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View Full Version : La nostra intelligence... zerozerosettete all'amatriciana...


Lucio Virzì
24-10-2005, 07:27
Più che intelligence.... direi... deficence..... :rolleyes:

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq69/sismicia/sismicia.html

Certo che abbiamo imparato a fare le cose migliori, dagli ammerigani....

L'INCHIESTA. Fabbricate a Roma in maniera goffa e artigianale
le prove su Saddam. Storia del falso dossier uranio che il Sismi spedì alla Cia
Doppiogiochisti e dilettanti
tutti gli italiani del Nigergate
L'ammissione di Martino alla stampa inglese: "Americani e italiani hanno
lavorato insieme. E' stata un'operazione di disinformazione"
di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

ROMA - L'intervento militare in Iraq è stato giustificato da due rivelazioni: Saddam Hussein ha tentato di procurarsi uranio grezzo (yellowcake) in Niger (1) per arricchirlo con centrifughe costruite con tubi di alluminio importati dall'Europa (2). Alla costruzione delle due "bufale" (non si troverà traccia in Iraq né di uranio grezzo né di centrifughe), collaborano il governo italiano e la sua intelligence militare. Repubblica ha cercato di ricostruire chi, come, dove e quando ha lavorato e "disseminato" alle intelligence inglese e americana il falso dossier che è valso una guerra.

Sono le stesse "bufale" che Judith Miller, la reporter che "ha tradito il suo giornale", pubblica (con Michael Gordon) l'8 settembre 2002. In una lunga inchiesta sul New York Times, Miller racconta dei tubi di alluminio con cui Saddam avrebbe potuto realizzare l'arma atomica. E' l'argomento che i "falchi" dell'Amministrazione Bush attendono.

La "danza di guerra", che segue allo scoop di Judith Miller, appare a un attento media watcher come Roberto Reale ("Ultime notizie") "uno spettacolo preparato con cura".

Condoleezza Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca, dice: "Non vogliamo che la pistola fumante abbia l'aspetto di una nube a forma di fungo" (Cnn). Un minaccioso Dick Cheney rincara la dose a Meet the press: "Sappiamo, con assoluta certezza, che Saddam sta usando le sue strutture tecniche e commerciali per acquistare il materiale necessario ad arricchire l'uranio per costruire l'arma nucleare". E' l'inizio di un'escalation di paura.

26 settembre 2002. Colin Powell avverte il Senato: "Il tentativo iracheno di ottenere l'uranio è la prova delle sue ambizioni nucleari".

19 dicembre 2002. L'informazione sul Niger e l'uranio è inclusa nelle tre pagine del President daily brief che ogni giorno Cia e Dipartimento di Stato preparano per George W. Bush. L'ambasciatore alle Nazioni Unite, John Negroponte, ci mette il sigillo: "Perché l'Iraq nasconde l'acquisto di uranio nigerino?".

28 gennaio 2003. George W. Bush scandisce le 16 parole che sono una dichiarazione di guerra: "Il governo inglese ha appreso che Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall'Africa".

La farina di questo sacco è romana.
Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, "di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938".

Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: "E' vero, c'è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigerino), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di disinformazione".

Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell'"operazione". Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.

Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il '77 "allontanato per difetti di comportamento". Nell'85 arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, "fino al 1999" collabora ancora con il Sismi. E' un doppiogiochista.

Prende dimora in Lussemburgo al 3 di Rue Hoehl, Sandweiler. Lavora a stipendio fisso per l'intelligence francese protetto da un'agenzia di consulenza, "Security development organization office". O, meglio lavora anche per i francesi. Servo di due padroni, Rocco si arrabatta. Vende ai francesi notizie sugli italiani e agli italiani notizie raccolte dai i francesi. "Il mio mestiere è questo. Io vendo informazioni".
Nel 1999, il gaudente Rocco è a corto di quattrini. Come gli capita quando è "a secco", ne escogita una delle sue. La pensata gli sembra brillante e priva di rischi. La scintilla che lo illumina è la difficoltà dei francesi in Niger.

Per farla breve. I francesi, tra il 1999 e il 2000, si accorgono che c'è chi si è rimesso al lavoro nelle miniere dismesse per avviare un prospero commercio clandestino di uranio. A quali Paesi i contrabbandieri lo stanno vendendo? I francesi cercano le risposte. Rocco Martino annusa l'affare.

Chiede aiuto a un suo vecchio amico del Sismi. Antonio Nucera. Carabiniere come Rocco, Antonio è il vicecapo del centro Sismi di viale Pasteur, a Roma.
Fa capo alla 1^ e 8^ divisione (contrasto al traffico d'armi e tecnologie; controspionaggio sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa "nel quadrante africano e mediorientale").

E' una sezione che si è data molto da fare alla fine degli anni '80 mettendo il sale sulla coda ai tanti spioni che Saddam ha sguinzagliato per il mondo prima dell'invasione del Kuwait. "Con qualche successo", a sentire un alto funzionario dell'intelligence italiana che, all'epoca, lavorava per quella divisione. L'agente ricorda: "Ci riuscì di mettere le mani sui cifrari nigerini e su un telex dell'ambasciatore Adamou Chékou che annunciava al ministero degli esteri di Niamey (è la capitale del Niger) la missione di Wissam Al Zahawie, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, "in qualità di rappresentante di Saddam Hussein".

Non fu l'unica operazione. Nel porto di Trieste riuscimmo, per dire, a sequestrare dell'acciaio marangin (garantisce un'ottima resistenza anche a temperature oltre i 1000 gradi). Secondo noi era destinato alla costruzione della cascata di centrifughe necessaria a separare i costituenti dell'uranio. Le informazioni sulla proliferazione nucleare irachena venivano scambiate, già alla fine degli anni '80, soprattutto con gli inglesi dell'MI6, i migliori. Lì lavorava, un sincero amico dell'Italia come Hamilton Mac Millan, peraltro, l'agente segreto che ha iniziato Francesco Cossiga ai misteri dello spionaggio quando era il "residente" inglese a Roma".

Nucera decide di dare una mano al suo amico Rocco. Quello gliela mette giù facile. Non c'è nulla che mi puoi dare, un'informazione, un contatto buono con i nigerini? Basta qualsiasi cosa. I francesi sono assetati come viandanti nel deserto. Vogliono sapere chi sta comprando sotto banco il "loro" uranio. Sono disposti a pagare bene, per saperlo.

Nell'archivio della divisione del Sismi, come abbiamo visto, ci sono documenti utili a cucinare la frittata, guadagnando qualche soldo. C'è il telex dell'ambasciatore e qualcos'altro si può sempre rimediare nell'ambasciata nigerina a Roma di via Baiamonti 10. Riconosce, con Repubblica, il direttore del Sismi, Nicolò Pollari: "Nucera vuole aiutare l'amico. Invita così una Fonte del Servizio - niente di che, capiamoci; al libro paga sì, ma ormai improduttiva - a dare una mano a Martino". La Fonte del Servizio lavora all'ambasciata del Niger a Roma. E' messa male. Vivacchia nel retrobottega del controspionaggio. Non ha un fisso mensile dall'intelligence italiana. E' a cottimo, per così dire.

Qui l'informazione, qui il denaro. Comunque poca cosa, pochi centoni. Anche quelli, nel 2000, sono in pericolo. Da qualche tempo, che comincia ad essere sciaguratamente lungo, non ha nulla da spiare e dunque nulla da vendere.

Chiamiamo la fonte "la Signora".
Ora dovreste vederla, "la Signora". Sessant'anni, di più e non di meno. Una faccia che deve essere stata bella e ora è un foglio spiegazzato. La si può dire factotum dell'ambasciata nigerina. Aspetto da vecchia zia paziente. Accento francese. Occhi ammiccanti e complici. Parla sempre sottovoce. Anche se dice "buongiorno", lo soffia come un piccolo fiato misterioso che sembra doverti rivelare innominabili verità. Anche "la Signora" ha bisogno di denaro.

Nucera combina l'incontro. Rocco e "la Signora" non ci mettono molto ad accordarsi. Qualcosa si può fare. Quel Nucera non è forse il suo "contatto" ufficiale al Sismi? E allora perché "la Signora" non deve pensare che sia il Servizio a volere che faccia questa cosa? Che insomma questa cosa sia utile alla Ditta?
Rocco e "la Signora", astuti vendifumo, con la benedizione di Nucera, trovano l'accordo. Qualche carta da prendere e vendere c'è. Occorre però la collaborazione di un nigerino. La Signora indica l'uomo giusto. E' il primo consigliere di ambasciata Zakaria Yaou Maiga. Come rivela Pollari, "quel Maiga spende sei volte quel che guadagna".

La combriccola di garbuglioni gaudenti a corto di spiccioli è pronta all'azione. Rocco Martino, la Signora, Zakaria Yaou Maiga. Nucera, lo vediamo appena un passo indietro nell'ombra. Maiga si organizza così. Attende che l'ambasciata chiuda i battenti per il Capodanno del 2001. Finge un'intrusione con furto. Quando il 2 gennaio 2001, di buon mattino, il secondo segretario per gli affari amministrativi Arfou Mounkaila denuncia il furto ai carabinieri della stazione Trionfale, ammette a labbra strette che quei ladri sono stati molto fiacchi. Tanto rumore, e fatica, per nulla.
Mounkaila tace quel che non può dire. Mancano carte intestate, timbri ufficiali, questa è la verità che è opportuno tacere. E' materiale buono nelle mani della "squadretta" di vendifumo per confezionare uno strampalato dossier.

Vi si raccolgono vecchi documenti sottratti all'archivio della divisione del Sismi come i cifrari (Nucera vicecapocentro) più carta intestata che viene trasformata in lettere, contratti e in un "protocollo d'intesa" tra i governi del Niger e dell'Iraq "relativo alla fornitura di uranio siglato il 5 e 6 luglio 2000 a Niamey". Il protocollo ha un allegato di due pagine dal titolo "Accord". Rocco consegna il "pacco" ai francesi della Direction Générale de la Sécurité Extérieure (Dgse). Ne ricava qualche bigliettone che spende felice a Nizza. Rocco adora la Costa Azzurra.

Fin qui siamo a una truffa degna di Totò, Peppino e la Malafemmina. A suo modo innocua perché i francesi prendono quelle carte e le gettano nel cestino. Dice un agente del Dgse: "Il Niger è un paese francofono che conosciamo bene. Mai nessuno avrebbe preso la cantonata di confondere un ministro con un altro, come accade in quelle cartacce".
Partita chiusa, dunque? No, l'imbroglio burlesco si rianima diventando una faccenda terribilmente seria perché arriva l'11 settembre e Bush da subito comincia a pensare all'Iraq, a chiedere prove dei coinvolgimento di Saddam.

Il Sismi richiama in campo la "squadretta" di via Baiamonti. A Forte Braschi è arrivato un nuovo direttore, Nicolò Pollari. Come nuovo è il responsabile delle "Armi di distruzione di massa", il colonnello Alberto Manenti. "Un ufficiale preparato, ma assolutamente incapace di dire "no" a un capo", dice un alto funzionario del Sismi che con lui ha lavorato. Il colonnello Manenti conosce bene Nucera per averlo avuto nel suo staff, per molto tempo. E' Manenti, con Nucera prossimo alla pensione, che gli chiede di restare come "collaboratore".

Il Sismi ha voglia di fare. Ha mano libera come mai l'ha avuta l'intelligence nel nostro Paese. Berlusconi chiede a Pollari un protagonismo nella scena internazionale che consenta all'Italia di sedere in prima fila accanto all'alleato americano. Le stesse sollecitazioni arrivano dal capo della Cia a Roma, Jeff Castelli. Occorono notizie, informazioni, utili brandelli di intelligence. Ora, subito. Washington cerca prove contro Saddam.

La Casa Bianca (Cheney, soprattutto) stressa la Cia perché saltino fuori. "L'assenza delle prove non è la prova dell'assenza" filosofeggia Rumsfeld al Pentagono.
In questo clima, con il loro dossier fasullo, i vendifumo di via Baiamonti (Rocco Martino e Antonio Nucera) possono tornare utili. Che cosa fanno in quell'autunno del 2001? Rocco Martino la mette così: "Alla fine del 2001, il Sismi trasmette il dossier yellowcake agli inglesi del MI6.

Lo "passa" senza alcuna valutazione. Sostiene soltanto che è stato ricevuto da "fonte attendibile"". Poi l'aggiusta ancora un po': "Il Sismi voleva che disseminassi alle intelligence alleate i documenti del dossier nigerino, ma, allo stesso tempo, non voleva che si sapesse del suo coinvolgimento nell'operazione". Sono accuse che Palazzo Chigi respinge con sdegno. Il governo ci mette la faccia. Dopo che la guerra ha svelato l'imbroglio delle armi di distruzione di massa, giura che "nessun dossier sull'uranio né direttamente né in forma mediata, è stato consegnato o fatto consegnare ad alcuno".

La mossa è prevedibile. Governo e Sismi devono scavare un fossato tra Forte Braschi e i passi della "squadretta" di via Baiamonti. Ma la smentita non regge alla verifica. E' un fatto che nell'autunno del 2001 il Sismi controlla a Londra le mosse di Rocco Martino. Lo conferma a Repubblica il direttore del Sismi Pollari: "Seguivamo Martino e avevamo anche le foto dei suoi incontri a Londra. Volete vederle?". E dunque perché Roma non sbugiarda subito quel suo ex-agente vendifumo? Di più perché addirittura le notizie contenute in quel dossier vengono accreditate da Pollari a Jeff Castelli, il capo della Cia a Roma? E' un fatto che un report sul farlocco dossier made in Rome finisce sul tavolo dello State Department's Bureau of Intelligence, l'intelligence del Dipartimento di Stato. Lo riceve l'Ufficio per gli affari strategici, militari e di proliferazione delle armi di distruzione di massa.

Affari strategici non è un grande ufficio. Vi lavorano in quel periodo 16 analisti diretti da Greg Thielmann. Che racconta a Repubblica: "Ricevo il report nell'autunno del 2001. E' una sintesi che Langley ha ricevuto dal suo field officer in Italia. L'"agente in campo" informa di aver avuto visione dall'intelligence italiana di alcune carte che documentano il tentativo dell 'Iraq di acquistare oltre 500 tonnellate di uranio puro dal Niger". Dunque, il Sismi affida quelle informazioni, che sa essere false, alla Cia. C'è una seconda conferma. A Langley l'ambasciatore Joseph C. Wilson riceve l'incarico di verificare la storia "italiana" delle 500 tonnellate di uranio nigerino.

Racconta Wilson: "Il rapporto non è molto dettagliato. Non è chiaro se l'agente che firma il rapporto ha materialmente visto i documenti di vendita o ne ha avuto notizia da altra fonte".
Bisogna ora fermare la prima immagine di questa storia.

Autunno 2001. Il Sismi di Pollari ha in mano il farlocco dossier costruito da Rocco Martino e Antonio Nucera. Lo mostra alla Cia mentre Rocco Martino lo consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove. E' solo l'inizio del Grande Inganno italiano.
(1 continua)

(24 ottobre 2005)

Mi vergogno di questa gente.
Mi vergogno che sia considerata cittadino Italiano.
Sembra una barzelletta, un film di Totò e Peppino ma, malauguratamente, in Iraq sono morte decine di migliaia di persone, fra soldati, guerriglieri e civili.
ANCHE per questo "dossier" di cartapesta.

LuVi

LittleLux
24-10-2005, 09:00
Mica per niente gli americani si saranno rivolti ai nostri servizi. Deviati, spargitori di veleni e creatori di misteri come i nostri servizi non ce n'è di eguali al mondo.

Penoso poi, ma questo già lo si sapeva, l'atteggiamento prono e supino del nostro governo nei confronti del forte alleato. Chissà che antidolorifici prendono per la schiena, sti quà.:D

evelon
24-10-2005, 10:56
Ma ci sono prove di tutto questo giro ?

I creatori del dossier che fine hanno fatto ?

Mi sembra tutto molto fumoso...

Lucio Virzì
24-10-2005, 10:59
Ma ci sono prove di tutto questo giro ?

I creatori del dossier che fine hanno fatto ?

Mi sembra tutto molto fumoso...

Esporsi facendo nomi e cognomi in una inchiesta giornalistica ti sembra fumoso? Ah, beh, ti sembra fumoso perchè non si è costituita una commissione intercamerale d'inchiesta tipo mithrokin... :rolleyes:

LuVi

evelon
24-10-2005, 11:02
Esporsi facendo nomi e cognomi in una inchiesta giornalistica ti sembra fumoso? Ah, beh, ti sembra fumoso perchè non si è costituita una commissione intercamerale d'inchiesta tipo mithrokin... :rolleyes:

LuVi

No, è fumosa la ricostruzione da macchietta che hanno fatto.

Se questi tizi che hanno creato il dossier fasullo sono così idioti non si capisce come hanno fatto a fare tanto...se sono furbi allora non si capisce come mai abbiano fatto questa serie di cazzate...

Insomma tutto il racconto è davvero poco credibile, almeno come è scritto.

Il fatto che viene poi da un giornale smaccatamente di parte lo rende ancor meno credibile.

Nockmaar
24-10-2005, 11:14
No, è fumosa la ricostruzione da macchietta che hanno fatto.

Se questi tizi che hanno creato il dossier fasullo sono così idioti non si capisce come hanno fatto a fare tanto...se sono furbi allora non si capisce come mai abbiano fatto questa serie di cazzate...

Insomma tutto il racconto è davvero poco credibile, almeno come è scritto.

Il fatto che viene poi da un giornale smaccatamente di parte lo rende ancor meno credibile.

Non mi sembra che abbiano fatto tanto. Hanno messo insieme due documenti, qualche carta bollata e via. Ed il fatto che la Francia non abbia dato il minimo peso al dossier farlocco lo conferma. Peccato che gli U.S.A. non cercavano altro che il minimo pretesto per poter invadere l' Iraq. Ovvio che quel dossier da quatto soldi non ha scatenato la guerra da solo, ma qui si parla di gente come Blair che ha dichiarato l' assoluta inattendibilita' dei documenti che parlavano di armi di distruzione di massa.

Documenti sbandierati ai quattro venti come la prova inoppugnabile del segreto potere bellico di Saddam Hussein & Co.

Ovviamente l' ammissione di colpa e' avvenuta a giochi fatti.

La cosa brutta e' che nessuno si e' veramente indignato per quella storia.

Non che mi aspettassi nulla di che dall' Italia e dagli italiani, facciamo buon visto anche al peggiore dei giochi.

Ma in Europa speravo ci fosse qualcuno un pelo piu' intelligente e capace di esporsi tipo, che so, la Francia...

Ma ovviamente gli interessi economici internazionali vanno oltre una bugia dalle gambe corte ed un paese del quale non frega una mazza a nessuno.


Se non ci fossero le riserve di petrolio ci si potrebbe anche fare un enorme campo da golf...

Lucio Virzì
24-10-2005, 11:18
Non dimentichiamo il dossier presentato da Blahir, senza neppure un copia-incolla, e scritto da uno studente universitario, spacciato per documento dell'intelligence.... :rolleyes:

LuVi

FastFreddy
24-10-2005, 11:25
Non dimentichiamo il dossier presentato da Blahir, senza neppure un copia-incolla, e scritto da uno studente universitario, spacciato per documento dell'intelligence.... :rolleyes:

LuVi

L :D L

Scenetta in casa Blair: "Papaaaaaa, hai visto in giro la mia ricerca per scuola?"


Blair: "Chi io? No, no..." :fiufiu: "Ciao, scappo che devo andare in parlamento di corsa! " :ops:

Nockmaar
24-10-2005, 11:28
Non dimentichiamo il dossier presentato da Blahir, senza neppure un copia-incolla, e scritto da uno studente universitario, spacciato per documento dell'intelligence.... :rolleyes:

LuVi

:amarezza:

andreamarra
24-10-2005, 15:50
L'ammissione di Martino alla stampa inglese: "Americani e italiani hanno
lavorato insieme. E' stata un'operazione di disinformazione"

Ma se Martino ha detto testualmente quelle cose alla stampa, o è vero, o si è fumato qualcosa, o l'argomento è fumoso.

scegliete :D

Satiel
24-10-2005, 21:52
Più che disdegnare le persone che fanno parte dell'intelligence io disdegnerei coloro che hanno dato l'ordine... :rolleyes:
Vorrrei ricordare che nonostante tutto questa gente lavora ogni giorno per la nostra difesa e che in un recente comunicato Pisanu ha affermato che nonostante i pochi fondi il nostro apparato di intelligence (congiunti con altri servizi segreti esteri) ha già fermato numerorsi preparativi di attacchi al nostro paese...

Lucio Virzì
25-10-2005, 13:06
Seconda parte

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq69/bodv/bodv.html

L'INCHIESTA/ La missione del direttore del Sismi negli States
per accreditare l'acquisto di materiale nucleare da parte di Saddam
"Pollari andò alla Casa Bianca
per offrire la sua verità sull'Iraq"
Il dossier sull'uranio dal Niger non coinvolgeva la Cia


ROMA - Per Nicolò Pollari, direttore del Sismi, le regole del suo mestiere sono inequivoche. Dice a Repubblica: "Sono il direttore dell'intelligence e il mio solo interlocutore istituzionale, dopo l'11 settembre, è stato a Washington il direttore della Cia, George Tenet. Come è ovvio, io parlo soltanto con lui...". Ma è proprio vero che le nostre barbefinte hanno lavorato soltanto con la Cia? Oppure hanno sostenuto anche gli sforzi clandestini dell'intelligence parallela creata da Dick Cheney e Paul Wolfowitz con il "gruppo Iraq", l'Office for Special plans del Pentagono, l'ufficio del consigliere per la Sicurezza nazionale, determinatissimi a trovare le prove utili per il "cambio di regime" a Bagdad?

È un fatto che, alla vigilia della guerra in Iraq e con la supervisione del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Gianni Castellaneta (oggi ambasciatore negli Usa), il direttore del Sismi organizza a Washington la sua agenda con lo staff di Condoleezza Rice, in quegli anni consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca. Repubblica è in grado di documentare questo doppio binario del governo e dell'intelligence italiana. Almeno uno degli incontri "molto poco istituzionali" di Pollari e, come dicono gli agenti segreti, la "realizzazione di un sistema" che tiene insieme Governo - Intelligence - Informazione.

Breve riepilogo. Il Sismi di Nicolò Pollari vuole accreditare l'acquisto iracheno di uranio grezzo per fabbricare una bomba nucleare. Lo schema del gioco è alquanto trasparente. Le carte "autentiche" su un tentativo di acquisto in Niger (vecchia "intelligence" italiana degli anni Ottanta) le porta in dote il vicecapo del Centro Sismi di Roma (Antonio Nucera). Vengono affastellate con altra cartaccia costruita alla bell'e meglio con un furto simulato nell'ambasciata del Niger (se ne ricavano carta intestata e timbri). I documenti vengono mostrati dagli uomini di Pollari agli agenti della stazione Cia di Roma mentre un "postino" del Sismi, un tale di nome Rocco Martino, li consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove.

È la prima istantanea. Torna utile per raccontare il secondo capitolo del Grande Inganno organizzato in Italia per costruire la necessità di un intervento militare in Iraq. Lo abbiamo già visto. Greg Thielmann, ex direttore del bureau di intelligence del Dipartimento di Stato, si ritrova sul tavolo il report "italiano" sull'uranio. Non ricorda la data esatta.

Parla genericamente di autunno del 2001. Però il giorno esatto può essere rilevante. È il 15 ottobre del 2001. In quel giorno si annodano, con una sorprendente coincidenza, tre avvenimenti. Nicolò Pollari, nominato dal governo il 27 settembre, assume la direzione del Sismi dopo essere stato il numero due al Cesis (organismo di coordinamento dell'intelligence a Palazzo Chigi). Silvio Berlusconi viene finalmente ricevuto a Washington da George W. Bush. Porta quella data, 15 ottobre, il primo rapporto della Cia sulle evidenze in possesso degli italiani. Nulla si può dire di questa coincidenza se non prendere atto di una circostanza: gli italiani hanno una dannata voglia di darsi da fare. Berlusconi ha avuto difficoltà, dopo l'infelice sortita sullo "scontro tra civiltà", a farsi ricevere da una Casa Bianca alle prese con i regimi arabi moderati. Pollari ha l'ambizione di mettersi subito in sintonia con il premier e il nuovo corso. Il fresco capo dell'unità sulle "Armi di Distruzione di Massa" al Sismi, il colonnello Alberto Manenti (superiore gerarchico di Antonio Nucera) ha voglia di mettersi in sintonia con il nuovo direttore. È un fatto che mentre Bush mostra a Berlusconi il giardino delle rose della West Wing, la Cia prende atto, come scrive Russ Hoyle (per un anno ha analizzato le conclusioni delle commissioni di inchiesta del parlamento americano) che l'intelligence italiana ha una notizia con i fiocchi: "Negoziati (Niamey/Bagdad) circa l'acquisto di uranio sono in corso a partire dall'inizio del '99 e che la vendita è stata autorizzata dalla Corte di Stato del Niger nel 2000". Non viene citata alcuna prova documentale in grado di dimostrare che la spedizione di uranio effettivamente sia avvenuta. Gli analisti della Cia considerano questo primo rapporto "assai limitato" e "privo di dettagli necessari". Analisti dell'INR (Intelligence and Research) del Dipartimento di Stato qualificano le informazioni "altamente sospette".

Il primo impatto con la comunità dell'intelligence americana non è per Pollari gratificante, per così dire, e tuttavia è utilissimo. Il direttore del Sismi, che non è un fesso, fa presto a ricostruire geografia e primattori del sordo conflitto in corso nell'amministrazione americana tra chi (Dipartimento di Stato, Cia) invoca prudenza e pragmatismo e chi (Cheney, Pentagono) chiede soltanto l'opportunità per dare il via a una guerra già pianificata. D'altronde, al rientro in Italia il direttore del Sismi verifica che anche a Roma è rappresentato quel conflitto. Gianni Castellaneta gli consiglia di guardare anche "in altre direzioni", mentre il ministro della Difesa Antonio Martino lo invita a ricevere "un vecchio amico dell'Italia". L'amico americano è Michael A. Ledeen, una vecchia volpe dell'intelligence "parallela" Usa, già dichiarato dal nostro Paese "indesiderabile" negli anni Ottanta. Ledeen è a Roma per conto dell'Office for Special Plans, creato al Pentagono da Paul Wolfowitz per raccogliere intelligence che sostenga l'intervento militare in Iraq. Racconta a Repubblica una fonte di Forte Braschi: "Pollari, per quelle informazioni sull'uranio, ottiene dal capo della stazione Cia di Roma, Jeff Castelli, soltanto freddezza. Castelli, apparentemente, lascia cadere la storia. Pollari capisce l'antifona e ne parla con Michael Ledeen...". Non si sa che cosa mosse Michael Ledeen a Washington. Ma, all'inizio del 2002, Paul Wolfowitz convince Dick Cheney che la pista dell'uranio intercettata dagli italiani va esplorata fino in fondo. Il vicepresidente, come racconta il Senate Selected Committee on intelligence, chiede ancora una volta alla Cia "con molta decisione" di saperne di più del "possibile acquisto di uranio nigerino". In quel meeting, Dick Cheney dice esplicitamente che questo brandello di intelligence è a disposizione di "un servizio straniero".

È stata l'intelligence parallela del Pentagono a distribuire le "nuove informazioni", secondo le quali "esiste un accordo del Niger con l'Iraq per la vendita di 500 tonnellate di uranio all'anno". I tecnici del Dipartimento sorridono dell'informazione. 500 tonnellate di uranio. Una quantità iperbolica. La notizia è palesemente priva di qualsiasi attendibilità. Tutti i report indipendenti, sollecitati dopo la "nota italiana", avvertono che le due miniere nigerine di Arlit e Akouta non sono in grado di estrarre più di 300 tonnellate l'anno. Ma i tempi sono quelli che sono. George Tenet, azzoppato dai buchi di intelligence dell'11 settembre, fa buon viso a cattivo gioco e diventa addirittura sordo quando l'intelligence del Dipartimento di Stato, come racconta a Repubblica Greg Thielmann, gli oppone che "le informazioni raccolte in Italia sono inconsistenti. Che la storia dell'uranio nigerino è falsa. Che un mucchio di cose che ci sono state riferite sono fasulle".

"Pollari è furbissimo - dicono ancora a Forte Braschi - capisce che, per spingere la storia dell'uranio, non può affidarsi soltanto alla Cia. Deve lavorare, come indicano Palazzo Chigi e Difesa, con il Pentagono e con il consigliere per la Sicurezza nazionale, Rice". L'affermazione potrebbe essere soltanto maligna (il mondo delle spie spesso lo è), ma conferme del "canale alternativo" che Pollari crea a Washington si possono afferrare con un'immagine e un incontro.

L'immagine è questa. Pollari è a Washington. Incontra George Tenet e, come spesso capita, le presentazioni vengono santificate nella sala riservata di un hotel nei pressi di Langley. Chi ha assistito al convinvio racconta a Repubblica: "Pollari non deve fidarsi troppo del suo inglese perché sistema tra lui e il direttore della Cia una signora che gli fa da interprete. Con qualche esito imbarazzante. George, per familiarizzare, rivela alcune informazioni su Al Qaeda e l'Italia che l'Agenzia ha raccolto tra i prigionieri di Guantanamo. Tenet si attende perlomeno un sorriso, se non un grazie. Ne ricava soltanto una faccia di pietra. Se ne dispiace, prima. Ne diffida, poi. Ma quel che colpisce tutti, intorno a quel tavolo, è l'assoluta marginalità in cui Pollari tiene il suo capocentro a Washington". Questa estraneità è interessante. In quel 2002, il capocentro Sismi a Washington è l'ammiraglio Giuseppe Grignolo. Ha un'esperienza importante nella proliferazione delle armi di distruzione di massa, rapporti eccellenti con la Cia e soprattutto la stima del n. 2 dell'Agenzia, Jim Pavitt. Ricorda una fonte di Forte Braschi: "In realtà, noi vogliamo tener fuori la Cia dal nostro lavoro e Pollari non si fida di Grignolo, lo giudica troppo vicino a Langley. Così gli tace ogni mossa. Lo costringe, per dire, a occuparsi inutilmente della fedina penale dei nuovi assunti al Servizio che hanno magari trascorso qualche anno negli States... I contatti più significativi, in quei mesi, passano altrove. Attraverso Gianni Castellaneta con Condi Rice e, attraverso Ledeen, con l'Office for Special plans di Paul Wolfowitz e Doug Feith. È Castellaneta che fissa l'incontro di Pollari negli uffici del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca". Quando, e di che cosa parlano? "Di che cosa volete che parlino nell'estate del 2002? Di armi di distruzione di massa". La data dell'incontro? "Questa la tengo per me... e comunque basta controllare nei registri del Cai i piani di volo Ciampino-Washington".

A Roma difficile ottenere quei piani di volo. Maggiore fortuna si ha a Washington. Un funzionario dell'Amministrazione dice a Repubblica: "Posso confermare che il 9 settembre del 2002, il generale Nicolò Pollari incontrò Stephen Hadley, il vice dell'allora consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice".

Come il 15 ottobre del 2001, anche il 9 settembre del 2002 è una data che propone qualche coincidenza. In quelle ore, è in chiusura il numero di Panorama che sarà in edicola con la data 12/19 settembre 2002. È una consuetudine, nell'"affaire yellowcake", ricordare che il "postino" del Sismi, Rocco Martino, contatta in ottobre una giornalista del settimanale - diretto allora da Carlo Rossella - per venderle i documenti dell'imbroglio. Nessuno ricorda che, nel numero 12/19 settembre 2002, in coincidenza dunque dell'incontro segreto di Pollari con Hadley, Panorama trova uno scoop planetario. Titolo: "La guerra? È già cominciata". Racconta di "un carico di mezza tonnellata di uranio". Si legge nell'articolo: "Gli uomini del Mukhabarat, il servizio segreto iracheno, lo hanno acquistato attraverso una società di intermediazione giordana nella lontana Nigeria, dove alcuni mercanti lo avevano contrabbandato dopo averlo trafugato dal deposito nucleare di una repubblica dell'ex Urss. I 500 chili di uranio sono poi approdati ad Amman, e da qui, via terra, dopo sette ore di viaggio, hanno raggiunto la destinazione: un impianto a 20 chilometri a nord di Bagdad, denominato Al Rashidiyah, noto per la produzione e il trattamento del materiale fissile". E più avanti: "... L'allerta riguarda la Germania, dove negli anni passati l'Iraq ha cercato di acquistare dalla società "Leycochem" tecnologia e componenti industriali... e anche i richiestissimi tubi di alluminio per le centrifughe a gas".

Anche se in un contesto inesatto (Nigeria e non Niger, un lapsus calami?) e in qualche tratto favolistico (contrabbando dall'ex-Urss all'Africa con camion), quel che conta osservare è che, nelle rivelazioni di Panorama, la ricetta, per dir così, ha già tutti gli ingredienti giusti che poi porteranno alla guerra: 500 tonnellate di uranio che dall'Africa raggiungono Bagdad; tubi di alluminio per centrifughe nucleari. Sembra di poter ragionevolmente osservare che lo schema che si vede al lavoro in Italia è sovrapponibile senza sbavature al modulo che sostiene negli Usa l'affare Cia-gate/New York Times. Il governo chiede. L'intelligence dà. I media diffondono. Il governo conferma. È una tecnica di disinformazione vecchia come la Guerra Fredda. Esagerare la pericolosità del nemico. Terrorizzare e convincerne l'opinione pubblica. Con un'aggravante in casa nostra. Il magazine che diffonde le notizie avvelenate è di proprietà del presidente del Consiglio che governa l'intelligence e vuole essere e apparire il miglior alleato di George W. Bush, ansioso di andare in guerra.

Si può ora dire che, preparato così il terreno, Pollari può concentrarsi su un altro aspetto essenziale della manovra. Promuovere il Sismi e se stesso, incassando i ricavi dell'oscuro lavoro di un anno. Accecare il Parlamento con notizie prudentemente manipolate e con rivelazioni che richiederebbero finalmente una ricostruzione attendibile, documentata, e non il muro del segreto di Stato (che sarà opposto da Gianni Letta il 16 luglio del 2003).

Al ritorno dall'incontro segreto con Hadley, Pollari viene ascoltato dal comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Le audizioni sono due. Nella prima, il direttore del Sismi sostiene: "Non abbiamo prove documentali, ma informazioni che un Paese centro-africano ha venduto uranio puro a Bagdad". Trenta giorni dopo, Pollari dice: "Abbiamo le prove documentali dell'acquisto di uranio naturale da parte dell'Iraq in una repubblica centro-africana. Ci risulta anche il tentativo iracheno di acquistare centrifughe per l'arricchimento dell'uranio da industrie tedesche e forse italiane". Uscito dal Parlamento, Pollari ha ancora il problema di veicolare verso Washington, senza lasciare alcuna impronta digitale, il documento farlocco. Gli viene incontro una circostanza molto fortunata. Il "postino" del Sismi Rocco Martino, che ha già bussato alla porta dell'MI6, contatta l'inviata di Panorama Elisabetta Burba e tenta di venderle il dossier. È un'idea del vendifumo o una sollecitazione di Antonio Nucera o di chi? La Burba, correttamente, controlla l'informazione in Niger. Si inventa un'inchiesta di copertura sui dinosauri, dall'Oranosaurus nigeriensis all'Afrovenator abakensis.

Nel frattempo avvicina qualche attendibile fonte. Elisabetta fa quel che deve con rigore e tenacia. Conclude che quella storia non sta in piedi e non pubblica una riga. Ma tutto, in realtà, è già accaduto, perché il direttore del settimanale, Carlo Rossella, entusiasta di aver forse trovato, come dice al suo staff, la "smoking gun", l'ha spedita a consegnare quelle carte all'ambasciata americana, scelta come "la più alta fonte di verifica". Pollari avverte il giornale del presidente del Consiglio, fresco dello scoop sull'uranio, che quella roba è robaccia? A quanto pare, no. Così, Jeff Castelli e la Cia si ritrovano nelle mani la frittata malfatta che, già da un anno, si rifiutano di assaggiare. Sono carte così truffaldine che possono essere soltanto nascoste, se non si vogliono mortificare le attese di Dick Cheney. L'arrivo delle carte a Washington viene come "silenziato". Sono distribuite il 16 ottobre 2002 alle diverse agenzie di intelligence da funzionari del Dipartimento di Stato durante uno dei regolari meeting cui prendono parte quattro funzionari della Cia. Nessuno di loro è in grado di ricordare se le avesse o meno ottenute. Misteriosamente, a Langley, le "carte italiane" si "perdono" per tre mesi e, soltanto dopo un'indagine interna dell'Ispettorato generale, se ne ritrova una copia nella cassaforte dell'Unità Controproliferazione. È il primo affondo italiano. La "bufala" dell'uranio raddoppia con la frottola dei tubi di alluminio. Ma questa è un'altra storia.
(2. continua)


(25 ottobre 2005)

Ragazzi, non è un romanzo di Ludlum o Clancy! :muro:

LuVi

~ZeRO sTrEsS~
25-10-2005, 13:11
Più che disdegnare le persone che fanno parte dell'intelligence io disdegnerei coloro che hanno dato l'ordine... :rolleyes:
Vorrrei ricordare che nonostante tutto questa gente lavora ogni giorno per la nostra difesa e che in un recente comunicato Pisanu ha affermato che nonostante i pochi fondi il nostro apparato di intelligence (congiunti con altri servizi segreti esteri) ha già fermato numerorsi preparativi di attacchi al nostro paese...
e tu ci credi? non so, io non sono meravigliato... in italia ormai e' gia' da molto tempo in cui l'informazione va di pari passo con la politica quindi...

easyand
25-10-2005, 16:07
Bah, sti giochetti li fanno tutti i servizi del mondo da millenni, è il loro lavoro agire occultamente, poi qualche pirla divulga tutto e si fanno le frittate

Lucio Virzì
25-10-2005, 16:11
Bah, sti giochetti li fanno tutti i servizi del mondo da millenni, è il loro lavoro agire occultamente, poi qualche pirla divulga tutto e si fanno le frittate

Quindi, non solo li stai giustificando, ma stai anche offendendo i giornalisti che si sono esposti con questa inchiesta?

LuVi

easyand
25-10-2005, 16:39
Quindi, non solo li stai giustificando, ma stai anche offendendo i giornalisti che si sono esposti con questa inchiesta?

LuVi

prima di divulgare certe cose qualcuno dovrebbe farsi un esame di coscenza, e non offendo i giornalisti ma le loro fonti, che dovrebbero imparare a tenere la bocca chiusa su questioni di questo tipo, stesso discorso dell' Imam rapito.

Lucio Virzì
25-10-2005, 16:41
prima di divulgare certe cose qualcuno dovrebbe farsi un esame di coscenza, e non offendo i giornalisti ma le loro fonti, che dovrebbero imparare a tenere la bocca chiusa su questioni di questo tipo, stesso discorso dell' Imam rapito.

No, non ci siamo proprio.
BEN VENGANO le fonti e le indiscrezioni su questa gente che interpreta in senso DEVIATO e sbagliato il concetto di "intelligence".

Il concetto non è: "facciano porcate, purchè non si venga a sapere perchè ne va della sicurezza nazionale".

LuVi

Lucio Virzì
26-10-2005, 14:24
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1048708

Lucio Virzì
26-10-2005, 16:23
Palazzo Chigi smentisce... strano.... Martino aveva confermato...

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq70/precisazione/precisazione.html

Nigergate, smentita di Palazzo Chigi
"Governo e Sismi non c'entrano"

ROMA - Palazzo Chigi definisce "infondate" e "inesatte"le notizie riferite dalla Repubblica sul cosiddetto Nigergate: "I fatti narrati ed i loro contenuti, così come gli elementi circostanziali di tempo, di luogo, di modo e di persone - si afferma in una nota - non solo non corrispondono a verità, ma, piuttosto, sono smentiti da riferimenti puntuali e certi e, quel che più conta, tutti inoppugnabilmente documentati. Palazzo Chigi - informa la nota - sta responsabilmente valutando ogni prospettiva per la tutela di beni giuridicamente protetti".

La nota del Palazzo Chigi ribadisce "in maniera categorica la totale estraneità del Governo e del SISMI (il servizio segreto militare, ndr), rispetto a qualsiasi ipotesi di coinvolgimento diretto o indiretto nel confezionamento e nella veicolazione del falso dossier sull'uranio nigeriano. Indubbiamente avvincente nel racconto e carica di evocazioni suggestive - prosegue la nota di Palazzo Chigi - l'inchiestà sconta però un pesante limite, l'infondatezza e l'inesattezza delle notizie riferite, che non possono acquistare attendibilità solo perché ben scritte".
(2005-10-26 17:09:12)

:rolleyes:

Continua la disinformazione governativa...

LuVi

Duncan
26-10-2005, 16:57
sconcertante la vicenda... mi pare che negli USA invece qualcosa stia accadendo riguardo a questi fatti... o mi sbaglio?

Lucio Virzì
26-10-2005, 19:54
sconcertante la vicenda... mi pare che negli USA invece qualcosa stia accadendo riguardo a questi fatti... o mi sbaglio?

Si, alcuni consiglieri strategici di casa bush stanno traballando, e qualcuno vede addirittura in pericolo bush stesso.

LuVi

majin mixxi
26-10-2005, 20:04
aspetto trepidante l'intervento dei difensori dei valori nazionali :O

von Clausewitz
26-10-2005, 23:28
No, è fumosa la ricostruzione da macchietta che hanno fatto.

Se questi tizi che hanno creato il dossier fasullo sono così idioti non si capisce come hanno fatto a fare tanto...se sono furbi allora non si capisce come mai abbiano fatto questa serie di cazzate...

Insomma tutto il racconto è davvero poco credibile, almeno come è scritto.

Il fatto che viene poi da un giornale smaccatamente di parte lo rende ancor meno credibile.

la ricostruzione è fumosa perchè in effetti la faccenda pare abbastanza ingarbugliata, io non ho capito gran che, non che mi sia sforzato molto a dire il vero :D
però malgrado repubblica sia schierato, Bonini e d'Avanzo fanno in genere del buon gironalismo d'inchiesta, sono loro che fecero scoppiare il caso telekom serbia, faccedna alquanto imbarazzante per l'italia e anche per il centrosinistra
e che i nostri servizi in queste faccende lascino a desiderare, non è una novità ne un mistero
qualche settimana fa a conclusione di un inchiesta giudiziaria su possibili attentati alla metropolitana di milano risalenti a tempo fa (un anno o giù di li), la magistratura milanese sanci con loro grande sconcerto che ttrattavasi di allarme assolutamente ingiustificato, fatto sulle soffiate di un presunto estremista islamico mentre in realtà era nient'altro che uno sbandato magrebino dedito all'alcol e alla droga, il quale fu trovato riverso sul pavimento nell'alloggio di fortuna presso il quale viveva, in preda appunto ai fumi dell'alcol e della droga, durante un soppraluogo della polizia, per verificarne appunto l'attendibilità
andiamo bene, per quelle "soffiate" si blocco la metropolitana milanese per un paio di giorni :rolleyes:
e ti sto parlando di una verità giudiziaria, non di una inchiesta giornalistica ;)

von Clausewitz
26-10-2005, 23:35
Più che intelligence.... direi... deficence..... :rolleyes:

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq69/sismicia/sismicia.html

Certo che abbiamo imparato a fare le cose migliori, dagli ammerigani....
....................
.....................
Mi vergogno di questa gente.
Mi vergogno che sia considerata cittadino Italiano.
Sembra una barzelletta, un film di Totò e Peppino ma, malauguratamente, in Iraq sono morte decine di migliaia di persone, fra soldati, guerriglieri e civili.
ANCHE per questo "dossier" di cartapesta.

LuVi

ammeregani qua, ammeregani là, certo Lucio quando fai l'antiamericano di complemento, non sei molto credibile, si avverte da parte tua una certa qual forzatura
cmq questo dossier cartapesta non ha influenzato per niente la dinamca degli eventi, che si sarebbe svolta nello stesso identico modo anche in sua assenza

per qualche informazione in più

http://www.ilfoglio.it/uploads/camillo/contrattoniger.htm

Falso era falso, ma il documento italo-francese sul Niger non è stato utilizzato


lI l falso dossier “italiano”, o forse “francese”, sull’uranio del Niger c’entra poco o nulla con le motivazioni e con le giustificazioni dell’intervento americano in Iraq. Non è mai stato preso seriamente in considerazione né dalla Casa Bianca né da Downing Street quando hanno costruito il “case” per destituire Saddam Hussein. Lo dimostrano i documenti ufficiali raccolti e analizzati nei rapporti indipendenti o bipartisan di Lord Butler in Inghilterra e della Commissione sull’Intelligence del Senato di Washington. Il paradosso di questa storia è che se quei documenti-bufala fossero stati valutati attentamente, George Bush e Tony Blair si sarebbero risparmiati una figuraccia.
I fatti e il contesto sono questi: il documento falso è stato creato tra il 1999 e il 2000, prima dell’11 settembre 2001 e della guerra al terrorismo, prima dell’elezione rocambolesca di George W. Bush del 2000 e, per essere cronologicamente corretti, va aggiunto che in quelle date a Palazzo Chigi non c’era Silvio Berlusconi, ma un governo di centrosinistra presieduto da Giuliano Amato. Il falso contratto di compravendita di uranio arriva alla comunità d’intelligence americana soltanto nell’ottobre del 2002 e a quella inglese all’inizio del 2003, così stabiliscono senza ombra di dubbio le commissioni bipartisan e indipendenti americane e inglesi che hanno indagato sui fallimenti dei propri servizi segreti riguardo alle armi di Saddam. A Repubblica risulta che la “notizia” di questi documenti, non i documenti in sé, fosse arrivata alla Cia un anno prima, nell’autunno 2001. Un’informazione plausibile, confermata dalla Commissione del Senato. Sempre secondo Repubblica, che però cita l’autore della bufala, quindi non proprio una fonte autorevole, l’intero dossier è stato passato dal Sismi italiano ai servizi inglesi nel 2001. Un’ipotesi smentita dalla Commissione Butler, secondo cui “i documenti falsi non sono entrati a disposizione del governo britannico” prima “dell’inizio del 2003” (pagine 123 e 125).
L’idea della bufala, cioè della creazione di un finto contratto di vendita di uranio nigerino all’Iraq, come ha scritto ieri Repubblica nasce da una comica iniziativa di uno squattrinato ex agente dei servizi italiani che “lavorava a stipendio fisso per l’intelligence francese”, per andare incontro a un interesse di politica estera francese, non americana. Siamo, appunto, tra il 1999 e il 2000, quando ancora Bush preparava la prima campagna elettorale per la Casa Bianca e l’Iraq non era il paese arabo e islamico nel quale promuovere la democrazia. Come è noto, lo sarebbe diventato soltanto dopo l’11 settembre 2001. Il falso contratto Niger-Iraq, come scrive Repubblica, viene cucinato negli archivi dei servizi italiani per truffare Parigi, non Washington: “I francesi, tra il 1999 e il 2000, – scrive Repubblica – si accorgono che c’è chi si è rimesso al lavoro nelle miniere dismesse per avviare un prospero commercio clandestino di uranio. A quali paesi i contrabbandieri lo stanno vendendo? I francesi cercano le risposte” e l’ex agente del Sisde gliele fornisce con la fabbricazione di un falso contratto di vendita di uranio al regime iracheno. I francesi, scrive Repubblica, prendono il pacco e pagano l’ex agente del Sisde.

Prendono il pacco e pagano, i francesi
A Repubblica risulta che i servizi francesi, dopo aver acquistato il dossier falso, “prendono quelle carte e le gettano nel cestino”. Al Rapporto bipartisan del Senato americano, pagine 59 e 67, risulta invece che “il 22 novembre 2002, durante un meeting con funzionari del Dipartimento di Stato, il direttore della nonproliferazione del ministero degli Esteri francese disse che la Francia aveva informazioni su un tentativo di acquisto di uranio dal Niger”. E anche “che la Francia pensava che l’uranio non fosse stato consegnato, ma credeva che l’informazione sul tentativo iracheno di procurarsi l’uranio dal Niger fosse vera”. Solo tre mesi e mezzo dopo, il 4 marzo 2003, si legge nel rapporto, Washington viene a sapere che “i francesi hanno basato la loro iniziale valutazione sul tentativo di acquistare uranio dal Niger dagli stessi documenti” fabbricati in Italia.
E’ importante seguire le date: il 9 ottobre 2002 gli americani ricevono via fax, dall’Ambasciata a Roma, i documenti falsi relativi all’accordo Niger-Iraq, consegnati da una giornalista di Panorama. Un mese dopo, il 22 novembre, i francesi li confermano. Eppure Bush non li ha mai utilizzati, nemmeno nel discorso sullo Stato dell’Unione, del gennaio del 2003.
Ai falsi documenti “italo-francesi” sull’acquisto iracheno di uranio del Niger, la Commissione bipartisan del Senato dedica due paragrafi e otto pagine (dalla 57 alla 64). Alla penultima si legge che le informazioni sul Niger in mano all’intelligence americana erano “più ampie rispetto al contratto (cioè al falso documento italo-francese, ndr)” e comprendevano anche “i tentativi iracheni di acquisire uranio dalla Somalia e dalla Repubblica democratica del Congo”. Ed è questo il motivo per cui, nel rapporto del 24 gennaio 2003 preparato dalla Dia e dalla Cia, su richiesta di Donald Rumsfeld, “non c’è alcun riferimento ai documenti scritti in lingua straniera riguardanti l’accordo sull’uranio”. Semplicemente, la bufala italo-francese non è stata usata.
Quattro giorni dopo il rapporto Dia, il 28 gennaio 2003, con il nulla osta di tutta la comunità di intelligence che ha esaminato in anticipo il testo, George Bush ha pronunciato il discorso sullo Stato nell’Unione, nel quale non ha mai parlato di “acquisto” di uranio, come avrebbe potuto fare se avesse tenuto conto del contratto bufala preparato in Italia e venduto ai servizi francesi. E non ha nemmeno parlato di Niger, ma di paesi africani: “Il governo inglese ha appreso che Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall’Africa”. Cercato di acquisire, non “comprato”; Africa non “Niger”. Le 16 parole di Bush, insomma, non facevano riferimento ai documenti falsi, ma a informazioni inglesi.
Secondo la ricostruzione di Repubblica, in cui ha un ruolo il truffatore che falsificò i documenti, gli inglesi ebbero già nel 2001 il dossier bufala. Il rapporto Butler lo nega senza mezzi termini. Scrive Lord Butler di Brockwell, preside dell’University College di Oxford, a pagina 125 del rapporto pubblicato il 14 luglio 2003: “Al momento in cui sono state fatte le valutazioni, quei documenti falsi non erano a disposizione del governo inglese, sicché il fatto che fossero falsi non le indebolisce”. Le “valutazioni” del governo inglese di cui scrive Lord Butler sono quelle che furono passate a Washington con un “white paper” e che costituirono la fonte primaria, se non unica, delle 16 parole pronunciate da Bush nel discorso sullo Stato dell’Unione. Tanto che, conclude Butler, le parole di Bush erano “well-founded”, “ben fondate”, proprio perché non si basavano affatto sui documenti-bufala. La conclusione numero 12, a pagina 72, del rapporto bipartisan del Senato dice la stessa cosa: “Fino all’ottobre 2002, quando la comunità d’intelligence ricevette i falsi documenti in lingua straniera sul contratto Iraq-Niger, per gli analisti era ragionevole valutare che l’Iraq potesse aver cercato uranio dall’Africa sulla base delle informazioni della Cia e di altri”. La colpa dell’intelligence americana su questo specifico punto è stata quella di non aver dato eccessivo peso al falso documento, cioè esattamente il contrario di quanto si legge su Repubblica. La Cia, si legge nel rapporto del Senato, non aveva neanche una copia del documento bufala. “Conclusione 18” a pagina 76: “La Cia avrebbe dovuto richiedere copie di quei documenti”, se l’avesse fatto, se avesse esaminato il grossolano falso, probabilmente quelle 16 parole, per altre fonti “well-founded”, non sarebbero state pronunciate.
Il falso contratto Niger-Iraq fu tradotto soltanto il 7 febbraio 2003, tre giorni dopo essere stato inviato all’Aiea, l’agenzia atomica dell’Onu. Il 3 marzo 2003, l’Aiea scoprì che i documenti erano falsi. Solo allora, il pacco confezionato in Italia e acquistato dai servizi francesi cominciò a instillare dubbi sull’intero capitolo uranio del Niger, dubbi che diventerono palesi soltanto il 17 giugno 2003 con un memo della Cia: cinque mesi dopo il discorso sullo Stato dell’Unione di Bush e un paio di mesi dopo la caduta di Baghdad.
Del resto il viaggio dell’ex ambasciatore americano Joe Wilson, precedente di otto mesi rispetto alla consegna dei documenti falsi, aveva confermato le valutazioni Cia sul tentativo di acquisto di uranio. Il rapporto del Senato dice infatti che Wilson, di ritorno dal Niger, l’8 marzo 2002 raccontò che nel 1999 l’ex primo ministro nigerino fu contattato da “una delegazione irachena” proprio per comprare l’uranio. Ricapitolando: le indagini bipartisan e indipendenti raccontano che Bush, con molta cautela e in modo allora “ben fondato”, ha usato informazioni di intelligence britanniche sui tentativi iracheni di comprare uranio da tre paesi africani, avvalorate dal viaggio di Wilson in Niger. E confermate anche da Parigi sulla base di un falso dossier che gli stessi servizi francesi comprarono da un ex agente italiano, ai tempi del governo Amato in un mondo che non aveva ancora conosciuto l’11 settembre 2001.
Christian Rocca


http://www.ilfoglio.it/uploads/camillo/falsoerafalso2.html

C’è un’altra smentita americana all’inchiesta pubblicata da Repubblica sulla presunta macchinazione italiana per aiutare, con un documento falso, l’Amministrazione Bush a giustificare l’invasione dell’Iraq. Michael Ledeen, analista dell’American Enterprise Institute ed editorialista di National Review, è accusato di essere stato l’uomo di collegamento tra i nostri servizi e l’Office for Special Plans per cucinare la falsa giustificazione della guerra in Iraq.
All’epoca dei fatti contestati, Ledeen non era un sostenitore della guerra in Iraq, come dimostrano la sua ampia produzione pubblicistica e finanche un’intervista al Foglio del 10 settembre 2002. Per Ledeen la priorità era ed è il regime degli ayatollah d’Iran, da affrontare non con un’invasione militare ma con una campagna di aiuti e di sostegno alla popolazione oppressa e ai gruppi democratici. Alla guerra in Iraq, Ledeen preferiva l’idea di istituire un governo liberatore anti Saddam, al nord e al sud del paese, nelle zone già controllate dagli angloamericani. Ledeen specifica al Foglio che è completamente falsa ogni singola notizia sul suo coinvolgimento nelle vicende del falso dossier sull’uranio nigerino: “Non ho mai lavorato per l’Office for Special Plans del Pentagono, che peraltro non è un’agenzia di intelligence come scrive Repubblica, ma un ufficio di pianificazione militare. Non ho mai lavorato con Paul Wolfowitz, se non nel 1981 quando ero consigliere del segretario di Stato Alexander Haig e Wolfowitz stava al Policy Planning del dipartimento di Stato. Non ho mai lavorato con Douglas Feith. Non ho mai visto, mai toccato, mai letto i documenti falsi che tanto vi appassionano e, allora, non ne parlai né con Nicolò Pollari né con Gianni Castellaneta (direttore del Sismi e consigliere di Palazzo Chigi, ndr)”. Secondo Ledeen, “la cosa più imbarazzante di questa grandiosa bufala giornalistica è che questi documenti non sono alla base delle parole pronunciate da Bush nel discorso sullo Stato dell’Unione. Tra l’altro Repubblica commette un’ingenuità quando scrive che secondo Cheney le prove del possibile acquisto iracheno di uranio nigerino erano a disposizione di un ‘servizio straniero’, come a dire ‘ecco la prova del coinvolgimento italiano’. Quel ‘servizio straniero’ è quello britannico. Allo Stato dell’Unione, Bush ha fatto esplicito riferimento agli inglesi e sia la Commissione Butler di Londra sia il Rapporto bipartisan del Senato hanno confermato che le loro informazioni non provengono da quel falso contratto”.
Il Foglio di ieri ha raccontato come i Rapporti americani e inglesi hanno sminuito lo snodo centrale della ricostruzione di Repubblica, cioè che i francesi avessero gettato quelle carte “nel cestino”. I francesi non hanno affatto cestinato quel dossier, anzi agli americani hanno confermato la veridicità dell’informazione addirittura in un incontro diplomatico tra il ministero degli Esteri e il dipartimento di Stato. Era il 22 novembre 2002. Su quel dossier, inoltre, ci sono stati almeno altri tre scambi di informazioni tra Parigi e Washington: il 27 gennaio, il 3 febbraio e il 4 marzo 2003. Il 3 febbraio, si legge nel rapporto bipartisan del Senato, gli americani chiedono ai francesi “conferma che l’informazione non provenga da un altro servizio straniero”, cioè – secondo quanto spiegano al Foglio alte fonti dei servizi – da quello italiano. I francesi rispondono di no, l’informazione è “di origine nazionale”. E’ la stessa ambasciata americana in Niger, peraltro, a inviare il 18 febbraio 2002 un fax a Washington per segnalare che la possibilità di vendita di uranio all’Iraq non andava sottovalutata. Il ruolo italiano – secondo la fonte del Foglio – si è limitato all’invio in America di due brevi note di segnalazione di attività sospette in Niger, una subito dopo l’11 settembre e l’altra il 15 ottobre 2001. In un momento in cui era “doveroso” fornire ogni pista di indagine agli alleati colpiti dal terrorismo. Il Comitato parlamentare dei Servizi ha già indagato sulla questione, mentre l’inchiesta sull’origine del falso dossier che il Senato americano ha chiesto all’Fbi si è conclusa con l’esclusione di un ruolo italiano nella fabbricazione e nella diffusione di quei documenti. A quell’inchiesta i servizi francesi non hanno collaborato.

von Clausewitz
27-10-2005, 00:19
Si, alcuni consiglieri strategici di casa bush stanno traballando, e qualcuno vede addirittura in pericolo bush stesso.

LuVi

mmmhhh
non dire mai gatto se non ce l'hai nel sacco :sofico:

Lucio Virzì
27-10-2005, 08:00
mmmhhh
non dire mai gatto se non ce l'hai nel sacco :sofico:

Figurati, l'erba cattiva non muore mai! :D

LuVi

Lucio Virzì
27-10-2005, 09:38
Ah, comunque "Ammerega me senti?" conferma :D :rolleyes:

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq70/conferme/conferme.html

Il National security council: "È vero, Pollari fece visita a Hadley"
Cossiga: "Il governo decida: o difende il capo del Sismi o lo scarica"
Nigergate, conferme dagli Usa
Palazzo Chigi: "Notizie infondate"
Il caso, legato all'affaire Cia, rimbalza sui giornali degli Stati Uniti

ROMA - L'inchiesta di Repubblica sul coinvolgimento del Sismi e di Palazzo Chigi nella manipolazione delle notizie di intelligence sul riarmo nucleare iracheno che giustificarono la guerra (approvvigionamento di uranio dal Niger e acquisizione di tubi di alluminio destinati alla costruzione di centrifughe per il suo arricchimento) ha raccolto ieri qualche significativa conferma negli Stati Uniti e una dura reazione del governo a Roma.

A Washington, il portavoce del National security Council, Frederick Jones, ha confermato al quotidiano Los Angeles Times e al settimanale American Prospect che Stephen Hadley, oggi Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca e già numero due di Condoleezza Rice in quello stesso ufficio, incontrò a Washington il direttore del Sismi Nicolò Pollari il 9 settembre del 2002. Una data cruciale "che - osserva il Times - precede di pochissimo l'apparizione dei falsi documenti sull'uranio nigerino a Roma" (a consegnarli all'ambasciata americana è il settimanale Panorama il 9 ottobre 2002). "Hadley - aggiunge il quotidiano - ha giocato un ruolo prominente nella controversia, assumendosi la responsabilità dell'inserimento delle 16 parole pronunciate da Bush nel suo discorso sullo Stato dell'Unione" in cui apparve il riferimento alla vicenda dell'uranio e che valsero una guerra.

A sollecitare l'attenzione dei media americani sul lato italiano del cosiddetto Niger-gate è anche l'agenzia di stampa Associated Press, che dà conto della prossima audizione del direttore del Sismi Nicolò Pollari al Comitato Parlamentare di controllo sui servizi.
L'incresparsi delle acque negli Stati Uniti ha convinto Palazzo Chigi, nel pomeriggio di ieri, ad un nuovo lungo comunicato. "L'infondatezza e l'inesattezza delle notizie riferite da Repubblica - si legge - non possono acquistare attendibilità solo perché ben scritte. I fatti narrati e i loro contenuti, così come gli elementi circostanziali di luogo, tempo, modo e persone non solo non corrispondono a verità, ma piuttosto sono smentiti da riferimenti puntuali e certi e, quel che più conta, inoppugnabilmente documentati". Quali siano questi fatti, il comunicato di Palazzo Chigi non dice.

Né, il Parlamento ha avuto sin qui modo di conoscerli, dal momento che, ancora il 16 luglio 2003, il governo aveva opposto sull'intera questione il segreto di Stato. Quel che invece dice Palazzo Chigi è che "la diffusione di notizie infondate, crea grave nocumento a interessi primari" e, dunque, che "il governo sta responsabilmente valutando ogni prospettiva per la tutela di beni giuridicamente protetti".

Una minaccia, quest'ultima, che nel pomeriggio, prima della pubblicazione del comunicato, era stata sconsigliata in una lunga lettera a Berlusconi dal senatore a vita Francesco Cossiga. L'ex capo dello Stato aveva invitato Palazzo Chigi a difendere il direttore del Sismi, Nicolò Pollari, o a sostituirlo "anche soltanto per motivi di opportunità". E aveva quindi aggiunto: "Una preghiera: lasciate stare per carità l'idea inappropriata e ingiusta di riversare, con denunce e querele, la responsabilità di questa campagna su capaci giornalisti che fanno il loro dovere di operatori dell'informazione e che non potrebbero pubblicare quel che pubblicano se non ci fossero agenti stranieri, o ammiragli, o generali, o loro messi, a passargli le informazioni".

(27 ottobre 2005)

Lucio Virzì
27-10-2005, 09:45
Ah, comunque "Ammerega me senti?" conferma :D :rolleyes:

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq70/conferme/conferme.html

Il National security council: "È vero, Pollari fece visita a Hadley"
Cossiga: "Il governo decida: o difende il capo del Sismi o lo scarica"
Nigergate, conferme dagli Usa
Palazzo Chigi: "Notizie infondate"
Il caso, legato all'affaire Cia, rimbalza sui giornali degli Stati Uniti

ROMA - L'inchiesta di Repubblica sul coinvolgimento del Sismi e di Palazzo Chigi nella manipolazione delle notizie di intelligence sul riarmo nucleare iracheno che giustificarono la guerra (approvvigionamento di uranio dal Niger e acquisizione di tubi di alluminio destinati alla costruzione di centrifughe per il suo arricchimento) ha raccolto ieri qualche significativa conferma negli Stati Uniti e una dura reazione del governo a Roma.

A Washington, il portavoce del National security Council, Frederick Jones, ha confermato al quotidiano Los Angeles Times e al settimanale American Prospect che Stephen Hadley, oggi Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca e già numero due di Condoleezza Rice in quello stesso ufficio, incontrò a Washington il direttore del Sismi Nicolò Pollari il 9 settembre del 2002. Una data cruciale "che - osserva il Times - precede di pochissimo l'apparizione dei falsi documenti sull'uranio nigerino a Roma" (a consegnarli all'ambasciata americana è il settimanale Panorama il 9 ottobre 2002). "Hadley - aggiunge il quotidiano - ha giocato un ruolo prominente nella controversia, assumendosi la responsabilità dell'inserimento delle 16 parole pronunciate da Bush nel suo discorso sullo Stato dell'Unione" in cui apparve il riferimento alla vicenda dell'uranio e che valsero una guerra.

A sollecitare l'attenzione dei media americani sul lato italiano del cosiddetto Niger-gate è anche l'agenzia di stampa Associated Press, che dà conto della prossima audizione del direttore del Sismi Nicolò Pollari al Comitato Parlamentare di controllo sui servizi.
L'incresparsi delle acque negli Stati Uniti ha convinto Palazzo Chigi, nel pomeriggio di ieri, ad un nuovo lungo comunicato. "L'infondatezza e l'inesattezza delle notizie riferite da Repubblica - si legge - non possono acquistare attendibilità solo perché ben scritte. I fatti narrati e i loro contenuti, così come gli elementi circostanziali di luogo, tempo, modo e persone non solo non corrispondono a verità, ma piuttosto sono smentiti da riferimenti puntuali e certi e, quel che più conta, inoppugnabilmente documentati". Quali siano questi fatti, il comunicato di Palazzo Chigi non dice.

Né, il Parlamento ha avuto sin qui modo di conoscerli, dal momento che, ancora il 16 luglio 2003, il governo aveva opposto sull'intera questione il segreto di Stato. Quel che invece dice Palazzo Chigi è che "la diffusione di notizie infondate, crea grave nocumento a interessi primari" e, dunque, che "il governo sta responsabilmente valutando ogni prospettiva per la tutela di beni giuridicamente protetti".

Una minaccia, quest'ultima, che nel pomeriggio, prima della pubblicazione del comunicato, era stata sconsigliata in una lunga lettera a Berlusconi dal senatore a vita Francesco Cossiga. L'ex capo dello Stato aveva invitato Palazzo Chigi a difendere il direttore del Sismi, Nicolò Pollari, o a sostituirlo "anche soltanto per motivi di opportunità". E aveva quindi aggiunto: "Una preghiera: lasciate stare per carità l'idea inappropriata e ingiusta di riversare, con denunce e querele, la responsabilità di questa campagna su capaci giornalisti che fanno il loro dovere di operatori dell'informazione e che non potrebbero pubblicare quel che pubblicano se non ci fossero agenti stranieri, o ammiragli, o generali, o loro messi, a passargli le informazioni".

(27 ottobre 2005)

von Clausewitz
28-10-2005, 00:23
Ah, comunque "Ammerega me senti?" conferma :D :rolleyes:
.......................


:confused:
certo che confermo ho dato solo qualche spunto aggiuntivo
ho già detto pure che Bonini e D'Avanzo fanno un ottimo giornalismo d'inchiesta
l'unico appunto che gli faccio e che soppravalutano quel dossier ai fini dell'attacco all'iraq, sorvolando sul fatto che uno dei principali cavalli di battaglia, di leit motiv dell'amministrazione Bush è stato il tormentone sulle armi chimiche, ugualmente infondato, tutti infatti ricordiamo la figuraccia di Powell che agita provette immaginarie contenenti armi di distruzione inesistenti, quella è cronaca ormai diventata storia
il tutto costruito ex post per giustificare un attacco già deciso ex ante, a prescindere dalla esistenza o meno delle armi di distruzioni di massa, attacco obbidiente invece a un disegno geopolitico dell'amministrazione Bush in quel momento per quella regione
piuttosto se pubblichi la prima puntata, pubblica anche le altre due, sono ancor più illuminanti su come (mal)funzionano e a quali logiche aberranti rispondano i nostri servizi segreti e dell'uso scandaloso che ne ha fatto il governo berlusconi, tanto per cambiare
vabbeh finisco io il lavoro

2° puntata

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq69/bodv/bodv.html

L'INCHIESTA/ La missione del direttore del Sismi negli States
per accreditare l'acquisto di materiale nucleare da parte di Saddam
"Pollari andò alla Casa Bianca
per offrire la sua verità sull'Iraq"
Il dossier sull'uranio dal Niger non coinvolgeva la Cia
di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO


ROMA - Per Nicolò Pollari, direttore del Sismi, le regole del suo mestiere sono inequivoche. Dice a Repubblica: "Sono il direttore dell'intelligence e il mio solo interlocutore istituzionale, dopo l'11 settembre, è stato a Washington il direttore della Cia, George Tenet. Come è ovvio, io parlo soltanto con lui...". Ma è proprio vero che le nostre barbefinte hanno lavorato soltanto con la Cia? Oppure hanno sostenuto anche gli sforzi clandestini dell'intelligence parallela creata da Dick Cheney e Paul Wolfowitz con il "gruppo Iraq", l'Office for Special plans del Pentagono, l'ufficio del consigliere per la Sicurezza nazionale, determinatissimi a trovare le prove utili per il "cambio di regime" a Bagdad?

È un fatto che, alla vigilia della guerra in Iraq e con la supervisione del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Gianni Castellaneta (oggi ambasciatore negli Usa), il direttore del Sismi organizza a Washington la sua agenda con lo staff di Condoleezza Rice, in quegli anni consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca. Repubblica è in grado di documentare questo doppio binario del governo e dell'intelligence italiana. Almeno uno degli incontri "molto poco istituzionali" di Pollari e, come dicono gli agenti segreti, la "realizzazione di un sistema" che tiene insieme Governo - Intelligence - Informazione.

Breve riepilogo. Il Sismi di Nicolò Pollari vuole accreditare l'acquisto iracheno di uranio grezzo per fabbricare una bomba nucleare. Lo schema del gioco è alquanto trasparente. Le carte "autentiche" su un tentativo di acquisto in Niger (vecchia "intelligence" italiana degli anni Ottanta) le porta in dote il vicecapo del Centro Sismi di Roma (Antonio Nucera). Vengono affastellate con altra cartaccia costruita alla bell'e meglio con un furto simulato nell'ambasciata del Niger (se ne ricavano carta intestata e timbri). I documenti vengono mostrati dagli uomini di Pollari agli agenti della stazione Cia di Roma mentre un "postino" del Sismi, un tale di nome Rocco Martino, li consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove.

È la prima istantanea. Torna utile per raccontare il secondo capitolo del Grande Inganno organizzato in Italia per costruire la necessità di un intervento militare in Iraq. Lo abbiamo già visto. Greg Thielmann, ex direttore del bureau di intelligence del Dipartimento di Stato, si ritrova sul tavolo il report "italiano" sull'uranio. Non ricorda la data esatta.

Parla genericamente di autunno del 2001. Però il giorno esatto può essere rilevante. È il 15 ottobre del 2001. In quel giorno si annodano, con una sorprendente coincidenza, tre avvenimenti. Nicolò Pollari, nominato dal governo il 27 settembre, assume la direzione del Sismi dopo essere stato il numero due al Cesis (organismo di coordinamento dell'intelligence a Palazzo Chigi). Silvio Berlusconi viene finalmente ricevuto a Washington da George W. Bush. Porta quella data, 15 ottobre, il primo rapporto della Cia sulle evidenze in possesso degli italiani. Nulla si può dire di questa coincidenza se non prendere atto di una circostanza: gli italiani hanno una dannata voglia di darsi da fare. Berlusconi ha avuto difficoltà, dopo l'infelice sortita sullo "scontro tra civiltà", a farsi ricevere da una Casa Bianca alle prese con i regimi arabi moderati. Pollari ha l'ambizione di mettersi subito in sintonia con il premier e il nuovo corso. Il fresco capo dell'unità sulle "Armi di Distruzione di Massa" al Sismi, il colonnello Alberto Manenti (superiore gerarchico di Antonio Nucera) ha voglia di mettersi in sintonia con il nuovo direttore. È un fatto che mentre Bush mostra a Berlusconi il giardino delle rose della West Wing, la Cia prende atto, come scrive Russ Hoyle (per un anno ha analizzato le conclusioni delle commissioni di inchiesta del parlamento americano) che l'intelligence italiana ha una notizia con i fiocchi: "Negoziati (Niamey/Bagdad) circa l'acquisto di uranio sono in corso a partire dall'inizio del '99 e che la vendita è stata autorizzata dalla Corte di Stato del Niger nel 2000". Non viene citata alcuna prova documentale in grado di dimostrare che la spedizione di uranio effettivamente sia avvenuta. Gli analisti della Cia considerano questo primo rapporto "assai limitato" e "privo di dettagli necessari". Analisti dell'INR (Intelligence and Research) del Dipartimento di Stato qualificano le informazioni "altamente sospette".

Il primo impatto con la comunità dell'intelligence americana non è per Pollari gratificante, per così dire, e tuttavia è utilissimo. Il direttore del Sismi, che non è un fesso, fa presto a ricostruire geografia e primattori del sordo conflitto in corso nell'amministrazione americana tra chi (Dipartimento di Stato, Cia) invoca prudenza e pragmatismo e chi (Cheney, Pentagono) chiede soltanto l'opportunità per dare il via a una guerra già pianificata. D'altronde, al rientro in Italia il direttore del Sismi verifica che anche a Roma è rappresentato quel conflitto. Gianni Castellaneta gli consiglia di guardare anche "in altre direzioni", mentre il ministro della Difesa Antonio Martino lo invita a ricevere "un vecchio amico dell'Italia". L'amico americano è Michael A. Ledeen, una vecchia volpe dell'intelligence "parallela" Usa, già dichiarato dal nostro Paese "indesiderabile" negli anni Ottanta. Ledeen è a Roma per conto dell'Office for Special Plans, creato al Pentagono da Paul Wolfowitz per raccogliere intelligence che sostenga l'intervento militare in Iraq. Racconta a Repubblica una fonte di Forte Braschi: "Pollari, per quelle informazioni sull'uranio, ottiene dal capo della stazione Cia di Roma, Jeff Castelli, soltanto freddezza. Castelli, apparentemente, lascia cadere la storia. Pollari capisce l'antifona e ne parla con Michael Ledeen...". Non si sa che cosa mosse Michael Ledeen a Washington. Ma, all'inizio del 2002, Paul Wolfowitz convince Dick Cheney che la pista dell'uranio intercettata dagli italiani va esplorata fino in fondo. Il vicepresidente, come racconta il Senate Selected Committee on intelligence, chiede ancora una volta alla Cia "con molta decisione" di saperne di più del "possibile acquisto di uranio nigerino". In quel meeting, Dick Cheney dice esplicitamente che questo brandello di intelligence è a disposizione di "un servizio straniero".

È stata l'intelligence parallela del Pentagono a distribuire le "nuove informazioni", secondo le quali "esiste un accordo del Niger con l'Iraq per la vendita di 500 tonnellate di uranio all'anno". I tecnici del Dipartimento sorridono dell'informazione. 500 tonnellate di uranio. Una quantità iperbolica. La notizia è palesemente priva di qualsiasi attendibilità. Tutti i report indipendenti, sollecitati dopo la "nota italiana", avvertono che le due miniere nigerine di Arlit e Akouta non sono in grado di estrarre più di 300 tonnellate l'anno. Ma i tempi sono quelli che sono. George Tenet, azzoppato dai buchi di intelligence dell'11 settembre, fa buon viso a cattivo gioco e diventa addirittura sordo quando l'intelligence del Dipartimento di Stato, come racconta a Repubblica Greg Thielmann, gli oppone che "le informazioni raccolte in Italia sono inconsistenti. Che la storia dell'uranio nigerino è falsa. Che un mucchio di cose che ci sono state riferite sono fasulle".

"Pollari è furbissimo - dicono ancora a Forte Braschi - capisce che, per spingere la storia dell'uranio, non può affidarsi soltanto alla Cia. Deve lavorare, come indicano Palazzo Chigi e Difesa, con il Pentagono e con il consigliere per la Sicurezza nazionale, Rice". L'affermazione potrebbe essere soltanto maligna (il mondo delle spie spesso lo è), ma conferme del "canale alternativo" che Pollari crea a Washington si possono afferrare con un'immagine e un incontro.

L'immagine è questa. Pollari è a Washington. Incontra George Tenet e, come spesso capita, le presentazioni vengono santificate nella sala riservata di un hotel nei pressi di Langley. Chi ha assistito al convinvio racconta a Repubblica: "Pollari non deve fidarsi troppo del suo inglese perché sistema tra lui e il direttore della Cia una signora che gli fa da interprete. Con qualche esito imbarazzante. George, per familiarizzare, rivela alcune informazioni su Al Qaeda e l'Italia che l'Agenzia ha raccolto tra i prigionieri di Guantanamo. Tenet si attende perlomeno un sorriso, se non un grazie. Ne ricava soltanto una faccia di pietra. Se ne dispiace, prima. Ne diffida, poi. Ma quel che colpisce tutti, intorno a quel tavolo, è l'assoluta marginalità in cui Pollari tiene il suo capocentro a Washington". Questa estraneità è interessante. In quel 2002, il capocentro Sismi a Washington è l'ammiraglio Giuseppe Grignolo. Ha un'esperienza importante nella proliferazione delle armi di distruzione di massa, rapporti eccellenti con la Cia e soprattutto la stima del n. 2 dell'Agenzia, Jim Pavitt. Ricorda una fonte di Forte Braschi: "In realtà, noi vogliamo tener fuori la Cia dal nostro lavoro e Pollari non si fida di Grignolo, lo giudica troppo vicino a Langley. Così gli tace ogni mossa. Lo costringe, per dire, a occuparsi inutilmente della fedina penale dei nuovi assunti al Servizio che hanno magari trascorso qualche anno negli States... I contatti più significativi, in quei mesi, passano altrove. Attraverso Gianni Castellaneta con Condi Rice e, attraverso Ledeen, con l'Office for Special plans di Paul Wolfowitz e Doug Feith. È Castellaneta che fissa l'incontro di Pollari negli uffici del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca". Quando, e di che cosa parlano? "Di che cosa volete che parlino nell'estate del 2002? Di armi di distruzione di massa". La data dell'incontro? "Questa la tengo per me... e comunque basta controllare nei registri del Cai i piani di volo Ciampino-Washington".

A Roma difficile ottenere quei piani di volo. Maggiore fortuna si ha a Washington. Un funzionario dell'Amministrazione dice a Repubblica: "Posso confermare che il 9 settembre del 2002, il generale Nicolò Pollari incontrò Stephen Hadley, il vice dell'allora consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice".

Come il 15 ottobre del 2001, anche il 9 settembre del 2002 è una data che propone qualche coincidenza. In quelle ore, è in chiusura il numero di Panorama che sarà in edicola con la data 12/19 settembre 2002. È una consuetudine, nell'"affaire yellowcake", ricordare che il "postino" del Sismi, Rocco Martino, contatta in ottobre una giornalista del settimanale - diretto allora da Carlo Rossella - per venderle i documenti dell'imbroglio. Nessuno ricorda che, nel numero 12/19 settembre 2002, in coincidenza dunque dell'incontro segreto di Pollari con Hadley, Panorama trova uno scoop planetario. Titolo: "La guerra? È già cominciata". Racconta di "un carico di mezza tonnellata di uranio". Si legge nell'articolo: "Gli uomini del Mukhabarat, il servizio segreto iracheno, lo hanno acquistato attraverso una società di intermediazione giordana nella lontana Nigeria, dove alcuni mercanti lo avevano contrabbandato dopo averlo trafugato dal deposito nucleare di una repubblica dell'ex Urss. I 500 chili di uranio sono poi approdati ad Amman, e da qui, via terra, dopo sette ore di viaggio, hanno raggiunto la destinazione: un impianto a 20 chilometri a nord di Bagdad, denominato Al Rashidiyah, noto per la produzione e il trattamento del materiale fissile". E più avanti: "... L'allerta riguarda la Germania, dove negli anni passati l'Iraq ha cercato di acquistare dalla società "Leycochem" tecnologia e componenti industriali... e anche i richiestissimi tubi di alluminio per le centrifughe a gas".

Anche se in un contesto inesatto (Nigeria e non Niger, un lapsus calami?) e in qualche tratto favolistico (contrabbando dall'ex-Urss all'Africa con camion), quel che conta osservare è che, nelle rivelazioni di Panorama, la ricetta, per dir così, ha già tutti gli ingredienti giusti che poi porteranno alla guerra: 500 tonnellate di uranio che dall'Africa raggiungono Bagdad; tubi di alluminio per centrifughe nucleari. Sembra di poter ragionevolmente osservare che lo schema che si vede al lavoro in Italia è sovrapponibile senza sbavature al modulo che sostiene negli Usa l'affare Cia-gate/New York Times. Il governo chiede. L'intelligence dà. I media diffondono. Il governo conferma. È una tecnica di disinformazione vecchia come la Guerra Fredda. Esagerare la pericolosità del nemico. Terrorizzare e convincerne l'opinione pubblica. Con un'aggravante in casa nostra. Il magazine che diffonde le notizie avvelenate è di proprietà del presidente del Consiglio che governa l'intelligence e vuole essere e apparire il miglior alleato di George W. Bush, ansioso di andare in guerra.

Si può ora dire che, preparato così il terreno, Pollari può concentrarsi su un altro aspetto essenziale della manovra. Promuovere il Sismi e se stesso, incassando i ricavi dell'oscuro lavoro di un anno. Accecare il Parlamento con notizie prudentemente manipolate e con rivelazioni che richiederebbero finalmente una ricostruzione attendibile, documentata, e non il muro del segreto di Stato (che sarà opposto da Gianni Letta il 16 luglio del 2003).

Al ritorno dall'incontro segreto con Hadley, Pollari viene ascoltato dal comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Le audizioni sono due. Nella prima, il direttore del Sismi sostiene: "Non abbiamo prove documentali, ma informazioni che un Paese centro-africano ha venduto uranio puro a Bagdad". Trenta giorni dopo, Pollari dice: "Abbiamo le prove documentali dell'acquisto di uranio naturale da parte dell'Iraq in una repubblica centro-africana. Ci risulta anche il tentativo iracheno di acquistare centrifughe per l'arricchimento dell'uranio da industrie tedesche e forse italiane". Uscito dal Parlamento, Pollari ha ancora il problema di veicolare verso Washington, senza lasciare alcuna impronta digitale, il documento farlocco. Gli viene incontro una circostanza molto fortunata. Il "postino" del Sismi Rocco Martino, che ha già bussato alla porta dell'MI6, contatta l'inviata di Panorama Elisabetta Burba e tenta di venderle il dossier. È un'idea del vendifumo o una sollecitazione di Antonio Nucera o di chi? La Burba, correttamente, controlla l'informazione in Niger. Si inventa un'inchiesta di copertura sui dinosauri, dall'Oranosaurus nigeriensis all'Afrovenator abakensis.

Nel frattempo avvicina qualche attendibile fonte. Elisabetta fa quel che deve con rigore e tenacia. Conclude che quella storia non sta in piedi e non pubblica una riga. Ma tutto, in realtà, è già accaduto, perché il direttore del settimanale, Carlo Rossella, entusiasta di aver forse trovato, come dice al suo staff, la "smoking gun", l'ha spedita a consegnare quelle carte all'ambasciata americana, scelta come "la più alta fonte di verifica". Pollari avverte il giornale del presidente del Consiglio, fresco dello scoop sull'uranio, che quella roba è robaccia? A quanto pare, no. Così, Jeff Castelli e la Cia si ritrovano nelle mani la frittata malfatta che, già da un anno, si rifiutano di assaggiare. Sono carte così truffaldine che possono essere soltanto nascoste, se non si vogliono mortificare le attese di Dick Cheney. L'arrivo delle carte a Washington viene come "silenziato". Sono distribuite il 16 ottobre 2002 alle diverse agenzie di intelligence da funzionari del Dipartimento di Stato durante uno dei regolari meeting cui prendono parte quattro funzionari della Cia. Nessuno di loro è in grado di ricordare se le avesse o meno ottenute. Misteriosamente, a Langley, le "carte italiane" si "perdono" per tre mesi e, soltanto dopo un'indagine interna dell'Ispettorato generale, se ne ritrova una copia nella cassaforte dell'Unità Controproliferazione. È il primo affondo italiano. La "bufala" dell'uranio raddoppia con la frottola dei tubi di alluminio. Ma questa è un'altra storia.
(2. continua)

(25 ottobre 2005)

3° puntata

http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq70/sileita/sileita.html

L'INCHIESTA. Pollari sapeva che il materiale acquistato da Saddam
non era destinato al nucleare. Ma alla Casa Bianca preferì tacere
Nigergate, il Grande Inganno
sulle centrifughe nucleari
Lo strano scoop di Panorama che prese per buono il dossier uranio
di CARLO BONINI E GIUSEPPE D'AVANZO


Nicolò Pollari
È affare di date, la storia del coinvolgimento italiano nelle manipolazioni che giustificano la guerra irachena. Ne abbiamo già avuto la percezione. È ancora una data che sbroglia e svela il secondo capitolo del Grande Inganno.

9 settembre 2002. In quel giorno, nelle stanze del National Security Council, c'è un incontro segreto e molto strampalato, se si guarda alla trasparenza istituzionale.

Perché il direttore del nostro servizio segreto incontra un'autorità politica della Casa Bianca? Naturale che Nicolò Pollari incontri il direttore della Central Intelligence Agency. Ordinario che il direttore del Sismi incontri la sua autorità politica. Bizzarro che incontri l'autorità politica di un Paese straniero ancorché alleato: per questi meeting ci sono ministri e sottosegretari. Allora, di che cosa discute con Stephen Hadley?

Questo Hadley non è uomo da terza fila, alla Casa Bianca. Oggi è il consigliere per la Sicurezza Nazionale. Nel 2002 è il vice di Condoleezza Rice e "nodo" della rete "parallela" di intelligence voluta da Dick Cheney per rendere legittima la guerra a Saddam. E' l'uomo che, soltanto per dirne una, si assume la responsabilità delle sedici parole, pronunciate da George W. Bush nel discorso sullo stato dell'Unione, che il 28 gennaio 2003 valgono il conflitto.

Si sa che Hadley, con Pollari, ragiona di armi di distruzione di massa. Legittimo chiedersi che cosa sappia Pollari, il 9 settembre del 2002, dell'uranio nigerino. Come egli stesso ammette, sa tutto. E' informato dell'avventura di Rocco Martino. I suoi uomini addirittura gli stanno dietro. Conosce i passi del vice-capocentro del Sismi Antonio Nucera, che aiuta il vendifumo. Quel giorno, Pollari è nella migliore condizione per fare una scelta. Dire al vice della Rice che, per la Casa Bianca, è meglio lasciar cadere quella storia dell'uranio, perché è una bufala, perché quei due, Martino e Nucera, sono due impostori. O, al contrario, rafforzare le convinzioni dell'alleato. Magari con un accorto silenzio. Che cosa sceglie? Per saperlo torna buono vedere come si muove Pollari nell'altro caso affrontato nel colloquio con Hadley. E' il dossier "centrifughe".

Appena 24 ore prima, 8 settembre 2002, Judith Miller ha raccontato, dalla prima pagina del New York Times, della minaccia nucleare custodita a Bagdad. "Negli ultimi 14 mesi - scrive la reporter - l'Iraq ha cercato di acquistare tubi in alluminio che, secondo i funzionari americani, devono essere utilizzati come rivestimento dei rotors delle centrifughe per l'arricchimento d'uranio".

Il 9 settembre 2002, dinanzi a Hadley, Pollari ha gli strumenti per affrontare anche questo aspetto della questione. Il Sismi, come ammette, ha "prove documentali dell'acquisto di tubi di alluminio da parte irachena". Vediamo di che cosa si tratta.

Sono tubi di alluminio 7075-T6. E' il materiale preferito per un sistema di missili a basso costo (ogni tubo costa 17 dollari e 50 centesimi). Sono fatti di una lega estremamente dura, che li rende potenzialmente adatti come rotors di una centrifuga capace di separare i costituenti dell'uranio fissili da quelli non fissili. Non è un'operazione agevole perché poi le centrifughe devono essere migliaia (16.000) ed essere in grado di sostenere in sincronia rotazioni a velocità estremamente alte.

Come si sa, la Cia e anche il prudentissimo segretario di Stato Colin Powell si convincono che si tratta di materiale "dual use" destinato al programma nucleare iracheno. Powell sfodera tutta la sua esperienza di soldato. Dice: "Non sono un esperto di centrifughe, ma come veterano dell'esercito lasciatevi chiedere questo: perché gli iracheni si stanno dando tanto da fare per quei tubi che, se fossero razzi, andrebbero rapidamente in pezzi dopo il loro lancio?".

L'obiezione, incredibilmente, resta in piedi anche quando gli scienziati dell'Oak Ridge National Laboratory (con centrifughe, arricchiscono uranio per l'arsenale nucleare degli Stati Uniti) annientano la teoria di Powell. Sostengono che quei tubi sono "troppo stretti, troppo pesanti, troppo lunghi e facili a creparsi per essere utilizzati come componenti di centrifughe". Concludono gli scienziati di Oak Ridge: "Quei tubi servono alla costruzione di un particolare proiettile d'artiglieria".

Dunque, l'8 settembre 2002, Judith Miller rappresenta i tubi di alluminio come "la pistola fumante". Il giorno dopo, Pollari è seduto di fronte ad Hadley. Che cosa gli racconta? Pollari sta zitto. Non svela ciò che sa dei tubi di alluminio che tanto preoccupano (o entusiasmano) l'Amministrazione Bush. La disgrazia è che quei tubi - 7075-T6, lunghi 900 millimetri, diametro 81 millimetri, superficie dello spessore 3.3 millimetri - sono arnesi molto familiari per l'esercito italiano. Sono i proiettili di artiglieria del missile da 81 mm del sistema aria-terra "Medusa", adottato dagli elicotteri di Esercito e Marina. In realtà, gli iracheni stanno soltanto tentando di riprodurre delle armi che hanno imparato a conoscere nei lunghi anni della collaborazione economico-militare-nucleare tra Roma e Bagdad (i migliori ufficiali dell'Esercito e dell'Aeronautica irachena sono stati addestrati nel nostro Paese negli anni Ottanta). Lo stato maggiore di Saddam ha bisogno di duplicarli, per dir così, perché le scorte sono state conservate all'aperto e sono ormai rugginose. Ecco la ragione dei nuovi acquisti in alluminio anodizzato.

Perché Pollari non spiccica parola? Se si pone la domanda a Greg Thielmann, ex capo del bureau di intelligence del Dipartimento di Stato, si ottiene questa risposta: "Ma voi davvero non avete capito perché l'intelligence militare italiana non ci ha dato nessuna indicazione che consentisse di escludere definitivamente che quei tubi servissero per un programma nucleare? Io un'idea ce l'ho. Il Sismi, come la Cia e come l'intera comunità dell'intelligence anglo-americana, deve e vuole compiacere i falchi della nostra Amministrazione". Il giudizio è sonoro come una fucilata. Sono le date a offrire una conferma difficile da eludere.

8 settembre 2002, Judith Miller lancia il sasso.
9 settembre 2002, Hadley incontra Pollari.
11 settembre 2002, l'ufficio di Stephen Hadley chiede alla Cia un nullaosta che permetta al presidente degli Stati Uniti di utilizzare in un discorso pubblico le informazioni sulla vendita dell'uranio nigerino. In particolare, per quel che riferisce il rapporto del Selected Committee on Intelligence la richiesta che arriva alla Cia dal gabinetto del National Security Council chiede testualmente a George Tenet che "George W. Bush sia autorizzato a dire: "L'Iraq ha compiuto diversi tentativi di acquistare tubi di alluminio rinforzato da utilizzare per centrifughe per l'arricchimento di uranio. Sappiamo inoltre che, nell'arco degli ultimi anni, l'Iraq ha ripreso i tentativi per ottenere grandi quantità di uranio ossidato noto come yellowcake. Componente necessaria al processo di arricchimento"". La Cia dà il suo nullaosta (a Cincinnati, Ohio, il 7 ottobre 2002, la frase autorizzata cade dal discorso presidenziale.

Il giorno prima, Langley ne raccomanda la cancellazione: "L'intelligence è debole. Una delle due miniere citata dalla fonte come luogo di estrazione dello yellowcake risulta allagata. L'altra è sotto il controllo delle autorità francesi").

Bisogna ora chiedersi che cosa combina Pollari. Questa ingarbugliata faccenda dello yellowcake e delle centrifughe si impasticcia intorno ai documenti farlocchi di Rocco Martino. Chi li ha dati a chi, quando, come? Chi li ha letti e ne ha taciuto l'infondatezza? Chi ha creduto nella loro fondatezza e li ha "disseminati"? L'affare ha il suo fuoco in queste risposte, ma anche nelle parole che non vengono dette. Gli italiani sanno che Rocco Martino è un cialtrone. Hanno ben presente che le uniche carte autentiche di quel dossier sono vecchia intelligence, sottratta all'archivio della divisione del Sismi che si occupa delle armi di distruzione di massa. Pollari lascia correre la frottola per il mondo. Non "brucia" Rocco Martino che bussa alla porta dell'MI6 inglese. Anzi, lo accredita come "fonte attendibile". Non gela gli entusiasmi dell'amico americano Michael A. Ledeen e dell'Office for Special plans del Pentagono. Semplicemente ammutolisce mentre l'imbroglio si fa strada. Anzi, quando apre bocca, non spegne né delude il desiderio americano. Così avviene per i tubi di alluminio. Dopo una "brillante operazione", il Sismi ne viene materialmente in possesso. E' un'intelligence militare. Anche un soldataccio capirebbe che si tratta di "roba nostra", dei proiettili del "Medusa '81". Al Sismi naturalmente lo capiscono. Ma, anche in questo caso, il 9 settembre 2002 Pollari si chiude dinanzi ad Hadley in un riservato silenzio. Fa di più.

12 settembre 2002. In edicola arriva Panorama. Nel lungo servizio titolato "La guerra? E' già cominciata", si raccolgono le rivelazioni decisive e inedite al mondo sul riarmo nucleare iracheno. Nessuno ha ancora parlato di uranio. Tantomeno di 500 tonnellate. Lo farà per la prima volta Tony Blair, ma soltanto il 24 settembre 2002. Due settimane dopo l'incontro Pollari-Hadley. Dodici giorni dopo lo "scoop" di Panorama. Il dossier di 50 pagine del governo di Londra afferma che l'Iraq sta cercando di acquisire uranio in Africa. Blair sostiene che "l'Iraq ha cercato di comprare significative quantità di uranio da un paese africano nonostante non abbia nessun programma di nucleare civile che lo richieda". Ancora oggi, il ministro degli Esteri inglese, Jack Straw, ripete che il "dossier italiano" non era l'evidenza che ha giustificato queste parole; che l'MI6 è in possesso di intelligence acquisita precedentemente. Queste "evidenze" non sono mai saltate fuori. "Se saltassero fuori - dice a Repubblica una fonte di Forte Braschi e sorride - si scoprirebbe facilmente e con qualche rossore che è intelligence italiana raccolta dal Sismi alla fine degli anni '80 e condivisa con il nostro amico, Hamilton Mac Millan".

Non è, dunque, la loquacità a indicare le responsabilità italiane dello yellowcake. Sono i silenzi. Abbiamo visto come tace (o è costretto a tacere) il Sismi. Povero Sismi, non è mica il solo. Nessuno dei protagonisti di questo garbuglio, pur sapendo, fiata. Tace Panorama. Quando la direzione del magazine, di proprietà del capo del governo, deve ricostruire i contatti con Rocco Martino (che ha cercato di vendere l'imbroglio a Segrate) omette di ricordare che le informazioni contenute nel dossier truffaldino, già sono state pubblicate il mese prima. Il direttore del settimanale, inspiegabilmente, verifica quei documenti soltanto con l'ambasciata americana e non con il governo né tantomeno con le eccellenti fonti del servizio segreto italiano a cui, come dimostra lo "scoop" di settembre, ha accesso. Non trova alcun interesse nel raccontare, con un secondo potenziale "scoop" mondiale, che la storia su cui si sta imbastendo una guerra è falsa. Tace anche Palazzo Chigi, naturalmente. Il ruolo del consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi, Gianni Castellaneta, è stato essenziale nei rapporti tra il nostro Paese e quel network parallelo che Dick Cheney crea con il finanziamento di Ahmed Chalabi dell'Iraqi National Congress, con la raccolta dell'intelligence "aggiustata" dall'Office for Special Plans, con la diffusione mediatica di queste manipolazioni attraverso il "gruppo Iraq" (che si vede al lavoro anche nel caso Miller/New York Times). Ma chi ha sentito mai Castellaneta dire una parola e chi gli ha mai chiesto in un luogo istituzionale di dirla?

Sta chiotto Gianni Letta. Quando affiora la verità del falso dossier italiano, il sottosegretario con delega ai servizi, contrariamente a quanto si legge nelle inesatte note del governo, si appella al segreto di Stato. Sostiene che nessuna documentazione può essere offerta al controllo del Parlamento perché si metterebbero "in pericolo fonti dei servizi". Quali fonti? Rocco Martino, carabiniere fallito, spione disonesto, doppiogiochista? O Antonio Nucera, vicecapo del centro Sismi di viale Pasteur che trafuga (o è costretto a trafugare), dall'archivio della sua Divisione, intelligence ammuffita per costruire "il pacco"?

E' evidente che, a frittata rovesciata, qualcosa bisogna pur raccontare dopo tanto silenzio. Pollari si muove nell'estate del 2004. Discretissimo, diventa improvvisamente loquacissimo. Apre addirittura il suo ufficietto a Palazzo Baracchini. Pollari se ne sta in una stanzetta buia, dietro uno scrittoio stracolmo di carte. Carte, carte, carte ovunque. Alla sua sinistra, c'è un altro scrittoio coperto di dossier come uno scoglio dall'onda. Spiega a Repubblica (è il 5 agosto 2004): "Non mi fido di nessuno. Le carte le voglio leggere io...". L'uomo appare in difficoltà. Sente sul collo l'alito maligno dei reporter americani dell'Atlantic Monthly. Si rigira tra le mani una richiesta di colloquio recapitata dalla televisione americana Cbs all'ambasciata italiana a Washington. Si chiede: "Che cosa vogliono questi da me? Chi è che li sta informando? La Cia? L'Fbi? Qualche transfuga della Cia? Qualche nemico del Fbi?". Sa che Rocco Martino è stato agganciato dai producer di 60 minutes e teme, come una catastrofe personale, la confessione del vendifumo davanti ai microfoni. Ora Pollari deve guadagnare una via d'uscita dall'impiccio e gli sembra di aver trovato il modo per uscire dall'angolo. Dice a Repubblica: "Sono stati i francesi del Dgse a trarre in inganno gli americani. Noi non c'entriamo nulla". Estrae da una cartellina una stampata in power-point multicolore (i colori sono giallo, rosso, viola, azzurro, verde). La cartuscella dovrebbe dimostrare il "ruolo dell'intelligence francese nell'affaire Niger". Mai sembra convincente. E' musica che suona stonata anche oggi. Il tempo ha dimostrato in modo solido l'infondatezza della "pista francese", farfallina già in partenza. Infatti, come accerta il rapporto del Senato americano, due settimane prima dell'inizio della guerra, il 4 marzo 2003, i francesi avvertono Washington che i documenti in loro possesso sono falsi perché sono gli stessi che Rocco Martino ha rifilato a Parigi. Non è stata mai rintracciata (né Pollari la rivendica) un'analoga nota italiana che possa dare uno stop all'irruenza di Dick Cheney. Il Sismi, come il governo, sa che l'intelligence contro l'Iraq è tutta fuffa. Tacciono. Come precipita nel mutismo l'intero circuito politico italiano. E' comprensibile il silenzio della maggioranza, ma l'ozio dell'opposizione può esserlo di fronte a una manipolazione che addirittura provoca una guerra? L'unico atto che si può registrare è la richiesta di una commissione di inchiesta presentata dall'Unione, una pretesa soltanto burocratica perché, una volta licenziata, può essere dimenticata. Così, mentre negli Stati Uniti si contano tre inchieste indipendenti (Cia-gate; Nigergate; cospirazione di Larry Franklin, funzionario dell'Office of Special plans), in Italia non si muove foglia. Se si ha la ventura di incontrare il pubblico ministero di Roma, Franco Ionta, per sapere almeno - così per curiosità - come è finita l'inchiesta su quel vendifumo di Rocco Martino, il magistrato spiegherà: "Sì, ho interrogato questo Martino. Un truffatore. In mezz'ora ho chiuso il verbale... Che volete che mi dicesse... Ora la richiesta di archiviazione è nelle mani del gip... Trattasi di buffonata...". Una buffonata italiana che può annegare nel silenzio. Della politica, dell'informazione, della magistratura. Così vanno le cose in Italia.

(3, fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 24 e il 25 ottobre)

Lucio Virzì
28-10-2005, 06:47
"Ammerega me senti" era per fare Alberto Sordi che gioca a fare l'americano :)

Thanks per le altre due puntate del dossier ;)

LuVi

Lucio Virzì
28-10-2005, 17:39
l quotidiano si occupa della vicenda dei documenti falsi
E fa più volte riferimento al possibile coinvolgimento dell'Italia
Nigergate, sul New York Times
l'inchiesta di Repubblica

NEW YORK - Il New York Times dedica oggi ampio spazio al Nigergate citando tra l'altro l'inchiesta di Repubblica. Il quotidiano ricostruisce la vicenda dei documenti e i vari passaggi delle indagini, avviate due anni fa. E dopo aver ricordato che l'Fbi continua a indagare per scoprire chi abbia fabbricato i falsi documenti da cui risultava che Saddam Hussein voleva acquistare uranio dal Niger, sottolinea il possibile coinvolgimento dell'Italia nella vicenda.

Tra le ipotesi su cui stanno lavorando i servizi Usa, il New York Times segnala come più probabile quella secondo cui i documenti falsi furono redatti nell'ambasciata nigerina a Roma. Poi, citando anonimi ex funzionari dell'intelligence, afferma che "il rapporto era arrivato dai servizi militari italiani", il Sismi.

Il caso si intreccia con il Ciagate ma gli inquirenti interpellati dal quotidiano newyorkese non ritengono che le due vicende siano direttamente collegate. L'unica cosa certa è che la Cia inviò in Niger l'ex ambasciatore Joseph C. Wilson sulla base di rapporti "fondati su documenti contraffatti e quindi di per se stessi inaffidabili". Quei documenti furono inoltre tra le fonti di quanto affermato dal presidente Bush nel suo discorso sullo stato dell'Unione nel 2003, nel passaggio in cui affermò che l'Iraq stava cercando di ottenere uranio in Africa per sviluppare armi nucleari.

Nella ricostruzione del New York Times entra anche l'incontro, avvenuto a Washington nel settembre 2002, tra l'allora vice consigliere per la sicurezza nazionale Stephen J. Hadley e il direttore del Sismi Niccolò Pollari, rivelato da Repubblica. Incontro che la Casa Bianca ha confermato e che un portavoce di Hadley ha definito una visita di cortesia durata forse meno di 15 minuti.

(28 ottobre 2005)

jumpermax
31-10-2005, 11:46
uh mi sa che stavolta Repubblica ha preso una bella cantonata... dal blog di Rocca http://www.ilfoglio.it/camillo/


Il confuso e sballato e arrampicato sugli specchi corsivo non firmato sul Nigergate continua a parlare di un incontro segreto Pollari-Hadley, nonostante le smentite. Non era segreto. C'era la Cia. E, soprattutto, era Pollari-Rice.
Però, sempre su Rep. (a firma a.f.d.a.) viene smentita l'insistenza degli scoopisti republicones. A pagina 6:
"La Casa Bianca e il Dipartimento di Stato hanno ridimensionato ieri il significato della visita compiuta a Washington il 9 settembre 2002 dal direttore del Sismi Nicolò Pollari, rivelata dall´inchiesta di Repubblica e confermata ufficialmente nei giorni scorsi ai giornali americani da uomini dell´amministrazione. Per il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Frederick Jones si è trattato di un incontro «di cortesia», durato 15 minuti, in cui il direttore del Sismi si vide con Condoleezza Rice (l´attuale Segretario di Stato allora era Consigliere per la sicurezza nazionale) in un meeting al quale era presente tra gli altri il successore della Rice, Stephen Hadley, allora suo vice".


Bush nel discorso sullo Stato dell'Unione 2003 ha detto:
“The British Government has learned that Saddam Hussein recently sought significant quantities of uranium from Africa"
Ha citato, quindi, informazioni inglesi, non italo-francesi. Ha parlato di tentativo di acquisto, non di contratto di acquisto come risulta dai falsi documenti italo-francesi. E si riferisce a paesi africani, non solo al Niger.
Ora lo domanda è: le informazioni inglesi si basano sui falsi documenti italo-francesi?
La Commissione indipendente di Lord Butler senza dubbio dice di NO: "From our examination of the intelligence and other material on Iraqi attempts to buy uranium from Africa, we have concluded that: The forged documents were not available to the British Government at the time its assessment was made, and so the fact of the forgery does not undermine it".
Al punto che, sempre secondo la commissione Butler:
"We conclude also that the statement in President Bush’s State of the Union Address of 28 January 2003 that “The British Government has learned that Saddam Hussein recently sought significant quantities of uranium from Africa” was well-founded".
E gli americani? Nelle loro inchieste bipartisan che cosa hanno scoperto?
Che fino a quando (ottobre 2002) l'agente francese Rocco Martino non consegnò alla giornalista di Panorama, e da costei all'ambasciata Usa a Roma, i falsi documenti (fabbricati nel 2000): "It was reasonable for analysts to assess that Iraq may have been seeking uranium from Africa based on Central Intelligence Agency reporting and other available intelligence".




Su Repubblica di domenica del resto si legge...
http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/viaggiousa/viaggiousa/viaggiousa.html

"Gli sviluppi del Nigergate che, qui, appare una vicenda interna italiana, perché gli Stati Uniti non hanno mai citato documenti italiani in merito, ma intelligence propria e documenti britannici".
30 ottobre

von Clausewitz
31-10-2005, 13:59
uh mi sa che stavolta Repubblica ha preso una bella cantonata... dal blog di Rocca http://www.ilfoglio.it/camillo/


invece mi sa tanto che è rocca a prendere cantonate, quello era solo un punto contestato che non inficia il resto della ricostruzione
ed è una sentita che in realtà non smentisce nulla, giacche hadley era presente e certamente incontrò pollari
lo pensavo più obbiettivo rocca, invece si è inoltrato a fare una difesa d'ufficio e il portatore d'acqua al berlusca, peccato
bisogna vedere se gli americani sono interessati e decisi a fare luce anche sul versante italiano della faccenda, giacche dal sismi e soprattutto dal governo italiano non c'è d'aspettarsi che veline più o meno velenose, falsità e omissis, nel 2003 ha pure opposto il segreto di stato per cercare di nascondere la verità su alcuni aspetti della vicenda
vedremo
in ogni caso che qualcosa non vada come dovrebbe andare dalle parti del sismi e del governo italiano, non è una novità

http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/cronaca/caliparifune/ordini/ordini.html

Nuovi dettagli dal rapporto inviato ai pm dall'ufficiale di raccordo con gli Usa
a Bagdad suui preparativi della liberazione di Giuliana Sgrena
"Il Sismi mi ordinò due volte
Non dire nulla agli americani"
di CLAUDIA FUSANI


La moglie e la figlia di Nicola Calipari con Walter Veltroni
ROMA - Fino in fondo, fino all'ultimo metro prima dell'ultimo check point all'entrata dell'aeroporto di Bagdad, l'alleato Usa doveva restare all'oscuro del dispositivo del Sismi che aveva come obiettivo la liberazione di Giuliana Sgrena. A questa conclusione giunge la relazione di servizio del generale Mario Marioli, vicecomandante del Corpo multinazionale in Iraq e ufficiale di collegamento a Bagdad tra Italia e Stati Uniti, relazione che da giovedì è a disposizione dei pm del pool antiterrorismo della procura di Roma e di cui Repubblica ha già riferito ieri.

Due sono i passaggi chiave del rapporto, che potrebbero essere da soli la risposta a tante domande.
Il primo passaggio cruciale della relazione riporta un colloquio avvenuto tra Nicola Calipari e il generale Marioli nel briefing tra le 16 e le 17 del 4 marzo. Il colloquio avviene mentre il capo divisione del Sismi e un funzionario, il maggiore dei carabinieri che in serata sarà alla guida della Toyota Corolla, ritirano i badge per circolare a Bagdad e per il possesso delle armi.

Scrive Marioli: "Chiedo a Calipari se devo dire qualcosa all'alleato Usa dell'operazione per la liberazione dell'ostaggio, ma la risposta è che l'alleato non doveva essere informato in alcun modo". Calipari e il maggiore prendono con sé armi corte, tre pezzi, anche quelle da ieri a disposizione degli investigatori per eventuali prove balistiche.

Il secondo passaggio sottolineato nella relazione di servizio avviene in serata, quando l'ostaggio è già libero ma l'operazione non è ancora conclusa. In questo caso il generale Marioli riferisce un colloquio avuto, ovviamente prima della sparatoria avvenuta alle 20.55, questa volta con il capo-centro del Sismi a Bagdad, informato fino al dettaglio dell'operazione in quanto egli era "parte integrante del dispositivo".

Marioli chiede ancora una volta "se dovevo avvertire l'alleato visto che stavano rientrando in aeroporto con Giuliana Sgrena a bordo. Mi veniva risposto "no", nonostante abbia fatto presente che il mancato avviso poteva significare aspettare anche quindici minuti davanti al check point di ingresso nell'aeroporto". Il posto più presidiato di tutto l'Iraq, sede del Comando alleato e della base militare Camp Victory.

I pm Franco Ionta, Pietro Saviotti e Erminio Amelio non commentano la relazione e non escludono di voler sentire il generale Marioli appena possibile. La sua testimonianza sembra destinata a segnare definitivamente il lavoro della commissione mista militare Usa-Italia. Difficile, a questo punto, parlare di "difetto di comunicazione" o di "buco nella catena di comando americana" visto che l'alleato Usa - secondo la testimonianza di Marioli - non doveva sapere nulla ad ogni livello: figuriamoci la pattuglia del 69° fanteria messa lungo la strada per l'aeroporto per tutelare il passaggio del convoglio di John Negroponte, lo zar di tutta l'intelligence Usa.

L'ambasciatore quella sera era ospite a cena da George Casey, comandante della forza multinazionale in Iraq, all'interno del recinto di Camp Victory. Negroponte era passato prima delle 20 nel punto della sparatoria e sarebbe dovuto ripassare da lì circa un'ora e mezzo dopo il fatto.

Giuliana Sgrena, intanto, in un'intervista all'Ansa ha detto ieri di "non aver fiducia nelle inchieste". I pm appendono la loro ipotesi di reato di omicidio volontario e tentato omicidio alla presunta violazione delle regole d'ingaggio da parte della pattuglia impegnata al posto di blocco mobile. Ma sono scarsissime le possibilità di celebrare un processo in Italia per questioni di giurisdizione. Dalla prossima settimana saranno a disposizione della procura anche tutti i telefoni, cinque su cinque, usati quel giorno da Calipari e dal maggiore. Non potranno raccontare troppi segreti: i tabulati delle telefonate saranno esaminati solo da dopo l'ora della liberazione, al netto quindi di telefonate riguardanti il pagamento del riscatto e di quelle con gli informatori della rete irachena.

"Sto lavorando, datemi alcune ore di silenzio, staccherò i telefoni, lo devo fare, è necessario" aveva chiesto venerdì scorso Nicola Calipari al suo direttore Niccolò Pollari, che lo raccontava ieri sera in Campidoglio. "Nicola - ha detto Pollari - vorrebbe che io qui oggi cercassi di spiegare cosa significa fare lo 007 in Iraq. E' un uomo solo che non può contare su nessuno e su nessun dispositivo, tratta con soggetti pericolosi e si muove in zone non protette".

(12 marzo 2005)

http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/esteri/niccal4/omissis/omissis.html

IL COMMENTO
Gli omissis
del Cavaliere
di GIUSEPPE D'AVANZO

BERLUSCONI vuole chiudere il "caso Calipari" senza danni per la dignità nazionale e la politica estera del governo. Si muove con equilibrio lungo un sentiero assai stretto. Non può accusare gli Stati Uniti. Al contempo, non può condannare le manovre che egli stesso ha deciso e coordinato. Concede all'amico americano, "in buona fede", che la morte di Calipari è stato "un incidente"; che "non c'è stata alcuna volontarietà".

Rivendica il diritto di ricordare che "l'assenza di un dolo non esclude la colpa, che può essere ascrivibile all'imperizia, alla negligenza". L'assassinio di Nicola Calipari è stato, per Berlusconi, l'omicidio colposo di un pugno di soldati molto impauriti e male addestrati perché, dice, quel check-point "non era regolare: mancavano segnali che lo rendessero visibile". La ricostruzione del presidente del Consiglio permette di lasciare al loro posto le tessere più controverse del mosaico che ha costruito in questi anni. Un legame di fedeltà gregaria con Washington. La legittimità della nostra "missione di pace" in Iraq. La creazione di "scenari" inattendibili quanto spaventevoli.

"Non rinunciare alla verità", chiedono le opposizioni, con Fassino. Il problema si nasconde appunto in queste quattro parole. Venire a capo di quell'"incidente", non rinunciare alla verità, vuol dire rovesciare come un sasso le tessere che il capo del governo non ha voglia di maneggiare. Sotto quei sassi ci sono, con molte muffe, alcune delle ragioni che hanno consegnato Nicola Calipari al sacrificio. Berlusconi sottrae quelle ragioni al dibattito. Non dice che abbiamo trattato e promesso di pagare i sequestratori di Giuliana Sgrena. Tace la ferma contrarietà di Washington a ogni trattativa. Non fiata sulla decisione di nascondere agli alleati l'obiettivo della missione di Calipari a Bagdad. Acceca il ruolo della nostra intelligence.

La verità, dunque. L'abitudine a dire la verità non è mai stata annoverata tra le virtù politiche e tuttavia "arriva sempre il momento in cui la menzogna diventa controproducente". Quel momento, quell'attimo in cui la menzogna si rivolta contro chi l'ha costruita, è giunto con la morte di Nicola. Il destino di Calipari consegna la scena alla durezza di ostinati fatti che, come sempre accade da quando un bambino gridò "il Re è nudo", non rivelano nulla che un lettore medio di quotidiani e settimanali non sappia già.

L'operazione di peace-enforcement è una deliberata negazione della verità fattuale. Tutte le funzioni di costruzione e rispetto della pace in Iraq sono alla malora. Sono fallite le operazioni per creare condizioni di sicurezza necessarie a negoziare la risoluzione del conflitto (funzione militare). Non si soccorre la popolazione (funzione umanitaria). Non si promuove la riconciliazione nazionale (funzione sociale). Appare destinata a diventare guerra civile la nascita di un governo legittimo (funzione politica).

L'Iraq è, in ogni città e villaggio e angolo di deserto, un campo di battaglia. Lo ammette il rapporto americano, una volta liberato dagli omissis: "Dal 1° novembre 2004 al 12 marzo 2005, ci sono stati nella sola area di Bagdad 3.306 attacchi, di cui 2400 contro le forze della coalizione. Il numero degli attacchi sale a 15.257 se si considera l'intero territorio dell'Iraq: gli Stati Uniti considerano l'intero paese zona di combattimento".

In questo scenario l'impostura della "missione di pace" deve dimenticare guerra, morte e politiche storte. Quando un cittadino italiano finisce nelle mani delle bande di guerriglia o di formazioni terroristiche consideriamo il sequestro un "national issue", come dice Cossiga, una faccenda privata. La gestione di "un affare interno" si può truccare a piacere, secondo la contingenza e soprattutto in segreto. Da sempre, la segretezza e l'inganno sono considerati mezzi legittimi per il raggiungimento di scopi politici. E' però in questo scarto tra verità e menzogna, tra sostegno alle decisioni del governo e servizio alla sicurezza del Paese che affiora un protagonista strategico della politica del governo Berlusconi, l'intelligence militare.

Berlusconi non ne parla. Curiosamente, nell'intervento alla Camera, non cita neppure il Sismi. Neanche per ringraziarlo. Mossa furba. E' nel legame di Berlusconi con l'intelligence, e dell'intelligence con il governo, che si toccano i fili sensibili di questa storia e si scova qualche verità e significato politico in un affare che, altrimenti, rischia di diventare soltanto un maneggio di spie.

In quest'affare - che non è soltanto la morte di Calipari, ma la storia della nostra avventura in Iraq - gli agenti segreti hanno fatto il loro lavoro creando le condizioni per oscurare il rapporto tra i fatti e le decisioni. Per i sequestri, ad esempio. Ci è stato raccontato che i tre body-guard furono liberati dai "nostri" e invece "i nostri" non c'entravano. Per giustificare un fallimento, fu suggerito ai media che Enzo Baldoni fosse stato ucciso dai suoi carcerieri perché aveva tentato di ribellarsi. Colpa sua. E' stato negato di aver pagato un riscatto per le due Simone. Si sono volute tacere le condizioni del sequestro di Giuliana Sgrena.

Non c'è da vergognarsi, conviene ripetere, che per le due Simone sia stato pagato un riscatto, ma la nuova crisi, con Giuliana prigioniera (pur se liberata con un riscatto), avrebbe dovuto imporre una riflessione pubblica, nuovi e condivisi impegni politici perché la Sgrena, come il Sismi dovrebbe sapere, è stata sequestrata dagli stessi uomini che hanno intascato il denaro per le Simone. L'essenziale dettaglio mostra come gli italiani siano diventati bocconi ghiotti, "obiettivi privilegiati": il governo di Roma paga, subito e in contanti. La debolezza della nostra politica espone e non protegge dall'aggressione di banditi, guerriglieri, terroristi, dall'ostilità del comando americano e, quel che più conta, lascia le spalle scoperte a tutti gli italiani costretti a stare in Iraq. Non tanto i giornalisti, oggi richiamati, ma coloro che per lavoro devono ancora stare in quel Paese: diplomatici, uomini d'affari, body-guard, lavoratori dell'industria del petrolio. Non ultimi, i nostri tremila soldati.

Queste informazioni sono state negate all'opinione pubblica e anche a chi, come l'opposizione, è stato associato alle decisioni di trattare e pagare. Se Nicola non fosse morto in un "incidente", questa strategia che condiziona la politica estera e interna del Paese si sarebbe riprodotta ancora. Nicola è morto e il congegno, che ha confuso l'opinione pubblica dopo l'11 settembre, si è rotto. La menzogna oggi si rivolta contro chi l'ha costruita e impone di aprire il libro e leggere come sono andati davvero i fatti in questi anni. Qualcosa già sappiamo.

L'intelligence militare (di fatto, la sola intelligence di cui dispone il Paese) si è trasformata da agenzia di informazioni necessarie alla sicurezza nazionale, in una squadra di "problem-solvers" e uomini di mano capaci di trasformare, a uso politico, le ipotesi in realtà e le teorie in fatti accertati. E' nelle stanze del Sismi, a palazzo Baracchini, che passa il dossier "Nigergate". Lo combina un collaboratore del Sismi sotto gli occhi della "sonda" del servizio nell'ambasciata nigerina a Roma.

Accredita che Saddam si stia procurando uranio arricchito dal Niger per la sua bomba sporca. E' il caso di ricordare che Bush afferra quella (falsa) evidenza per dare inizio alla guerra. E' il Sismi che tesse il filo con Michael Ledeen, l'inviato del Pentagono (poi scaricato: troppo agitato), in vista di una espansione del conflitto all'Iran degli ayatollah. E' il Sismi che crea in Italia, con il costante allarme di attentati (alle metropolitane di Milano e Roma; alla basilica di san Pietro; alla nostra ambasciata a Beirut, per dirne qualcuno), un clima emotivo e caotico, che convince una parte di opinione pubblica ad accettare, come una necessità, la "missione di pace" in Iraq.

Al Sismi sembrano sapere che le menzogne sono spesso molto più plausibili, più ragionevoli della realtà stessa. Chi mente ha il grande vantaggio di sapere in anticipo quello che il governo desidera o il pubblico si aspetta di sentire. E' quel che accade da noi, e non solo negli Usa. La manipolazione dell'opinione pubblica, i dossier farlocchi, le informazioni bugiarde hanno preparato la guerra; hanno costruito (artificiosi) "pericoli concreti e imminenti" per l'Italia; hanno giustificato l'invio dei soldati in Iraq; hanno legittimato le scelte del governo anche quando è stato costretto a truccare le carte con l'alleato per riportare a casa i nostri "prigionieri di guerra".

Se non si vuole rinunciare alla verità, anche in nome del sacrificio di Nicola Calipari, bisogna sentire il dovere di scrivere questa storia dall'inizio, con tutti i capitoli giusti. Nella speranza che i prossimi possano essere più rispettosi della verità. Senza un'informazione basata sui fatti e non manipolata - ha scritto ancora Hannah Arendt - "ogni libertà d'opinione diventa una beffa crudele".

(6 maggio 2005)

http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/esteri/niccal3/niccal3/niccal3.html

COMMENTO
Quando la "verità" diventa politica
il gioco d'azzardo del governo
di GIUSEPPE D'AVANZO

LA Toyota Corolla di Nicola Calipari viaggia, dunque, a 96 chilometri all'ora nella notte del 4 marzo. In tre secondi l'auto "copre" gli ultimi 88 metri della sua corsa. Tre secondi sono un tempo infinitesimo che non consente molta consapevolezza. Soltanto percezioni. Se si conviene che - in quei pochi attimi - americani e italiani hanno soltanto intuizioni, si può sostenere che le due versioni, apparse in contraddizione, possono anche non esserlo.

Il maggiore C., alla guida della Toyota (come Giuliana Sgrena, seduta alle sue spalle), percepisce nell'auto una velocità non troppo sostenuta e, con il bagliore di un faro, gli spari. I soldati del 69° reggimento della guardia nazionale, fermi sul terreno, percepiscono forte la velocità dell'auto e, in tre secondi, accendono il faro e sparano nove colpi, quando la Toyota è ormai a 42 metri da loro. Due ragioni non fanno due torti. Sono due ragioni.

Il maggiore C. ha tutte le ragioni per voler venire via da quella strada in fretta, dopo ore penose in un vicolo di Bagdad in attesa del "contatto" iracheno. Conosce l'Irish Route. Sa che in quel punto non ci sono check-point (il "504" è infatti "volante"). Ritiene di poter (dover) dare un po' di gas. 96 km/ora non sono poi questa velocità da pazzi. Non sono pazzi nemmeno i soldati americani, però. Avvertono l'arrivo veloce dell'auto nel silenzio della notte. L'avvistano a 130 metri. Sparano quando manca all'"impatto", chiamiamolo così, più o meno un secondo e mezzo. Meno di niente, soprattutto se sei un ragazzo in armi, inesperto e addestrato alla carlona.

Le immagini del satellite, di cui riferisce la Cbs, dimostrano quel che è apparso chiaro fin dalla notte del 4 marzo: è stato un fottuto pasticcio di guerra. Confermano anche che il lavoro della commissione mista non è poi così rilevante, a meno a non voler credere alla bagattella che gli americani abbiano deliberatamente ucciso perché pedinavano quella sera i nostri agenti (chiunque sa che lo screening delle intercettazioni e delle immagini del satellite "random" è stato avviato soltanto in queste settimane per rendere più accorto il governo di Roma).

In questa storia sono altri i nodi da sciogliere, e sono tutti nostri, tutti italiani. E' stata aperta una trattativa con i sequestratori? E' stato pagato un riscatto? Soltanto queste possono essere le condizioni utili a spiegare perché Nicola Calipari affronta, con coraggio e dedizione, la missione irachena senza alcuna protezione e tacendo le sue mosse agli americani, contrari a trattative e a riscatti.

Una verità probabile ce la saremmo dovuta attendere dal lavoro della magistratura italiana. Purtroppo le procedure della procura di Roma sembrano in sintonia con gli antichi vizi del "Porto delle Nebbie". Il pool antiterrorismo apre un'inchiesta per sequestro di persona quando afferrano la Sgrena. Palazzo Chigi respinge l'ipotesi del blitz, proposto dagli americani, e decide di pagare.

Gianni Letta è colto da un timore. "E' legittimo?", chiede alla sua amica Augusta Iannini, direttore del Ministero di Giustizia. La Iannini chiede un parere ai suoi uffici. Gli uffici rispondono: "Pagare è reato". Allora Letta, vecchia volpe, convoca a Palazzo il pm Ionta e lo associa, con le opposizioni, alla decisione di trattare e pagare. L'inchiesta sul sequestro presto scolora e scompare.

E' pronto un rapporto che indica alcune fonti di prova che dimostrerebbero come la banda che ha rapito le Simone è la stessa che ha preso la Sgrena. Può essere la dimostrazione che pagare è controproducente perché mette in movimento un'industria che lavora soltanto contro gli italiani. E' un rapporto che la procura non ha fretta di leggere. Sostengono i pm: "I contatti telefonici e gli incontri avuti da Calipari, prima e dopo la liberazione di Giuliana Sgrena, sono un falso problema". Per loro c'è, con la morte di Nicola, una sola questione da affrontare: l'omicidio in un teatro di guerra. L'una e l'altra decisione giudiziaria sono, con evidenza e impropriamente, funzionali soltanto alla gestione politica del "caso".

Dopo il comunicato asciutto e rumoroso che sancisce la rottura tra ministero degli Esteri e Dipartimento di Stato, occorre allora affrontare proprio le ragioni politiche del governo guardando meglio alle mosse dei tre protagonisti. Berlusconi. Gianni Letta, autorità politica dell'intelligence. Nicolò Pollari, direttore del Sismi.

Il presidente del Consiglio, nel suo cinico dilettantismo, è un "genio" nel curare i propri interessi immediati e proteggere il suo destino politico. Si sente (è) già in campagna elettorale e comprende subito quanto, nel breve periodo, gli possa essere utile una cura antiamericana del "caso Calipari". Sa (e lo ha detto) che deve far rientrare in Italia, al più tardi da settembre, i tremila soldati italiani oggi in Iraq. Le casse dello Stato non consentono distrazioni e ogni risorsa va destinata a una "finanziaria elettorale".

Peraltro avverte che il riavvicinamento di Bush all'Europa e all'asse franco-tedesco restringe gli spazi che si è aperto nel Vecchio Continente come campione filo-americano. Sacrifica allora l'orto che ha coltivato - la politica della pacca sulla spalla, delle visite al ranch texano, come le pretese italiane sulla riforma del Consiglio di sicurezza - e gioca d'azzardo. Alza la voce, chiede "una verità" che penalizzi gli Stati Uniti. Si smarca fino a seminare zizzania tra la Rice e Rumsfeld. Posa a campione di indipendenza.

Addirittura, a difensore della dignità nazionale. Coltiva l'ambizione di decidere subito il rientro dei nostri soldati recuperando, con milioni di euro, anche quote di consenso in un'opinione pubblica che, per larga parte, la guerra irachena non l'ha mai gradita e accettata.

Anche Gianni Letta rivede la sua strategia. E' l'ideatore dell'intervento cosiddetto "di doppio livello". Il primo prevede la richiesta di collaborazione agli americani. Se le forze della coalizione non riescono a individuare la prigione del sequestro (come nel caso dei tre body-guard), scatta la seconda opzione: "trattativa e riscatto". Spettatori silenziosi e consenzienti: opposizione, comitato di controllo parlamentare e, come si è visto, magistratura.

E' tentato qualche giorno fa di "scaricare" ogni responsabilità sul direttore del Sismi. Pollari, dalle colonne del Riformista, gli fa sapere che "il vertice del servizio ha concordato passo passo con Palazzo Chigi ogni cosa". Quindi, "quanto a teste da far cadere di capi del Sismi, non se parla nemmeno". A Letta non resta che appoggiare le mosse di Nicolò Pollari per confondere le acque, distribuire in giro bùbbole come quella, per dirne una, che Calipari fosse pedinato dagli americani, quella notte.

In realtà, il direttore del Sismi si muove per proteggere soltanto se stesso. Sa che è perduto: può essere il capo di un'intelligence occidentale un uomo che gli americani giudicano non indipendente ma ambiguo, infedele, ingannatore? E' proprio la carta che decide di giocare Pollari. Non la gioca con il governo naturalmente che, prima o poi, dovrà ricucire alla bell'e meglio con Washington, sacrificandolo. Il capo del Sismi muove verso l'opposizione. In fondo, per Pollari, si tratta di resistere qualche mese in attesa del "cambio di stagione" che lo vedrebbe eroe dell'autonomia nazionale e legittimo candidato alla riconferma nell'incarico per la prossima legislatura.

Incredibilmente, con un capovolgimento di ruolo degno della commedia dell'arte, la sinistra radicale e riformista abboccano alle trame dei "magnifici tre". Indebolita dal morbo ideologico, accecata dall'antiamericanismo, bevono come acqua limpida ogni veleno distillato dall'intelligence di Pollari. Povero Nicola Calipari - sulle sue spoglie si è giocata una partita tutta deformata dall'interesse politico - e poveretta l'Italia che vede le sue politiche soffocate dalle baruffe del cortile di casa e le ambizioni di questo o di quello.

E' giunto il tempo che l'opposizione rinsavisca e che i leader di prima fila (e non le seconde e terze file di queste settimane) battano finalmente un colpo. In ballo non ci sono né gli esiti elettorali del centro-destra né il destino di Pollari, ma l'interesse e la sicurezza nazionali. I duri colpi al prestigio del Paese e il discredito dei nostri apparati d'intelligence ci rendono più deboli in una lotta al terrorismo internazionale che si nutre di rigore, integrazione delle informazioni e collaborazione delle strutture e non con l'isolamento in cui la dissennata gestione del "caso Calipari" ci ha purtroppo cacciato.

Chi potrà credere a un nostro agente segreto e, quel che è peggio, alla parola di un premier italiano quando si truccano, come è accaduto ieri anche le traduzioni dei comunicati congiunti e "findings" (scoperta, risultati) diventa "deduzioni"?

(30 aprile 2005)

http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/cronaca/terroita/bodava/bodava.html

Ecco i retroscena del doppio allarme sui rischi attentati
nelle metropolitane di Roma e Milano e contro il Vaticano
Al Qaeda, le "veline" degli 007
che hanno fatto tremare l'Italia
di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO



Repubblica si è chiesta quali sono le informazioni alla fonte degli allarmi che hanno annunciato la preparazione di attentati di Al Qaeda contro il nostro Paese. Un vortice di paura che, in un crescendo diventato ossessivo alla vigilia di Natale, ha accreditato un "chiaro e immediato pericolo" per l'Italia. Erano informazioni e fatti che giustificavano, con fondatezza, l'allerta "operativo" e l'apprensione sociale che hanno sollecitato?

C'è un solo modo molto diretto e, tutto sommato, elementare per trovare una risposta. Raccogliere e sgranare il rosario dei "dispacci" trasmessi al Viminale dai servizi segreti, militare (Sismi) e civile (Sisde). Soltanto la lettura minuziosa di questi fonogrammi, "riservati" o "riservatissimi", consente di toccare con mano e, quindi, di valutare il grado di pericolo che ha assediato e assedia il nostro Paese.

Le note dell'intelligence hanno, più o meno, uno stesso schema narrativo e usano formule sempre uguali. C'è una valutazione della "fonte" delle informazioni. "Di provata attendibilità". "Affidabile". "Affidabile e già positivamente sperimentata". "Fiduciaria". "Di attendibilità non sperimentata". "Fonte non verificata". O, quando le informazioni non sono state direttamente raccolte dall'intelligence domestica, si può leggere "s'apprende in un contesto di collaborazione internazionale".

C'è, nelle note, la descrizione della minaccia e qualche accenno agli attentatori. "Tre stranieri di origine egiziana sarebbero intenzionati a eseguire attentati terroristici in non meglio indicate località italiane e/o europee e sono in procinto di recarsi in Italia, con destinazione finale Milano" (NR.224/B/Div.3^/6960/R/Sez. I).


"Il Sisde ha riferito di aver appreso in un contesto di collaborazione internazionale che gruppi autonomi (composti prevalentemente da elementi dell'esercito di Muhammed, del gruppo di Feludja, di Al Qa'ida e dell'Arabia Saudita) legati a Saddam Hussein, starebbero preparando attentati in numerosi Paesi europei, in particolare Spagna, Paesi Bassi, Germania e Belgio, da attuare in occasione delle festività natalizie. Secondo quanto riferito, gli attentatori provenienti da un non meglio indicato Paese mediorientale dovrebbero essere in possesso di documenti sauditi, anche se non è possibile escludere l'impiego di titoli di viaggio degli Emirati arabi uniti e dello Yemen. Al momento, non è noto se i terroristi stessi porteranno il materiale da utilizzare per tali azioni ovvero se esso si trovi già nel Paese obiettivo. Un gruppo si troverebbe già nel Paese di destinazione, mentre gli altri dovrebbero iniziare ad attivarsi il prossimo 1? dicembre" N.224/B/Div.3'/14843/R (Sez. III).

"A Como avrebbero avuto luogo frequenti incontri tra stranieri di origine siriana e maghrebina, nel corso dei quali si sarebbe parlato, con insistenza, di attentati da compiere in Italia e in Egitto nei mesi estivi e, in particolare, nel mese di agosto". NR.555/O. P./2498/2003/R.

"Secondo notizie in corso di approfondimento e verifica, elementi non meglio identificati avrebbero pianificato l'attuazione di possibili attentati terroristici in danno di rappresentanze diplomatiche nazionali, britanniche e statunitensi". N. 224/B/Div. 3^/14563/R (Sez. III).

"Si segnala che un gruppo di estremisti islamici, proveniente da Vienna e attualmente alloggiato a Pavia, sarebbe stato incaricato, da parte di non meglio precisata organizzazione terroristica collegata ad Al Qaida di compiere azioni terroristiche in Italia, in particolare a Roma e Venezia (ghetto ebraico). Si richiamano le note 13326/R/ (Sez. III) e 13398/R/(Sez. III)".

Le lettura delle note dell'intelligence suscita subito qualche perplessità. Quasi sempre le indicazioni dei servizi segreti sono generiche fino all'evanescenza. Se sono ragionevoli gli incerti riferimenti alle fonti delle notizie, meno comprensibile è la vaghezza delle indicazioni raccolte dai nostri agenti segreti che sembrano interessati più ad avvertire della possibilità di un attentato che a mettere in condizione le polizie di individuare le tracce dei presunti terroristi. Quasi mai si riesce a sapere - nemmeno a spanne - chi colpirà. Né da dove viene e come e quando colpirà chi intende colpire. Un esempio.

Il 27 novembre 2003 il Viminale diffonde questa nota (N.224./B/Div.3^/14666/R (Sez. III). "Voce: presunta cellula islamica collegata al conflitto russo-ceceno. Si è appreso da fonte fiduciaria che due estremisti islamici, tali Magamet, di circa 26 anni, e suo fratello Ahmed di poco più giovane, esperti nel confezionamento di ordigni esplosivi con materiali facilmente reperibili in commercio, avrebbero raggiunto l'Europa, probabilmente il nostro Paese, la Germania o la Francia, con l'intenzione di chiedere asilo politico. Secondo la stessa fonte, il loro viaggio in Europa potrebbe essere collegato a un possibile evento delittuoso di matrice terroristica".

L'"evento delittuoso" è dunque soltanto possibile. Come è possibile che l'attentato debba preoccupare non gli italiani, ma i tedeschi. O, forse, non i tedeschi, ma i francesi. Insomma, chiunque o nessuno. I due amici ceceni hanno incerte identità. La loro caratteristica principale appare l'esperienza in ordigni esplosivi, ma come accertarla, escluso che esista una fisiognomica dell'esperto "bombarolo"? Il "filo rosso" che collega i due islamici al terrorismo dovrebbe essere, secondo la "fonte fiduciaria" dell'intelligence, la loro "dipendenza gerarchica da un importante estremista ceceno, in precedenza uno dei leader della guerriglia nell'ex-repubblica sovietica, da qualche tempo dimorante a Londra".

Ma, accettando che i leader politici ceceni residenti a Londra siano "estremisti" e terroristi, come accertare la dipendenza gerarchica di Magamet e Ahmed se i due non transitano per Londra?

Un investigatore, interpellato da Repubblica, non nasconde il suo imbarazzo dinanzi a tanta nebbia. Ammette: "E' vero, le informazioni che ci giungono dai servizi segreti sono spesso inutilizzabili, prive di indicazioni o brandelli di informazioni su cui lavorare o imbastire un'indagine decente. Spesso sono soltanto campanelli d'allarme, buoni soprattutto a tener alta l'attenzione degli uomini e degli apparati. Non è che l'intelligence internazionale - americana o inglese, per dire - si muova con un criterio diverso. Un pericolo però comincia a farsi strada nella coscienza di tutti gli operatori. Se il "prodotto" dei servizi segreti non migliora, queste indicazioni diventeranno presto non solo inutili ma addirittura controproducenti perché se troppo gridi "al lupo!", quando il lupo davvero ci verrà accanto, nessun allarme sarà ascoltato".

E' uno schema (e un pericolo) che diventa ancora più chiaro se si ripercorrono, dossier alla mano, i due allarmi più gravi del 2003 quando (25 novembre) doveva saltare la metropolitana di Roma o di Milano e un aereo o un missile doveva distruggere la basilica di San Pietro (25 dicembre).

* * *

E' il 22 novembre, sabato. Il Ramadan è agli sgoccioli. Nella tarda serata, Niccolò Pollari, il direttore del Sismi (servizio informazioni per la sicurezza militare) invia una nota allarmatissima e inquieta al Viminale. Con la fine del Ramadan, lunedì 24 novembre - avverte - è pronto un attentato contro le metropolitane di Roma o di Milano. In un ministero dell'Interno ormai deserto, la notizia è un botto che fa rumore e crea panico.

Mancano soltanto 48 ore per intervenire, porre il Paese al riparo cercando di capirne di più, di saperne di più per organizzare una risposta, per quanto possibile, efficace. Soltanto il giorno dopo, domenica 23 novembre, il capo della polizia Gianni De Gennaro riesce a mettersi in contatto con il direttore del Sismi. Chiede maggiori informazioni. Chiede soprattutto quanto sia attendibile la "fonte" della notizia. Pollari lo rassicura (si fa per dire): la "fonte" è buona, è "affidabile". L'allarme viene portato al massimo livello.

De Gennaro invita Pollari a contattare ancora la fonte, a "spremerla" per ricavare anche soltanto qualche dettaglio in più. Intanto invia un dispaccio riservato ai prefetti di Milano e Roma.

"Il Sismi - vi si legge - nel premettere che martedì 25 novembre l'Italia sarebbe esposta a particolare rischio di attentati terroristici, ha specificato che sembrerebbero probabilmente pianificati per quel giorno, data coincidente con la fine del Ramadan, attentati contro le metropolitane di Roma e di Milano. In proposito si fa presente che il Servizio, nell'indicare la fonte dell'informazione come affidabile e già positivamente sperimentata, ha riferito altresì che sono tuttora in atto ulteriori approfondimenti anche tramite Servizi collegati perché, dai primi riscontri, peraltro sollecitati da questo Dipartimento, non è stato finora possibile avere elementi di conferma in ordine alla segnalata minaccia. In relazione a ciò, le SS. LL. sono pregate di valutare l'attuazione di ogni utile misura di prevenzione ivi compresa l'ipotesi dell'interruzione del traffico ferroviario cittadino".

Nessuno si nasconde al ministero dell'Interno e a Palazzo Chigi il disastroso effetto che una chiusura preventiva dei metrò di Roma e Milano avrebbe sull'opinione pubblica. Un mese dopo, Berlusconi, ripensando a quel difficile momento, dirà: "(La chiusura delle stazioni) avrebbe avuto sulle menti della gente lo stesso effetto di un attentato, ci avrebbero uccisi di dentro con conseguenze sociali ed economiche drammatiche".

Si lavora per evitare lo choc all'Italia. E' lunedì 24 novembre. Nelle prefetture di Roma e Milano, sindaci, responsabili della sicurezza cittadina e del trasporto pubblico valutano il da farsi mentre i responsabili degli ospedali si preparano addirittura a organizzare un piano d'emergenza capace di dare soccorso a migliaia di persone ferite. Il governo comunica l'imminente pericolo ai leader dell'opposizione (Rutelli e Fassino).

A Palazzo Chigi, alla presenza di Berlusconi, del sottosegretario alla presidenza Letta e del ministro dell'Interno Pisanu, giunge l'ora per il direttore del Sismi di mettere le carte in tavola. Chi è la fonte? Quanto davvero è attendibile? Da chi e dove ha cavato la notizia dell'attentato?

Al termine di un confronto che raccontano teso fino all'asprezza, Pollari - per quanto Repubblica è stata in grado di ricostruire - ammette che la fonte "affidabile e già positivamente sperimentata" non sarebbe altri che un agente del Sismi: a Bagdad ha ascoltato una conversazione tra due ufficiali americani che ipotizzavano, con la fine del Ramadan, la possibilità di attentati in Europa. Anche in Italia. Anche a Milano e a Roma, come ad esempio "una bomba nel metrò"?

La tensione si sgonfia come un palloncino bucato tra imbarazzo e irritazione. Il capo della polizia dirama subito una nuova nota: "A integrazione del messaggio odierno relativo a possibili minacce di attentati in danno delle metropolitane, si comunica che, nel corso di una qualificata riunione di vertice finalizzata a valutare il grado di attendibilità delle informazioni ricevute, il direttore del Sismi ha comunicato l'esito degli ulteriori approfondimenti svolti dal proprio ufficio da cui si rileva un concreto ridimensionamento del precedente livello d'allarme".

Berlusconi può lasciare la riunione sollevato. Con un commento al vetriolo: "Più che le metropolitane, dovremmo chiudere i servizi segreti?".

* * *

Curiosamente, è proprio il premier a enfatizzare, un mese dopo, l'allarme che, questa volta, giunge da informazioni raccolte dall'Arma dei carabinieri. Per il giorno di Natale, il comando generale paventa addirittura la distruzione, con aereo o un missile, della basilica di San Pietro.

"Militare del Reparto Operativo di Nuoro - si legge nel dispaccio dell'Arma - acquisiva da fonte confidenziale degna di fede, a sua volta informata da altra fonte non verificata, comunque imprenditore di nazionalità italiana di cui non ha voluto in alcun modo fornire ulteriori indicazioni, la notizia di un imminente attentato nei confronti del Santo Padre a Roma in occasione delle prossime festività, da parte di sedicente setta musulmana, avente sede in località sconosciuta ma contraddistinta da una bandiera del Bahrein e Qatar, con il calce una scritta in arabo (che si trasmette in allegato).

Secondo la fonte, l'ideatore sarebbe un prete cattolico che frequenta spesso il Vaticano, corrispondente alla seguente descrizione: alto, magro, calvo, con un riporto di capelli grigi sul davanti. L'attentato potrebbe consumarsi con i seguenti modus operandi: un aereo che si scaglia contro il palazzo apostolico; un missile che esplode contro lo stesso palazzo".

E' una segnalazione che non ha né capo né coda, e chiunque può rendersene conto. Se non fosse tragica, sarebbe ridicola. Una fonte che riferisce di una fonte "non verificata". Un prete cattolico complice di Osama Bin Laden. Un riporto di capelli grigi. Nuoro. Un aereo. Un missile. Dove? Come? E poi, quella scritta sulla bandiera del Bahrein o del Qatar. La scritta è allegata alla nota riservata. Chi conosce l'arabo non ha difficoltà a comprendere che quelle poche parole dicono che è stata vergata non da un arabo e che significano: "Tarek, Brik. it". Un indirizzo internet?

La vicenda ha del grottesco, come si vede. Ma non impedisce a Berlusconi di recitare da capitan Fracassa in un'intervista concessa a Libero, la notte di Natale. Racconta il capo del governo: "Che giornata terribile è stata questa. C'era una notizia precisa e verificata di un attentato su Roma il giorno di Natale. Un aereo dirottato sul Vaticano. Un attacco dal cielo. La minaccia del terrorismo è in questo istante altissima. Ho passato la vigilia a Roma per fronteggiare la situazione?".


* * *

Nessuno può escludere che l'Italia sia nel mirino degli attentati di Al Qaeda. Lo si ripete e lo si scrive, come è giusto, perché soltanto uno sciocco può sostenere che il "network del terrore" risparmierà il nostro Paese. Tuttavia, ciò che è possibile non è automaticamente probabile. E' possibile - per dire (scongiurando) - che quando leggerete questa cronaca un aereo dirottato si sia già abbattuto sulla cupola di San Pietro. Ma è sufficiente questo per sostenere che c'è un probabile pericolo di distruzione della cupola di San Pietro?

La questione bisogna allora affrontarla in altro modo perché è più serio e responsabile valutare la probabilità di un attentato in proporzione alle informazioni attendibili, ai fatti raccolti e documentati. E' il lavoro dell'intelligence. Per questo esistono i servizi segreti, per "avvicinarsi" al nemico, comprenderne le intenzioni e anticiparne le mosse. E le polizie ci sono per rendere impotente l'aggressore prima che possa colpire.

Come abbiamo visto, gli allarmi di un attentato "di matrice islamica", tragico come l'assalto alle Twin Towers, si sono accavallati nel lavoro dell'intelligence con una cadenza settimanale, vagamente paranoica, sempre ansiogena. Si può provvisoriamente concludere che molti allarmi avevano la solidità di un castello di carta. Trasformavano il possibile in probabile. Conviene dunque muoversi in un'altra direzione per misurare il grado di aggressività del jihadismo in Italia. Per farlo, occorre verificare la consistenza delle indagini, degli arresti e dei processi in corso contro gli ambienti più sospetti del fondamentalismo islamico in Italia. Affiorerà qualche sorpresa.

(1. continua)


(24 gennaio 2004)


cercherò anche di recuperare la notizia di qualche settimana sugli allarmi kamikaze in italia di questa estate, quando il sismi stava per allertare e far chiudere le metropolitane di roma e milano e si accertò che la sua "fonte" era nientemeno che un marocchino sbandato mitomane, alcolizzato e cocainomane trovato riverso sul pavimento in preda ai suoi "vizi",una volta che la polizia andò a cercarlo per sentire cosa avesse da dire in proposito
più che una barzelletta, una pochade

jumpermax
31-10-2005, 14:13
invece mi sa tanto che è rocca a prendere cantonate, quello era solo un punto contestato che non inficia il resto della ricostruzione
ed è una sentita che in realtà non smentisce nulla, giacche hadley era presente e certamente incontrò pollari
lo pensavo più obbiettivo rocca, invece si è inoltrato a fare una difesa d'ufficio e il portatore d'acqua al berlusca, peccato
bisogna vedere se gli americani sono interessati e decisi a fare luce anche sul versante italiano della faccenda, giacche dal sismi e soprattutto dal governo italiano non c'è d'aspettarsi che veline più o meno velenose, falsità e omissis, nel 2003 ha pure opposto il segreto di stato per cercare di nascondere la verità su alcuni aspetti della vicenda
vedremo

Rocca? no qua chi si smentisce è la stessa Repubblica

versione 1
ROMA - L'intervento militare in Iraq è stato giustificato da due rivelazioni: Saddam Hussein ha tentato di procurarsi uranio grezzo (yellowcake) in Niger (1) per arricchirlo con centrifughe costruite con tubi di alluminio importati dall'Europa (2). Alla costruzione delle due "bufale" (non si troverà traccia in Iraq né di uranio grezzo né di centrifughe), collaborano il governo italiano e la sua intelligence militare.


versione 2

"Gli sviluppi del Nigergate che, qui, appare una vicenda interna italiana, perché gli Stati Uniti non hanno mai citato documenti italiani in merito, ma intelligence propria e documenti britannici".

cosa ci sarebbe da ricostruire se gli USA si sono basati sulla loro intelligence e su quella britannica? E se i documenti britannici niente c'entrano con quelli italiani? Dove sarebbero state usate queste prove fornite dalla nostra intelligence, se non ce n'è traccia nei documenti?

von Clausewitz
31-10-2005, 14:25
Rocca? no qua chi si smentisce è la stessa Repubblica

versione 1
ROMA - L'intervento militare in Iraq è stato giustificato da due rivelazioni: Saddam Hussein ha tentato di procurarsi uranio grezzo (yellowcake) in Niger (1) per arricchirlo con centrifughe costruite con tubi di alluminio importati dall'Europa (2). Alla costruzione delle due "bufale" (non si troverà traccia in Iraq né di uranio grezzo né di centrifughe), collaborano il governo italiano e la sua intelligence militare.


versione 2

"Gli sviluppi del Nigergate che, qui, appare una vicenda interna italiana, perché gli Stati Uniti non hanno mai citato documenti italiani in merito, ma intelligence propria e documenti britannici".

cosa ci sarebbe da ricostruire se gli USA si sono basati sulla loro intelligence e su quella britannica? E se i documenti britannici niente c'entrano con quelli italiani? Dove sarebbero state usate queste prove fornite dalla nostra intelligence, se non ce n'è traccia nei documenti?

c'è pure la versione tre, la mia :sofico:
se via un pio di post sopra

:confused:
erto cche confermo ho dato solo qualche spunto aggiuntivo
ho già detto pure che Bonini e D'Avanzo fanno un ottimo giornalismo d'inchiesta
l'unico appunto che gli faccio e che soppravalutano quel dossier ai fini dell'attacco all'iraq, sorvolando sul fatto che uno dei principali cavalli di battaglia, di leit motiv dell'amministrazione Bush è stato il tormentone sulle armi chimiche, ugualmente infondato, tutti infatti ricordiamo la figuraccia di Powell che agita provette immaginarie contenenti armi di distruzione inesistenti, quella è cronaca ormai diventata storia
il tutto costruito ex post per giustificare un attacco già deciso ex ante, a prescindere dalla esistenza o meno delle armi di distruzioni di massa, attacco obbidiente invece a un disegno geopolitico dell'amministrazione Bush in quel momento per quella regione
piuttosto se pubblichi la prima puntata, pubblica anche le altre due, sono ancor più illuminanti su come (mal)funzionano e a quali logiche aberranti rispondano i nostri servizi segreti e dell'uso scandaloso che ne ha fatto il governo berlusconi, tanto per cambiare

il punto quindi non è tanto se il governo USA effettivamente se ne servì, e infatti non se servì, accorgendosi per tempo che rana una bufala, anzi una balla colossale, e in questo senso, in questo aspetto l'attacco dei due giornalisti di repubblica è strumentale, come ho detto sopra, quanto il fatto che presso la nostra intelligence sia d'uso e consumo fabbricare dossier falsi e spacciarli ai servizi alleati come veri, servendosi per confezionarli di mitomani e millantatori, fare doppi e tripli giochi con le intelligence alleate con stile e metodi paramafiosi e mascherare il tutto dietro cortine fumogene di fregnacce
ma forse non è una questione d'intelligence, ma d'intelligenza a Forte Braschi come a Palazzo Chigi

Lucio Virzì
04-11-2005, 15:45
Ma infatti, quoto Von.
E' subdolo tentare di spostare la questione sul fatto se o meno gli USA abbiano utilizzato questo o altri dossier falsi.
Fatto sta che il governo avrebbe dovuto risponderne in parlamento, e invece ne avete saputo più nulla? :rolleyes:
Evidentemente il nostro eroe era troppo impegnato a denunciare presunti kamikazzen....

LuVi

Lucio Virzì
10-01-2006, 21:29
Up

Geremia TNT
10-01-2006, 21:31
Up

Down

tdi150cv
10-01-2006, 21:44
disinformazione ?
Ba ... qui in itaGLIa siamo abituati e alla grandissima ...
In poche parole nulla di preoccupante ! :cool:

Lucio Virzì
10-01-2006, 21:50
disinformazione ?
Ba ... qui in itaGLIa siamo abituati e alla grandissima ...
In poche parole nulla di preoccupante ! :cool:

TU sarai abituato.
Io preferirei che i miei DIPENDENTI non si inventassero cazzate invece di lavorare seriamente :)
Bella la tua signature :asd: :rotfl:

LuVi

Swisström
10-01-2006, 22:01
NOn è paradossale che in italia si parli dei servizi segreti italiani ma esistono anche gli altri (persi quelli Svizzeri)
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1107101

Lucio Virzì
10-01-2006, 22:02
NOn è paradossale che in italia si parli dei servizi segreti italiani ma esistono anche gli altri (persi quelli Svizzeri)
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1107101

Crossposting! :O :sofico:

Swisström
10-01-2006, 22:05
Crossposting! :O :sofico:

Preferirei che tu non ti ergessi a moderatore auto-proclamato http://www.drusie.com/forum/images/smiles/sisi.gif

Satiel
10-01-2006, 22:16
Alla fine quello che arriva a noi sono soltanto mezze verità a volte romanzate ad hoc per indurci a credere questo o quell'altro...
Penso che in Italia ci siano veramente poche persone che hanno un chiaro panorama dellla situazione politica MONDIALE e tra queste non credo ci siano persone che scrivono su questo forum (me compreso).
Ecco perchè non trovo giusto che si spari sentenze sulle nostre forze di intelligence... anche perchè nessuno qui sa cosa fanno e come lo fanno.... solo frammentarie notizie che possono essere liberamente interpretate....

Lucio Virzì
10-01-2006, 22:18
Alla fine quello che arriva a noi sono soltanto mezze verità a volte romanzate ad hoc per indurci a credere questo o quell'altro...
Penso che in Italia ci siano veramente poche persone che hanno un chiaro panorama dellla situazione politica MONDIALE e tra queste non credo ci siano persone che scrivono su questo forum (me compreso).
Ecco perchè non trovo giusto che si spari sentenze sulle nostre forze di intelligence... anche perchè nessuno qui sa cosa fanno e come lo fanno.... solo frammentarie notizie che possono essere liberamente interpretate....

Veramente l'indagine qui riportata è tutto fuorchè una collezione di notizie frammentarie.
Ovviamente hai ragione quando dici che qui nessuno è titolato per affrontare una inchiesta di questo livello sui nostri servizi segreti.

LuVi

tdi150cv
10-01-2006, 22:28
TU sarai abituato.
Io preferirei che i miei DIPENDENTI non si inventassero cazzate invece di lavorare seriamente :)
Bella la tua signature :asd: :rotfl:

LuVi

azz ... in effetti e' dura avere il coraggio delle proprie azioni ... :cool: :D

Lucio Virzì
10-01-2006, 22:51
:confused:
Ma di cosa parli?

tatrat4d
10-01-2006, 23:20
@ swiss & luvi: sono intervenuto nell'altro 3D, qui vi invito a finirla.

@tdi&luvi: un conto è lasciarvi le sign che rimandano ad arene esterne, altro è concedervi di trarne materia per battute e siparietti vari qui . Questo vorrei che non lo faceste.

Lucio Virzì
10-01-2006, 23:23
@tdi&luvi: un conto è lasciarvi le sign che rimandano ad arene esterne, altro è concedervi di trarne materia per battute e siparietti vari qui . Questo vorrei che non lo faceste.

Come potrai immaginare, sono perfettamente e coerentemente d'accordo con te :)

LuVi

tatrat4d
10-01-2006, 23:48
Down

battuta fatta già una volta, stanca. Se si ripetesse la cosa verrai sospeso.

Lucio Virzì
25-04-2006, 09:36
http://www.repubblica.it/2006/04/sezioni/esteri/nigergate-conferma-cia/nigergate-conferma-cia/nigergate-conferma-cia.html

Un ex dirigente svela chi accreditò la montatura sulle armi di Saddam
Fu l'intelligence di Roma a fornire il rapporto che "accusava" l'Iraq
Nigergate, la Cia conferma
"C'è il Sismi dietro quelle carte"
di CARLO BONINI

<B>Nigergate, la Cia conferma <br>"C'è il Sismi dietro quelle carte" </B>

ROMA - Le sedici parole di George W. Bush che denunciavano il riarmo nucleare iracheno e sono valse una guerra - "Il governo inglese ha appreso che Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall'Africa" - erano fondate su una menzogna. Ad accreditare quella menzogna a Washington è stato, un mese dopo l'11 settembre, "un rapporto dell'intelligence militare italiana", il Sismi, "che dava conto dell'acquisto iracheno di 500 tonnellate di yellowcake (uranio grezzo) dal Niger". Le informazioni italiane erano false, erano costruite su documenti altrettanto falsi ed erano soprattutto le stesse in possesso degli inglesi. La Cia ne divenne presto consapevole, ma, alla Casa Bianca, "il presidente degli Stati Uniti, il suo vice Dick Cheney, l'allora consigliere per la sicurezza nazionale e oggi Segretario di Stato Condoleezza Rice" decisero di ignorare ciò che Langely aveva raccolto e che autorevolmente smontava quella menzogna.

Con un'inchiesta trasmessa domenica sera negli Stati Uniti - "A spy speaks out", "Parla una spia" - il team investigativo di 60 minutes della rete televisiva americana Cbs trova ulteriori e qualificate conferme all'inchiesta pubblicata nell'autunno scorso da Repubblica (il cosiddetto "Nigergate"). Torna ad accendere un faro sulle responsabilità della Casa Bianca nell'uso politico dell'intelligence che ha preceduto la guerra. Travolge ciò che ancora resta dei dinieghi e tentativi di manipolazione con cui il nostro governo uscente e il Sismi, negli ultimi sei mesi, hanno cercato di annebbiare il proprio coinvolgimento tecnico-militare e politico in una delle vicende chiave che hanno segnato l'invasione dell'Iraq. E dimostra l'inconsistenza dell'accusa mossa dal Sismi ai servizi francesi di essere stati loro dietro l'operazione di disinformazione sull'uranio nigerino.

La ricostruzione della Cbs poggia su solide evidenze documentali - il Senate Select Committee on Intelligence report, rapporto della commissione parlamentare di Controllo sull'intelligence americana che ha preceduto e giustificato la guerra; un memorandum alla Casa Bianca del gennaio 2003 del National Intelligence Council, l'organismo che coordina le attività dell'intera comunità di intelligence americana - e su altrettanto solide testimonianze dei protagonisti dell'affare. Su tutte, quella di Tyler Drumheller, la "spia che parla". Nel racconto disteso di questo funzionario corpulento, che ha lasciato la Cia nel 2005, dopo 26 anni di servizio, è la testimonianza di come i falsi documenti sull'acquisto di uranio nigerino confezionati a Roma e messi insieme da una fonte del Sismi (Laura Montini, impiegata nell'ambasciata nigerina di Roma), da un colonnello del Sismi (Antonio Nucera), da uno spione free-lance già agente del Sismi (Rocco Martino) e da un diplomatico nigerino (il consigliere di ambasciata Yaou Zakaria Maiga) si siano fatti strada a Washington.

Tyler Drumheller conosce ciò di cui parla per esperienza diretta, perché tra il 2001 e il 2005 è il responsabile delle operazioni coperte della Cia in Europa. Spiega così alla Cbs che il rapporto che la Cia riceve un mese dopo l'11 settembre 2001 e che accredita l'acquisto iracheno di uranio in Niger "arriva dall'intelligence italiana". La circostanza non è neutra e, soprattutto, come si legge nel transcript integrale dell'inchiesta (lì dove sono indicate con meticolosa precisione le fonti testimoniali e documentali della ricostruzione), è confermata all'emittente televisiva americana da un secondo alto ex funzionario dell'intelligence americana: Bill Murray, ex capo della stazione Cia di Parigi.

Di fronte a quel primo rapporto italiano - racconta Drumheller - "la nostra reazione all'Agenzia fu che la storia non stava in piedi". Un giudizio che non sembra modificarsi neanche quando, nell'inverno del 2002, il Direttorato per le Operazioni di Langley, sempre sulla scorta delle informazioni che arrivano da Roma, dissemina un secondo e più dettagliato memo, "che contiene la trascrizione di un accordo tra Iraq e Niger asseritamente siglato il 5-6 luglio 2000 per la vendita a Saddam di 500 tonnellate di uranio grezzo l'anno". Che dà conto cioè del contenuto di uno dei documenti ufficiali nigerini che sono stati messi insieme a Roma da Rocco Martino e dalla signora Laura Montini e che presto risulteranno essere carta straccia.

I motivi dello scetticismo di Langely sono diversi. A cominciare dalle conclusioni che l'ambasciatore Joe Wilson rassegna alla Cia dopo aver verificato con una missione in Niger di otto giorni che non c'è traccia di nessun accordo con l'Iraq e di nessun acquisto di uranio da parte di Bagdad. Ma c'è una circostanza che fa premio su tutte. Nei mesi in cui il Sismi accredita la bufala nigerina, la Cia ha convinto il ministro degli Esteri iracheno Naji Sabri a tradire Saddam e consegnare agli Stati Uniti i segreti militari del regime. Tyler Drumheller è il funzionario che dirige la squadra Cia che interroga il ministro iracheno e ne verifica le informazioni. Racconta Drumheller: "Naji Sabri ci disse che l'Iraq non aveva alcun programma attivo per la costruzione di armi di distruzione di massa e le sue informazioni risultarono attendibili alle nostre verifiche". "In un incontro cui partecipano George W. Bush, il vicepresidente Dick Cheney e l'allora consigliere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice", l'allora direttore della Cia, George Tenet, mette a parte la Casa Bianca del tradimento di Sabri. E alla Casa Bianca, almeno all'inizio, "la reazione è entusiasta". "Erano eccitati - ricorda Drumheller - del nostro grado di penetrazione degli iracheni". Ma quell'eccitazione diventa fastidio quando Tenet comincia a riferire allo studio Ovale ciò che il ministro iracheno va dicendo: che la storia del riarmo nucleare di Saddam è una frottola. "A un certo punto - prosegue il racconto di Drumheller - il gruppo che nell'Agenzia teneva i contatti con la Casa Bianca e si occupava della preparazione della guerra venne da noi e ci disse: "Il ministro iracheno non interessa più". E noi: "E che ne facciamo dell'intelligence in corso?". La risposta fu: "L'Iraq non è più una questione di intelligence ma di cambio di regime"".

Il ministro Naji Sabri, che, come la storia dimostrerà, riferisce cose vere (il regime di Bagdad non ha arsenali nucleari), finisce in un cestino, accusato dalla Rice non solo di essere "inattendibile", ma anche di essere "unica fonte di un'informazione altrimenti non corroborata da fonti indipendenti". La bufala del Niger, al contrario, va in orbita contro ogni evidenza. E quel giorno, dopo 26 anni di servizio a Langley, il capo delle operazioni coperte della Cia in Europa capisce definitivamente quel che sta accadendo: "Se una singola fonte, come nel caso dell'uranio nigerino, era pronta a confermare ciò che l'Amministrazione voleva sentirsi dire, era attendibile. Ma se accadeva il contrario, allora una singola fonte non era più sufficiente... La verità è che avevano deciso di fare la guerra all'Iraq. E doveva succedere. In un modo o in un altro".

La dimostrazione arriva nell'autunno 2002. "Poche settimane dopo le rivelazioni alla Cia del ministro degli Esteri iracheno - annota la Cbs - a Roma, improvvisamente, appaiono i documenti che dovrebbero dimostrare che Saddam ha comprato uranio in Africa". È una storia che conosciamo e che la tv americana ricostruisce ancora una volta attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti. Rocco Martino ("Mi chiamo Rocco Martino. Martino di cognome. Rocco di nome", si presenta lui ai microfoni della Cbs) li consegna alla giornalista di Panorama Elisabetta Burba che, con rigore e tenacia, dopo un viaggio in Niger, li verifica come falsi ("Falsi scadenti", osserva con la Cbs). Copia dello scartafaccio, per decisione dell'allora direttore di Panorama Carlo Rossella, arriva comunque all'ambasciata americana in Italia, dove viene preso in consegna dal capo della stazione Cia di Roma. Riferisce Drumheller: "Il capo della stazione di Roma lavorava per me e parlammo di quei documenti. Non gli diede alcun credito. Mi disse: "È un falso. La storia non è vera"". Non è diversa la musica a Washington, dove quelle carte arrivano e dove non reggono all'esame del bureau di Intelligence del Dipartimento di Stato. "Un analista - riferisce la Cbs - annotò in una sua e-mail: "Potete notare che i documenti presentano un falso timbro nigerino (immagino per farli apparire ufficiali)".

La bufala nigerina - come noto - verrà pubblicamente smascherata dall'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) nel febbraio del 2003, ma quel che l'inchiesta della Cbs oggi fotografa e conferma sono altre due bugie che hanno segnato l'affare e che Repubblica ha documentato lo scorso autunno con una lunga intervista ad Alain Chouet, ex numero due dell'intelligence francese, la Dgse. Due bugie dietro le quali, negli ultimi sei mesi, si sono protetti il nostro governo e il Sismi. La prima: che le notizie sull'uranio nigerino in possesso della Casa Bianca fossero state autonomamente acquisite dall'intelligence inglese sulla base di "altre" e "diverse prove" in possesso di Londra. La seconda: che dietro l'operazione di inquinamento dei documenti nigerini vi sia stata proprio la Dgse, alla quale Rocco Martino consegnò i falsi nell'estate del 2002.

Su entrambi i punti, Tyler Drumheller è netto. Abbiamo già visto come l'ex capo delle operazioni coperte Cia in Europa indichi senza esitazione in un rapporto del Sismi e non in informazioni francesi la fonte delle notizie in possesso di Washington (e abbiamo visto anche come la circostanza sia significativamente confermata anche dall'ex capo della stazione Cia di Parigi). Ebbene, con altrettanta nettezza Drumheller sostiene che le informazioni sull'uranio nigerino in possesso degli inglesi erano identiche a quelle che gli americani avevano ricevuto dagli italiani. Dunque che un'unica mano italiana aveva avvelenato Londra e Washington. Ascoltate il passaggio.

Domanda la Cbs: "La storia dell'uranio finisce nelle 16 parole del discorso dell'Unione...". Drumheller: "Sì e a quel punto la faccenda si fa grossa". Domanda: "Bush indica come fonte dell'informazione un rapporto dell'intelligence britannica". Drumheller: "Sì, un rapporto britannico". Domanda: "Vista la sua posizione all'interno della Cia, lei aveva il compito di sovrintendere tutte le operazioni dell'Agenzia in Europa". Drumheller: "Esatto". Domanda: "Ritiene che gli inglesi avessero qualche informazione sull'uranio che a quel punto voi non avevate?". Drumheller: "No. Ritengo che gli inglesi non avessero nulla che noi non avessimo".

La Casa Bianca ha lasciato cadere le richieste di intervista da parte della Cbs, affidando la replica ad una breve nota di Dan Bartlett, consigliere del Presidente. Si legge: "La convinzione del Presidente che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa si basava su un giudizio collettivo della comunità di intelligence all'epoca dei fatti. Indagini bipartisan non hanno trovato alcuna prova che dimostri una pressione politica per influenzare il giudizio sul programma di riarmo nucleare iracheno. Saddam Hussein non ha mai abbandonato quel programma e ha posto una seria minaccia agli americani e all'intera regione". Sono poche parole di cui conviene annotare il passaggio più significativo. A tre anni e mezzo di distanza dal discorso dell'Unione, la responsabilità della Casa Bianca per aver dato credito alla bufala nigerina non è più in capo a un rapporto dell'intelligence inglese, ma ad un "giudizio collettivo della comunità di intelligence". Quale comunità? Solo quella americana? O anche quella dell'alleato italiano?

(25 aprile 2006)