre in gergo italiano, i putiniani dovevano «darsi una mossa», mettere su grinta, aprirsi all’«aiuto» -economico e organizzativo, ma anche in uomini- che il Cremlino si apprestava a dare in tutto il gigantesco Paese.
Sono nati così i Nashi . Con sezioni in tutta la Russia, alle quali non sembrano mancare i fondi. E con un’organizzazione che ricorda fin troppo i tempi passati: i quadri chiamati ”commissari” i campi di incontro e formazione che fanno venire in mente quelli dei Pionieri sovietici. Quelli avevano il fazzoletto rosso, questi hanno una maglietta che porta sul davanti una stella rossa e sulla schiena ha le parole del nuovo inno nazionale (Russia, nostra grande potenza).
La prima carica dei Nostri è avvenuta il 9 maggio, per i festeggiamenti del 68° anniversario della vittoria dell’Urss sui nazisti: 60.000 Nashi a sfilare sulla piazza Rossa. Poi in luglio il campo estivo (costato 2 milioni di dollari) nel Valdaj a nord-ovest di Mosca. Vi sono intervenuti personaggi del calibro del politologo Gleb Pavloski: «Voi non siete abbastanza duri. Dovete essere pronti a disperdere le manifestazioni fasciste e a contrastare apertamente i tentativi di insurrezione anticostituzionali» (fomentati dagli Usa, ndr). O il numero due delle relazioni con l’estero del Patriarcato ortodosso, Vsevolod Chaplin: «Una rivoluzione arancione in Russia sarebbe sanguinosa...trasformerebbe il nostro paese in una nuova Jugoslavia».
Il coktail nazional-ortodosso era pronto. Yakemenko - su consiglio di Surkov - decide di cooptare nell’organizzazione gli skinheads; squadre di Nashi si fanno le ossa come servizio d’ordine (pagato 1200 dollari) della tifoseria della squadra di calcio Spartak. Seguono pestaggi di giovani liberali; l’aggressione (una scacchiera lanciata in testa) al famoso campione di scacchi Garri Kasparov, reo di volersi opporre ai putiniani nelle elezioni presidenziali del 2008. Qualche giornale li ribattezza “Putin-Jugend”. E da San Pietroburgo, città del presidente, viene la risposta del movimento giovanile che forma l’associazione “Idushije bez Putina”, marciamo senza Putin.
(Il Messaggero)
Arrivano i Nostri in difesa di Putin
Si chiamano Nashi, giovani "pretoriani" attivi in tutta la Russia.
Portano una stella rossa sulla maglia e sono favorevoli al Cremlino.
Obiettivo: "Contrastare le insurrezioni fasciste e anticostituzionali"
Sostenuti dallo staff presidenziale, ricordano modi e grinta dei pioneri sovietici
di ROBERTO LIVI
ROMA - Arrivano i Nostri a sostegno di Putin. Nashi, i Nostri appunto, è il nome scelto lo scorso aprile per ribattezzare una organizzazione giovanile che era nata, è vero, per sostenere lo zar venuto dal freddo dei servizi segreti, ma che non sembrava sufficientemente aggressiva per questi tempi travagliati. Il gruppo, fondato un anno fa, si chiamava “Idushije vmeste”, marciamo insieme. Con Putin, ovvio. E le poche migliaia di membri, avevano l’aria di bravi ragazzi, senza apparenti grilli nella testa, se non quello di prepararsi un futuro all’ombra dei poteri forti che si addensano al Cremlino: i siloviki, gli uomini della forza, ovvero la burocrazia con le stellette. Insomma si cercava di preparare la futura classe dei yesmen, guidati da un perfetto esponente dell’amministrazione presidenziale: giovane, dotato di una personalità sufficientemente forte, capace di argomentare le sue idee. E soprattutto con un’incrollabile fiducia nel presidente. Vasili Yakemenko, questo il nome del leader dei giovani pro-Cremlino, aveva dichiarato alla Bbc: «Putin è la sola persona (in Russia,ndr) convinta che democrazia e sovranità possano essere coniugate in questo Paese». E al giornalista della tv inglese era apparso «genuinamente entusiasta» della politica dello zar.Poi però sono giunti tempi difficili: la protesta dei pensionati, scesi nelle strade con decisione e tenacia mai viste prima per difendere le loro magre pensioni. Quindi si erano uniti gli studenti; e anche tra i bassi ranghi delle Forze armate si aggirava il malcontento. Ma la minaccia vera veniva dai vicini: a sud la ”rivoluzione delle rose” in Georgia e poi il boccone amarissimo della “rivoluzione arancione” in Ucraina. Entrambe vittoriose. Entrambe con forte componente antirussa. Entrambe portate avanti da una società civile e da un movimento giovanile improvvisamente svegliatisi dal letargo dei tempi sovietici e del post-Urss retto da dinosauri dell’epoca con falce e martello. Un altro fatto inquietante univa i movimenti georgiani e arancione: i fondi e l’organizzazione messi a disposizione da Ong che nemmeno ci provavano a nascondere i legami con il Dipartimento di Stato Usa (se non con la Cia). E questo per Putin e il suo entourage era davvero troppo. Era ora di reagire.
A questo punto è entrato in scena Vladislav Surkov, il vice capo dello staff presidenziale. Ha convocato Yakemenko e gli ha fatto un discorso chiaro. Una manica di ragazzi dalla faccia pulita non bastavano più a fare da diga alle «velleità» di imitare il movimento di opposizione Kmarz (Basta) georgiano e Porà (E’ ora) ucraino che serpeggiavano tra i giovani liberali di Yabloko che, contro Putin, si alleavano con i rossi. Insomma, per cercare di tradurre in gergo italiano, i putiniani dovevano «darsi una mossa», mettere su grinta, aprirsi all’«aiuto» -economico e organizzativo, ma anche in uomini- che il Cremlino si apprestava a dare in tutto il gigantesco Paese.
Sono nati così i Nashi . Con sezioni in tutta la Russia, alle quali non sembrano mancare i fondi. E con un’organizzazione che ricorda fin troppo i tempi passati: i quadri chiamati ”commissari” i campi di incontro e formazione che fanno venire in mente quelli dei Pionieri sovietici. Quelli avevano il fazzoletto rosso, questi hanno una maglietta che porta sul davanti una stella rossa e sulla schiena ha le parole del nuovo inno nazionale (Russia, nostra grande potenza).
La prima carica dei Nostri è avvenuta il 9 maggio, per i festeggiamenti del 68° anniversario della vittoria dell’Urss sui nazisti: 60.000 Nashi a sfilare sulla piazza Rossa. Poi in luglio il campo estivo (costato 2 milioni di dollari) nel Valdaj a nord-ovest di Mosca. Vi sono intervenuti personaggi del calibro del politologo Gleb Pavloski: «Voi non siete abbastanza duri. Dovete essere pronti a disperdere le manifestazioni fasciste e a contrastare apertamente i tentativi di insurrezione anticostituzionali» (fomentati dagli Usa, ndr). O il numero due delle relazioni con l’estero del Patriarcato ortodosso, Vsevolod Chaplin: «Una rivoluzione arancione in Russia sarebbe sanguinosa...trasformerebbe il nostro paese in una nuova Jugoslavia».
Il coktail nazional-ortodosso era pronto. Yakemenko - su consiglio di Surkov - decide di cooptare nell’organizzazione gli skinheads; squadre di Nashi si fanno le ossa come servizio d’ordine (pagato 1200 dollari) della tifoseria della squadra di calcio Spartak. Seguono pestaggi di giovani liberali; l’aggressione (una scacchiera lanciata in testa) al famoso campione di scacchi Garri Kasparov, reo di volersi opporre ai putiniani nelle elezioni presidenziali del 2008. Qualche giornale li ribattezza “Putin-Jugend”. E da San Pietroburgo, città del presidente, viene la risposta del movimento giovanile che forma l’associazione “Idushije bez Putina”, marciamo senza Putin.
(Il Messaggero)