View Full Version : La situazione in Eritrea, Etiopia e Somalia
Golfo di Aden: più di 70 rifugiati annegano, oltre 200 i dispersi
Inviato da Ottavio Pirelli
lunedì, 05 settembre 2005 16:48
Erano 369 i rifugiati radunatisi durante la scorsa settimana all'imbarco nelle vicinanze del porto di Bossaso, in Somalia. Solo una cinquantina di loro è riuscita a raggiungere le coste dello Yemen. Gli altri tutti dispersi, ad eccezione degli oltre settanta corpi senza vita già restituiti dalle onde.
Su quattro barche, secondo quanto riferito dall'agenzia France Press, i disperati delle guerre e della povertà del Corno d'Africa, cercavano di attraversare, come sempre più sfollati fanno negli ultimi tempi, la striscia di mare che separa l'Africa dalla Penisola Arabica, con il sogno di poter proseguire in qualche modo per Europa.
Un naufraggio doloso
Sono partiti presumibilmente il trenta d'agosto dalle coste somale che si affacciano sul Mar Arabico. Al di là del Golfo di Aden c'è la speranza di poter cambiare vita, lontani dalle tensioni e dalle violenze dei loro paesi d'origine. Basta un altro po' di fortuna e di denaro per sperare di arrivare in Europa.
Ma gli organizzatori di questi viaggi per disperati sono senza scrupoli, e venrdì scorso, dopo aver incassato il denaro, armi in pugno, -come raccontano alla BBC i sopravvissuti di due dei quattro battelli - i trafficanti hanno intimato a tutti di gettarsi in mare.
La costa era ancora lontana parecchi chilometri, ma l'equipaggio, che temeva di essere intercettato dalle autorità yemenite, non ha esitato ad abbandonare in mare i propri passeggeri.
Secondo le informazioni raccolte da IRIN, molti dei rifugiati non sapevano nuotare. Alcuni di loro sono stati salvati da pescatori locali che si travavano a navigare nella zona. Altri, meno fortunati, non ce l'hanno fatta. I loro corpi si stanno arenando in questi giorni sulle spiagge.
Le cifre di questo naufragio doloso non sono ancora definitive. Fonti ufficiali dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), citate dalla Misna, parlano di 47 etiopi e 28 somali annegati, 50 sopravvissuti e oltre duecento dispersi. Le ricerche e i soccorsi proseguono, ma le speranze di trovare qualcuno ancora in vita sono ridotte al lumicino.
Una tragedia umanitaria in corso
Una nuova ondata di profughi sta tentando di raggiungere lo Yemen in questi mesi. Sempre secondo le Nazioni Unite, è dalla metà di agosto che i battelli dei trafficanti hanno ripreso a fare rotta per le coste della Penisola Arabica carichi di rifugiati. Almeno 2500 sono le vittime stimate per gli ultimi tre anni di traversate illegali, 650 solo per quello in corso, e tra gli annegati si contano anche donne e bambini.
Altri sbarchi sono previsti per settembre. Proprio per questo motivo l'UNHCR continua ha lanciare appelli per sensibilizzare la comunità internazionale al problema. L'obiettivo è di porre rimedio da subito a quello che potrebbe essere solo l'inizio di una più grave tragedia umanitaria.
Ottavio Pirelli
(WarNews.it)
LightIntoDarkness
06-09-2005, 10:12
E' il caso di non tacere questi fatti.
Sono scomodi, perchè chiamano in causa sempre le responsabilità dell'occidente rispetto alle povertà dimenticate.
responsabilità dell'occidente? abbiamo cercato di aiutarli, ci hanno preso a fucilate, e allora che rimangano la e non rompano, pochi mesi fa il cimitero italiano di mogadisho è stato devastato dai somali e noi che facciamo? gli inviamo aiuti!
beppegrillo
06-09-2005, 11:30
E' il caso di non tacere questi fatti.
Sono scomodi, perchè chiamano in causa sempre le responsabilità dell'occidente rispetto alle povertà dimenticate.
Come si dice? Aiutati che Dio ti aiuta? Troppo semplice puntare il dito sugli altri e non guardare se stessi.
Il governo provvisorio raduna migliaia di soldati: nuove tensioni tra Jowhar e Mogadiscio
Inviato da Ottavio Pirelli
venerdì, 09 settembre 2005 20:14
Migliaia di uomini armati si sono radunati in questi giorni nei dintorni della sede provvisoria del governo, Jowhar. Sale la tensione a Mogadiscio, dove i signori della guerra accusano il Presidente Ahmed Yusuf Ahmed e il Primo Ministro Mohammed Ghedi di prepararsi ad attaccare la città.
Più di 5000 combattenti, secondo le stime tratte da fonti diplomatiche dall'agenzia Reuters, si sono accampati nelle vicinanze della sede temporanea del governo. Un numero che l'esecutivo somalo cerca di ridimensionare: di 1500-2000 uomini parlano le dichiarazioni diffuse dalle autorità.
Nessuna certezza neppure sulla provenienza delle nuove milizie. Voci riferiscono di forze giunte direttamente da Puntland, regione somala che da tempo rivendica la propria autonomia e patria politica dell'attuale Capo dello stato. Altre informazioni indicano la presenza massiccia di militari etiopi, giunti, secondo alcuni signori della guerra, a Jowhar per preparare la presa di Mogadiscio.
La notizia della concentrazione di soldati appare comunque da più parti confermata, e questo non fa che arroventare ulteriormente il clima politico nel paese.
Un'invasione pianificata?
E' stato lo stesso Sharif Hassan Sheikh Aden, portavoce del parlamento somalo, ha sostenere in queste ore la tesi secondo la quale si starebbe preparando un assalto in piena regola a Mogadiscio.
Versione, smentita tempestivamente da fonti interne all'esecutivo, che però non ha cessato di circolare, creando forti tensioni tra i signori della guerra che dalla caduta di Siad Barre, nel 1991, cavalcano l'onda dell'anarchia istituzionale all'interno dell'ex-colonia italiana.
Per il Ministro dell'Informazione, le manovre di reclutamento in atto riguardano il normale processo di riorganizzazione delle forze armate. Le proteste dei signori della guerra, sempre secondo il membro dell'esecutivo, cercano di ostacolare la nascita di un esercito nazionale funzionante e temibile per ogni milizia irregolare.
Le autorità negano, comunque, che i militari in questione possano essere stranieri, anche se la Reuters fa sapere di aver raccolto testimonianze di viaggiatori in transito nella zona che riferiscono di ever notato soldati etiopi dislocati in difesa delle strutture governative a Jowhar.
Già mercoledì, l'Onu ha deciso di spostare in luoghi più sicuri i suoi 13 rappresentanti presenti nella capitale provvisoria. Un segnale abbastanza evidente dell'instabilità che vive in queste ore il paese.
Le Nazioni Unite prendono sul serio la gravità della situazione: non nasconde preoccupazione per la crescente tensione in Somalia neppure Lonseny Fall, rappresentante Onu nel paese. Il suo invito alla calma, rivolto a tutte le fazioni interessate, di cui riferisce la Misna, lascia trapelare una forte apprensione per i possibili sviluppi della vicenda.
Le dispute politiche e le minacce dei signori della guerra
La questione su cui in questi mesi le forze politiche si sono divise riguarda la scelta della sede delle nuove istituzioni somale.
Il portavoce del parlamento, Sharif Hassan Sheikh Aden, e alcuni ministri premono da tempo per riportare gli organi di governo nella capitale storica. Almeno un centinaio di parlamentari guidati da Aden si sono stabiliti proprio a Mogadiscio per ribadire con la forza dei fatti la propria convinzione.
A questa possibilità si oppongono, però, gli altri membri del governo e del parlamento, oltre al Capo dello stato e al Primo Ministro. Bollata come troppo insicura per stabilirvi la centrale del nascente potere, a Mogadiscio è stata preferita una seconda opzione, quella di Jowhar, città a 90 km dalla vecchia capitale.
Al dissidio, non ancora sopito, si aggiungono i continui proclami di guerra provenienti dei signori della guerra. Mohammed Olad Hassan, un corrispondente del network BBC, conferma lo stato di cresciente tensione in cui versa Mogadiscio. Gli stessi capi delle milizie avrebbero consigliato all'Onu di evacuare i suoi rappresentanti da Jowhar.
Secondo la Misna, che cita media locali, Sheik Hassan Dahir Aweys, influente capo religioso e militare, si sarebbe detto pronto ad attaccare il governo nella sua sede provvisoria, dove si troverebbero, sempre per Aweys, anche truppe etiopi.
La possibilità che militari stranieri siano dislocati nel paese non fa che esacerbare ulteriormente gli animi dei combattenti, i quali ora fanno anche sapere di essere pronti a rintuzzare quello che considerano un atto di guerra, che coinvolge, oltre tutto, un paese tradizionalmente ostile alla Somalia, l'Etiopia appunto, che invece è in stretti rapporti di alleanza con Yussuf.
L'esperto dell'International Crisis Group Matt Bryden sostiene che lo stallo istituzionale in Somalia è dipeso in questo ultimo anno dalle scelte autoritarie di Yussuf, spesso pronto a prendere decisioni ben al di là dei poteri concessigli dalla costituzione. Per Bryden, le cui parole sono state diffuse oggi da Irinnews, i piani militari di Yussuf e della sua fazione vanno contro le richieste pressanti della comunità internazionale per la ripresa del dialogo. Un dialogo che a questo punto rischia di naufragare definitivamente, aprendo la strada a una nuova ondata di violenze.
Ottavio Pirelli (WarNews.it)
Per non aprire un secondo thread sulla Somalia ho modificato il titolo della discussione.
-kurgan-
15-09-2005, 14:28
responsabilità dell'occidente? abbiamo cercato di aiutarli, ci hanno preso a fucilate, e allora che rimangano la e non rompano, pochi mesi fa il cimitero italiano di mogadisho è stato devastato dai somali e noi che facciamo? gli inviamo aiuti!
non mi pare che in iraq la situazione sia molto diversa: chi spara e chi deve ricevere aiuti sono due soggetti diversi.
forse la differenza fondamentale sta nel fatto che in somalia non c'è niente che possa interessare le nostre aziende.
OT
Nessun TG l'ha riportato, ma pochi giorni fa una nave della marina militare in servizio antipirati al largo della Somalia ha salvato 39 profughi in mezzo al mare.
«Noi, deportati dalla Libia e ignorati dall'Ue»
da Il Manifesto del 9 ottobre 2005
12 ottobre 2005
Tra gli eritrei espulsi da Gheddafi che un anno fa dirottarono un aereo per non finire nelle carceri del dittatore Afewerki. E che da un anno bivaccano a Khartoum di fronte alla sede dell'Unhcr
di Pietro Gigli
KHARTOUM A Khartoum, non lontano dall'aeroporto e dal quartiere delle ambasciate, c'è l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Lì davanti uomini donne e bambini, circa una quindicina, aspettano che qualcosa succeda e che possa così finire l'incubo iniziato un anno fa. Sono gli eritrei che il 27 agosto 2004 si sono impadroniti dell'aereo diretto ad Asmara sul quale erano stati imbarcati, privati dei documenti e dei soldi, con la forza, a Kufra in Libia. Sopra il cielo di Khartoum hanno costretto il pilota ad atterrare. Non volevano assolutamente ritornare ad Asmara, dove li aspettava la prigione, la tortura e forse per alcuni la pena di morte. Sono uomini e donne scappati dall'Eritrea per non fare il servizio militare, considerati dalle autorità del loro paese a tutti gli effetti dei disertori. Scappano in tanti dall'Eritrea anche per sfuggire alle retate che li portano ai campi di lavoro forzato; se non fuggono, molti rimangono nascosti dentro le case, anche per anni, soprattutto le donne. Se si tenta di sottrarsi c'è anche la fucilazione. Con alcuni operatori umanitari li raggiungo nel posto dove bivaccano, a ridosso del muro di cinta del quartier generale dell'Unhcr.
«Niente nomi, mi raccomando»
Un fragile muro di teli stesi difende la loro quotidianità. Paura e diffidenza sono le prime reazioni alla nostra presenza. In modo confuso e pieno di reticenze iniziano però a raccontare la loro odissea. «Niente nomi- impauriti, si raccomandano in continuazione -. In quell'aereo eravamo in 75, uomini, donne di cui due incinte e sei bambini. 15 di noi sono stati arrestati pochi giorni dopo lo sbarco a Khartoum e condannati a 5 anni di prigione per aver dirottato l'aereo, uno è scomparso senza lasciare tracce. A settembre, dopo l'intervista con i funzionari dell'Unhcr, ci è stato riconosciuto lo status di rifugiati con la promessa di una soluzione durevole e definitiva in paesi terzi.
Ma nulla di tutto ciò è avvenuto, ed oggi, ad un anno di distanza ci troviamo abbandonati con un futuro incerto e con l'incubo di essere rimandati in Eritrea. Infatti alla fine di maggio di quest'anno l'Unhcr ci ha detto che non si occuperà più di noi. Loro se ne lavano le mani e oggi è il governo del Sudan il solo responsabile delle nostre vite. Quello che vogliamo è poter vivere una vita sicura e normale».
Si sentono degli ostaggi senza sbocco, senza mezzo di sussistenza, senza interlocutori. Non hanno diritto neppure alle cure mediche. Si soccorrono tra loro come possono anche le donne, anche i bambini. All'inizio non tutti si conoscevano; alcuni erano stati presi al mercato di Tripoli; altri erano stati «liberati» dopo mesi passati nei campi di accoglienza. Ora condividono lo stesso destino, accomunati da un unico desiderio, quello di approdare in Occidente. Mentre si preparano a passare l'ennesima notte presidiando il bivacco con le poche cose necessarie alla sopravvivenza, in un'altra parte della città, altri eritrei si preparano ad affrontare il viaggio verso Nord con il miraggio dell'Europa.
Da Omdurman, di fronte a Khartum dove il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco si incontrano, partono convogli di camion o di due o più Land Cruiser; i gruppi sono chiusi, chi gestisce e organizza le spedizioni è conosciuto solo da pochi fidati. Le macchine sono stipate all'inverosimile, guidate da autisti libici che conoscono bene le piste del deserto. Il prezzo del passaggio è di 300 dollari a testa, a cui si aggiungono altri 100 dollari da pagare ai poliziotti all'entrata in Libia oltre ai vari pedaggi ad ogni posto di blocco nel tratto sudanese. In più, secondo le più recenti disposizioni libiche, ognuno deve possedere una somma pari a 300 euro. La meta è l'oasi di Kufra, che nel migliore dei casi viene raggiunta dopo 5 giorni di viaggio. Poi si prosegue per Bengasi e per Tripoli e infine il porto di Zuwarah.
Da qui dopo un tempo incalcolabile si affronta l'ultima parte del viaggio: la rischiosissima traversata del Mediterraneo fino alle coste italiane. I soldi che servono (solo la traversate in mare sfiora i 1500 dollari a persona) vengono nascosti nei posti più impensati, ma il rischio di essere derubati in ogni momento del viaggio rimane molto alto cosicché spesso qualcuno nella città di partenza si incarica di «passare» il denaro a un agente in Libia.
Gli oppositori eritrei di Khartoum
Il trasferimento di denaro tra il Sudan e la Libia è oggi illegale; l'operazione deve essere perciò concordata in anticipo, fissando il breve lasso di tempo in cui si deve effettuare così da evitare di essere scoperti. Quanto alla parte precedente del tragitto, gli etiopi e gli eritrei arrivano in Sudan lungo la rotta più sicura, passano da Gondar: evitano Kassala, che sarebbe molto più accessibile, perché il confine tra Sudan e Eritrea è attualmente chiuso e tra i due paesi soffiano venti di guerra. Per la maggior parte sono cristiani che non hanno mai visto di buon occhio la secessione dell'Eritrea dall'Etiopia. Vengono accolti in Sudan da eritrei islamici che si oppongono al regime di Isaias Afewerki e che per prima cosa consegnano ai nuovi arrivati una tessera di iscrizione al loro partito con l'obiettivo di ingrossarne le fila almeno sulla carta.
Una storia a parte dovrebbe essere scritta per le donne che le famiglie cercano con tutti i mezzi di mettere in salvo da una vita di continue violenze tra reiterati stati d'emergenza e appelli alla mobilitazione. Quando arrivano in Sudan devono al più presto trovare e pagare una «protezione» maschile per poter chiedere e ottenere un visto o proseguire da clandestine il viaggio. Si celebrano perciò molti matrimoni tra eritree e sudanesi.
Questi emigranti possono considerarsi fortunati a differenza di quelli eritrei che risalgono invece verso Port Sudan lungo la costa o di quelli che non hanno i mezzi per continuare il viaggio e devono sostare a Khartoum, un vero e proprio crocevia per coloro che in momenti diversi sono scappati da Chad, Uganda ed Etiopia, o peggio ancora come il gruppo accampato davanti all'Unhcr che rischia di essere scambiato, qualora i rapporti tra Sudan ed Eritrea migliorassero, con i ribelli del Beja congress che operano al confine con l'Eritrea nella zona di Kassala rivendicando una maggiore autonomia dal governo di Khartoum.
FastFreddy
20-10-2005, 10:18
Ma la UE che c'entra? :confused:
~ZeRO sTrEsS~
20-10-2005, 12:55
Ma la UE che c'entra? :confused:
forse e' un errore volevano dire ONU
Le forze Onu messe alle corde dal governo eritreo
Inviato da Ottavio Pirelli
venerdì, 21 ottobre 2005 12:17
Continua a rimanere palpabile la tensione lungo il confine tra Eritrea ed Etiopia. Dopo le restrizioni ai voli degli elicotteri Onu, il governo eritreo ha imposto ulteriori limitazioni ai movimenti dei soldati del contingente di pace.
Le restrizioni per la missione Onu
Niente elicotteri in volo nella Zona di Sicurezza Temporanea dal primo ottobre. Già questo primo provvedimento del governo di Asmara aveva reso più difficili le operazioni della missione delle Nazioni Unite in Eritrea e Etiopia (UNMEE). Secondo quanto riferito negli ultimi giorni dalla portavoce Gail Bindley alla IRIN, il divieto di volo ha determinato la chiusura di due dei quaranta avamposti lungo la frontiera, proprio perchè raggiungibili solo per via aerea.
A questo primo e grave handicap per le forze di peacekeeping si è aggiunta da qualche giorno una nuova limitazione, questa volta relativa ai movimenti delle pattuglie durante la notte. Secondo le nuove regole dettate dalle autorità eritree, i veicoli dell'UNMEE non potranno muoversi in perlustrazione dopo le 6 di pomeriggio.
Il doppio divieto rappresenta un duro colpo per la libertà di movimento dei soldati Onu e per l'efficacia della loro azione volta mantenere l'ordine lungo il confine. Ad essere minacciata è anche l'attività di sminamento della zona, disseminata di migliaia di ordigni antiuomo e in attesa di essere completamente bonificata.
Le tensioni tra Governo eritreo e Onu
Sono cresciute in questi mesi le tensioni tra Nazioni Unite ad Eritrea. Quest'ultima recentemente ha minacciato di riprendere le armi contro la confinante Etiopia, se l'Onu non riuscirà a breve a trovare una via d'uscita all'annosa controversia territoriale che ha già in passato scatenato un sanguinoso conflitto.
Il livello dello scontro è arrivato ad un punto tale che, secondo le notizie diffuse dal network BBC, lo stesso Segretario Generale Kofi Annan si è visto costretto a annunciare decisioni gravi ed estreme da parte dell'organizzazione internazionale a causa della riottosità del governo eritreo. L'eventualità di un ritiro dei propri contingenti sarebbe una mossa dagli esiti incerti, visto anche il livello di tensione ancora palpabile tra i due stati africani.
I continui incidenti
Già dal mese di luglio Rajender Singh, il comandante delle forze Onu nella zona, aveva lanciato l'allarme circa i tanti piccoli episodi di violenza nella zona di sicurezza.
Le dichiarazioni di Singh riguardavano principalmente il comportamento delle due parti in causa, alle quali è stata indirizzata nel contempo la richiesta di un maggiore sforzo per aumentare il livello di collaborazione. Appello che a tutt'oggi rimene pressoché disatteso.
Ottavio Pirelli (www.warnews.it)
1 novembre 2005 10.52
AFRICA
ETIOPIA, SCONTRI MANIFESTANTI-POLIZIA:3 MORTI AA ADDIS ABEBA
Tre persone sono morte uccise a colpi d'arma da fuoco e dieci sono rimasti feriti in scontri tra manifestanti e polizia nel quartiere Mercato della capitale etiopica Addis Abeba. Lo si è appreso da fonti sanitarie.(Avvenire)
1 novembre 2005 14.45
AFRICA
ETIOPIA: SCONTRI AD ADDIS ABEBA,5 I MORTI E 13 I FERITI
Si è aggravato ulteriormente, fino a raggiungere il numero di cinque morti e tredici feriti, il bilancio degli scontri tra dimostranti e agenti in assetto anti-sommossa che per il secondo giorno di fila hanno accompagnato le manifestazioni di protesta indette dalla Cud, la Coalizione per l'Unità e la Democrazia che costituisce la principale forza d'opposizione dell'Etiopia, contro l'esito delle elezioni dello scorso maggio, che sarebbe stato manipolato dal governo e dal partito di cui è espressione, il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiopico o Eprdf.
Il nuovo computo è stato fornito da fonti ospedaliere, secondo cui le vittime sono state provocate dai proeittili esplosi contro la folla dai circa 250 poliziotti, armati fino ai denti, dispiegati dal regime per tenere a bada gli oppositori.
2 novembre 2005 15.36
ADDIS ABEBA
ETIOPIA: BILANCIO VITTIME SCONTRI SALE A 31 MORTI
Sono almeno 31 i morti e circa 200 i feriti negli scontri che da due giorni oppongono nella capitale etiopica Addis Abeba gruppi di manifestanti e polizia. Solo oggi sono morte 23 persone. Il nuovo bilancio di vittime è stato fornito da fonti ospedaliere nei cinque maggiori nosocomi della città.
Per il ministro dell'Informazione, Berhan Hailu, "ora la situazione è sotto controllo ad Addis Abeba. Vi sono stati problemi in città stamattina, ma ora la situazione è sotto controllo".
3 novembre 2005 18.10
AFRICA
ETIOPIA: ANCORA SCONTRI AD ADDIS ABEBA, 3 MORTI
Non si placano le violenze ad Addis Abeba, capitale etiope teatro negli ultimi giorni di scontri tra le forze dell'ordine e i manifestanti che protestano per gli esiti elettorali del maggio scorso. Altre tre persone sono rimaste uccise nelle violenze di oggi e una quarta, come confermato da fonti ospedaliere, è rimasta ferita. La città è presidiata dalla polizia che, in assetto da guerriglia urbana, fronteggia le proteste, fomentate, secondo il governo, dal blocco Coalizione per l'Unità e la Democrazia.
I deputati dell'opposizione si rifiutano infatti di tornare in Parlamento e accusao il governo di brogli alle elezioni del 15 maggio scorso, vinte dal partito del premier Meles Zenawi. Per gli osservatori internazionali, tra cui una delegazione dell'Unione europea, il voto è regolare.
Dall'inizio delle proteste, scoppiate a giugno, sono stati uccisi oltre 60 manifestanti
GLI SCONTRI
Ancora tafferugli ad Addis Abeba. Il bilancio complessivo registra già una quarantina di vittime. Imprigionati alcuni componenti dell’opposizione che avevano accusato il governo. Il segretario dell’Onu Annan, che ha inviato un suo funzionario nel Paese, esorta Etiopia ed Eritrea a sospendere gli spostamenti di truppe
Etiopia nel caos:
torna lo spettro della guerra civile
Di Paolo M.Alfieri
Continua ad essere tesissima la situazione ad Addis Abeba, sconvolta ormai da tre giorni di scontri violenti tra le forze dell'ordine e i sostenitori dei partiti d'opposizione. Ieri mattina oltre diecimila persone si sono riunite nello stadio della capitale etiope per le celebrazioni della fine del Ramadan. L'esercito ha presidiato la struttura con una presenza massiccia, nel timore che alla fine della cerimonia scoppiassero nuovi tumulti.
Secondo alcune testimonianze, alcuni colpi di arma da fuoco sono stati esplosi nei pressi della sede dell'ambasciata olandese. In un'altra zona della città le proteste hanno preso la forma di una fitta sassaiola contro la polizia. Il bilancio della giornata fa registrare almeno tre vittime, che vanno ad aggiungersi ai 35 morti e oltre 200 feriti dei giorni precedenti (anche se il governo ha diffuso cifre più contenute).
La sensazione che si ricava dalle testimonianze che riescono a filtrare è quella di un Paese in bilico, sull'orlo di una drammatica guerra civile. Osservatori locali riferiscono di continue operazioni di arresti di massa. Il maggior partito dell'opposizione, la Coalizione di unità democratica (Cud), accusa il premier Melles Zenawi di aver chiuso i negoziati che avrebbero potuto portare a un governo di unità nazionale. Da qui le rinnovate e vibrate proteste contro i risultati delle elezioni dello scorso maggio, e l'arresto di tutti e 15 i membri del Comitato centrale del Cud.
Già alla vigilia delle elezioni l'opposizione aveva denunciato casi di imprigionamenti e torture, oltre ad una presunta compravendita dei voti attuata dal governo nelle zone rurali, dove, in un contesto in cui la denutrizione uccide 300mila bambini l'anno, più che le divergenze politiche a vincere è il nodo della fame.
Melles, giunto al terzo mandato, non ha esitato a bollare il Cud come "forza contraria alla pace" e ha annunciato l'apertura di una serie di procedimenti legali contro i vertici dell'opposizione, che ha nella capita le Addis Abeba una delle sue roccaforti storiche. Di recente lo stesso Melles si era spinto a paragonare le tattiche dei suoi avversari a quelle usate per fomentare il genocidio ruandese. Eppure numerosi rapporti di Ong e associazioni indipendenti da tempo sottolineano gli eccessi antiliberali dell'uomo forte di Addis Abeba. «Gli etiopi stanno chiedendo a gran voce una democrazia reale - scriveva qualche tempo fa sull'Addis Tribune l'opinionista Getachew Melke - Nessuna società egualitaria può accettare un primo ministro che governi a vita, pena l'instaurazione di una tirannia».
All'attuale instabile contesto interno, si aggiungono inoltre le tensioni provocate dallo spostamento di truppe verso i confini con l'Eritrea, mossa che ha causato un'analoga reazione da parte del governo di Asmara. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha esortato ieri i due Paesi a sospendere l'avanzata verso la Zona di sicurezza temporanea istituita nel giugno del 2000 con l'accordo che ha messo fine ad un conflitto costato la vita a decine di migliaia di persone. Il comandante delle forze Onu presenti nella Zona, Rajender Singh, ha sottolineato che «se la comunità internazionale non interviene c'è la possibilità che la situazione precipiti».
Il presidente eritreo, Isaias Afewerki, ha accusato la settimana scorsa l'Onu di non essere riuscita a far rispettare all'Etiopia l'ordine di lasciare la città di confine di Badme, assegnata all'Eritrea da una commissione internazionale. Asmara ha inoltre deciso di non concedere più il proprio spazio aereo agli elicotteri delle Nazioni Unite, limitando così di fatto le possibilità di monitoraggio nella regione.
Per tentare di disinnescare la crisi, il Consiglio di Sicurezza ha deciso di inviare uno dei suoi membri, l'ambasciatore del Giappone Kenzo Oshima, in missione informativa in Eritrea.
SOMALIA 5/11/2005 9.24
RIVOLTA POPOLARE A MOGADISCIO, MORTI E FERITI
Almeno 4 persone sono morte e 12 sono rimaste ferite in violenti combattimenti svoltisi ieri dalle 20:00 locali a mezzanotte circa nella zona ‘chilometro 4’ non lontano dal centro di Mogadiscio, capitale della Somalia. Lo riferiscono alla MISNA fonti del governo di transizione somalo contattate a Jowhar (una novantina di chilometri a nord di Mogadiscio), le quali hanno precisato che si è trattata di un’insurrezione popolare contro una corte islamica facente parte della cosiddetta ‘Corte Nazionale’, movimento che utilizzando la propaganda del radicalismo islamico sta cercando di prendere il potere nella capitale a discapito degli storici ‘signori della guerra’, da 14 anni padroni del territorio. A guidare l’assalto contro il tribunale sono stati, sempre secondo le nostre fonti, gli addetti degli studi cinematografici Al-Fiqi, principale centro di doppiaggio di film indiani in lingua somala del paese, devastato nei giorni scorsi proprio da uomini armati al soldo dell’Unione delle corti islamiche di Mogadiscio che denunciavano l’immoralità delle pellicole. La protesta si è poi estesa coinvolgendo gli abitanti del posto e alcuni miliziani dell’area. Dopo gli intensi scontri di ieri, tutti i componenti della corte islamica sono stati costretti alla fuga. Osservatori rilevano che si è trattato del primo episodio di rivolta popolare contro questi tribunali da quando hanno fatto la loro comparsa sul territorio.[misna]
ETIOPIA 4/11/2005 22.45
ADDIS ABEBA: VITTIME ANCHE NEGLI SCONTRI FUORI DALLA CAPITALE
Sarebbe di almeno sei vittime e 11 feriti – ma alcuni già parlano di 10 morti - un primo bilancio degli scontri avvenuti oggi in diverse città dell’Etiopia, dopo che la protesta si è allargata dalla capitale Addis Abeba, mentre il primo ministro Meles Zenawi alla televisione di Stato ha detto che la situazione è sotto controllo, ma che il principale partito di opposizione “è responsabile della violenze”. Già nel pomeriggio la MISNA aveva riferito di “alcune vittime” a Bahar Dar, circa 400 chilometri a nord-ovest della capitale, sulle rive del lago Tana, a causa della repressione delle forze dell’ordine contro studenti che chiedevano il rilascio degli esponenti dell’opposizione arrestati in questi giorni. Agenzie di stampa internazionali hanno diffuso in serata un bilancio di 4 morti e una dozzina di feriti, mentre una fonte diplomatica avrebbe denunciato 8 vittime; incidenti e disordini sono stati segnalati – e ammessi anche dal governo in un comunicato – in numerosi centri abitati del Paese: Jimma, Dire Dawa, Dessé (forse 2 le vittime), Awasa, Arba Minch, da dove per ora non sono ancora arrivate notizie di vittime. A quattro giorni dalle manifestazioni organizzate dalla Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud, i cui dirigenti sono stati in gran parte arrestati) – degenerate poi in una protesta di massa per le strade, con lanci di pietre e incendi di autobus pubblici - è ancora impossibile un bilancio complessivo della repressione attuata in quattro dalle forze di sicurezza: secondo le agenzie internazionali i morti sarebbero a questo punto 46, mentre la MISNA ha avuto notizie che in uno solo dei cinque ospedali di Addis Abeba vi sarebbero 60 cadaveri. Intanto il Fronte etiope democratico unito (Uedf), uno degli schieramenti di opposizione, ha invitato tutti alla calma, affermando che con il caos di questi giorni non è possibile trovare una soluzione politica alla crisi, scoppiata dopo le contestate elezioni legislative di maggio, vinte dal partito di Zenawi.
ETIOPIA 4/11/2005 20.47
ADDIS ABEBA: BILANCIO SI AGGRAVA, FORSE UN CENTINAIO LE VITTIME
Almeno 60 cadaveri delle vittime degli scontri di questi giorni ad Addis Abeba tra manifestanti e forze di sicurezza si troverebbero nell’ospedale ‘Menelik’, uno dei cinque nosocomi della capitale: la MISNA lo ha appreso da fonti sanitarie in loco; il bilancio finora accertato da fonti indipendenti era di 42 morti e oltre 200 feriti, mentre le autorità ne ammesso 31 vittime, tra cui 7 appartenenti alle forze dell’ordine. Queste cifre, se confermate, porterebbero il bilancio complessivo di oltre un centinaio di morti, tra cui molte donne e ragazzi uccisi soprattutto dai reparti speciali delle forze armate. Secondo testimoni, in alcuni casi ai famigliari delle vittime sarebbe stato chiesto il pagamento di una somma tra 1.000 e 2.000 birr (100 – 200 euro) per la restituzione della salma, una cifra inaccessibile per molti. Stando alle informazioni raccolte dalla MISNA, sembra che ad alcuni sia stato chiesto di sottoscrivere una dichiarazione in cui si afferma che la morte del congiunto è avvenuta in scontri provocati dall’opposizione. Più grave anche il bilancio degli incidenti avvenuti ieri nel carcere di Kaliti, alla periferia di Addis Abeba, dove gli agenti hanno aperto il fuoco per fermare quello che hanno definito come un tentativo di evasione: i morti non sarebbero 7 i morti – come dichiarato dalla Polizia federale – ma almeno 17; tra loro non è escluso che vi siano anche alcuni detenuti politici. Prosegue anche oggi, intanto, il black-out informativo totale sui mezzi di comunicazione statali: alcuni residenti di Addis Abeba contattati stasera per telefono hanno detto alla MISNA i telegiornali non hanno fatto alcun riferimento ai disordini, che oggi si sono estesi anche a numerose città del Paese. Ulteriori conferme arrivano sull’arresto di alcuni giornalisti della stampa indipendente, che da due giorni ha sospeso le pubblicazioni; stessa sorte per numerosi attivisti dei diritti umani, arrestati come gran parte dei dirigenti dell’opposizione della Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud), che il governo del controverso primo ministro Meles Zenawi considera istigatrice e responsabile delle violenze. Gli scontri interni si sommano alla crescente tensione con l’Eritrea: fonti della MISNA riferiscono di recenti spostamenti di truppe e mezzi militari nella regione settentrionale del Tigray – da dove viene l’ex-capo guerrigliero Zenawi – in direzione della frontiera con l’Eritrea; il segretario dell’Onu Kofi Annan e il presidente della Commissione dell’Unione Africana Alpha Oumar Konaré hanno avvertito dei rischi di una possibile ripresa delle ostilità, che secondo alcuni osservatori potrebbe essere utile ai “regimi” di Addis Abeba e Asmara per coprire i dissensi politici interni e le violente repressioni applicate in entrambi i Paesi.
AFRICA 5/11/2005 1.30
ETIOPIA-ERITREA: UNIONE AFRICANA, "EVITARE ULTERIORI TENSIONI"
L’Unione Africana (Ua) ha esortato Etiopia ed Eritrea a “contenere” i movimenti delle loro truppe lungo i circa 1.000 chilometri di frontiera per scongiurare il rischio di un nuovo conflitto tra i due Paesi. In un comunicato ufficiale diffuso da Addis Abeba, che ricalca le preoccupazioni espresse in precedenza dalla Missione Onu in Etiopia ed Eritrea (Unmee), l’Ua ha chiesto alle parti di “evitare qualsiasi azione che possa aggravare la situazione” e sfociare “in un confronto militare con implicazioni di vasta portata per i due Paesi e per l’intera regione”. Etiopia ed Eritrea sono state sollecitate anche a collaborare con la forza di pace Onu e consentire ai ‘caschi blu’ di monitorare la zona-cuscinetto (Tsz) che le separa. Secondo l’Unmee la situazione alla frontiera “è passata da ‘stabile’ a ‘tesa’ e potenzialmente volatile” e “un qualsiasi incidente potrebbe degenerare in qualcosa di peggiore”; da parte eritrea, inoltre, il divieto di usare gli elicotteri imposto da Asmara all’Onu lo scorso 5 ottobre ha sensibilmente ridotto le capacità operative dei ‘caschi blu’ nella Ztl e nella stessa area sarebbero state segnalate incursioni di uomini armati, sedicenti ‘miliziani’, che si sarebbero rifiutati di esibire documenti di identità. Polemiche sono sorte anche all’interno della stessa Unmee. “Il Consiglio di sicurezza deve decidere: è utile continuare a spendere 200 milioni di dollari per mantenere una missione che non può fare il suo lavoro?” ha detto il responsabile politico dei ‘caschi blu’ ad Asmara, Joseph Legwaila. Secondo alcuni osservatori, le mai sopite tensioni tra Etiopia ed Eritrea, protagoniste dal 1998 al 2000 di una guerra che provocò tra i 70.000 e gli 80.000 morti, sarebbero alimentate dalla frustrazione di Asmara per il fatto che l’intesa raggiunta cinque anni fa sulla delimitazione delle frontiere non abbia ancora portato alla demarcazione effettiva del confine, anche perché rifiutata dall’Etiopia.
Unificati i tre thread; meglio postare le brutte novità (purtroppo giornaliere) su ciascuna crisi in un'unica discussione.
FabioGreggio
06-11-2005, 10:18
L'Eritrea è una creazione italiana.
Fu creata dagli italiani e fu la "colonia primogenita" dopo che la società di trasposto navale Rubattino acquisì nel porto di Assab il diritto territoriale.
Asmara è ancora oggi una tranquilla cittadina molto italiana.
Fino al 1940 ad Asmara risiedevano moltissimi italiani ormai autoctoni.
C'erano i Bar Sport, i teatri, il Cinema, il giornali e la domenica si ascoltava l radio per i risultati della Juventus.
Gli africani parlavano fra di loro in italiano.
La fisionomia della città rimane ancora quella di una normale cittadina di provincia italiana. Ma l'italianità non c'è quasi più.
Si parla ancora un pò di italiano e qualche concittadino è rimasto laggiù.
Ma attorno alla città non ci sono più i campi coltivati dagli italiani.
C'è ancora la linea ferroviaria con il treno italiano "La Littorina" color nocciola.
L'eritreo è una lingua che ha in se molti italianismi, a partire dal piatto nazionale " spriss" sorta di piadina arrotolata piena di salsa rossa piccante che è una deformazione di " espresso".
L'errore italiano fu quello di abbandonare l'Eritrea, bellisimo nome dato dagli italiani dal greco, non ricordo se vuol dire "farfalla" o "porpora", al suo destino e lascirla nelle mire espansionistiche dell'Etiopia che cercava uno sbocco al mare troppo strategico per lasciare l'esclusiva ad uno staterello abbandonato.
Così, mentre in altri paesi africani si parla addirittura ancora il tedesco, retaggio di pochi anni coloniali della Germania prehitleriana, come in Namibia dove esistono addirittura città bavaresi come Luderitz, in Eritrea, italiana per quasi 70 anni, di italiano non solo rimane nulla, nemmeno la lingua, la cultura, ma questo delizioso paese diventa perseguitato dal regime etiope marxista leninista che spodestò l'imperatore hailè salassiè.
Oggi l'Eritrea potrebbe essere recuperata dall'Italia con un appoggio internzionale anche solo per ripagare l'inglorioso periodo coloniale che non fu proprio inglorioso come invece successe in Etiopia o Somalia, o peggio in Libia.
ma nessuno si interessa a questo lembo di storia italiana in Africa, nemmeno AN dove al suo interno militano ancora molti nostalgici di quel periodo e che spesso avevano manifestato il ricongiungimento culturale e umanitario.
In Eritrea non c'è nulla. Solo altopiani desolati, paesggi e praterie nostalgiche, ed una cultura antichissima crocevia della prima emigrazione degli ominidi che attraversando il mare difronte ad essa popolarono il mondo accedendo alla penisola arabica.
Fini, ministro degli esteri, dov'è?
Parla con Sharon.
E pensare che i suoi ragazzi del Fuan portano ancora la kefia palestinese.
Non hanno fatto in tempo a cogliere il repentino cambio di rotta.
OT:è una fattibile uppare senza importare anche qui i soliti teatrini sx VS dx?grazie
FastFreddy
06-11-2005, 12:07
L'errore italiano fu quello di abbandonare l'Eritrea, bellisimo nome dato dagli italiani dal greco, non ricordo se vuol dire "farfalla" o "porpora", al suo destino e lascirla nelle mire espansionistiche dell'Etiopia che cercava uno sbocco al mare troppo strategico per lasciare l'esclusiva ad uno staterello abbandonato.
Flashnews: dall'Eritrea gli italiani son stati cacciati dagli inglesi, dopo quella scaramuccia chiamata seconda guerra mondiale.... :D :D :D
7 novembre 2005 16.32
ROMA
ETIOPIA: PUGNO DI FERRO DI ZENAWI, USA E UE IN DIFFICOLTÀ
(Avvenire) Militari che sparano a vista, arresti indiscriminati, retate notturne, esecuzioni sommarie. Sono drammatiche le testimonianze che giungono dall'Etiopia dove gli scontri di Addis Abeba si sono estesi a Shashamene e ad Awassa. Una situazione che mette in allarme anche i Paesi vicini, in particolare l'Eritrea, con cui è in corso un aspro contenzioso sui confini. E che pone ulteriori difficoltà agli Stati Uniti, costretti finora a barcamenarsi tra Addis Abeba e l'Asmara con un atteggiamento di sostanziale prudenza. Un atteggiamento, quello dell'amministrazione Usa, dovuto sostanzialmente alla notevole importanza strategica che Addis Abeba ricopre per la sua prossimità con la Penisola arabica, oltre che per il delicato ruolo che esercita nella politica continentale.
Ragioni che hanno imposto all'Occidente un'attitudine analoga per quanto riguarda la disputa tra regime e opposizioni. È ormai chiaro che il governo di Meles Zenawi, ritenuto "amico" della comunità internazionale e considerato un interlocutore importante per le prospettive del Corno d'Africa, sta soffocando con la forza le proteste degli studenti contro i risultati delle elezioni di maggio, le quali, nonostante la loro ripetizione in 31 seggi due mesi fa per i numerosi brogli avvenuti, hanno confermato la vittoria dell'attuale esecutivo. Tuttavia, l'Occidente fatica a prendere posizione su questo conflitto interno anche perchè i propri esperti hanno giudicato "sostanzialmente corretto" lo svolgimento della consultazione.
Proprio per questo, sotto accusa da parte degli oppositori etiopi sono anche l'Unione europea e la Fondazione Carter, colpevoli di aver inviato per le
elezioni solo qualche centinaio di osservatori. Da quando sono ripresi gli scontri una settimana fa, dopo l'arresto di 34 esponenti del fronte popolare di opposizione Cud (Coalizione per l'Unità e la Democrazia), sono morte un centinaio di persone, mentre le carcerazioni già superano il migliaio. Viene inoltre messa in evidenza da fonti sul luogo la spaventosa situazione delle prigioni, dove il sovraffollamento raggiunge livelli incompatibili con la salute dei detenuti. Insomma, l'impressione è che la famosa "transizione democratica" che avrebbe dovuto condurre l'Etiopia fuori dalla crisi si sia trasformata in una drammatica repressione delle opposizioni, che include l'arresto o l'intimidazione di giornalisti, intellettuali e attivisti dei diritti umani. Una prospettiva che potrebbe anche costringere Stati Uniti e Unione europea a cambiare la linea attendista seguita finora, anche se, come si è visto con la recente visita di Zenawi in Germania, ancora non ci sono elementi per sposare questa tesi.
LE SFIDE
Kinshasa ospiterà, dal 9 all’11 novembre, una sorta di Parlamento interregionale, composto dalle delegazioni dei tre Paesi, che affronterà la questione della proliferazione delle armi leggere
L'Onu scommette sulla «nuova» Africa
Missione nella zona dei Grandi Laghi di una delegazione delle Nazioni Unite per sostenere l’importanza dei processi
di pace e il cammino verso la democrazia
Di Paolo M. Alfieri
Le Nazioni unite scommettono sull'Africa. Ieri è iniziato da Kinshasa il tour di una delegazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu nei Grandi Laghi, una missione con la quale il Palazzo di Vetro intende sottolineare l'importanza dei processi di pace in corso nella regione. L'impegno contro la diffusione illegale delle armi può rappresentare un segnale concreto dell'attenzione della comunità internazionale. Anche per evitare il diffondersi della sensazione tra i cittadini che dotarsi di un arma rappresenti un diritto, di fronte all'incapacità delle istituzioni di difenderli dalle violenze.
I sentieri della sopravvivenza africana restano, però, stretti e rischiosi anche quando la guerra non è dichiarata, anche quando non ci sono due eserciti "veri" a confrontarsi, ma bande e milizie che si contendono piccole fette di territorio. Quando basta una mitraglietta in più o in meno a stabilire chi è il più forte, a dare ragione al di là di qualsiasi decisione degli organismi internazionali. Sono almeno 30 milioni queste "ragioni" che circolano illegalmente in tutta l'Africa. Armi leggere, di piccolo calibro. Nutrono insicurezza, violenze, panico. Portano la morte e il terrore fin nel più isolato dei territori, fin nel più remoto dei villaggi. E minano alla radice il cammino già tortuoso verso la pace di intere regioni. Come quella dei Grandi Laghi, 5 milioni di morti in poco più di un decennio tra Burundi, Ruanda e Repubblica democratica del Congo.
Proprio la capitale congolese Kinshasa ospiterà, dal 9 all'11 novembre, una sorta di Parlamento interregionale, composto dalle delegazioni dei tre Paesi, che affronterà la questione della proliferazione delle armi leggere. Agli incontri, finanziati dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) e dal governo belga, parteciperanno anche esperti dell'Onu e di alcuni Paesi occidentali.
Il vertice rappresenta indubbiamente un importante passo in avanti nei rapporti tra i governi della regione, che in passato e rano stati spesso segnati dalla tensione. Il problema delle armi verrà affrontato per la prima volta nell'ottica di una strategia comune, con l'intento di armonizzare le leggi dei singoli Stati che regolano il possesso delle armi e creare, in tempi possibilmente brevi, un sistema di controllo comune all'intera area dei Grandi Laghi.
Nella sola Rdc, le armi leggere in circolazione raggiungono, secondo le organizzazioni che si battono in difesa dei diritti umani, quota 500mila.
Ancora ieri, ad esempio, l'agenzia Misna segnalava insicurezza crescente a Bukavu, dove alcuni testimoni hanno riferito di defezioni dall'esercito governativo a vantaggio di un gruppo legato al generale Jules Mutebusi, l'ufficiale protagonista di un assalto al capoluogo del Sud Kivu nel giugno 2004. Ma i saccheggi e le stragi continuano in tutta l'area, secondo quanto sottolinea un rapporto dell'International Rescue Committee sull'attività dei gruppi ribelli, provenienti in particolare dal Ruanda.
Poco più di due settimane fa, nei pressi del campo di Luvungi, un gruppo di oltre 500 miliziani "Mai Mai" non ha esitato a rapire 43 agenti governativi incaricati di attuare il processo di disarmo. Il rapimento, hanno sostenuto, era a scopo "dimostrativo", in segno di protesta per il mancato pagamento di 110 dollari ciascuno preteso in cambio della consegna delle armi. Armi che riescono a giungere nella regione nonostante un embargo decretato dalle Nazioni Unite e tuttora in vigore. Un flusso clandestino che coinvolge per le sue dimensioni e per le sue conseguenze allarmanti l'intera comunità mondiale.(Avvenire)
OMALIA 7/11/2005 17.48
ATTENTATO A MOGADISCIO: AUMENTANO VITTIME, SCONTRI PROSEGUITI FINO A OGGI
Altro, Standard
Sono diventate dieci le vittime dell’attentato contro il primo ministro del governo di transizione somalo, Mohamd Ali Gedi, uscito illeso da un attacco dinamitardo costato invece la vita a elementi della sua scorta e alcuni civili che si trovavano al bordo della strada di Mogadiscio per salutare il convoglio governativo. Lo hanno riferito alla MISNA fonti dell’ospedale Medina, contattate nella storica capitale dell’ex-colonia italiana, precisando che dei 12 feriti ancora ricoverati in ospedale, 3 versano in condizioni gravissime. Intanto nella stessa zona in cui si è verificato l’attentato di ieri, altre 4 persone sono morte e 6 rimaste ferite in seguito a un attacco contro un cinema avvenuto in tarda serata. Secondo la ricostruzione fornita alla MISNA da fonti del governo di transizione basate a Jowhar (la cittadina di 3000 anime a una novantina di chilometri da Mogadiscio in cui hanno sede provvisoria le istituzioni somale), un gruppo di uomini ha lanciato una granata all’interno di un cinema affollato di giovani che assistevano alla trasmissione di una partita di calcio europea. Nelle ore successive si sarebbero verificati poi combattimenti (durati fino a questa mattina) tra alcuni dei signori della guerra che controllano la zona in questione e il gruppo che aveva preso di mira il cinema. In questo ulteriore episodio di violenza, un altro giovane avrebbe perso la vita. Intanto, sia l’Unione Africana (Ua) che le Nazioni Unite hanno deplorato oggi l’attentato contro il primo ministro. “I continui attacchi e atti di violenza in corso a Mogadiscio devono essere condannati, perché sono un assalto al processo di pace e alle speranze di una popolazione che da 14 anni vive in un clima di totale insicurezza” si legge nella nota diffusa a Nairobi dall’ufficio del rappresentante speciale del Segretario Generale Onu in Somalia. Il presidente della Commissione dell’Ua, Alpha Oumar Konare, in un documento diffuso oggi e di cui la MISNA ha ottenuto copia, “deplora il continuo uso della violenza in Somalia per raggiungere obiettivi politici e chiede a tutti i protagonisti della vita politica somala e alla popolazione di lavorare insieme per consolidare i risultati dei negoziati di pace somali e rafforzare la posizione del governo di transizione”. Proprio fonti del governo di transizione, da Nairobi, fanno sapere alla MISNA che è stata creata una commissione di indagine per raccogliere informazioni sull’incidente di ieri e “portare al più presto di fronte alla giustizia i responsabili”. Nello stesso comunicato diffuso dall’esecutivo somalo, si evidenzia che l’attentato contro Gedi (il secondo in pochi mesi, un primo tentativo è avvenuto nel maggio scorso durante un comizio allo stadio di Mogadiscio) “fa parte della campagna di omicidi mirati in corso da mesi nella capitale storica del paese e sotto i cui colpi sono già caduti intellettuali, ex-esponenti delle forze armate e di sicurezza o rappresentanti locali e internazionali di organizzazioni umanitarie”. Dietro l’aumento esponenziale negli ultimi mesi dell’insicurezza a Mogadiscio si troverebbero gli uomini legati alla cosiddetta ‘Corte Nazionale’, un movimento che utilizzando strumentalmente la propaganda del radicalismo islamico sta cercando di prendere il potere su tutta Mogadiscio a discapito degli storici ‘signori della guerra’ che da 14 anni (ovvero da quando la Somalia è piombata nella più totale anarchia) gestiscono il paese. Obiettivo di questa vera e propria campagna militare sarebbe sottrarre la gestione di interi quartieri e dei lucrativi affari connessi a chi finora ne deteneva il controllo e impedire il trasferimento a Mogadiscio delle nuove istituzioni somale. Lo scopo ultimo dichiarato dalla stessa ‘Corte Nazionale’ sarebbe quello di nominare un proprio presidente da contrapporre alle nuove istituzioni di transizione.[MZ]
FabioGreggio
07-11-2005, 22:47
Flashnews: dall'Eritrea gli italiani son stati cacciati dagli inglesi, dopo quella scaramuccia chiamata seconda guerra mondiale.... :D :D :D
Gli Italiani cui tu ti riferisci erano i militari.
Io parlavo dei residenti che hanno fatto l'Eritrea e che erano qualche centinaia di migliaia.
E che restarono anche dopo la scaramuccia del tuo dadadan di cui sopra :cool:
fg
per piacere,torniamo IT.
ETIOPIA 12/11/2005 16.28
ADDIS ABEBA: STORIE PARALLELE, IN FUGA E IN CARCERE
C'e' chi ancora si nasconde e chi e' gia' stato preso ad Addis Abeba. Storie parallele, quelle di Meskeret e di Berhanu. Lei attivista del principale partito di opposizione, forse ancora latitante o forse catturata in queste ore. Lui matricola di ingegneria "lontano dalla politica", come spiega la nonna, deportato dieci giorni fa in una base militare a 360 chilometri dalla capitale. Stamani gli agenti della polizia federale in divisa blu mimetica hanno circondato l'abitazione di Meskeret. Il suo vero nome e' un altro e compare nelle "liste di proscrizione" compilate in questi giorni dal governo, dopo i disordini che all'inizio di novembre hanno provocato decine di vittime (probabilmente un centinaio). "Stanotte mi ha chiamato sul cellulare, ma non sono riuscito a rispondere" racconta alla MISNA il fratello Yared, da pochi mesi laureato in scienze naturali. "La scorsa settimana sono venuti a cercarla a casa, in un quartiere che preferisco non indicare. Mia sorella non c'era, hanno preso mio padre, che ha 65 anni e non e' mai stato in alcun modo coinvolto nelle attivita' politiche dell'opposizione. Di lui non sappiamo piu' nulla". Il governo del controverso primo ministro Meles Zenawi ha ordinato l'arresto di esponenti della Coalizione per l'unita' e la democrazia (Cud), intellettuali, attivisti per i diritti umani, giornalisti. E retate di massa contro un numero imprecisato di persone, forse decine di migliaia. "Meskeret sapeva di essere ricercata. Si stava nascondendo da due amici. Io sono l'unico in famiglia a conoscere quella casa. Stamattina ci sono andato, ma erano gia' arrivati alcuni agenti. Sulla vettura della polizia ho visto una delle coinquiline che ospitava mia sorella" aggiunge Yared. Abbassa la voce, si guarda intorno. Per l'appuntamento con la MISNA ha scelto questo bar con le sedie di ferro e le pareti un po' scure, di proprieta' di un amico. "Questa e' la foto dei miei genitori nel giorno della mia laurea: mia madre non si da' pace, vive nel terrore che i militari possano tornare". La stessa angoscia e' dipinta sul volto di un'altra mamma. Quella di Berhanu. Per arrivare a casa sua si deve percorrere una stradina lastricata di pietre, tra recinzioni di lamiera e alberi di banano. Ci accoglie sulla porta di casa. "Non abbiamo sue notizie da dieci giorni. Sappiamo solo che si trova a Dedessa", una base militare 360 chilometri a nord ovest di Addis Abeba, costruita durante il regime di Menghistu, al potere tra il 1974 e il 1991. "Per tempare i suoi soldati" racconta chi ci e' stato, descrivendolo come un luogo malsano e torrido. La famiglia di Berhanu ci attende in un salotto ordinato e dignitoso, alle pareti le foto delle occasioni importanti. Ci sono altre tre donne: una sorella, una zia e la nonna. "Stava dormendo su questo divano quando hanno bussato gli agenti della polizia locale", che per le strade della capitale distingui dalla divisa color cachi. "Davvero non c'e' alcun motivo: ha studiato al collegio cattolico della Cattedrale e si era iscritto nei giorni scorsi alla Facolta' di ingegneria di Gimma" nel sud-ovest, dice la madre alla MISNA. "Sarebbe dovuto partire tra qualche giorno - sospira la sorella - , invece...". Invece loro sono arrivati e lo hanno preso. "Non lo hanno percosso, si sono limitati a insultare me" aggiunge. "Trascorreva il suo tempo libero in parrocchia", spiega la nonna, 75 anni e un grande foulard in testa. Ha studiato dalle canossiane e ricorda la nostra lingua: "Mi meraviglio di quello che e' accaduto: Berhanu di politica non voleva proprio saperne". Resta da capire perche' abbiano catturato proprio lui. "Forse un vicino di casa delatore" aggiunge con amarezza la sorella. Il timore che si possano alterare i meccanismi di normale convivenza sociale - con informatori pronti a denunciare i conoscenti solo perche' sospettati di appartenere all'opposizione o di non essere legati all'elite della classe al potere - e' anche del fratello di Meskeret. "Abbiamo paura. Questa e' la mia citta', ma ora mi sento a disagio. Ti chiedo di raccogliere i nostri sentimenti e far sentire la nostra voce" implora quasi Yared. "E' una questione di dignita' della persona: se siamo davvero tutti uguali, allora non e' giusto che nel nostro Paese i diritti vengano violati in modo cosi' evidente". Di sua sorella Meskeret, al cellulare, nessuna traccia. Di Berhanu, solo il numero di registrazione della scomparsa alla sede della Croce rossa internazionale.[EB]
ETIOPIA 12/11/2005 13.28
GUERRA CON L’ERITREA? “PAROLE GROSSE PER COPRIRE I PROBLEMI INTERNI”
“È curioso che lo scontro diplomatico con l’Eritrea abbia coinciso con la crisi politica interna: si tratta probabilmente di un’azione per distrarre l’attenzione internazionale dai veri problemi del nostro Paese”: lo dice alla MISNA un docente dell’Università di Addis Abeba, che - come molti interlocutori della società civile in Etiopia - accetta di parlare solo con garanzia dell’anonimato. “Abbiamo conferme da mesi di spostamenti di truppe verso il confine con l’Eritea. In particolare, sono state viste colonne militari nei pressi di Gondar e di Aksum” aggiunge. Anche ieri i pochi giornali disponibili nella capitale Addis Abeba hanno dedicato ampio spazio alla “crisi” con l’Eritrea, che da mesi è andata esacerbandosi nei toni. “In un’intervista di alcuni giorni fa alla televisione di Stato, il primo ministro Meles Zenawi utilizza lo stesso linguaggio per scagliarsi contro i ‘nemici’ eritrei e quelli dell’opposizione argomenta un altro professore, questa volta del Dipartimento di sociologia. “È un chiaro tentativo di paragonarli, con parole dure a uso soprattutto dei mass-media locali”, dice ancora alla MISNA. Gli organi di informazione indipendenti, per ora, sono imbavagliati: direttori ed editori sono in carcere o “ricercati” dalle forze di sicurezza. “Televisione statale e giornali filogovernativi diffondono solo propaganda. Ma la gente ne è consapevole” osserva il coordinatore di un’organizzazione non governativa (ong) locale. Che aggiunge: “Non a caso anche sulla questione delle tensioni con l’Eritrea i cittadini ascoltano le radio internazionali”. L’ex-guerrigliero Zenawi - nel 1991 giovane capo del Fronte di liberazione del Tigray che rovesciò la giunta militare di Menghistu Haile Mariam - ha escluso di avere intenzione di “sferrare il primo colpo”. “A differenza del conflitto del 1998-2000, questa volta il primo ministro non può più contare sul consenso popolare” osserva un diplomatico occidentale contattato dalla MISNA ad Addis Abeba. “L’Etiopia - conclude un ex-viceministro, al potere all’epoca del governo di transizione guidato da Zenawi - non è pronta per un nuovo conflitto. Anche se alza la voce fingendo di non aspettare altro”.
ETIOPIA (ED ERITREA): UN CIELO CARICO DI NUVOLE
“Domattina andremo a trovare mio padre in carcere per la prima volta da quando lo hanno arrestato dieci giorni fa: oggi i giudici ci hanno concesso un nostro diritto finora violato”: lo ha detto David Shiferaw, figlio di uno dei dirigenti del principale partito di opposizione. Parlando venerdì ad Addis Abeba con una fonte della MISNA di cui, come è nostra tradizione, non riveliamo per cautela l’identità. Quella di Addis Abeba, dell’Etiopia tutta e della confinante Eritrea è ridiventata una situazione difficile. Sperando che tutto proceda per il meglio – e che i grandi interessi economici e politici del nord del mondo smettano di soffiare sul fuoco – proviamo a fare il punto con quel che segue.(MISNA)
ETIOPIA 13/11/2005 6.46
‘DESAPARECIDOS’, VARIE TESTIMONIANZE DAL PAESE
"Teshome ha 19 anni e un po’ di sfortuna: il suo nome non è tra i 2.417 prigionieri rimessi in libertà ieri su ordine del governo, dopo l’arresto seguito ai disordini d’inizio novembre ad Addis Abeba. L’avevano preso settimana scorsa mentre dormiva: agenti della polizia federale con la divisa blu mimetica e armi in pugno hanno bussato alla porta di casa sua, un’abitazione semplice ma dignitosa nel quartiere nord-occidentale di Gulale. Gli hanno dato il tempo di mettersi le scarpe. Come lui, negli ultimi sette giorni migliaia di giovani - sospettati di “simpatizzare” per l’opposizione – sono stati prelevati di notte e destinati alle carceri della capitale o in campi militari a centinaia di chilometri di distanza. Ieri sera la televisione statale ha riferito che le scarcerazioni sono avvenute in tre prigioni: Addis Abeba, Ziway (circa 150 chilometri a sud della capitale) e Dedessa. Qui, 360 chilometri a ovest di Addis, si trova anche Teshome: è riuscito a scriverlo su un foglio di carta consegnato all’autista del camion che lo ha deportato, il quale a sua volta ha trasmesso il messaggio alla famiglia. “È una base militare in uno dei luoghi più insalubri del paese, un ambiente torrido infestato dalla malaria” spiega alla MISNA una fonte della società civile, che accetta di parlare solo dietro garanzia dell’anonimato. Quelle scarpe – aggiunge – “non gli serviranno: sappiamo che vengono requisite dalle forze di sicurezza per evitare che i detenuti possano scappare. A piedi nudi da Dedessa è impossibile fuggire”. Mercoledì il governo aveva annunciato la scarcerazione delle prime 280 persone arrestate nei giorni scorsi; la MISNA ha appreso che tra loro vi è almeno un deputato della Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud), la formazione anti-governativa che a ottobre aveva boicottato il Parlamento protestando contro i brogli delle legislative di maggio, vinte dal partito del controverso primo ministro Meles Zenawi. Non esistono indicazioni precise sul numero di civili – soprattutto giovani, ma anche ragazze e alcune donne - prelevati in questi giorni. Stime attribuite a “fonti diplomatiche” hanno indicato 24.000 ‘desaparecidos’ senza nome, mentre alcuni hanno azzardato fino a 40.000 incarcerazioni arbitrarie. “Non possiamo indicare alcun numero” ha detto alla MISNA Ana Schaf, portavoce del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr), che di norma ha accesso alle carceri in Etiopia. Anche ieri pomeriggio, centinaia di persone sostavano davanti agli uffici dell’organizzazione non lontano da ‘Bole road’, per chiedere notizie dei propri congiunti. Dalla polizia è quasi impossibile averne. “Stiamo per iniziare le visite ai detenuti” ha aggiunto Schaf, senza precisare se il Cicr si recherà anche a Dedessa e Urso, l’altra base militare – a est, sulla vecchia linea ferroviaria per Gibuti – dove sono stati portati altri prigionieri. Intanto – aggiunge un esponente della chiesa ortodossa che fino a qualche settimana fa ha visitato le prigioni - si vive “homeless at home”, “senza casa a casa propria”. “I giovani hanno paura di dormire presso la propria famiglia. Da sei giorni sto ospitando nella casa parrocchiale due giovani che temono di essere prelevati di notte”, spiega alla MISNA, chiedendo di omettere le sue generalità e ogni altro elemento di riconoscimento. “In tutti i quartieri ci sono delatori che indicano i giovani accusati di essere vicini all’opposizione o di aver partecipato alle proteste del 1 novembre”, quando i manifestanti scagliarono pietre contro le forze di sicurezza e bruciarono un centinaio di autobus. La sanguinosa repressione – operata anche dalle forze speciali ‘Agazi’ che in queste ore continuano a pattugliare la città - ha provocato una cinquantina di vittime accertate, ma almeno un centinaio secondo fonti concordanti anche ospedaliere. Intanto le autorità hanno reso noto una lista di “ricercati”, mostrando foto, indirizzo e numero di telefono alla televisione nazionale: si tratta di esponenti dell’opposizione, della società civile e giornalisti accusati di aver fomentato i disordini. Tra loro anche Netsanet Demissie, avvocato, direttore di ‘Social Justice’, un cartello di 35 organizzazioni non governative (ong) locali che hanno monitorato le elezioni di maggio. “Dopo ripetute minacce, alla fine ha deciso di consegnarsi alle autorità” dice alla MISNA un’operatrice umanitaria locale, che insieme a Netsanet aveva promosso nei mesi scorsi l’associazione “Voice for peace”, impegnata a favorire il dialogo tra governo e opposizione. Altri 24 esponenti di primo piano – tra cui i vertici del Cud e il professor Mesfin Woldemariam, fondatore del Consiglio etiopico per i diritti umani – sono comparsi davanti ai giudici; gli inquirenti hanno chiesto e ottenuto altre due settimane per raccogliere indizi. Mentre la magistratura è al lavoro, il primo ministro li ha accusati di tradimento, punibile persino con la pena di morte". (Emiliano Bos da Addis Abeba)
L’AFRICA IN TRANSIZIONE
Deportata l'opposizione: l'Etiopia vuole democrazia
Per tutti i fermati l'accusa principale è di «tradimento» Dominano i «tigrini», emarginati gli altri gruppi. Nuove tensioni ai confini con l'Eritrea
Da Addis Abeba Emiliano Bos
«Vede questa foto? È il giorno della sua laurea in diritto a Oxford». Daniel Bekele sorride dentro una cornice blu ovale, tra le mani il tradizionale copricapo accademico. «L'hanno arrestato il 1 novembre, lo avevano già picchiato due settimane prima», singhiozza la madre Wellea Hailesellassie, le spalle coperte dalla netzella, il mantello bianco degli ortodossi. Suo figlio, avvocato di 37 anni, responsabile della sezione locale di Action Aid ed esponente di primo piano della società civile, è in prigione. Stesso destino per Netsanet Demissie, presidente dell'Organizzazione per la giustizia sociale, altro movimento civico. Identica sorte per 24 tra dirigenti del principale partito d'opposizione, attivisti dei diritti umani, giornalisti, editori indipendenti e il neo-eletto sindaco di Addis Abeba. Tutti accusati di «tradimento» per aver istigato violenza «finalizzata e sovvertire l'ordine costituzionale». In galera, ma senza alcuna incriminazione, anche altre migliaia di persone, soprattutto ragazzi prelevati casa per casa. Sospettati di fiancheggiare l'opposizione. Quanti? «Oltre 10.000», assicurano fonti diplomatiche che si trincerano dietro l'anonimato. «Almeno il doppio», garantiscono esponenti di organizzazioni locali costretti a celare la propria identità. «2.417 già scarcerati», secondo il quotidiano governativo Herald. Silenzio "neutrale" da Ana Schaf, portavoce del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ad Addis Abeba, che ha accesso alle carceri. All'inizio del mese la Coalizione per l'unità e la democrazia (Cud) - partito d'opposizione che denuncia brogli nelle elezioni del maggio scorso, rilevati anche da osservatori internazionali e locali - organizza una protesta pacifica. Basta un piccolo incidente per infiammare un'atmosfera esplosiva. Si ripete lo scenario di giugno, almeno 40 morti per manifestazioni di piazza. Stesse rivendicazioni, repressione raddoppiata. Scontri con forze dell'ordine in assetto anti-sommossa in molti quartieri di Addi s Abeba. Ancora vittime soprattutto a Merkato, caotica e colorata area commerciale che mantiene il nome dai tempi della breve occupazione coloniale italiana. «Hanno deliberatamente aperto il fuoco sulla folla», denuncia un docente dell'Università della capitale, che accetta di parlare solo dietro garanzia dell'anonimato: «Nemmeno la facoltà, per favore». Più di cento autobus dati alle fiamme e lanci di pietre contro le forze di sicurezza, ribatte il governo di Meles Zenawi, l'ex-guerrigliero che rovesciò il dittatore Menghistu nel 1991. Sassi contro proiettili: 11 morti accertati il primo giorno, altre decine il secondo. «Il terzo - racconta Hailu M., testimone oculare - sono intervenute le forze speciali». I famigerati berretti rossi, conosciuti come Agazi, dal nome di un "eroe" della guerra di liberazione del Tigray, arida regione settentrionale da cui provengono anche il primo ministro e gran parte di questi violenti militari. Già ribattezzati dalla gente Agazi-Nazi. Se il calcolo dei prigionieri è arduo, la conta dei morti è quasi impossibile. «Almeno 60 cadaveri in tre giorni nella morgue dell'ospedale Menelik», afferma una fonte sanitaria. Almeno 13 sono ancora lì: «Nessuno viene a prenderli». I familiari delle altre vittime - stando a testimonianze concordanti - hanno dovuto sottoscrivere un documento in cui si addossa la responsabilità delle uccisioni all'opposizione. E pagare fino a 1.000 birr, circa 100 euro, per riavere le salme. Troppo per il Paese che l'Onu colloca al 170° posto su 177 nella classifica dello sviluppo. Per i bilanci ufficiali, i morti sono 46, di cui 4 fuori dalla capitale. Ad alcuni funerali si è vista persino la polizia federale, manganelli alla mano per dissuadere la partecipazione alle funzioni. «Ho sentito troppe volte parlare del rischio di scontri etnici in queste settimane e il governo ha usato un linguaggio che evoca la tragedia del Ruanda: non usiamola nemmeno la parola genocidio», aggrotta la fronte il coordinatore di un'orga nizzazione non governativa (ong) locale, uffici semplici in un edificio a due piani lungo Bole Road. Eppure. «Eppure da qualche mese è in atto un tentativo delle autorità di esasperare l'elemento etnico, per creare divisioni tra la popolazione», osserva un sociologo della capitale. Oltre 70 milioni di abitanti e almeno un'ottantina di comunità fanno dell'Etiopia un «museo di popoli», come scrisse l'africanista italiano Carlo Conti-Rossini. Al potere, i tigrini di Zenawi. Gli Ahmara dell'altipiano - padroni del Paese all'epoca del negus Haile Sellassié - e gli Oromo del centro-sud reclamano più diritti. «Questo governo ha introdotto la carta d'identità etnica: da qualche anno è necessario indicare la comunità di appartenenza», aggiunge ancora il responsabile dell'ong. Chi si rifiuta, diventa ahmara d'ufficio. «Nel frattempo le autorità minacciano la guerra con l'Eritrea per distrarre l'opinione pubblica internazionale dai nostri problemi interni», argomenta ancora il docente. Mentre il ministro del turismo Tadelech Dalocha convoca albergatori e tour operator per «correggere l'immagine dell'Etiopia dopo le violenze fomentate dall'opposizione», migliaia di famiglie non sanno nulla dei propri congiunti. Come Mose, prelevato mentre dormiva nel quartiere di Gulale. «Ha fatto avere un biglietto all'autista del camion che lo stava deportando», racconta con gli occhi lucidi la nonna. Destinato insieme ad altre migliaia verso due ex-basi militari volute da Menghistu per temprare i suoi sgherri: Dedessa, estremo nord-ovest «torrido e malarico» a detta di molti; Hurso, sulla linea ferroviaria per Gibuti, 300 chilometri a est della capitale, altrettanto isolato. Tutto esaurito anche nelle carceri di Addis Abeba, cinque milioni di abitanti e molte contraddizioni: la povertà delle baracche contro il lusso delle ambasciate della capitale diplomatica del continente, che ospita anche l'Unione Africana. Lunedì scorso la città era deserta per lo sciopero promosso dall'opposizione. Il giorno dopo tutti in riga: «I poliziotti mi hanno minacciato: se non lavori ti ritiriamo la licenza», racconta il tassista Berhanu, al volante di un'impeccabile Fiat 124. Per le strade non hanno mai smesso di circolare, invece, i camion con agenti della polizia federale e militari delle Forze speciali, mitragliatrici puntate sui passanti. Ma si è rimesso in moto anche un altro esercito: quello dei diseredati. «Prima dei taxi - assicura Berhanu - sono ricomparsi loro». (Avvenire)
SOMALIA 14/11/2005 12.01
MOGADISCIO: DOPO DUE GIORNI DI COMBATTIMENTI, MEDIAZIONE IN CORSO
Una mediazione è stata avviata questa mattina a Mogadiscio nel tentativo di riportare la calma nel quartiere di Yaqshid, zona nord della storica capitale somala. Lo hanno detto alla MISNA fonti del governo di transizione a Jowhar, novanta chilometri più a nord, precisando che i combattimenti tra i miliziani delle Corti Islamiche (impegnate in una sorta di campagna ‘morale’ contro cinema e luoghi d’intrattenimento) e gruppi di abitanti locali armati sono proseguiti anche durante la notte lasciando un bilancio di vittime e feriti molto elevato, seppur ancora imprecisato. “Gli scontri sono iniziati sabato, ma ieri è stata la giornata peggiore. Proiettili sono cominciati a piovere contro un cinema di Yaqshid alle 5.55 del mattino, dando il via a una battaglia durata fino alle 18:00. Un primo tentativo di mediazione lanciato ieri è durato solo 20 minuti. Poi hanno ricominciato a sparare fino alle 21.00. Ancora una pausa e poi di nuovo spari. Le vittime sono molte così come i feriti. Oltre ai miliziani molti civili sono stati colpiti da pallottole vaganti” dice la fonte della MISNA chiedendo di restare anonima. Secondo i bilanci diffusi dalle agenzie internazionali di stampa, i combattimenti di sabato e domenica avrebbero causato almeno 12 morti e oltre 20 feriti. Dietro l’aumento esponenziale negli ultimi mesi dell’insicurezza a Mogadiscio si troverebbero proprio gli uomini legati alla cosiddetta ‘Corte Nazionale’, un movimento che utilizzando strumentalmente la propaganda del radicalismo islamico sta cercando di prendere il potere su tutta Mogadiscio a discapito degli storici ‘signori della guerra’ che da 14 anni (ovvero da quando la Somalia è piombata nella più totale anarchia) gestiscono il paese. Obiettivo di questa vera e propria campagna militare sarebbe sottrarre la gestione di interi quartieri e dei lucrativi affari connessi (non ultima l’industria dell’intrattenimento) a chi finora ne deteneva il controllo e impedire il trasferimento a Mogadiscio delle nuove istituzioni somale. Lo scopo ultimo dichiarato dalla stessa ‘Corte Nazionale’ sarebbe quello di nominare un proprio presidente da contrapporre alle nuove istituzioni di transizione.
SOMALIA 14/11/2005 13.38
SOMALILAND: OMICIDI OPERATORI UMANITARI, CONDANNATI A MORTE I RESPONSABILI
(Misna) Sono stati condannati a morte 8 dei 15 imputati nel processo aperto lo scorso marzo per l’uccisione di tre operatori umanitari stranieri che operavano in Somaliland. Lo riferiscono fonti giornalistiche internazionali, precisando che il tribunale di Hargeisa, la capitale dell’autoproclamatasi regione indipendente del Somaliland (nel nord del Somalia), ha condannato all’ergastolo altri 7 imputati. Secondo le prime informazioni disponibili, il giudice titolare dell’inchiesta, Abdurahman Jama Hayan, avrebbe chiesto la riapertura delle indagini per quanto riguarda l’omicidio dell’operatrice umanitaria italiana Annalena Tonelli. Secondo l’agenzia ‘Reuters’ le condanne comminate oggi sono relative agli omicidi di altri 3 operatori: Richard Eyeington, 62 anni, e sua moglie Enid, 61 anni, insegnanti britannici, assassinati nella loro abitazione vicino a Berbera due settimane dopo l’omicidio della Tonelli e la keniana Flora Chepkemoi Cheruiyot, operatrice dell’organizzazione tedesca ‘Gtz’, morta all’inizio del 2004 in un agguato contro un convoglio umanitario. Finora il procedimento per la morte dei 4 operatori era unico. Secondo gli inquirenti, infatti, dietro gli omicidi avvenuti in un periodo di alcuni mesi compreso tra ottobre 2003 e l’inizio del 2004 vi sarebbe un unico gruppo di fuoco. La prima vittima di quella serie di omicidi fu proprio la dottoressa Tonelli, 60 anni, una missionaria laica che aveva dedicato la propria vita agli ammalati, ai poveri e ai dimenticati dell’Africa. Venne barbaramente uccisa nella sua abitazione il 5 ottobre 2003 a Borama, nel nord-ovest del Somaliland, dove aveva riaperto l’ospedale locale, organizzando scuole per ciechi e sordomuti, salvando migliaia di bambine dalla mutilazione genitale femminile e affrontando il problema dell’Aids. Per tutti gli omicidi, da subito le autorità del Somaliland e gli inquirenti internazionali che hanno collaborato alle indagini (inclusi agenti di Scotland Yard) hanno seguito la pista dei piccoli gruppi di integralisti islamici sorti di recente nella regione e che sembrano rappresentare l’unica vera minaccia alla sicurezza in Somaliland, un territorio che a differenza di Mogadiscio e della Somalia (ancora oggi “terra di nessuno” nella mani di bande armate rivali) può godere di una relativa tranquillità. Il Somaliland - ex-protettorato britannico - si è autoproclamato indipendente nel 1991, quando la caduta di Siad Barre trascinò il resto della Somalia in un caos istituzionale e in una guerra tra clan che – malgrado recenti accordi e il varo di un governo di transizione - ancora oggi non si può dire del tutto terminata.
ETIOPIA 14/11/2005 17.33
DOPO VIOLENZE: PARLAMENTO APPROVA COMMISSIONE, DAVVERO “INDIPENDENTE”?
“Il Parlamento Federale ha approvato oggi una commissione di inchiesta per verificare se la polizia abbia usato in modo eccessivo la forza contro i civili nei giorni scorsi. Si tratta ora di capire chi la nomina: se sarà il governo, allora non ha alcun senso”. Lo ha detto poco fa alla MISNA un deputato dell’opposizione contattato per telefono nella capitale Addis Abeba. “Chiediamo che sia il Parlamento a indicarne la composizione, perché altrimenti come può trattarsi di un organo indipendente se, come sembra, sarà nominato dal primo ministro Meles Zenawi?”, si chiede il deputato, che chiede di rimanere anonimo. Durante la repressione delle proteste anti-governative all’inizio di novembre sono rimaste uccise almeno 46 persone tra cui 7 poliziotti, secondo i bilanci ufficiali, mentre fonti della società civile ad Addis Abeba indicano almeno un centinaio di vittime. Secondo l’agenzia di stampa ‘Ena’ – in un momento in cui sono in carcere molti giornalisti ed editori indipendenti e quindi mancano fonti di informazione alternative – 334 deputati hanno votato a favore, uno contrario e 72 si sono astenuti, nella prima seduta straordinaria del Parlamento eletto alle contestate elezioni del maggio scorso. Secondo la stessa fonte, la commissione sarà indicata entro due settimane dal Comitato per gli affari amministrativi del Parlamento, controllato per due terzi dai deputati del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiopico (Eprdf) del controverso Zenawi. In aula non si sono presentati molti deputati della Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud), che boicotta il Parlamento in segno di protesta contro brogli e irregolarità che hanno caratterizzato le elezioni e che hanno costretto il governo a ripetere il voto tre mesi dopo in oltre 150 circoscrizioni. In seguito alle proteste di piazza dei giorni scorsi, i vertici della Cud sono stati incarcerati con l’accusa di aver fomentato i disordini, mentre migliaia di persone – soprattutto ragazzi – sono stati arrestati durante retate della polizia e delle forze speciali. In Parlamento ha parlato anche un commissario delle Polizia federale, Workineh Gebeyehu, che ha accusato l’Eritrea ed ex-militari di lavorare al fianco della Cud per “fomentare la violenza”. La repressione del governo, che ha colpito anche attivisti dei diritti umani ed esponenti della società civile nel tentativo di mettere a tacere il dissenso, è stata criticata a livello internazionale. Anche l’Eritrea – in un momento di crescente tensioni al confine tra i due Paesi, protagonisti di una guerra tra 1998 e il 2000 – ha condannato la dura reazione delle forze dell’ordine ad Addis Abeba, che rischia di compromettere gravemente l’immagine dell’Etiopia, considerata perno della stabilità del Corno d’Africa.
ERITREA 15/11/2005 7.43
ASMARA SMENTISCE PRESENZA TRUPPE A CONFINE CON ETIOPIA
“Non è affatto vero che ci sia un movimento di truppe dell’Eritrea”: con questa laconica dichiarazione il ministro dell’informazione Ali Abdu del governo di Asmara ha smentito le preoccupate dichiarazioni della missione di pace dell’Onu (conosciuta con l’acronimo Unmee) su spostamenti di soldati nella zona di confine con l’Etiopia. “Si tratta di affermazioni prive di fondamento” ha detto inoltre l’esponente del governo eritreo all’agenzia francese ‘Afp’. Impossibili ulteriori verifiche: agli osservatori militari della missione Onu – che nei giorni scorsi avevano denunciato ammassamenti di truppe anche da parte dell’Etiopia – il governo di Asmara ha posto restrizioni che limitano fortemente le loro attività di monitoraggio lungo il confine, mentre non esiste stampa indipendente che possa smentire o confermare le dichiarazioni delle autorità. Entrambi i governi hanno cercato di giustificare il dispiegamento di truppe. Il ministro dell’informazione di Asmara ha aggiunto: “L’Eritrea è impegnata solo in progetti di sviluppo e nella rivoluzione agricola”, che tuttavia ha portato a risultati in grado di garantire il necessario fabbisogno alimentare ai suoi 4,5 milioni di abitanti. Nei giorni scorsi fonti della MISNA avevano confermato che anche l’Etiopia ha mosso una quota significativa di truppe, mezzi militari e materiale bellico in direzione del confine settentrionale con l’Eritrea. La guerra combattuta tra i due Paesi del Corno d’Africa tra il 1998 e il 2000 ha provocato non meno di 70.000 morti; l’accordo di pace di Algeri prevedeva un arbitrato internazionale, respinto nel 2002 dall’Etiopia, che non accetta l’assegnazione della città di Badme all’Eritrea.
ETIOPIA 16/11/2005 19.01
EVASIONE DI MASSA DA CARCERE NELLA REGIONE SOMALA, DECINE DI VITTIME
Almeno venti persone sarebbero morte durante un’evasione di massa da un carcere militare nella città di Kebri Dehar, nell’est dell’Etiopia, a un migliaio di chilometri dalla capitale Addis Abeba. Lo riferisce il sito dell’emittente britannica ‘Bbc’. Sembra che non meno di 34 detenuti siano riusciti a fuggire dopo aver preso il controllo delle guardie carcerarie, alle quali avrebbero sottratto le armi. Testimonianze citate dalla stessa fonte riferiscono che i militari hanno aperto il fuoco in città mentre inseguivano gli evasi; si tratterebbe di ribelli dell’Ogaden National Liberation Front, che combatte contro il governo nell’Ogaden, un’ampia e arida regione abitata da popolazione somala. L’incidente avviene mentre migliaia di persone – probabilmente non meno di 10.000 – sono trattenuti illegalmente dalle autorità in campi militari e nelle carceri di Addis Abeba dopo le repressione delle proteste anti-governative che all’inizio del mese hanno provocato non meno di una cinquantina di vittime (almeno un centinaio secondo la società civile). Un analogo e altrettanto poco chiaro tentativo di evasione era avvenuto all'inizio di novembre anche nel carcere di Khaliti, nella capitale; in quell'occasione le forze dell'ordine avevano ucciso almeno 7 detenuti in circostanze dubbie.
SOMALIA 16/11/2005 15.29
SOMALILAND: PROCESSO A PARTE PER OMICIDIO ANNALENA TONELLI
Si terrà un processo separato per l’assassinio della missionaria laica Annalena Tonelli, la volontaria italiana uccisa il 5 ottobre del 2003 a Borama, nel nord-ovest del Somaliland, dove aveva riattivato un ospedale locale. La MISNA lo ha appresa da fonti locali, dopo che nei giorni scorsi 8 persone sono state condannate a morte e altre 7 all’ergastolo per l’uccisione di altri tre operatori umanitari stranieri dal tribunale di Hargheisa, la capitale dell’auto-proclamata Repubblica indipendente del Somaliland, nel nord della Somalia. Tra ottobre di due anni fa e gennaio 2004, oltre alla Tonelli, furono uccisi anche una coppia di insegnanti britannici a Berbera e una volontaria keniana impegnata con un’organizzazione tedesca. Finora il processo era stato accorpato ma nei giorni scorsi il giudice titolare dell’inchiesta, Abdurahman Jama Hayan, avrebbe deciso di scorporare la posizione relativa agli assassini della Tonelli, chiedendo la riapertura delle indagini. Fonti della MISNA riferiscono che ai mass-media locali non sono state fornite spiegazioni relative alla richiesta di rinvio del processo per la morte della Tonelli, nata a Forlì nel 1943. La volontaria italiana era stata attiva per anni nel centro per malati di tubercolosi di Merka, in Somalia (dove nel 1995 venne uccisa la dottoressa Graziella Fumagalli della Caritas Italiana); a Borama, nell’ex-protettorato britannico del Somaliland, aveva organizzato scuole per ciechi e sordomuti, evitando la mutilazione genitale femminile a migliaia di bambine e affrontando anche il problema dell’Hiv/Aids.
ETIOPIA 17/11/2005 13.31
PROLUNGATO IL FERMO DEI GIORNALISTI INDIPENDENTI
Resteranno in carcere per altre due settimane, i quattro direttori di altrettanti giornali etiopi comparsi ieri di fronte a un tribunale di Addis Abeba che avrebbe dovuto esprimersi sul fermo realizzato dalle forze di polizia nei giorni scorsi a margine degli scontri tra manifestanti e polizia che hanno causato la morte di almeno 50 persone, secondo i bilanci ufficiali, di quasi il doppio secondo altre fonti. Lo riporta oggi l’Ena, l’agenzia di stampa governativa, precisando che l’alta corte federale della capitale etiope, ha accolto la richiesta di proroga avanzata dalle forze dell’ordine per poter raccogliere maggiori prove. Un’altra ventina di operatori dell’informazione indipendente etiope si trovano attualmente in carcere con l’accusa di aver fomentato i disordini dei giorni scorsi. Un proroga dello stato di fermo di due settimane era già stata concessa l’8 novembre scorso dalla magistratura etiope nel procedimento aperto contro i 24 esponenti dei vertici dell’opposizione incarcerati con l’accusa di aver organizzato le proteste di piazza. Intanto la stampa governativa annuncia oggi il rilascio di altri 754 detenuti, facendo salire a 8750 il numero delle persone rilasciate negli ultimi giorni dopo essere state prelevate durante le proteste. Cifre che in maniera indiretta sembrano confermare le denunce relative al fermo indiscriminato di migliaia di persone (alcune fonti arrivano a parlare di quasi 40.000 civili arrestati) nei giorni degli scontri.
ETIOPIA 18/11/2005 13.00
OGADEN: PROMESSA INCHIESTA PER CIVILI UCCISI DA POLIZIA
Il governo dell’Etiopia ha garantito un’inchiesta per far luce sulle denunce dei ribelli separatisti dell’Ogaden Nazionale Liberation Fronte (Onlf), che accusano la polizia federale per la morte di almeno 30 persone e il ferimento di oltre un centinaio in una località dell’arida regione nel sud-est del Paese, verso il confine con la Somalia. Martedì scorso le forze di sicurezza sono intervenute dopo l’evasione di alcune decine di detenuti dal carcere; secondo testimoni, i militari hanno aperto il fuoco per le strade di Kabri Dahar, nella remota regione dell’Ogaden, abitata da somali, a circa 800 chilometri dalla capitale Addis Abeba. Il ministro etiope dell’informazione Berhanu Hailu ha dichiarato all’agenzia ‘Reuters’ che “è in corso un’inchiesta sull’incidente”. L’episodio è accaduto in un momento di particolare tensione in Etiopia, mentre il governo sotto accusa a livello internazionale per la violenta e sanguinosa repressione delle proteste del 1 novembre, quando decine di persone sono state uccise nelle strade della capitale. Intanto migliaia di civili – tra cui i vertici del principali partito di opposizione (Coalizione per l’unità e la democrazia, Cud), intellettuali, giornalisti e attivisti dei diritti umani – sono stati arrestati e detenuti in carcere ad Addis Abeba o in campi militari all’esterno della capitale. I ribelli dell’Ogaden sostengono che la polizia abbia costretto i civili a scavare una fossa comune per occultare i cadaveri delle vittime, ma non vi sono altre fonti indipendenti. Le autorità amministrative locali, contattate dalla ‘Reuters’, hanno affermato di non poter fornire informazioni perché i fatti sono avvenuti in una zona remota. Gli abitanti dell’Ogaden chiedono più diritti e maggiori risorse dal governo centrale di Addis Abeba.
AFRICA 19/11/2005 13.07
ETIOPIA – ERITREA, UN INCONTRO PER PLACARE LE TENSIONI
L’annuncio di un incontro in Kenya tra ufficiali di Etiopia ed Eritrea potrebbe allentare i timori per la situazione definita dall’Onu “tesa e potenzialmente volatile” lungo la frontiera tra i due Paesi del Corno d’Africa. I colloqui si svolgeranno a Nairobi il prossimo 25 novembre, alla presenza del generale Rajinder Singh, comandante della missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (conosciuta con l’acronimo Unmee). Nelle scorse settimane gli osservatori dell’Onu avevano segnalato l’ammassamento di truppe sui due fronti. Le capacità di monitoraggio in territorio eritreo sono state tuttavia fortemente limitate per le restrizioni di movimento imposte dalle autorità di Asmara al contingente internazionale. Il precedente incontro tra le due parti era avvenuto a settembre, quando la situazione era descritta come stabile, ma si è fatta progressivamente sempre più tesa. Intanto al Consiglio di sicurezza dell’Onu si sta preparando una risoluzione rivolta ai due governi: all’Eritrea si chiede di togliere le limitazioni all’attività degli osservatori dell’Unmee, all’Etiopia di accettare la decisione di una commissione indipendente di assegnare Badme all’Asmara, finora sempre respinta dalle autorità di Addis Abeba. La guerra del 1998-2000 provocò circa 70.000 vittime e ingenti danni all’economia dei due Paesi, i quali stanno attraversando entrambi gravi situazioni di dissenso interno represse con violenza.
ERITREA 22/11/2005 12.26
ONU AUTORIZZA EVACUAZIONE FAMIGLIARI DEI PROPRI DIPENDENTI
Le Nazioni Unite hanno elevato il livello di sicurezza per il proprio personale in Eritrea, autorizzando l’evacuazione dei famigliari di dipendenti delle agenzie dell’Onu a causa delle crescenti tensioni con l’Etiopia e dei massicci movimenti di truppe lungo il confine tra i due Paesi del Corno d’Africa. Lo riferiscono fonti di stampa locale, citando alcuni funzionari anonimi. La notizia è stata confermata da fonti internazionali raggiunte dalla MISNA sul posto: il livello ‘3’ di sicurezza autorizza i famigliari delle Nazioni Unite e delle agenzie umanitarie che da esso dipendono a lasciare il Paese, che peraltro non è collegato con voli frequenti. I valori di sicurezza sono stati ‘elevati in tutto il Paese, mentre a Gash Barka, nel sud-ovest dell’Eritea, il livello è il 4, l’ultimo prima dell’evacuazione totale del personale delle Nazioni Unite. “Si tratta comunque di procedure standard in queste situazioni, non significa che vi siano dei rischi concreti per i dipendenti dell’Onu” spiega un’altra fonte raggiunta ad Asmara. Nelle scorse settimane la missione di pace internazionale tra Eritrea ed Etiopia aveva descritto una situazione “tesa e potenzialmente fragile”. Asmara e Addis Abeba si accusano a vicenda di aver ammassato truppe a ridosso del confine, mentre l’Eritrea ha imposto restrizioni che limitano “per circa il 60%” la possibilità dei caschi blu dell’Onu di svolgere il proprio mandato di osservazione.
AFRICA 23/11/2005 20.44
ETIOPIA-ERITREA: CONSIGLIO SICUREZZA MINACCIA SANZIONI
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha minacciato sanzioni nei confronti di Etiopia ed Eritrea se i due paesi non si impegneranno a far scendere la tensione lungo la frontiera comune. Nella risoluzione approvata all’unanimità poco fa, il massimo organo decisionale ha anche chiesto all’Eritrea di ritirare il divieto di sorvolo imposto ai primi di ottobre ai velivoli della missione Onu che presidia la zona cuscinetto creata per dividere i due paesi al termine del conflitto territoriale del 1998-2000. Il Consiglio ha invitato sia Asmara che Addis Abeba a ritirare le truppe dispiegate nelle ultime settimane lungo il confine. Riguardo al rifiuto dell’Etiopia di accettare la definizione dei confini disegnata da una commissione indipendente (e che i due paesi si erano accordati a riconoscere senza riserve) il Consiglio esprime solo “grave preoccupazione” per l’atteggiamento etiope e senza far alcun riferimento a possibili sanzioni, annuncia la propria “determinazione a seguire la vicenda da vicino”. “Se l'una o l'altra delle due parti non si conformerà alle richieste, il Consiglio è pronto a studiare misure appropriate”, tra cui sanzioni politiche ed economiche.
ETIOPIA – Dimissioni “immediate” del controverso primo ministro Meles Zenawi sono state chieste da Taye Wolde-Semayat, presidente dell’associazione degli insegnanti etiopi, parlando dagli Stati Uniti; Wolde-Semayat è uno dei pochi esponenti della società civile non arrestati durante la dura repressione attuata dal governo dopo i disordini che all’inizio di novembre hanno provocato almeno una cinquantina di morti.
AFRICA 25/11/2005 9.23
ETIOPIA – ERITREA: ASMARA MANTIENE RESTRIZIONI CONTRO MISSIONE DI PACE
“Malvagia”: così il governo di Asmara ha definito la minaccia di sanzioni rivolta dal Consiglio di sicurezza ad Etiopia ed Eritrea nel caso di un ripresa delle ostilità tra i due Paesi, protagonisti di una guerra tra il 1998 e il 2000. Yemane Gebremeskel, direttore dell’ufficio del presidente Isaias Afewerki, ha respinto anche la richiesta dell’Onu di sospendere le limitazioni di sorvolo imposte a ottobre da Asmara agli elicotteri della missione di pace internazionale, che riducono le possibilità di monitoraggio militare dei caschi blu. “La risoluzione non minaccia invece alcuna azione se l’Etiopia non accetterà la demarcazione del confine: questa è una ricetta per un nuovo conflitto” ha aggiunto Gebremeskel. Il riferimento è al rifiuto da parte del governo di Addis Abeba della sentenza di un arbitrato internazionale del 2002 sulla definizione delle frontiere, prevista dagli accordi di pace di Algeri con cui cinque anni fa si pose fine al conflitto, che provocò 70-80.000 vittime. “Siamo preoccupati per l’incapacità del Consiglio di sicurezza di farsi carico delle proprie responsabilità” ha detto ancora il consigliere di Afewerki. Ieri la missione di pace dell’Onu tra i due Paesi (conosciuta con l’acronimo Unmee) ha fatto sapere che un piccolo gruppo di soldati etiopi è stato individuato nella zona cuscinetto che divide Etiopia ed Eritrea, creata al termine del conflitto.
AFRICA 2/12/2005 10.09
ETIOPIA-ERITREA: MISSIONE ONU, NUOVI MOVIMENTI DI TRUPPE AL CONFINE
Non accennano a diminuire i movimenti di truppe lungo la frontiera contesa da Etiopia ed Eritrea: lo hanno detto i vertici della Missione delle Nazioni Unite nei due paesi del Corno d’Africa (Unmee), che durante l’appuntamento settimanale con la stampa hanno ribadito per la terza settimana di seguito che la situazione militare al confine resta ancora “tesa e potenzialmente volatile”. Negli ultimi sette giorni a ridosso della linea di sicurezza, presidiata dai ‘caschi blu’ della Unmee per dividere i due paesi protagonisti di un conflitto territoriale tra il 1998-2000, sono stati registrati nuovi spostamenti di uomini e mezzi sia dal lato etiope che da quello eritreo. “La seconda divisione echelon e altre due divisioni dell’esercito etiope provenienti dal Settore Centrale si sono mosse verso il confine” ha detto entrando nei dettagli il maggior generale Rajender Singh. Movimenti analoghi sono stati registrati anche nel settore eritreo, dove l’Unmee continua a segnalare la presenza di non meglio precisate “milizie” armate che si rifiutano di fornire ai ‘caschi blu’ la loro identità. Parlando con i giornalisti il generale Singh ha comunque ribadito la difficoltà per la missione Onu di fornire maggiori dettagli e numeri precisi sui movimenti di truppe dal lato eritreo a causa del divieto si sorvolo imposto agli elicotteri Onu dal governo di Asmara che ha limitato la capacità d’osservazione dei caschi blu del 60%. Il comandante in capo della Missione Onu si è comunque detto ottimista sulla possibilità di convincere le parti a un ritiro parziale delle loro forze dalla zona di confine e a riportare uomini e mezzi alle postazioni fissate nel dicembre 2004, come richiesto dal Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro nell’ultima risoluzione. Da mesi ormai il dialogo tra i governi di Asmara e Addis Abeba si è completamente arenato, nonostante la Commissione indipendente istituita dall'Onu abbia tracciato in maniera "definitiva e irrevocabile" i nuovi confini tra i due Paesi. Se da un lato l’Etiopia non intende riconoscere le decisioni della Commissione, dall’altro l’Eritrea ha fatto sapere di non voler più discutere di una questione che considera conclusa.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/12_Dicembre/07/eritrea.shtml
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http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/12_Dicembre/07/eritrea.shtml
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Devo dire che sull'ONU hanno ragione in molti.. un ente inutile fatto solo di gente che è li per succhiare soldi. Ricordo un servizio di report sui commissari e un po tutti quelli che ci lavorano, stipendi altissimi per fare poco e niente.
Non mi stupiscono gli insuccessi dei caschi blu.. non fanno paura a nessuno.
:fagiano:
unito il thread aperto da maxsona con quello preesistente.
ETIOPIA 17/12/2005 8.35
VIOLENZE ELETTORALI: INCRIMINAZIONI ANCHE PER GENOCIDIO E TRADIMENTO
Incriminazioni per tradimento, genocidio, attacco all’integrità dello Stato, oltraggio alla Costituzione saranno presto formalizzate contro 131 esponenti dell’opposizione, attivisti dei diritti umani, giornalisti ed editori indipendenti, comparsi oggi davanti all’Alta Corte di Addis Abeba. Lo ha detto la pubblica accusa, che ha chiesto al Tribunale di respingere la richiesta di scarcerazione; il giudice Adil Ahmed ha rinviato la decisione al 21 dicembre. Tra gli imputati vi sono i dirigenti della Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud), il principale partito di opposizione, che accusa il governo di brogli elettorali per le legislative di maggio, vinte dalla formazione politica del controverso primo ministro Melles Zenawi. Il governo di Addis Abeba, da parte sua, accusa l’opposizione di aver organizzato le proteste di strada represse nel sangue dalle forze dell’ordine all’inizio di novembre; gli scontri provocarono non meno di 46 vittime, secondo fonti ufficiali, ma almeno un centinaio di morti secondo le testimonianze della società civile raccolte nella capitale. Oltre ai questi 131 detenuti, ve ne sono almeno altri 3.000, secondo le cifre indicate dallo stesso capo del governo che non sono verificate da fonti indipendenti. Nei giorni successivi agli scontri di fine novembre migliaia di persone sono state prelevate al proprio domicilio e portate in carcere ad Addis Abeba o in basi militari fuori città; la polizia ha affermato di aver liberato finora oltre 8.000 civili ma rimane impossibile conoscere le cifre esatte della repressione governativa. A giugno analoghe proteste contro i presunti brogli – che hanno poi costretto il governo a ripetere il voto in oltre 100 circoscrizioni ad agosto – avevano provocato la morte di oltre 40 civili.
23/12/2005 18.05
ETIOPIA-ERITREA: TENSIONE RESTA ALTA NONOSTANTE ULTIMATUM ONU
“La situazione militare nella zona cuscinetto che divide Etiopia ed Eritrea resta tesa e potenzialmente volatile”: lo hanno detto i vertici della Missione delle Nazioni Unite nei due paesi del Corno d’Africa, precisando che il clima nella Zona di sicurezza temporanea (Tsz) non è mutato. Nella nota, l’Unmee fa sapere che una parte delle truppe etiopi avrebbe avviato un ritiro parziale degli uomini e dei mezzi dispiegati nelle ultime settimane a ridosso della frontiera, come richiesto dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il massimo organo decisionale, la scorsa settimana aveva lanciato un ultimatum (che scadrà questa notte) nei confronti dei due governi chiedendo il ritiro delle truppe dalla zona di confine e invitando Asmara a ritirare le misure adottate nei confronti dei caschi blu e che nelle ultime settimane hanno fortemente limitato le possibilità operative della missione Onu in territorio eritreo. In realtà, nessuno dei due governi africani sembra aver intenzione di rispondere pienamente alle richieste del Palazzo di Vetro, che a questo punto potrebbe prendere, nei prossimi giorni, sanzioni nei confronti di una o di entrambe le parti.
Martedì 27.12.2005, CET 12:07
27 dicembre 2005 11.16
Somalia: Mogadiscio; oppositori creano loro istituzioni
MOGADISCIO - I signori della guerra di Mogadiscio, ed i gruppi di civili che sono al loro fianco, in particolare islamici, ma non solo, hanno dato vita ad un consiglio governativo per l'area della capitale somala, in pratica - nelle intenzioni - un parlamento locale. È composto da 64 persone, ed eleggerà sindaco e vice della città, oltre ad amministrarla completamente.
È un ulteriore passo di rottura - anche se si continua a parlare di negoziati sotterranei - col governo unitario federale di transizione il cui primo ministro, in base alla Costituzione, aveva indicato sindaco e vice di Mogadiscio. Che, tra l'altro siedono nella capitale e, in teoria, vi operano.
Il governo federale ha sede provvisoria a Jowhar, 90 km a nord di Mogadiscio, poichè sostiene che non vi sono ancora le condizioni di sicurezza per portare le istituzioni nella capitale, completamente controllata da potenti signori della guerra, alla testa di milizie numerose e ben armate. Che avevano accettato il nuovo corso - alcuni di loro sono ancora, seppur formalmente, ministri, e di alto lignaggio - per poi rompere all'inizio dell'anno rientrando a Mogadiscio con molti deputati al seguito, tra cui il presidente del Parlamento.
SDA-ATS
(swissinfo.org)
ETIOPIA 28/12/2005 17.11
VIOLENZE ELETTORALI: DIRIGENTI OPPOSIZIONE E SOCIETÀ CIVILE RESTANO IN CARCERE
Resteranno in prigione almeno un’altra settimana i 131 imputati di tradimento, incitamento alla violenza e al genocidio – tra loro esponenti dell’opposizione, attivisti per i diritti umani, giornalisti indipendenti, editori – comparsi oggi davanti alla Corte Federale di Addis Abeba. Lo ha deciso il giudice Adil Ahmed, di fronte al quale gli imputati hanno rifiutato di definirsi colpevoli o innocenti: “L’amministrazione penitenziaria ci ha impedito di incontrare i nostri avvocati e discutere con loro la gravità delle incriminazioni a nostro carico”, ha detto in aula Hailu Shawel, presidente della Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud), il principale partito di opposizione, i cui dirigenti sono stati in gran parte arrestati dopo le proteste anti-governative all’inizio di novembre. Il governo li accusa di aver fomentato le manifestazioni di piazza contro i brogli elettorali delle legislative di maggio, vinte dal partito del controverso primo ministro Meles Zenawi. La scorsa settimana la magistratura aveva reso noto i capi di imputazione, che spaziano dal tradimento al genocidio: in caso di condanna è previsto l’ergastolo o la pena di morte. Oggi il giudice ha rinviato l’udienza al prossimo 4 gennaio, decidendo che per ora i 131 imputati – 36 di loro sono assenti perché all’estero o non ancora arrestati – resteranno nella prigione della capitale. “Siamo persone responsabili che non hanno avuto attività criminali in passato: per questo chiediamo alla corte di garantirci la libertà provvisoria” ha detto uno degli imputati, Yenehe Mulatu, avvocato; alla sbarra c’è anche un ragazzo di 14 anni, che sarà ora sottoposto a un esame medico per verificarne l’età. All’inizio di novembre le forze dell’ordine avevano represso nel sangue le proteste, provocando non meno di 46 vittime (un centinaio secondo la società civile); migliaia di civili – il cui numero resta imprecisato, ma si suppone nell’ordine di 15-20.000 – sono stati arrestati e condotti in campi militari isolati lontano da Addis Abeba. Dure critiche sono state sollevate contro il governo di Zenawi da parte di organismi internazionali, tra cui il Parlamento europeo di Strasburgo, che ha chiesto una commissione d’inchiesta coordinata dall’Onu minacciando sanzioni mirate “contro esponenti del governo dell’Etiopia” in assenza di miglioramenti della situazione dei diritti umani.
ETIOPIA 29/12/2005 13.30
RIFUGIATI ETIOPI IN KENYA ACCUSANO ADDIS ABEBA DI SEQUESTRI DI PERSONA
Per due giorni consecutivi centinaia di rifugiati etiopi hanno protestato davanti alla loro ambasciata a Nairobi accusando le autorità diplomatiche di aver rapito connazionali per rimpatriarli con la forza in Etiopia; lo si apprende dalla pagine del quotidiano keniano ‘Daily Nation’. I rifugiati, tutti appartenenti all’etnia Oromo, sostengono che domenica scorsa una sessantina di loro sono stati prelevati da presunti agenti governativi dalle loro abitazioni nella tenuta di Eastleigh con la scusa di partecipare a un matrimonio. Il gruppo sarebbe stato invece portato nell’ambasciata etiope, ma alcuni rifugiati sono riusciti a scappare e a raccontare l’accaduto. Il resto dei ‘rapiti’ sarebbe stato trasferito in luoghi sconosciuti. Sempre secondo i dimostranti, martedì un ex-pilota etiope e altri tre connazionali sarebbero stati sequestrati dalle loro case a Eastleigh. L’ambasciata etiope nega ogni addebito, ma i rifugiati hanno chiesto al governo di Nairobi di aprire un’inchiesta. Preoccupazione per le affermazioni fatte dai profughi è stata espressa dall’ufficio keniano dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr/Acnur), che chiede si faccia chiarezza sulle accuse. In patria il popolo Oromo, che rappresenta circa la metà della popolazione etiope, è in aperto contrasto con il governo controllato da un elite originaria della regione del Tigrai. Queste tensioni si sarebbero acuite dopo le ultime controverse elezioni e le violenze che ne sono seguite.
AFRICA 29/12/2005 15.03
ETIOPIA - ERITREA: YEMEN SI OFFRE COME MEDIATORE
Il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh ha proposto una mediazione per tentare di abbassare la tensione tra Etiopia ed Eritrea, in occasione del Vertice che riunisce in questi giorni a Aden i paesi del Corno d’Africa. Come riportato dall’agenzia ufficiale Saba, Saleh ha espresso la volontà dello Yemen di facilitare il dialogo tra le parti e contribuire “alla stabilizzazione della regione”. Il capo dello Stato ha fatto appello a Etiopia ed Eritrea, già in guerra dal 1998 al 2000, affinché “evitino inutili dispendi di energia”. Intervenendo in merito ad altri temi dell’agenda del Summit, a cui Asmara non partecipa, Saleh ha detto anche che il suo governo “segue con molto interesse gli sviluppi nella nostra regione, soprattutto in Sudan e Somalia” e ha esortato la comunità internazionale “a sostenere gli sforzi di pace e la lotta contro il terrorismo”. Da qualche mese le relazioni tra Etiopia ed Eritrea si sono nuovamente deteriorate, facendo temere il possibile scoppio di un nuovo conflitto. La missione dei ‘caschi blu’ nei due paesi (Unmee) ha avvertito che “la situazione militare nella zona cuscinetto...resta tesa e potenzialmente volatile”, sebbene una parte delle truppe etiopi dispiegate a ridosso della frontiera avrebbe avviato un ritiro parziale degli uomini e dei mezzi dalla zona, come richiesto dal Consiglio di Sicurezza Onu.
ETIOPIA 29/12/2005 15.59
REPRESSIONE CONTRO OPPOSIZIONE E SOCIETÀ CIVILE POTREBBE COSTARE CARA
I donatori internazionali potrebbero sospendere aiuti economici all’Etiopia fino a 317 milioni di euro dopo la repressione governativa contro esponenti dell’opposizione e della società civile, arrestati a centinaia all’inizio di novembre in seguito proteste di piazza. Lo scrive oggi il ‘Financial Times’ in una corrispondenza da Nairobi, citando fonti diplomatiche occidentali. “A causa della situazione si è abbassata la fiducia” verso il governo di Addis Abeba, ha detto un funzionario, spiegando che “si stanno valutando soluzione finanziarie alternative”. Tra i donatori vi sono Unione Europea, Gran Bretagna e Banca Mondiale. A novembre almeno 46 persone (un centinaio secondo la società civile) sono state uccise dalle forze dell’ordine nella capitale Addis Abeba e migliaia sono state arrestate in seguito a dimostrazione anti-governative per i brogli alle legislative del maggio scorso, vinte dal partito del controverso primo ministro Meles Zenawi. Tre giorni fa, in un’intervista al quotidiano governativo “The Herald”, il ministro degli Esteri dell’Etiopia, Tekeda Alemu, aveva dichiarato: “Non credo che ci sarà alcun impatto negativo sulle relazioni politiche ed economiche con i nostri partner” dopo le gravi violenze che – secondo le autorità di Addis Abeba – sono state organizzate dal principale partito di opposizione (Coalizione per l'unità e la democrazia, Cud) e dalla diaspora. Circa un centinaio di esponenti della Cud, giornalisti ed editori indipendenti, intellettuali e attivisti dei diritti umani sono in carcere con le accuse di tradimento, genocidio e istigazioni alla violenza, punibili con la pena di morte; altre migliaia di civili - il loro numero non è chiaro - sono ancora trattenuti in carcere dalle autorità senza alcun provvedimento giudiziario né formale incriminazione.
ETIOPIA 31/12/2005 7.29
AIUTI SOSPESI PER VIOLENZE SU OPPOSIZIONE, REAZIONE DI ADDIS ABEBA
Economia e Politica, Brief
“L’impatto di questa decisione sarà insignificante, benché saranno i poveri a rimetterci”: così ha risposto il ministro delle Finanze dell’Etiopia, Sufyan Ahmed, all’ipotesi dei donatori internazionali di sospendere aiuti economici diretti per 315 milioni di euro in segno di protesta contro la repressione attuata dal governo di Addi Abeba nei confronti dell’opposizione e della società civile. Il taglio agli aiuti, ha aggiunto, “per noi è inaccettabile, ma è una loro prerogativa”. Secondo il ministro, il sostegno finanziario garantito dalla comunità internazionale costituisce circa il 10% dell’intero bilancio statale. La Gran Bretagna, l’Unione Europea e la Banca Mondiale sono i principali donatori: dopo aver chiesto un cambio nella politica del primo ministro Meles Zenawi – che ha fatto arrestare migliaia di persone dopo manifestazioni anti-governative a novembre, tra cui i vertici del primo partito d’opposizione - negli ultimi giorni hanno minacciato di interrompere l’erogazione di aiuti. Mercoledì scorso 129 esponenti dell’opposizione, intellettuali, attivisti dei diritti umani, giornalisti ed editori indipendenti sono stati tenuti in carcere con incriminazione che comprendono tradimento e genocidio; altre migliaia di persone erano state arrestate dall’inizio di novembre, in seguito a manifestazioni anti-governative di protesta per brogli elettorali alle legislative di maggio. In quell’occasione la reazione delle forze di polizia hanno provocato non meno di 46 morti (secondo il bilancio ufficiale, un centinaio secondo fonti indipendenti); altri 40 civili erano stati uccisi in analoghe circostanze a giugno.
ETIOPIA 31/12/2005 7.29
AIUTI SOSPESI PER VIOLENZE SU OPPOSIZIONE, REAZIONE DI ADDIS ABEBA
“L’impatto di questa decisione sarà insignificante, benché saranno i poveri a rimetterci”: così ha risposto il ministro delle Finanze dell’Etiopia, Sufyan Ahmed, all’ipotesi dei donatori internazionali di sospendere aiuti economici diretti per 315 milioni di euro in segno di protesta contro la repressione attuata dal governo di Addi Abeba nei confronti dell’opposizione e della società civile. Il taglio agli aiuti, ha aggiunto, “per noi è inaccettabile, ma è una loro prerogativa”. Secondo il ministro, il sostegno finanziario garantito dalla comunità internazionale costituisce circa il 10% dell’intero bilancio statale. La Gran Bretagna, l’Unione Europea e la Banca Mondiale sono i principali donatori: dopo aver chiesto un cambio nella politica del primo ministro Meles Zenawi – che ha fatto arrestare migliaia di persone dopo manifestazioni anti-governative a novembre, tra cui i vertici del primo partito d’opposizione - negli ultimi giorni hanno minacciato di interrompere l’erogazione di aiuti. Mercoledì scorso 129 esponenti dell’opposizione, intellettuali, attivisti dei diritti umani, giornalisti ed editori indipendenti sono stati tenuti in carcere con incriminazione che comprendono tradimento e genocidio; altre migliaia di persone erano state arrestate dall’inizio di novembre, in seguito a manifestazioni anti-governative di protesta per brogli elettorali alle legislative di maggio. In quell’occasione la reazione delle forze di polizia hanno provocato non meno di 46 morti (secondo il bilancio ufficiale, un centinaio secondo fonti indipendenti); altri 40 civili erano stati uccisi in analoghe circostanze a giugno.
AFRICA 5/1/2006 21.31
ETIOPIA-ERITREA: ASMARA ACCETTA “COLPA” DELLA GUERRA MA NON CONDIVIDE
Asmara “non condivide” ma comunque accetta il verdetto della commissione internazionale per l’arbitrato tra Etiopia ed Eritrea con sede all’Aja, che ha attribuito all’Eritrea la responsabilità dell’avvio delle ostilità nella guerra del 1998-2000 tra i due paesi del Corno d’Africa. Lo rende noto il ministero degli Esteri eritreo nella prima dichiarazione ufficiale dopo la sentenza del 19 dicembre; la Commissione internazionale ‘ad hoc’, istituita dagli accordi di pace di Algeri, aveva stabilito che l’attacco dell’Eritrea contro le città di confine etiopi nel maggio del 1998 non è giustificabile come autodifesa in base alla Carta dell’Onu. Di conseguenza Asmara dovrà pagare ad Addis Abeba compensazioni che non sono state ancora definite. Affermando di voler rispettare il verdetto - benché non convinta della validità delle prove a suo carico - l’Eritrea ha comunque sottolineato che l’Etiopia ancora si rifiuta di applicare la demarcazione dei confini decisa dalla medesima commissione nel 2002. Il governo di Asmara è inoltre tornato ad accusare l’Onu, che a suo dire non si attiva per far rispettare il verdetto ad Addis Abeba; a ottobre l’Eritrea ha deciso di limitare l’attività della missione di pace dell’Onu tra i due paesi e poche settimane fa ha deciso l’espulsione di una parte del contingente internazionale. Secondo il nuovo confine, all’Eritrea andrebbe la città di Badme, una rinuncia a cui Addis Abeba non sembra ancora rassegnarsi. Nel parere espresso dalla Commissione per l’arbitrato si diceva inoltre che, durante il conflitto, anche l’Etiopia aveva violato la legge internazionale per i danni provocati alle città eritree durante l’occupazione militare.
AFRICA 10/1/2006 10.25
ETIOPIA-ERITREA: USA TENTANO NUOVA MEDIAZIONE
L’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ha annunciato una missione diplomatica Usa di alto livello per cercare di dissipare le rinnovate tensioni tra Etiopia ed Eritrea. La delegazione, il cui invio è stato “salutato con piacere” anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sarà guidata dal vice-segretario di Stato per l’Africa, Jendayi Frazer, e intende far raggiungere ai due paesi del corno d’Africa un accordo per “l’avvio del processo di demarcazione della frontiera comune”. Per facilitare il lavoro dei mediatori a stelle e strisce, l’ambasciatore Usa al Palazzo di Vetro ha chiesto al Consiglio di sicurezza di congelare per 30 giorni ogni pronunciamento sulla contesa tra Etiopia ed Eritrea e rimandare al mese prossimo ogni decisione sullo status quo della Missione Onu (Unmee) dispiegata tra i due paesi. In questi giorni il massimo organo decisionale avrebbe dovuto approvare una nuova risoluzione per condannare le misure prese dall’Eritrea nei confronti dei caschi blu e il dispiegamento di truppe di entrambi i governi a ridosso del confine. Il nuovo documento, secondo indiscrezioni, potrebbe anche contenere importanti modifiche ai compiti e alla conformazione della Unmee. Intanto Asmara nelle ultime ore è tornata a condannare la non azione dell’Onu, accusato da mesi di non costringere Addis Abeba a rispettare gli impegni presi e avviare la demarcazione del confine come disegnato da un arbitrato indipendente.
AFRICA 11/1/2006 18.13
ETIOPIA – ERITREA: SEGNALI POSITIVI, DIMINUISCE TENSIONE AL CONFINE
Per la prima volta dopo mesi di crescente tensione si è registrata una significativa diminuzione degli incidenti al confine tra Etiopia ed Eritrea, in seguito alla riduzione della presenza militare dei due Paesi a ridosso della frontiera. Lo ha detto oggi il comandante della locale missione Onu (conosciuta come Unmee), il generale indiano Rajender Singh. “Non sto dicendo che non c’è più tensione, ma se ne registra di meno, ovviamente perché è stata ridotta la presenza militare lungo i confini” ha aggiunto l’ufficiale nel consueto appuntamento settimanale con la stampa. Asmara ed Addis Abeba hanno richiamato una parte delle truppe dopo la minaccia di sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Secondo gli osservatori militari dell’Unmee, l’Etiopia avrebbe allontanato i propri soldati dalla zona di frontiera già tre settimane fa, mentre l’Eritrea ha “drasticamente ridotto” i movimenti di truppe all’interno della cosiddetta zona-tampone di circa 1.000 chilometri che separa in modo temporaneo i due Paesi. Nel 2000, al termine di una sanguinosa guerra di confine costata oltre 70.000 morti, era stato assegnato a una commissione internazionale la demarcazione dei confini definitivi, che però – malgrado un pronunciamento del 2002 – l’Etiopia continua a rifiutare. L’Eritrea, da parte sua, a ottobre dell’anno scorso ha introdotto un divieto di volo agli elicotteri Onu, che limita fortemente l’attività della missione di pace.
ERITREA 3/3/2006 9.43
ANNAN CHIEDE LIBERTÀ DI MOVIMENTO PER SOLDATI MISSIONE ONU
Un’urgente richiesta di eliminare le restrizioni alla libertà di movimento dei ‘caschi blu’ della locale missione di pace dell’Onu, è stato rivolto dal segretario generale Kofi Annan all’Eritrea dopo la morte di un soldato indiano del contingente internazionale che non ha potuto essere trasportato in tempo in una struttura sanitaria. Kamble Ramesh Annappa, un militare indiano della missione ‘Unmee’ (United nations mission in Ethiopia and Eritrea), è morto dopo un attacco cardiaco nella città di Adigrat, in territorio etiopico a ridosso del confine tra i due Paesi, da dove in 45 minuti avrebbe potuto essere trasferito nella capitale eritrea Asmara; invece è deceduto poco dopo l’arrivo ad Addis Abeba, a 12 ore dal malore. “A causa delle inammissibili restrizioni imposte dall’Ertirea, l’evacuazione del soldato in un ospedale ha richiesto l’uso di un percorso più lungo”, ha detto Annan attraverso il suo portavoce. A ottobre del 2005 l’Eritrea ha introdotto un bando per gli elicotteri dell’Onu, in segno di protesta contro l’ “inerzia” della comunità internazionale di fronte al rifiuto dell’Etiopia di accettare la demarcazione del confine tra i due Paesi del Corno d’Africa, decisa da una commissione internazionale dopo la guerra del 1998-2000. Nessun commento, per ora, da parte del governo di Asmara.
ETIOPIA-ERITREA: SITUAZIONE AL CONFINE ANCORA “TESA”
Resta “tesa” la situazione militare al confine tra Etiopia ed Eritrea: lo hanno detto i responsabili della Missione delle Nazioni Unite (Unmee) nel consueto rapporto settimanale, in cui si precisa che “nuovi movimenti di truppe sono stati notati da entrambi i lati della frontiera”. A causa delle restrizioni imposte dal governo di Asmara, continua la nota dell’Unmee, sono state recentemente soppressi alcuni pattugliamenti notturni lungo la zona cuscinetto che divide i due paesi. I caschi blu del centro per il coordinamento delle azioni contro le mine, l’ufficio incaricato di guidare le operazioni di bonifica dei terreni di frontiera e dei campi minati dei tempi della guerra, hanno riferito di un “incidente” che fortunatamente non pare aver causato vittime, ma su cui, dopo le prime indagini preliminari, si è deciso di procedere a indagini più approfondite. Da alcuni mesi, i funzionari della Unmee ribadiscono le difficoltà per la missione Onu di fornire maggiori dettagli e numeri precisi sui movimenti di truppe a causa delle restrizioni imposte che avrebbero limitato la capacità d’osservazione dei caschi blu del 60%. Da mesi ormai il dialogo tra i governi di Asmara e Addis Abeba si è completamente arenato, nonostante la Commissione indipendente istituita dall'Onu abbia tracciato in maniera "definitiva e irrevocabile" i nuovi confini tra i due Paesi. Se da un lato l’Etiopia non intende riconoscere le decisioni della Commissione, dall’altro l’Eritrea ha fatto sapere di non voler più discutere di una questione che considera conclusa.
SOMALIA 25/3/2006 16.01
NUOVI SCONTRI CON VITTIME A MOGADISCIO
Sarebbe di almeno 20 morti e 26 feriti il bilancio degli scontri odierni a Mogadiscio dove, secondo fonti citate dalla ‘France Press’, centinaia di uomini pesantemente armati, presumibilmente al soldo dei signori della guerra, avrebbero lanciato un’offensiva per prendere il controllo di un porto e di una pista d’atterraggio nei situati nei dintorni della capitale somala, scontrandosi con almeno 300 miliziani islamici. Secondo testimoni locali, i cadaveri di almeno una ventina di miliziani sarebbero stati ritrovato in diversi punti, nei quali si sarebbero svolte le fasi più salienti dei combattimenti. Con le vittime di oggi, i caduti negli ultimi quattro giorni di combattimenti sarebbero almeno 93(ai 60 morti dei primi due giorni di combattimenti vanno infatti aggiunti anche i 13 di ieri), mentre resta imprecisato il bilancio dei feriti. Da alcuni giorni sono in corso scontri che vedono contrapposti gli interessi dei signori della guerra e dei gruppi integralisti islamici. Lo scorso febbraio i clan ‘tradizionali’ dei signori della guerra hanno stretto un’alleanza proprio per contrastare i gruppi islamici, che vogliono restaurare l’ordine nel Paese basandolo sulla Sharia.
ERITREA 1/4/2006 11.23
ASMARA INSISTE SU DEMARCAZIONE DEI CONFINI
La demarcazione dei confini con l’Etiopia resta il principale obiettivo della presenza dei soldati del contingente internazionale al confine tra i due Paesi del Corno d’Africa: lo ha detto il presidente dell’Eritrea Isaias Afewerki incontrando il rappresentante del segretario generale Onu, Legwaila Joseph Legwaila, capo della missione di pace (conosciuta con ,’acronimo Unmee). L’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza da Addis Abeba nel 1993 dopo trent’anni di guerra civile, ma i circa mille chilometri di confine non sono mai stati definiti; nel 1998-2000 si è combattuto un altro conflitto, che ha provocato oltre 70.000 vittime, al termine del quale gli Accordi di Algeri hanno disposto la creazione di un’apposita Commissione internazionale per la demarcazione della frontiera comune. Afewerki – secondo quanto riporta il sito ufficiale dell’Eritrea, un paese dove la libertà di stampa è fortemente limitata e non esistono giornali indipendenti – ha ricordato al diplomatico dell’Onu che il suo governo non intende accettare il ruolo di chi vuole contravvenire agli Accordi di Algeri. Nel 2002 la Commissione ha definito il confine, che però non è mai stato tracciato; di questo ritardo l’Eritrea accusa l’Onu, mentre l’Etiopia ha in passato rifiutato la decisione internazionale. Di recente sono stati avviati colloqui a Londra per attenuare il braccio di ferro diplomatico tra Asmara e Addis Abeba, che intanto hanno ammassato truppe vicino alla frontiera. Due settimane fa il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione che rinnova solo per un mese la missione dell’Unmee e invita le due parti ad accettare pienamente la decisione adottata dalla Commissione internazionale, chiedendo anche maggiore libertà di movimento per i ‘caschi blu’, che l’Eritrea ha invece limitato nei mesi scorsi con alcuni provvedimenti. [PIME]
SOMALIA 3/4/2006 13.11
MOGADISCIO SI PREPARA A NUOVI SCONTRI
Resta alta la tensione a Mogadiscio, teatro la scorsa settimana di intensi combattimenti. Lo riferiscono fonti locali, precisando che la popolazione si sta preparando a una nuova ripresa delle violenze, dal momento che i tentativi di negoziati avviati nei giorni scorsi da gruppi di anziani sembrano destinati a cadere nel vuoto. Secondo le informazioni raccolte, la gente starebbe facendo scorta di beni di prima necessità, di carburante (indispensabile per i generatori elettrici oltre che per i veicoli) e di armi. Una conferma di questo fenomeno sembrerebbe arrivare dall’impennata che nei mercati di Mogadiscio hanno fatto registrare i prezzi di armi e benzina. Intanto le parti – le cosiddette Corti Islamiche da un lato e dall’altro la sedicente 'Alleanza per la restaurazione della pace e contro il terrorismo' (Arpct), la coalizione di 'signori della guerra' locali creata appena un mese fa per contrastare l'influenza delle 'Corti’– sono impegnate a rafforzare le rispettive posizioni attraverso la creazione di blocchi stradali lungo alcune delle principali arterie della città. Secondo fonti giornalistiche locali, il quartiere commerciale di Mogadiscio, Hamer Weyne, sarebbe ormai completamente isolato e controllato in entrata e in uscita da una milizia locale alleatasi con le Corti. I primi combattimenti tra i due contendenti sarebbero avvenuti già alla metà di gennaio, ma la ‘Guerra di Mogadiscio’ vera e propria, come qualcuno l’ha ribattezzata, è iniziata lo scorso mese dopo che alcuni influenti personaggi della capitale, appoggiati dagli Stati Uniti, hanno costituito l’Arpct proprio con l’obiettivo di cacciare le Corti islamiche dalla città. Secondo le stime in circolazione, i combattimenti del mese scorso hanno causato la morte di quasi 90 persone. [PIME]
SOMALIA 4/4/2006 5.13
UN PAESE DA RICOSTRUIRE, POLIZIOTTI “A SCUOLA” IN KENYA
Nel tentativo di riorganizzare le forze dell’ordine indispensabili a garantire la sicurezza nel paese, privo di istituzioni da 15 anni, un contingente di 200 ufficiali di polizia seguirà corsi di formazione in Kenya: lo ha detto il presidente Abdullahi Yusuf durante una visita a Nairobi. In questi giorni inizia il programma di addestramento curato dalla polizia keniana: per Yusuf si tratta di una “tappa fondamentale” per accelerare il ritorno all’ordine in Somalia che, dal 1991, anno della fuga del dittatore Siad Barre, vive in un clima di caos e anarchia. Incontrando il suo omologo keniano Mwai Kibaki, il presidente ad interim lo ha ringraziato per il sostegno al processo di pace; gli ha anche chiesto di assicurare che all’ambasciatore keniano in Somalia sia permesso di aprire una sede sul posto, rafforzando così le relazioni dirette tra i due paesi confinanti del Corno d’Africa. La situazione della sicurezza è migliore nelle due regioni somale settentrionali del Puntland e del Somaliland – quest’ultimo semi-autonomo dal 1991 ma mai riconosciuto dalla comunità internazionale – dove esistono già polizia, magistratura e un’amministrazione in grado di grado di garantire un’ordinata gestione del territorio.
SOMALIA 5/4/2006 14.21
RIAPERTA AMBASCIATA SOMALA IN ETIOPIA
Il governo di transizione somalo ha ufficialmente aperto la propria ambasciata (la prima dal suo insediamento) ad Addis Abeba, in Etiopia. Lo ha annunciato la televisione etiope, precisando che la cerimonia per la riapertura della rappresentanza diplomatica (chiusa 15 anni fa dopo la caduta del regime di Siad Barre e la conseguente anarchia somala) è stata guidata ieri dal ministro degli Esteri etiope, Seyoum Mesfin, e dal primo ministro Somalo, Ali Mohamed Gedi. “L’apertura di questa ambasciata mostra con chiarezza la fine dell’epoca di oscurità in cui la popolazione somala è stata costretta a vivere gli ultimi anni” ha detto il ministro Mesfin, chiedendo ai somali di non ripetere gli errori commessi negli ultimi 15 anni. Il primo ministro Gedi ha invece sottolineato che l’apertura della rappresentanza diplomatica “segna l’inizio di una nuova integrazione e di nuove relazioni di buon vicinato e di cooperazione tra i due paesi”
ERITREA 8/4/2006 7.35
RITORNANO A CASA PROFUGHI DELLA GUERRA CON L’ETIOPIA
Otto anni dopo aver abbandonato le proprie case per la guerra di frontiera con l’Etiopia, circa seimila sfollati eritrei stanno facendo ritorno nei propri villaggi nella zona di Akran. Lo scrive un giornale governativo, rompendo il tradizionale silenzio delle autorità di Asmara su numeri e cifre relative al rientro dei profughi interni, coinvolti nel conflitto che tra il 1998 e il 2000 provocò oltre 70.000 vittime su entrambi i fronti. Secondo un funzionario governativo citato dal giornale, una volta tornati nei propri villaggi – in precedenza “saccheggiati e distrutti” – potranno dedicarsi alle attività agricole “in vista della stagione dei raccolti”. Si calcola che circa 1,1 milioni di eritrei, su una popolazione di meno di 4 milioni, siano stati costretti a lasciare le proprie abitazioni durante il conflitto. Secondo stime diffuse relative all’inizio del 2006, ancora 50.000 eritrei non vivono nei villaggi di origine. Una Commissione internazionale, prevista dagli accordi di pace che hanno posto fine al conflitto, ha definito il confine, che però non è stato mai tracciato, malgrado la presenza di una missione di osservazione dell’Onu con l’incarico di vigilare la tregua tra i due Paesi del Corno d’Africa. La mancata demarcazione dei circa mille chilometri di frontiera ha alimentato forti tensioni tra Asmara ed Addis Abeba che – su sollecitazione della comunità internazionale – hanno di recente avviato colloqui per risolvere la controversia in modo pacifico.
SOMALIA 12/4/2006 12.55
AGGREDITI ESPERTI IN RICERCA RIFIUTI TOSSICI
Una persona è stata uccisa durante l’aggressione di uomini armati a un gruppo di operatori di un’organizzazione locale impegnati nella ricerca di rifiuti tossici lungo la costa somala nei pressi del villaggio di Lugoshow, nella regione meridionale della Middle Juba, a sud di Mogadiscio. Uno di loro, Abdukadir Isse, è stato colpito a morte: la MISNA lo ha appreso oggi da fonti somale; gli assalitori avrebbero anche rubato una vettura dell’organizzazione. Stando alle prime ipotesi, si tratterebbe di un'aggressione finalizzata al furto. La vittima faceva parte di un gruppo di 13 somali che a gennaio aveva seguito a Mogadiscio un corso di specializzazione sulla ricerca di scorie chimiche e nucleari promosso dall’associazione locale ‘Dbg’ (Daryeel Bulsho Guud che in somalo significa ‘La comunità si prende cura di tutti’), nata alcuni anni fa su iniziativa dell’organizzazione ‘Diakonie’, della chiesa evangelica tedesca. Nel primo progetto di questo genere in Africa, esperti stranieri avevano insegnato tecniche per la ricerca di materiali tossici lungo le coste somale. Secondo alcuni rapporti di organismi internazionali, lo Tsunami del dicembre 2004 – che in Somalia provocò alcune vittime – avrebbe anche fatto riaffiorare fusti contenenti pericolose scorie chimiche di varia natura. Da anni circolano inoltre servizi giornalistici secondo i quali sia le coste che alcune zone dell’ex-colonia italiana sarebbero stati usati come ‘cimiteri’ di scorie chimiche, in parte all’epoca del dittatore Siad Barre e soprattutto nei successivi 15 anni di guerra civile e anarchia.
SOMALIA 12/4/2006 16.18
BAIDOA: ALTRA SPARATORIA A POSTO DI BLOCCO
Almeno 4 persone sono morte alle porte di Baidoa, nella zona centro meridionale della Somalia, in un conflitto a fuoco che ha coinvolto anche alcuni miliziani considerati vicini al presidente somalo Abdullahi Yusuf. La MISNA lo ha appreso da fonti somale le quali precisano che la sparatoria è esplosa ieri quando un gruppo di miliziani agli ordini del presidente Yusuf ha lasciato la città, dove siede il neonato parlamento somalo, per recasi nella città di Wajid forzando uno dei tanti posti di blocco presenti lungo le strade del paese. Secondo le informazioni disponibili, gli uomini di Yusuf avrebbero attraversato il posto di blocco senza pagare la ‘gabella’ alle forze che lo controllavano, scatenando una scaramuccia conclusasi con la morte di due degli armati di guardia al check point. Gli appartenenti al gruppo che controllava la zona si sono poi lanciati all’inseguimento del convoglio di veicoli degli uomini di Yusuf con i quali hanno ingaggiato un’intensa sparatoria in cui altre due persone sono morte e 3 sono rimaste ferite. Due giorni fa un episodio analogo era avvenuto tra gli armati che controllavano un altro posto di blocco di Baidoa e gli uomini di scorta a un convoglio di aiuti umanitari del Programma alimentare mondiale (Pam), l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite. Nella sparatoria tre persone sono morte e nove sono rimaste ferite.
SOMALIA 13/4/2006 18.47
BAIDOA: PRESIDENTE, CLAN DEVONO GARANTIRE SICUREZZA
Garantire la sicurezza nella città sud-occidentale di Baioda, sede provvisoria del Parlamento somalo, e porre fine agli scontri tra clan rivali nella zona: sono stati i temi al centro di una lunga riunione che oggi per la prima volta ha riunito i vertici istituzionali somali – presidente, primo ministro, capo del Parlamento - e i rappresentanti dei clan Digil e Mirifle, protagonisti di violenti scontri nei giorni scorsi; la MISNA lo ha appreso da fonti locali. “Se non siete in grado di gestire un’amministrazione nella vostra regione, dovremo interferire agendo d’autorità al vostro posto” ha detto il presidente Adbulahi Yusuf ai capi dei due clan, invitandoli a garantire al più presto un adeguato livello di sicurezza nella regione. Due giorni fa almeno 4 persone erano rimaste uccise alle porte di Baidoa, nella zona centro meridionale della Somalia, in un conflitto a fuoco che ha coinvolto anche alcuni miliziani considerati vicini allo stesso presidente somalo; all’inizio della settimana, un altro scontro aveva coinvolto miliziani locali a un posto di blocco di Baidoa e gli uomini di scorta a un convoglio di aiuti umanitari del Programma alimentare mondiale (Pam), l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite, con 3 morti e una decina di feriti. La sicurezza resta il principale problema della Somalia in questa complessa fase post-bellica; su questo tema, nei giorni scorsi è stata creata un’apposita commissione parlamentare. Intanto, dalla regione di Gedo – una delle più colpite dalla siccità che da mesi flagella il Corno d’Africa – si apprende che numerosi posti di blocco illegali sarebbero stati rimossi nel distretto di Luq. La diffusa insicurezza sta ostacolando anche le operazioni umanitarie a favore delle popolazioni più colpite dalla carenza di piogge.
KENIA 15/4/2006 12.38
TENSIONE PER ATTACCHI E RAZZIE IN VILLAGGI A CONFINE ETIOPIA
Centinaia di persone hanno cercato riparo in scuole e altri edifici nei villaggi del distretto di Marsabit, al confine con l’Etiopia, dopo che nei giorni scorsi un migliaio di insorti etiopi ha attraversato il confine e fatto razzia, portando con sé molta refurtiva e ostaggi. Lo ha riferito l’emittente televisiva keniana ‘Ntv’, che ha intervistato testimoni dell’attacco, secondo cui almeno migliaia di capi bestiame sarebbero stati rubati alla popolazione keniana, che vive di pastorizia ed è difesa dalle incursioni dei predoni etiopi solo da un pugno di guardie di confine. Gli insorti sarebbero penetrati in Kenya provenienti dal distretto etiope meridionale di Yabelo, dove sarebbero poi tornati dopo la razzia. Le autorità di Nairobi hanno reso noto di aver già protestato con quelle etiopi per l’ennesimo assalto subito dalla popolazione di confine e hanno allo stesso tempo promesso ai pastori keniani di fare il possibile per recuperare gli animali rubati e le persone rapite, creando le condizioni nella zona per vivere in sicurezza. L’attacco giunge pochi giorni dopo lo svolgimento di un incontro in Etiopia tra le autorità dei due Paesi proprio per tentare di risolvere il problema della violenza lungo i comuni confini, che negli ultimi mesi si sono moltiplicati soprattutto a causa della grave siccità e conseguente carestia che interessa l’Africa australe e soprattutto la zona a cavallo dei confini comuni tra Kenya, Somali ed Etiopia.
ETIOPIA 19/4/2006 9.30
UNA NUOVA ESPLOSIONE NELL’OVEST DEL PAESE
Tre persone sono morte e 37 sono rimaste ferite per un’esplosione avvenuta all’interno di un mercato nella città di Gedo, 150 chilometri ad ovest di Addis Abeba. L’episodio è avvenuto sabato scorso, anche se la notizia è stata diffusa solo ieri dalla televisione di stato etiope. Secondo le poche informazioni in circolazione, il mercato era affollato di gente al momento della deflagrazione. La televisione non ha fornito ulteriori particolari sull’accaduto, salvo ricollegare l’esplosione di Gedo alle altre avvenute negli ultimi mesi nel paese. A marzo (alla fine e all’inizio del mese) una serie di esplosioni ha scosso la capitale etiope Addis Abeba causando la morte di almeno 6 persone, mentre a gennaio alcuni ordigni esplosivi hanno causato danni a vari edifici governativi ed esercizi commerciali sempre nella principale città del paese. In quelle occasioni le autorità etiopi hanno puntato il dito contro un gruppo “terrorista” vicino al principale partito d’opposizione del paese, che ha sempre rigettato le accuse. Resta alta, comunque, la tensione politica interna per i difficili rapporti tra le autorità e l’opposizione, dopo le oltre 80 vittime della repressione delle forze dell’ordine a giugno e novembre 2005, dopo le proteste per i brogli elettorali; un numero imprecisato di civili è ancora in prigione senza alcuna accusa formale (oltre 9.000 sono stati rilasciati ma non è chiaro quanti vennero arrestati a novembre dell’anno scorso) mentre altre 300 persone – tra loro esponenti dell’opposizione, attivisti per i diritti umani, giornalisti ed editori indipendenti – devono rispondere tra l’altro, di attentato alla sicurezza dello Stato e genocidio.
ERITREA 19/4/2006 17.21
ASMARA NON CEDE, MANTERRÀ RESTRIZIONI A MISSIONE INTERNAZIONALE
Il governo di Asmara non toglierà le restrizioni di movimento imposte mesi fa ai soldati della missione di pace dell’Onu in Etiopia ed Eritrea (conosciuta come Unmee): lo ha affermato Yemane Gebremeskel, capo di gabinetto del presidente Isaias Afewerki, citato oggi dalla stampa africana. La scorsa settimana il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva minacciato - in caso di mantenimento delle attuali limitazioni da parte eritrea – di ‘degradare’ a semplice ‘missione di osservazione’ l’attuale contingente schierato per monitorare la tregua tra i due Paesi del Corno d’Africa. “La nostra posizione è chiara e non cambia” ha affermato il portavoce, spiegando che la risoluzione Onu 1640 – approvata a Palazzo di vetro nel novembre scorso - si basa su premesse sbagliate. In quel documento, il Consiglio di sicurezza ipotizzava già sanzioni economiche e diplomatiche contro l’Eritrea a causa delle restrizioni ai caschi blu della missione Onu - tra cui il divieto di sorvolo di elicotteri. Il presidente eritreo Afewerki ha di recente ribadito che la demarcazione dei confini con l’Etiopia resta il principale obiettivo della presenza dei soldati dell’Onu al confine tra i due Paesi. Un’apposita commissione internazionale – prevista dagli accordi di pace che nel 2000 posero fine al sanguinoso conflitto, dopo due anni di combattimenti e oltre 70.000 morti – ha da tempo definito i circa 1.000 chilometri di frontiera comune, che non sono mai stati tracciati a causa dell’opposizione dell’Etiopia.
OMALIA 20/4/2006 16.53
MOGADISCIO: CIVILI IN FUGA, TIMORE DI NUOVI SCONTRI
Sarebbero ormai centinaia i civili che negli ultimi giorni hanno abbandonato le proprie case in alcuni quartieri di Mogadiscio nel timore di nuovi scontri tra i ‘signori della guerra’ e le milizie islamiche: la MISNA lo ha appreso oggi da fonti locali. Nel mese di marzo almeno una sessantina di persone – fino a 80 secondo alcuni bilanci – sono rimaste uccise a causa dei più violenti combattimenti registrati negli ultimi anni nella capitale somala. Numerose famiglie hanno lasciato il quartiere meridionale di Daynile, roccaforte di Kanyare Afrah, uno dei principali warlord di Mogadiscio, che ricopre – almeno sulla carta – l’incarico di ministro della sicurezza del governo ad interim. Nelle scorse settimane intensi scontri si sono verificati in questa parte della città – che di fatto è frammentata in piccoli ‘feudi’ - per il controllo del piccolo aeroporto. Ogni giorno – come la MISNA ha appreso - atterrano piccoli aerei commerciali provenienti dal Kenya con i carichi di khat, la ‘droga dei poveri’ molto diffusa in Somalia, il cui commercio alimenta tensioni e combattimenti tra clan rivali. Fonti giornalistiche locali riferiscono oggi che i due principali mercati di armi di Mogadiscio hanno registrato vendite significative negli ultimi giorni, tanto da rinforzare i timori di nuove battaglie. La capitale è contesa tra una sedicente ‘Alleanza per la pace e il controterrorismo’ – che raggruppa diversi clan, gruppi di commercianti e trafficanti – e le cosiddette ‘corti islamiche’, che in un’intervista pubblicata oggi da un sito locale smentiscono di avere legami con le reti terroristiche internazionali. La contesa riguarda soprattutto il controllo della ‘Esaley airstrip’ – striscia di terra che consente l’atterraggio di aerei - e del porto di El Maan, a nord della città: sono le uniche ‘infrastrutture’ rimaste operative dopo 15 anni di guerra e anarchia, indispensabili per gestire i traffici leciti e illeciti di ogni tipo.
[EB]
AFRICA 28/4/2006 15.55
ETIOPIA-ERITREA: ANNULLATA RIUNIONE PER DEMARCAZIONE CONFINI
É saltata la riunione prevista oggi a Londra (Gran Bretagna) della Commissione Etiopia-Eritrea per la demarcazione dei confini tra i due paesi; l’incontro del gruppo, che riunisce rappresentanti dei due paesi e diplomatici internazionali, aveva lo scopo di riavviare il dialogo tra le due nazioni del Corno d’Africa sulla spinosa questione della frontiera comune tornata ad essere oggetto del contendere. Non è chiaro il motivo che ha impedito la riunione; fonti della missione Onu in Etiopia ed Eritrea (Unmee), invitate a partecipare, hanno detto alla rete informativa delle Nazioni Unite ‘IrinNews’ che “i colloqui sono stati cancellati, perché sembra che il capo della commissione sia malato”, pertanto l’incontro è stato spostato a “maggio o ai primi di giugno”. Ma secondo altre fonti sarebbero i mai risolti dissidi tra le due nazioni, aggravati da recenti tensioni, ad aver impedito la riunione. Nel 2002 una commissione internazionale indipendente definì i nuovi confini tra Etiopia ed Eritrea, come stabilito dai colloqui di pace di Algeri, che misero fine al sanguinoso conflitto del 1998-2000. Malgrado le parti si fossero impegnate ad accettare la decisione della commissione, nel 2003 l’Etiopia ha posto un freno alla demarcazione territoriale. In seguito Addis Abeba ha accettato “in principio” la nuova linea di frontiera ma ha chiesto nuovi colloqui ‘tecnici’. Da parte sua l’Eritrea è tassativamente contraria a rimettere in discussione una questione che ritiene definitivamente chiusa. Due settimane fa, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso che entro la metà di maggio valuterà l’eventuale riduzione del contingente internazionale Unmee, incaricato di controllare i 1000 chilometri del controverso confine, se i due Paesi non collaboreranno per risolvere la contesa.
ETIOPIA 28/4/2006 18.16
GOVERNO ACCUSA ERITREA DI ESSERE COLLEGATA A ‘MISTERIOSE’ ESPLOSIONI
“Non ho nessun dubbio sul fatto che il materiale utilizzato per le bombe provenga dall’Eritrea”: lo ha detto il primo ministro etiope, Meles Zenawi, che in una conferenza stampa organizzata ad Addis Abeba ha accusato l’Eritrea di essere in qualche modo coinvolta nelle oltre 12 esplosioni che si sono susseguite dall’inizio dell’anno in territorio etiope, l’ultima pochi giorni fa, causando la morte di almeno 12 persone. “Sono molti i fattori che confermano quello che dico e vi assicuro che è solo una questione di tempo prima che i terroristi responsabili di questi attacchi vengano preso e portati di fronte alla giustizia” ha ribadito Zenawi. Non è la prima volta che le autorità etiopi collegano l’Eritrea alle misteriose esplosioni che da gennaio si sono registrate in varie città del paese inclusa la capitale. Lo scorso marzo, quando tre esplosioni consecutive scossero tre zone diverse di Addis Abeba uccidendo un civile e ferendone altri 15, l’Etiopia accusò Asmara di essere coinvolta negli attentati. Un’ipotesi smentita seccamente dall’Eritrea. Riguardo a queste misteriose bombe, il governo etiope ha puntato il dito anche contro un gruppo “terrorista” ritenuto vicino al principale partito d’opposizione del paese, che ha sempre rigettato le accuse. La frontiera tra Etiopia ed Eritrea è stata al centro di una guerra combattuta tra il 1998 e il 2000, diventando poi l’elemento che da 4 anni continua ad alimentare un aspro braccio di ferro diplomatico.
ERITREA 29/4/2006 10.33
ASMARA NEGA COINVOLGIMENTO SU ‘MISTERIOSE ESPLOSIONI’ IN ETIOPIA
“Non c’è alcuna ragione di un nostro coinvolgimento, ci sono invece prove che le bombe siano state collocate dal regime etiopico per una serie di questioni politiche”: così il ministro dell’Informazione dell’Eritrea Ali Abdu ha respinto le accuse sulla presunta responsabilità del suo paese nelle esplosioni – oltre una dozzina – che dall’inizio dell’anno hanno provocato almeno 12 vittime in Etiopia. Ieri il primo ministro etiope Meles Zenawi aveva detto in una conferenza stampa di “non avere dubbi” sulla provenienza eritrea del materiale usato negli attentati. Finora nessuno ha rivendicato questi episodi, avvenuti sia nella capitale Addis Abeba che in altre città; anche a marzo l’Eritrea aveva smentito ogni coinvolgimento. “Il gruppo di minoranza al potere in Etiopia – ha aggiunto il ministro eritreo, riferendosi agli uomini di Zenawi, provenienti dalla regione settentrionale del Tigray – ha organizzato l’amministrazione su base etnica e tribale, creando così un catalizzatore per la disintegrazione della nazione”; in Etiopia convivono un’ottantina di comunità, per un totale di oltre 70 milioni di abitanti. Lo scambio di accuse si inserisce in un clima di tensioni cresciuto negli ultimi mesi: Asmara ha ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993 dopo una trentennale guerra di liberazione, ma nel 1998-2000 i due paesi del Corno d’Africa hanno combattuto un sanguinoso conflitto di frontiera che ha provocato oltre 70.000 vittime. Le relazioni – mai riprese ufficialmente - si sono ulteriormente esacerbate a causa della mancata applicazione della demarcazione dei confini prevista dall’accordo di pace e respinta dall’Etiopia, mentre l’Eritrea ha adottato misure per ostacolare la missione di osservazione dell’Onu lungo le frontiere comuni.
SOMALIA 29/4/2006 11.49
SOMALI IN FUGA RESPINTI AL CONFINE CON KENYA
Decine di immigrati somali in fuga dal proprio paese – flagellato dalla siccità nel sud e da continue violenze nella capitale Mogadiscio – sarebbero stati arrestati nella città di Gairssa, in Kenya, con l’accusa di aver oltrepassato illegalmente il confine. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui il gruppo era composto da una settantina di persone, tra cui donne e bambini, provenienti da diverse località: Mogadiscio, Kismayo, Galkayo e altre. Uno degli arrestati ha raccontato per telefono a un’emittente radiofonica locale che i profughi sono stati intercettati dalla polizia nella cittadina di frontiera di Liboi e poi trasferiti a Garissa; gli agenti avrebbero detto ai fuggitivi che i loro documenti di viaggio – ottenuti da intermediari somali – erano falsi. Sembra che il gruppo sia stato poi ricondotto alla frontiera tra il Kenya e la regione del Lower Juba, una delle più colpite dalla siccità che da mesi colpisce ampie zone dell’Africa Orientale. In questo periodo, altre migliaia di somali sono riusciti a superare i porosi confini tra i due paesi per sfuggire all’emergenza umanitaria, che ha colpito anche i distretti nord-orientali del Kenya; qui le condizioni permettono interventi di assistenza alimentare degli organismi internazionali, impossibili in alcune aree della Somalia per mancanza di sicurezza, a causa dell’assenza di qualsiasi forma di amministrazione territoriale da oltre 15 anni.
SOMALIA 3/5/2006 13.52
BAIDOA: EPISODI DI INSICUREZZA RIPORTANO PAURA IN CITTÀ
Nuovi combattimenti si sono verificati ieri a Baidoa, facendo tornare la paura nella capitale provvisoria della Somalia dove, nonostante la scarsa durata dello scontro a fuoco, la popolazione è rimasta chiusa in casa per l’intera giornata. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, le quali precisano che almeno 7 persone sono rimaste ferite nei combattimenti e una di loro sarebbe ricoverata in condizioni estremamente gravi per una ferita da arma da fuoco. Si tratta comunque, sottolineano le fonti, di un bilancio ancora provvisorio. Secondo le informazioni a disposizione, gli scontri avrebbero coinvolto le guardie della sicurezza del presidente somalo Abdullahi Yusuf e alcuni miliziani locali. I media locali ritengono che la sparatoria di ieri possa essere ricollegata a quella avvenuta lo scorso mese (tra gli stessi protagonisti) alla periferia della città e conclusasi con la morte di almeno 4 persone. In quell’occasione, gli uomini del presidente rifiutarono di pagare la ‘gabella’ agli armati che controllavano uno dei tanti check-point della città scatenando la reazione armata di questi ultimi. Proprio la sicurezza nella città sud-occidentale di Baidoa, sede provvisoria del Parlamento somalo, è stata al centro di una recente riunione che nelle scorse settimane ha riunito per la prima volta i vertici istituzionali somali – presidente, primo ministro, capo del Parlamento - e i rappresentanti dei clan locali.
SOMALIA 6/5/2006 3.18
UNA MOZIONE PER CHIEDERE RITIRO EMBARGO ONU SULLE ARMI
Yemen, Sudan, Etiopia e Somalia presenteranno al Consiglio di sicurezza dell’Onu una mozione per chiedere il ritiro dell’embargo sulle armi, imposto alla Somalia 14 anni fa, per permettere al governo somalo di transizione di salvaguardare la sicurezza e di combattere contro i gruppi armati dislocati nel paese che, dalla caduta del dittatore Mohamed Siad Barre nel 1991, versa in uno stato di anarchia. Lo hanno deciso i ministri degli Esteri dei quattro Stati membri dell’Alleanza di Sanaa convenuti nella capitale yemenita. I segretari hanno anche rivolto due appelli: uno alla comunità internazionale, all’Unione Europea e ai donatori, perché stanzino fondi per la ricostruzione della Somalia e uno alla Lega Araba e all’Unione Africana perché forniscano, come avevano promesso, fondi e truppe per contribuire al processo di riconciliazione nazionale e disarmare le milizie dispiegate nel paese. Al termine del vertice, i ministri hanno anche deciso di nominare un segretario generale dell’Alleanza di Sanaa, istituita nel 2002, che s’insedii nella capitale yemenita già a partire dal prossimo mese. L’ultimo rinnovo dell’embargo risale al luglio scorso, ed era stato deciso dal Consiglio di Sicurezza nonostante l’Ua e il presidente somalo, Abdullahi Yusuf Ahmed, avessero definito “indispensabile” una sospensione temporanea della misura restrittiva, per poter procedere alla messa in sicurezza di Mogadiscio e di altre zone del Paese sotto il controllo di miliziani apparentemente contrari alle nuove istituzioni. “Proprio le continue violazioni all’embargo sulle armi sono state e continuano a essere la principale minaccia agli sforzi di chi cerca di riportare la pace in Somalia, dove non ci potrà essere serenità e sviluppo finché, attraverso i suoi confini privi di presidi, le armi continueranno a circolare indisturbate” aveva risposto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, motivando la decisione.
SOMALIA 8/5/2006 11.17
MOGADISCIO: VITTIME PER COMBATTIMENTI TRA MILIZIE RIVALI
È tornata la calma stamani nella zona nord di Mogadiscio, dove ieri almeno 8 persone (11 secondo altre fonti) sono rimaste uccise e altre 15 ferite in scontri tra la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ e i miliziani delle cosiddette Corti islamiche, già protagonisti di sanguinosi scontri che a marzo hanno provocato una novantina di morti. La MISNA lo ha appreso da fonti locali secondo cui anziani e intellettuali hanno svolto un intervento di mediazione per riportare la calma e far accettare una tregua. Secondo testimonianze locali, i combattimenti sono avvenuti nell’area di Siisii, a nord della capitale; tra i feriti vi sarebbero anche un bambino di un anno e una donna incinta. Le due parti si sono accusate a vicenda per l’ennesimo scontro a fuoco a Mogadiscio dove, negli ultimi tre mesi, si sono intensificati i combattimenti tra l’alleanza dei signori della guerra – riuniti nella cosiddetta ‘Alleanza per la restaurazione della pace e contro il terrorismo' (Arpct), sostenuta in modo non dichiarato anche dagli Stati Uniti - e le bande armate legate a frange islamiche radicali. Nei giorni scorsi il presidente Abduallahi Yussuf, che controlla la città di Johwar, ma non la capitale, ha espresso preoccupazione per l’appoggio degli Usa all’Alleanza in funzione anti-terroristica. Dalla caduta di Siad Barre nel 1991, buona parte della Somalia, soprattutto Mogadiscio, sono privi di qualsiasi autorità amministrativa che possa impedire violenze e traffici illegali di ogni genere.
SOMALIA 9/5/2006 12.03
MOGADISCIO: PROSEGUONO COMBATTIMENTI, AUMENTA BILANCIO VITTIME
Sarebbero 35 le vittime dei combattimenti, tra la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ e i miliziani delle cosiddette Corti islamiche, iniziati due giorni fa nella zona nord di Mogadiscio e proseguiti anche oggi nel quartiere di Siisii: “Da ieri 35 persone sono morte da entrambe le parti, inclusi anche civili, e oltre 70 sono rimaste ferite” ha detto alla ‘Reuters’ Ali Nur, membro dell’Alleanza. Siyad Mohamed, capo dei miliziani islamici, ha confermato che gli scontri sono ripresi questa mattina con nuove vittime, “di cui almeno quattro nelle nostre file”. Secondo Hussein Gutale Rage, portavoce dell’Alleanza “la situazione rischia di aggravarsi. Se le milizie islamiche non cesseranno il fuoco entro oggi – ha aggiunto - altri membri della nostra coalizione, che finora sono rimasti fuori dai combattimenti, si uniranno a noi”. Testimoni locali hanno riferito che un colpo di mortaio ha colpito un’abitazione uccidendo sei persone della stessa famiglia; solo la scorsa notte almeno 12 persone sono state ricoverate nell’ospedale di Medina per ferite di arma da fuoco; altre 15, in gran parte civili, sono state trasportate al centro sanitario di Kaysenay. A nulla è servito finora un tentativo di mediazione promosso da anziani e intellettuali per riportare la calma: “Ogni volta che scoppiano combattimenti tra milizie rivali proviamo a cercare una soluzione attraverso il dialogo, ma è sempre più difficile convincere i contendenti”, ha detto Garad Yussuf Dibad, un conosciuto leader tradizionale. Nei giorni scorsi il presidente Abduallahi Yussuf, che controlla la città di Johwar, ma non la capitale, ha espresso preoccupazione per l’appoggio degli Usa all’Alleanza in funzione anti-terroristica.
ETIOPIA 9/5/2006 19.37
ADDIS ABEBA, ANCORA UNA “MISTERIOSA” ESPLOSIONE
Una potente detonazione è stata udita oggi nella capitale Addis Abeba, dove negli ultimi mesi si sono verificate diverse esplosioni che hanno provocato alcune vittime. Lo ha confermato un portavoce della polizia federale, citato dall’agenzia di stampa sudafricana, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli. Alla fine di marzo, cinque ordigni erano esplosi provocando una vittima e numerosi feriti. In quella circostanza, le autorità attribuirono la responsabilità degli episodi all’Eritrea, protagonista di una sanguinosa guerra di frontiera tra il 1998 e il 2000. Il governo di Asmara, che non ha ancora riallacciato i rapporti diplomatici con Addis Abeba, aveva però negato ogni coinvolgimento. La serie di attacchi era iniziata a gennaio con bombe contro alcuni edifici governativi ed esercizi commerciali, senza vittime; poi all’inizio di marzo, anche in quel caso senza morti; ad aprile, nella città di Gedo, circa 150 chilometri a ovest della capitale, una bomba in un mercato ha provocato 3 vittime e una cinquantina di feriti. Le autorità hanno anche attribuito la responsabilità degli attacchi a presunti elementi dell’opposizione – come il Fronte per la liberazione degli Oromo (Olf) - ma le esplosioni non sono mai state rivendicate da alcun gruppo armato o politico.
10 maggio 2006 12.25
AFRICA
SOMALIA: QUARTO GIORNO DI SCONTRI
A MOGADISCIO, 90 MORTI
Si combatte per il quarto giorno consecutivo a Mogadiscio, in Somalia, tra i miliziani dell'Alleanza per il ripristino della pace e la lotta al terrorismo, formata da ex signori della guerra e uomini d'affari, e quelli della Lega delle corti islamiche: il bilancio finora è di almeno 90 morti e circa 200 feriti.
Gli scontri si concentrano nella zona settentrionale della città, Sii-Sii, dove fino ad oggi nessuna delle due parti è riuscita ad avere la meglio. "Nonostante il cessate il fuoco unilaterale della Lega delle corti islamiche, non c'è traccia di tregua", ha detto un cambiavalute, Abdi Kariin. "Dalle informazioni che ho ricevuto questa mattina dai principali ospedali di Mogadiscio, almeno 90 persone sono state uccise e quasi 200 sono rimaste ferite a partire da domenica, quando sono iniziati gli scontri", ha detto il medico Mohamed Hassan.
Il rappresentante speciale dell'Onu per la Somalia, Francois Lonseny Fall, ha diffuso oggi un comunicato in cui si invitano i "leader di entrambe le parti a fare un passo indietro e a considerare i danni inflitti alla popolazione". "A prescindere dalle alleanze, il conflitto a intermittenza tra i due campi armati può portare alla perdita di vite innocenti e creare timori
e caos nei civili rimasti intrappolati nello scontro - si legge nella nota - l'uso indiscriminato di mitragliatrici, colpi di mortaio, lanciagranate e artiglieria pasante è inaccettabile nei centri urbani".
Il presidente della Lega delle Corti islamiche, Sharif Sheik Ahmed, aveva annunciato ieri un cessate il fuoco, letto però dal campo avverso come un tentativo di conquistare tempo per riarmarsi. "Gli islamici sono rimasti senza munizioni - ha detto un portavoce dell'Alleanza, Hussein Gutaale - per questo vogliono un periodo di respiro per riarmare le loro milizie".
Da mesi, i leader dei clan locali hanno messo da parte le loro tradizionali rivalità per dare vita a un fronte compatto contro gli estremisti islamici, descritti come terroristi. Da parte loro, gli estremisti si presentano come i soli in grado di restituire unità e ordine al paese dopo anni di caos e di totale anarchia, seguiti alla caduta del presidente Siad Barre avvenuta nel 1991. I somali hanno riferito che entrambe le parti hanno ricevuto negli ultimi tempi denaro e armi in vista dello scontro per la conquista del controllo del paese. Il governo di transizione sostenuto dalle Nazioni unite ha stabilito la propria sede nella città di Baidoa e non esercita ancora un effettivo controllo sul resto della Somalia.[Avvenire]
ewigen perchè non li butti quei giornali?
e anzi: potevi anche fare a meno di postare e di elevarti a predicatore moralista come fanno i redattori dell' avvenire.
Non solo non lo farò,ma sentire certe cose mi ancora più voglia di continuare.mi diapice per te,ma il mondo non è solo le prime pagine abituali dei media che di fatto l'Africa,il resto dell'Asia (che non sia Cina,Siberia,paesi in cui sono i marines) nemmeno sanno cosa siano.
Moralisti?Predicatori?Elevati?se parlare del resto del mondo vuol dire questo allora ben vengano le notizie "elevate" al di fuori della mediocità-scarsità di gran parte dei media e "giornalisti" (sia di dx,che di sx,che indipendenti).
SOMALIA 10/5/2006 20.15
MOGADISCIO: SI AGGRAVA BILANCIO…TESTIMONIANZE DAGLI OSPEDALI
[PIME] “Con l’arrivo del buio i combattimenti stanno diminuendo anche se colpi di artiglieria pesante continuano a risuonare, seppur in maniera più sporadica rispetto al pomeriggio, nelle zone nord della città”: lo ha detto alla MISNA una fonte locale contattata a Mogadiscio. Secondo le informazioni raccolte, i combattimenti, che in questi giorni si erano limitati al quartiere settentrionale di Sii Sii, si sarebbero ormai estesi ad altre 3 o 4 zone della città. Informazioni concordi raccolte dalle MISNA in zone diverse di Mogadiscio riferiscono di intense sparatorie, con colpi di mortaio e lanciarazzi, nei quartieri di Huriwa e Waharaade. “Si dice che anche altre zone del nord di Mogadiscio siano state interessate dalla intensa battaglia di oggi pomeriggio, ma è difficile avere un quadro completo qui tutti restano chiusi in casa” dice alla MISNA il vice-direttore dell’Ospedale Medina, il dottor Ali Mohalim Mohamed, una delle principali strutture sanitarie di Mogadiscio situata nella zona sud della città e distante circa 3 chilometri dall’epicentro dei combattimenti. “Poco fa (alle 19:00 ora locale, le 18:00 in Italia, ndr) abbiamo dovuto registrare il decesso di 5 bambini, che avevamo ricoverato in giornata, per le ferite riportate” aggiunge il dottore precisando che in totale sono 25 i ricoveri effettuati solo oggi. L’ospedale dove affluiscono la maggior parte dei feriti e delle vittime è l’ospedale di Keysaney, che si trova proprio nella zona dove gli scontri sono più intensi. “Negli ultimi 4 giorni le strutture di Keysaney e Medina hanno registrato 184 feriti” recita una nota diffusa dalla Croce Rossa Internazionale che insieme alla Mezzaluna Rossa gestisce le due strutture. “La situazione è molto grave i combattimenti stanno coinvolgendo moltissimi civili e siamo estremamente preoccupati per le conseguenze umanitarie di questi scontri” sottolinea alla MISNA Pedram Yazdi, portavoce della Croce rossa internazionale per le operazioni in Somalia, precisando di non essere in grado di confermare i bilanci di oltre 80 vittime in circolazione. “I combattimenti sono molto duri, dopo una piccola pausa gli scontri sono ripresi in maniera molto intensa nel pomeriggio e col passare delle ore abbiamo registrato l’arrivo continuo di civili feriti. Soprattutto donne e bambini. La situazione rischia di peggiorare, visto che gli scontri stanno avendo luogo all’interno della città coinvolgendo zone abitate da civili” aggiunge Pedram Yazdi. Le preoccupazioni del portavoce della Croce Rossa trovano d’accordo anche il vice-direttore dell’ospedale Medina, il quale evidenzia anche un altro problema: “molta gente è intrappolata in casa. Moltissimi vorrebbero scappare e lasciare la città, ma non possono farlo perché si trovano in mezzo alle due parti” spiega il dottor Ali Mohalim Mohamed. “La Radio ha appena detto che una mediazione è in corso, ancora una volta esponenti della società civile, anziani e intellettuali cercheranno di convincere le parti a fermarsi, soprattutto visto il prezzo che i civili stanno pagando” conclude il medico in un discreto italiano.
SOMALIA 11/5/2006 11.03
MOGADISCIO: PROSEGUONO COMBATTIMENTI, SALE ANCORA NUMERO VITTIME
"I combattimenti sono proseguiti tutta la notte, con un bilancio di oltre una ventina di morti, tra cui anche donne e bambini. Stanno continuando anche adesso, mentre vi parlo sento chiaramente vicino a noi ancora colpi di artiglieria”: lo ha detto poco fa alla MISNA il dottor Ali Mohalim Mohamed, vice-direttore dell’Ospedale Medina, una delle principali strutture sanitarie di Mogadiscio situata nella zona sud della città e distante pochi chilometri dall’epicentro degli scontri iniziati domenica tra la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ e le milizie legate alle cosiddette Corti islamiche. “La nostra struttura è quasi al collasso, abbiamo 78 pazienti in condizioni gravi, ma manca personale e materiale sanitario” prosegue il medico. Le speranze di un ‘cessate-il-fuoco’ sono legate all’ennesimo tentativo di mediazione promosso da esponenti della società civile, anziani e intellettuali: “Anche in queste ore stanno lavorando per cercare un accordo, attendiamo di sapere l’esito” aggiunge il dottor Ali Mohalim Mohamed. Secondo fonti locali, nella notte un colpo di mortaio ha centrato una casa nella zona di Huriwa, uccidendo sette persone e altre dieci vittime sarebbero state registrate nei quartieri di Yaqshid, Waharaade e Siisii; il bilancio complessivo dallo scoppio degli scontri supererebbe secondo alcuni media il centinaio di morti, ma per il momento è difficile avere conferme dal terreno. La situazione è grave soprattutto nell’area della bidonville di Siisii, dove erano cominciati gli scontri, nel settore nord di Mogadiscio, trasformata in un campo di battaglia, con molte case bombardate e centinaia di abitanti che si sono dati alla fuga. Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite, incaricati di monitorare l’embargo sulle armi in Somalia, ha riferito che le Corti islamiche starebbero avendo la meglio sulla cosiddetta ‘Alleanza per la restaurazione della pace e contro il terrorismo' (Arpct) che si ritiene sia sostenuta dagli Stati Uniti. In un rapporto inviato ieri sera al Consiglio di sicurezza Onu, si legge che l’Arpct “sarebbe stata considerevolmente ridimensionata” e che i miliziani islamici controllerebbero ormai “circa l’80% di Mogadiscio”.
ETIOPIA 11/5/2006 5.54
MALGRADO VITTORIA ELETTORALE, OPPOSIZIONE NON GUIDERÀ ADDIS ABEBA
Ha sollevato proteste la decisione del governo del controverso primo ministro Meles Zenawi di nominare un sindaco pro-tempore per un anno alla guida di Addis Abeba, malgrado la netta vittoria dell’opposizione nella capitale alle elezioni dell’anno scorso. Una sessantina di deputati ha abbandonato l’aula del Parlamento federale, accusando le autorità di violare i diritti dei cittadini che alle elezioni di maggio dell’anno scorso avevano scelto un altro primo cittadino. La Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud) aveva ottenuto tutti i seggi del Consiglio della città – che in realtà è una sorta di entità autonoma, in aggiunta agli otto stati della Federazione etiope – compreso il sindaco. L’incarico di guidare la capitale era andato a Berhanu Nega, numero due della Cud. Insieme ad altre decine di colleghi di partito, venne però arrestato a novembre, dopo violenze post-elettorali sedate dalle forze dell’ordine: oltre 90 civili uccisi in due diversi episodi, comprese analoghe violenze a giugno. Nei mesi scorsi le autorità hanno accusato l’opposizione di aver fomentato le violenze, facendo arrestare i principali esponenti del partito (tra cui il sindaco in pectore di Addis Abeba), insieme a giornalisti, intellettuali e attivisti per diritti umani. Il processo contro 111 di loro è iniziato in questi giorni a Kaliti, una ventina di chilometri dalla capitale; gli imputati devono rispondere di tentativo di sovversione dell’ordine costituzionale. Alcuni, accusati anche di genocidio per le violenze post-elettorali, rischiano la pena di morte.
SOMALIA 12/5/2006 10.27
MOGADISCIO: SESTO GIORNO DI SCONTRI, OSPEDALI IN DIFFICOLTÀ PER FERITI
Decine di feriti sono arrivati nelle ultime 24 ore negli ospedali di Mogadiscio, dove stamani sono ripresi con intensità i combattimenti tra fazioni rivali soprattutto nei quartieri settentrionali della capitale: la MISNA lo ha appreso da fonti sanitarie locali. Sarebbero 279 i ricoverati nei principali centri sanitari pubblici e privati della città, mentre il numero di morti avrebbe raggiunto quota 130, anche se potrebbe non tener conto di miliziani rimasti uccisi negli scontri tra ‘signori della guerra’ e milizie islamiche. Ieri il viceministro della sanità Osman Dufle aveva lanciato un appello ai medici chiedendo di prestare servizio volontario presso gli ospedali cittadini, dove iniziano a scarseggiare i materiali sanitari. Un’emittente radiofonica locale ha segnalato stamani che nell’area di Siisii almeno due civili sono morti a causa di un colpo di mortaio che ha colpito un’abitazione. Colpi di arma pesante sono stati sentiti stamani in tutta la zona nord di Mogadiscio, che appare in gran parte deserta, mentre migliaia di civili abbandonano i quartieri dove si combatte. Oggi, venerdì, è giorno di preghiera per i musulmani e ci si attende che le Corti islamiche facciano sapere se effettivamente stanno guadagnando terreno nella lotta per il controllo della città. La MISNA ha appreso che tra le vittime delle ultime ore vi sono anche 4 bambini, mentre all’ospedale ‘Shifo’ sono ricoverate anche 22 donne. I civili stanno pagando il prezzo più alto degli scontri iniziati domenica scorsa, considerati tra i più violenti degli ultimi anni; già a febbraio i combattimenti tra la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ – composta da alcuni ‘warlords’ con il sostegno non ufficiale degli Usa – e le milizie delle cosiddette Corti islamiche avevano provocato una novantina di vittime. Secondo Abdullahi Shirwa, dell’associazione ‘Società civile in azione’, le violenze in corso si differenziano dal passato perché non riguardano clan rivali ma avrebbero una “base ideologica”. Il consenso popolare verso le Corti islamiche starebbe crescendo perché nelle zone di Mogadiscio sotto il loro controllo avrebbero riportato una parvenza di ordine e legalità, mentre in quelle occupate dai ‘signori della guerra’ i civili sono esposti a taglieggiamenti e violenze. È parere diffuso, tuttavia, che la lotta armata riguardi anche il controllo delle poche infrastrutture esistenti nella capitale – tra cui il l’‘Easley airstrip’ per l’atterraggio di piccoli aerei e il porto - indispensabili a traffici anche illeciti che avvengono da 15 anni in un clima di anarchia e impunità.
ERITREA 12/5/2006 9.19
ARRESTATI DIPENDENTI LOCALI MISSIONE ONU
Undici dipendenti della missione di osservazione dell’Onu in Etiopia ed Eritrea (conosciuta come Unmee) sono stati arrestati dalle autorità di Asmara: lo ha reso noto la portavoce del contingente, Musi Khumalo, aggiungendo che non sono stati spiegati i motivi del provvedimento. Lo scorso febbraio 27 collaboratori eritrei dell’Unmee erano stati fermati e poi rilasciati dopo proteste dei funzionari della missione internazionale. Nessun commento, per ora, da parte del governo di Asmara, che in precedenza aveva giustificato gli arresti affermando di cercare giovani disertori. In Eritrea il servizio militare è di fatto permanente e nei mesi scorsi tutti gli uomini dai 18 anni ai 45 sono stati richiamati sotto le armi. L’incidente avviene nel momento in cui le relazioni tra l’Eritrea e la missione Onu hanno raggiunto uno dei punti più bassi: già a ottobre 2005 Asmara aveva imposto limiti alle pattuglie dei caschi blu e agli elicotteri impegnati nel monitoraggio dei circa mille chilometri di frontiera con l’Etiopia; personale nordamericano ed europeo dell’Unmee era stato espulso. I due paesi del Corno d’Africa sono stati protagonisti di una sanguinosa guerra nel 1998-2000, al termine della quale è stata stabilita la missione di osservazione internazionale. L’Eritrea accusa l’Onu di non voler applicare la demarcazione del territorio prevista da un’apposita commissione di arbitraggio, il cui esito è stato più volte respinto dall’Etiopia. Nuovi colloqui per risolvere l’annosa controversa e placare le tensioni tra i due governi dovrebbero iniziare la prossima settimana a Londra.
ETIOPIA 12/5/2006 18.22
ADDIS ABEBA: NUOVE ESPLOSIONI
Nuove esplosioni sono avvenute nel pomeriggio ad Addis Abeba, portando ad almeno 4 il numero, ancora provvisorio, delle vittime dell’ondata di attentati che oggi ha causato anche il ferimento di 41 persone. Il nuovo bilancio è stato fornito da fonti della polizia, le quali hanno precisato che tre persone sono morte nelle prime sei esplosioni, avvenute quasi tutte in mattinata nelle zone di Mercato e Piazza, le aree commerciali più centrali della capitale etiope che portano ancora i nomi che avevano ai tempi dell’occupazione fascista. Ma nel pomeriggio 3 nuove esplosioni sarebbero state registrate nella zona sud-occidentale di Addis Abeba e più precisamente a Gotera, dove un uomo sarebbe rimasto ucciso e altri 16 feriti per una bomba piazzata su un autobus. Secondo la polizia, almeno 10 dei feriti verserebbero in condizioni molto gravi. Le altre esplosioni hanno interessato prevalentemente uffici dell’amministrazione pubblica. Per il momento nessuna sigla ha ancora rivendicato gli attentati che sembrano molto simili ai 12 susseguitisi dall’inizio dell’anno nella capitale etiope. Alla fine di aprile il primo ministro etiope, Meles Zenawi, aveva detto di non avere “nessun dubbio sul fatto che il materiale utilizzato per le bombe provenga dall’Eritrea”. Le autorità etiopi avevano collegato l’Eritrea alle misteriose esplosioni che da gennaio si sono registrate in varie città del paese anche lo scorso marzo, quando tre esplosioni consecutive scossero tre zone diverse di Addis Abeba uccidendo un civile e ferendone altri 15. Asmara ha sempre negato di essere coinvolta negli attentati. Ma riguardo a queste misteriose bombe, il governo etiope ha puntato il dito anche contro un gruppo “terrorista” ritenuto vicino al principale partito d’opposizione del paese, che però ha sempre rigettato le accuse.
SOMALIA 13/5/2006 9.09
MOGADISCIO: COMBATTIMENTI, KOFI ANNAN CHIEDE TREGUA IMMEDIATA
Un appello per una tregua immediata è stato rivolto dal segretario generale dell’Onu Kofi Annan alle fazioni armate di Mogadiscio che da sei giorni si affrontano nella capitale somala, dove gli scontri hanno provocato finora oltre 120 morti e 250 feriti, in gran parte civili. Parlando ai giornalisti nella sede Onu di New York, il suo portavoce ha detto che Annan è “profondamente preoccupato per le crescenti violenze a Mogadiscio”, che oltre alle vittime hanno provocato migliaia di sfollati. Iniziati domenica scorsa, i combattimenti coinvolgono la sedicente “Alleanza anti-terrorismo” - composta da signori della guerra, commercianti e un paio di ministri dissidenti del governo di transizione – e i miliziani delle cosiddette ‘Corti islamiche’, che stanno cercando di imporre una sorta di ordine in alcune zone della città malgrado la presenza – al loro interno – di elementi radicali. Il segretario dell’Onu chiede alle parti di “sostenere le istituzioni di transizione federale nel loro sforzo di mettere in pratica la Carta provvisoria”, riferendosi al governo e al parlamento creati nel 2004 dopo 13 conferenze di pace fallite. Il responsabile per la situazione dei diritti umani in Somalia, Ghanim Alnajjar, si è associato alla richiesta di interrompere i combattimenti, sottolinenando che “in questa situazione, la maggior parte delle vittime sono i civili coinvolti nel fuoco incrociato, alcuni dei quali sono bambini”. Analogo invito a sostenere le fragili istituzioni provvisorie – che hanno sede a Baidoa, nel sud e controllano poche porzioni di territorio somalo – era stato rivolto ieri dall’inviato speciale per la Somalia della Lega Araba, Samir Husni.
SOMALIA 15/5/2006 12.59
MOGADISCIO: NON SI SPARA, MA RESTA LA PAURA
Resta tesa la situazione a Mogadiscio nonostante la tregua informale che da ieri sembra reggere e che in città ha fatto registrare le prime 24 ore prive di intensi combattimenti. “Da ieri è tornata un po’ di calma, nel senso che si sono sentiti solo sporadici colpi di arma da fuoco. In città, però, sono in molti a pensare che, come già accaduto in questi mesi, sia solo la quiete prima di una nuova tempesta e che la calma sia solo un occasione per le Corti Islamiche e per l’Alleanza contro il terrorismo di riarmarsi e prendere posizione” dice alla MISNA il dottore Ali Mohalim Mohamed, vice-direttore dell’ospedale Madina (la principale struttura sanitaria di Mogadiscio), contatto in città in mattinata. Il cessate il fuoco proposto nel fine settimana da un gruppo di ‘notabili’ locali (anziani, intellettuali, esponenti religiosi) non è ancora stato firmato da nessuna delle due parti, anche se ieri sera il portavoce delle Corti Islamiche, Sheik Sharif Sheik Ahmed, parlando a una radio locale ha espresso la propria disponibilità alla tregua. Ad aumentare la tensioni tra la popolazione civile di Mogadiscio sarebbero soprattutto i movimenti di truppe di entrambe le parti nei dintorni della città. Sia i miliziani delle presunte Corti Islamiche che quelli della sedicente Alleanza contro il terrorismo, infatti, hanno creato una serie di posti di blocco sui principali assi che conducono fuori città. Se le Corti controllano la zona nord (fuori dal quartiere di Sii Sii, epicentro dei combattimenti dei giorni scorsi) gli uomini al soldo dell’Alleanza contro il terrorismo si sono posizionati sull’asse che collega Mogadiscio col distretto di Afgoie, a sud della principale città somala verso la regione della bassa Shabelle. Proprio in quella zona, fonti locali segnalano anche un assembramento di forze vicine alle corti islamiche, che potrebbe preludere a nuovi scontri. I blocchi stradali creati dalle milizie protagoniste di una settimana di combattimenti stanno rendendo più difficile anche la fuga dei civili che continuano ad abbandonare la città nel timore della ripresa dei combattimenti e che proprio attraverso queste direttrici raggiungono le zone rurali a sud e a nord di Mogadiscio in attesa che la situazione migliori. Intanto cominciano a circolare cifre più affidabili sul bilancio di una settimana di combattimenti strada per strada. “Sono 221 i feriti di guerra che abbiamo ricoverato dal 6 maggio al 12 maggio nei due ospedali gestiti con la collaborazione della Croce Rossa, il Madina e il Keysaney (le due principali strutture sanitarie di MOgadiscio) e sappiamo di almeno un'altra sessantina di ricoveri in altre strutture della città” dice alla MISNA il dottor Oscar Avogadri, coordinatore medico della Croce rossa internazionale in Somalia, precisando che gli ospedali non posseggono ancora dati certi e affidabili sulle morti. Secondo il vice-direttore dell’ospedale Madina, però, le cifre relative alle vittime circolate in questi giorni sulla stampa sono corrette: “i morti non sono meno di 150 e i feriti si aggirano intorno ai 300, le vittime sono in prevalenza civili” ha evidenziato il dottore Ali Mohalim Mohamed, raggiunto telefonicamente dalla MISNA, prima di ringraziare la croce rossa e la mezzaluna rossa per il sostegno garantito anche in “questi giorni difficili”. Intanto, nelle ultime ore, il governo di transizione somalo ha chiesto a due suoi ministri, nonché esponenti di spicco dell’Alleanza contro il terrorismo, di mettere fine ai combattimenti e raggiungere l’esecutivo a Baidoa il prima possibile, pena l’espulsione dal governo. In un’intervista al giornale in lingua araba con sede a Londra, Asharq al awsat, il primo ministro somalo Ali Mohamed Gedi ha fatto sapere di aver avviato le pratiche formali per l’espulsione dal governo del ministro della sicurezza interna Mohamed Qanyare e di quello del commercio, Muse Sudi, entrambi tra i principali ‘signori della guerra’ di Mogadiscio.
AFRICA 16/5/2006 14.49
ETIOPIA – ERITREA, ASMARA ACCETTA COLLOQUI PER RISOLVERE CONTESA
Per la prima volta l’Eritrea ha accettato di prendere parte ai colloqui con l’Etiopia per risolvere l’annosa demarcazione dei confini tra i due paesi del Corno d’Africa: lo ha detto il capo di gabinetto del presidente eritreo Isaias Afeworki. L’annuncio giunge a poche ore dalla decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu di concedere ai due paesi fino alla fine di maggio per appianare le recenti tensioni minacciando altrimenti sanzioni e graduale ritiro della missione di osservazione, come già stabilità da una risoluzione adottata a novembre dell’anno scorso. Yemane Gebremeskel ha spiegato che le autorità di Asmara invieranno a Londra, sede dei colloqui, “un legale rappresentante del governo eritreo”, senza indicare il nome del delegato. Il negoziato, già previsto alla fine di aprile e successivamente rinviato, dovrebbe aprirsi domani. Nel 2000 una Commissione internazionale stabilì le frontiere mettendo fine a due anni di sanguinosa guerra civile tra Asmara ed Addis Abeba, che provocò non meno di 70.000 vittime. L’Etiopia non ha mai riconosciuto la decisione, mentre l’Eritrea accusa di negligenza la missione Onu, presente con circa 3.300 caschi blu lungo la linea di confine tra i due paesi, e per questo da mesi ha introdotto limiti alla libertà di movimento del contingente internazionale. Intanto, il Consiglio di sicurezza ha per ora prorogato fino al 31 maggio il mandato della missione (conosciuta con l’acronimo Unmee, United Nations mission in Ethiopia and Eritrea).
SOMALIA 16/5/2006 12.22
MOGADISCIO: REGGE ANCORA TREGUA "PRECARIA"
Resta calma per ora la situazione a Mogadiscio dove da oltre 48 ore ormai non si registrano più combattimenti. “La città sta ricominciando a vivere con i suoi ritmi normali. Anche nei quartieri a nord, maggiormente interessati dalla battaglia dei giorni scorsi, qualche negozio ha riaperto i battenti e alcuni degli abitanti fuggiti stanno tornando per verificare lo stato delle loro proprietà” dice alla MISNA il dottor Ali Mohalim Mohamed, vice-direttore dell’ospedale Madina, la principale struttura sanitaria di Mogadiscio. Tuttavia, fonti contattate in città sottolineano come la popolazione consideri estremamente precaria la ‘tregua’ informale raggiunta nel fine settimana tra i miliziani delle Corti Islamiche e gli uomini dell’Alleanza contro il terrorismo, messa in piedi recentemente da alcuni dei più potenti signori della guerra di Mogadiscio per cacciare dalla città le Corti (accusate di legami col terrorismo internazionale). A rendere ancora più traballante il cessate il fuoco - che molti ritengono strumentale a entrambi le parti per ottenere rinforzi e armi - secondo alcuni osservatori contribuirebbe anche un episodio dai contorni ancora poco chiari avvenuto durante la notte e che avrebbe coinvolto gruppi delle due fazioni protagoniste della battaglia di Mogadiscio. Due uomini della scorta di Mohamed Omar Habeb, detto 'Dherre', uno dei principali signori della guerra di Mogadiscio sono morti in un attacco avvenuto stanotte lungo una delle principali strade della zona nord della città. Altre versioni riferiscono, invece, che i due sarebbero stati uccisi all’interno del loro accampamento da non meglio precisati ‘cecchini’. Nonostante le differenti versioni sulla dinamica dell’incidente, tutti sembrano ritenere che l’episodio abbia il potenziale per riaccendere lo scontro tra le parti.
SOMALIA 16/5/2006 11.35
SOMALILAND: VITTIME PER VIOLENTA FAIDA TRA FAMIGLIE
Almeno 11 persone sono morte e una decina sono rimaste ferite nei combattimenti iniziati nel fine settimana in un villaggio dell’ovest del Somaliland, l’auto-proclamata Repubblica indipendente a nord della Somalia. Lo hanno riferito ieri fonti di polizia locali, precisando che gli scontri hanno coinvolto due famiglie del clan Dulbahante e hanno avuto per epicentro il villaggio di Angloo, nel distretto di Buhoodhle. Secondo la ricostruzione fornita dalle autorità di Hargeisa, gli scontri sarebbero legati a una faida apertasi tra le due famiglie (Reer Hagar e Reer Hagay) dopo la morte, nei giorni scorsi, di un uomo del clan Hagay. Tra le vittime degli scontri figurano anche alcuni civili colpiti da pallottole vaganti, inclusa una donna e il figlioletto di un anno. I combattimenti, proseguiti fino a domenica, si sono interrotti lunedì, grazie alla mediazione degli anziani dei due gruppi, ma fonti locali fanno sapere che la tensione nella zona resta alta. Il Somaliland, la regione nord-occidentale della Somalia, si proclamò autonomo nel 1991, pochi mesi dopo la caduta di Siad Barre, evitando di sprofondare nel caos e nell’anarchia in cui è finito il resto del Paese. Da allora è impegnato in un battaglia politico-diplomatica per ottenere un riconoscimento internazionale che, però, non è ancora arrivato.
SOMALIA 17/5/2006 10.48
MOGADISCIO: A CENTINAIA IN STRADA PER CHIEDERE LA PACE
Centinaia di persone stanno partecipando questa mattina alla manifestazione organizzata dalle autorità della regione di Banadir, che comprende anche la capitale, per protestare contro la guerra che nei giorni scorsi ha sconvolto Mogadiscio. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, le quali hanno precisato che al corteo stanno partecipando soprattutto civili. “Non vogliamo più scontri e bagni di sangue” recita uno dei cartelli in mano ai dimostranti che partecipano alla prima manifestazione di protesta organizzata dalla società civile dall’inizio dei combattimenti. Nella ‘Battaglia per Mogadiscio’, come nei mesi scorsi è stato ribattezzato il conflitto, sono coinvolti i miliziani delle cosiddette Corti Islamiche, accusati di infiltrazioni terroristiche, e quelli della Alleanza per la pace e contro il terrorismo (Arpct) messa in piedi da alcuni dei più potenti signori della guerra di Mogadiscio per cacciare le corti dalla città. Le tensioni tra i due gruppi - completamente estranee alle consuete violenze claniche in corso in Somalia dal 1991 - sono iniziate mesi fa, ma la scorsa settimana le parti si sono lanciate nei più intensi combattimenti (avvenuti nel cuore di alcuni popolosi quartieri della città) che il paese ricordi da anni. Dalle informazioni raccolte stamani in città dalla MISNA, sembra che entrambi gli schieramenti abbiano iniziato da ieri a raccogliersi in alcuni punti precisi della città (sia a nord che a sud) facendo temere una rapida ripresa delle ostilità. Oltre alle centinaia di manifestanti in marcia in queste ore a Mogadiscio, la fine delle violenze è stata chiesta ieri anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che in un dichiarazione letta dal presidente, l’ambasciatore congolese Basile Ikouebé, ha chiesto “un cessate il fuoco immediato e incondizionato alle fazioni in lotta, per permettere la ripresa delle attività umanitarie e il soccorso dei sopravvissuti, nonché il recupero dei cadaveri”. Secondo il bilancio ottenuto dalla MISNA, sulla base delle stime fornite dai principali ospedali della città, in una settimana di combattimenti almeno 130 persone, in prevalenza civili innocenti, sarebbero morte e 300 rimaste ferite. Ieri, intanto, il ministro della Sanità somalo, Abdel Aziz Sheikh Yussef, intervenendo al Cairo (Egitto) di fronte alla Lega Araba ha accusato gli Stati Uniti di essere responsabili delle recenti violenze di Mogadiscio, a causa del loro sostegno economico a una delle due parti coinvolte nei combattimenti: l’Alleanza contro il terrorismo.
ERITREA 18/5/2006 10.23
DIPENDENTI MISSIONE ONU ARRESTATI, PRIMO RILASCIO
Le autorità eritree hanno rilasciato ieri uno degli 11 dipendenti locali della Missione Onu in Etiopia-Eritrea (Unmee) arrestati la scorsa settimana, senza che venisse comunicata loro alcuna accusa formale. Lo riferiscono fonti della stessa Unmee, precisando che il governo di Asmara non ha ancora risposto alla lettera con cui i vertici della Missione delle Nazioni Unite chiedevano spiegazione per il fermo dei propri dipendenti, esprimendo speranze per un pronto rilascio. Nessun commento, per ora, da parte del governo di Asmara, che in precedenza aveva giustificato gli arresti affermando di cercare giovani disertori. Lo scorso febbraio 27 collaboratori eritrei dell’Unmee erano stati fermati e poi rilasciati dopo proteste dei funzionari della missione internazionale. Questi incidenti avvengono nel momento in cui le relazioni tra l’Eritrea e la missione Onu hanno raggiunto il loro punto più basso: già a ottobre 2005 Asmara aveva imposto limiti alle pattuglie dei caschi blu e agli elicotteri impegnati nel monitoraggio dei circa mille chilometri di frontiera con l’Etiopia; personale nordamericano ed europeo dell’Unmee era stato espulso. L’Eritrea accusa l’Onu di non voler applicare la demarcazione del territorio prevista da un’apposita commissione di arbitraggio, il cui esito è stato più volte respinto dall’Etiopia. Nuovi colloqui per risolvere l’annosa controversa e placare le tensioni tra i due governi sono in corso proprio in queste ore a Londra. I due paesi del Corno d’Africa sono stati protagonisti di una sanguinosa guerra nel 1998-2000, al termine della quale è stata stabilita la missione di osservazione internazionale
AFRICA 18/5/2006 18.50
ETIOPIA – ERITREA, ANCORA NESSUN ACCORDO SUI CONFINI
Si sarebbero conclusi “senza progressi” i colloqui tra Etiopia ed Eritrea a Londra per risolvere l’annosa controversa territoriale e demarcare la frontiera comune: lo ha detto un funzionario del ministero degli Esteri di Addis Abeba, citato dalle agenzie internazionali, secondo il quale il governo di Asmara avrebbe rifiutato di togliere le limitazioni imposte nei mesi scorsi alla missione di pace dell’Onu presente nei due paesi del Corno d’Africa (conosciuta come Unmee). L’obiettivo dell’incontro – ripetutamente rinviato nelle scorse settimane – era di sbloccare una crisi regionale in corso da mesi. L’Etiopia ha respinto la decisione della Commissione internazionale di dare la città frontaliera di Bedme all’Eritrea; le autorità di Asmara hanno invece limitato fortemente le attività dei caschi blu dell’Unmee. Nessun commento, per ora, da parte della delegazione eritrea. Il prossimo incontro sarebbe stato fissato alla metà di giugno. L’Eritrea ha raggiunto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993, dopo una trentennale lotta di liberazione. Le ostilità sono riprese pochi anni: tra il 1998 e il 2000, i due paesi sono stati protagonisti di un sanguinoso conflitto, che ha causato non meno di 70.000 vittime.
SOMALIA 20/5/2006 13.07
MOGADISCIO, NUOVI APPELLI CONTRO ‘MINISTRI-SIGNORI DELLA GUERRA’
Si moltiplicano le reazioni contro i ministri del governo di transizione che guidano le milizie protagoniste dei combattimenti dei giorni scorsi a Mogadiscio, con non meno di 150 vittime in gran parte civili: dopo le richieste dei deputati, anche il sindaco della regione di Banadir, che comprende la capitale, ha attaccato duramente i ‘warlord’. Secondo un’emittente radiofonica locale, Adde Gabow, capo dell’amministrazione locale, avrebbe chiesto al Parlamento di adottare serie misure in particolare contro il ministro della pianificazione e cooperazione internazionale che avrebbe impedito l’arrivo di beni di prima necessità e di assistenza nella città di Mogadiscio, permettendo invece l’approvvigionamento di grandi quantità di armi e materiale bellico. Ieri alcuni deputati del Parlamento di transizione, che da alcuni mesi ha sede nella città meridionale di Baidoa, avevano detto che i cosiddetti ‘signori della guerra’ che da anni controllano Mogadiscio “dovrebbero rispondere di crimini contro l’umanità”. Intanto fonti locali contattate oggi dalla MISNA nella capitale somala confermano che regge ancora la tregua precaria in vigore da una settimana tra la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ appoggiata ormai apertamente dagli Usa e le milizie legate ai potenti Tribunali islamici locali, che secondo alcuni avrebbero connessioni con estremisti radicali e terroristi. La battaglia dei giorni scorsi è considerata una delle più sanguinose degli ultimi anni; dalla caduta di Siad Barre nel 1991, malgrado la nomina di fragili istituzioni di transizione nel 2004, la Somalia non riesce a ritrovare stabilità e pace, quest’ultima invocata a gran voce anche dalla società civile.
SOMALIA 22/5/2006 10.39
MOGADISCIO: DEBOLI SEGNALI DI DISTENSIONE, CRESCONO SFORZI DI MEDIAZIONE
Dovrebbero essere rimossi oggi i blocchi stradali eretti a Mogadiscio nelle scorse settimane durante la battaglia tra fazioni rivali che hanno provocato circa 150 morti e oltre 250 feriti: lo ha annunciato il comitato degli ‘anziani’, spiegando che questa decisione dovrebbe facilitare la difficile mediazione di pace. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui Abdi Dahir Nour, uno dei ‘capi clan’ locali, ha posto un ultimatum per rimuovere entro oggi a mezzogiorno i posti di blocco sia all’interno che all’esterno della città. Resta comunque alta la tensione a Mogadiscio: i miliziani delle due fazioni avversarie sono rimasti nelle posizioni di combattimento da alcuni giorni, malgrado la tregua in vigore ormai da quasi dieci giorni. Intanto da Khartoum arriva la notizia che il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir si impegnerà in una mediazione tra i protagonisti dei combattimenti: la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ composta da alcuni signori della guerra locali, ministri e commerciani – sostenuta in modo ormai dichiarato dagli Usa – e le cosiddette milizie delle ‘Corti islamiche’, che avrebbero legami diretti con elementi radicali. Il presidente sudanese, citato dall’agenzia di stampa del Qatar, ha detto che manderà un suo delegato, dopo aver avuto contatti telefonici diretti con le due fazioni rivali. Anche il presidente dello Yemen – dove ogni anno emigrano migliaia di somali in fuga da violenze e povertà – ha lanciato un appello alla calma, annunciando il suo impegno diretto per raggiungere un accordo tra le parti.
SOMALIA 23/5/2006 6.17
APPROVATA PRESENZA FORZE DI PACE DA SUDAN E UGANDA
Forze di pace provenienti da Uganda e Sudan potranno essere dispiegate in Somalia per garantire sicurezza alle istituzioni e facilitare il complesso ritorno alla normalità democratica: lo ha deciso il governo di transizione, accogliendo una proposta in tal senso del parlamento. Lo si è appreso da fonti giornalistiche locali, che non hanno tuttavia indicato i tempi della nuova missione di pace. Già un anno fa l’Unione africana aveva approvato contingente di peacekeeping di circa 1.700 soldati, schierati inizialmente sotto le insegne dell’Igad (l’organismo regionale dell’Africa Orientale). Resta esclusa, per ora, la partecipazione dei paesi confinanti come Etiopia (con cui le relazioni non sono mai state storicamente facili) e Kenya, che per anni hanno ospitato le lunghe conferenze di pace somale. A maggio del 2005 i contrasti sulla partecipazione dei governi confinanti al contingente in Somalia avevano provocato la spaccatura del parlamento di transizione fino a paralizzarne i lavori. La presenza di truppe internazionali – che saranno poi coordinate dall’Unione Africana – era stata invocata anche nei giorni scorsi a causa degli intensi combattimenti che a Mogadiscio hanno provocato circa 150 vittime e almeno 300 feriti. All’inizio della guerra civile somala, tra il 1992 e il 1993, l’Onu inviò due missioni di pace chiamate ‘Restore Hope’ (“Riportare speranza”), che si conclusero con una ritirata dei caschi blu a causa della violenta opposizione dei clan e dei gruppi armati somali.
SOMALIA 24/5/2006 13.45
MOGADISCIO: ANCORA SCONTRI A FUOCO, RESTA INSICUREZZA
Almeno due o tre persone sono rimaste ferite ieri sera per scontri avvenuti nel quartiere settentrionale Sii-sii di Mogadiscio, già teatro dei violenti combattimenti che all’inizio di maggio hanno provocato circa 150 vittime e non meno di 250 feriti; la MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui oggi la situazione è tranquilla. Lo scambio di colpi di arma da fuoco tra la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ e le milizie dei potenti Tribunali islamici sono durati un paio d’ore, dopo che un’auto ha aperto il fuoco contro un posto di blocco. Secondo un’emittente radiofonica locale proseguono gli sforzi di mediazione degli anziani tradizionali, anche se restano segnali evidenti di tensione: le due parti continuano a occupare le stesse posizioni sul terreno e sembrano prepararsi a nuovi scontri. Intanto nessuna risposta è arrivata dai cinque ministri del governo di transizione – che sono anche tra i principali ‘signori della guerra’ di Mogadiscio – invitati nei giorni scorsi a raggiungere la località di Baidoa, nel sud, dove sono riuniti in Parlamento e l’esecutivo; finora non hanno mai preso parte alle sedute del governo e molti deputati hanno chiesto la loro rimozione e incriminazione per le violenze nella capitale. Intanto a Kismayo, città portuale del sud, non lontano dal confine con il Kenya, la notte scorsa è stato ucciso Shiine Warsame Ali, un esponente di primo piano legato all’ex ‘Alleanza della valle Juba’, coalizione di warlord locali che on in passato non hanno mai riconosciuto il governo di transizione ma che hanno di recente avviato il dialogo con il primo ministro Ali Gedi. Malgrado gli sforzi dell’esecutivo, la Somalia resta in gran parte controllata da signori della guerra e gruppi armati locali, dopo 15 anni di anarchia e totale impunità.
SOMALIA 25/5/2006 15.23
MOGADISCIO:…COLPO DI MORTAIO CADE SU UN OSPEDALE
Sono una sessantina le persone ricoverate nei due principali ospedali di Mogadiscio (il Madina e il Keysaney) per le ferite riportate nei combattimenti che nelle ultime ore sono tornati intensissimi a scuotere almeno 4 diversi quartieri della città: due a nord e due a Sud. Lo riferiscono alla MISNA fonti del Comitato Internazionale della Croce Rossa, le quali, per il momento, non sono in grado di fornire bilanci certi sulle vittime, che secondo fonti di stampa internazionale sarebbero ormai una trentina. “Un colpo di mortaio ha colpito una zona del nostro ospedale, uccidendo un paziente e ferendone un altro” dice alla MISNA il dottor Ali Mohail Mohamed, vice-direttore dell’ospedale Madina, la principale struttura sanitaria della città che si trova nella zona sud di Mogadiscio, a ridosso dell’area dove oggi i miliziani delle sedicenti Corti Islamiche e quelli della cosiddetta Alleanza contro il terrorismo (nata nei mesi scorsi proprio per cacciare le corti da Mogadiscio) si sono affrontati con maggior durezza. “In totale nelle ultime 24 ore abbiamo avuto 4 decessi e abbiamo accolto 30 feriti circa, solo una decina di questi presenta ferite lievi” aggiunge il dottore, precisando che i feriti arrivano spesso con mezzi di fortuna trasportati dai parenti o anche da sconosciuti che li hanno raccolti per strada. Secondo le informazioni raccolte contattando varie fonti in diverse zone di Mogadiscio, i combattimenti nella zona sud della città - al cosiddetto K4 (chilometro 4) e nella zona di Daynile, dove si trova il Sahafi Hotel - si sarebbero temporaneamente interrotti. I miliziani delle Corti avrebbero avuto la meglio sui loro avversari, fuggiti in tarda mattinata verso sud, e controllerebbero adesso l’albergo e tutta la zona circostante che fino a ieri era nelle mani di uno dei principali esponenti dell’Alleanza. Proseguono invece in maniera estremamente intensa i combattimenti tra le parti nei due quartieri a nord di Mogadiscio teatro della battaglia: Sii Sii e Galgalato. Fonti mediche contattate al Keysaney, l’altro grande ospedale che si trova nel nord di Mogadiscio, fanno sapere di aver ricevuto in giornata “già 24 feriti”. “La gente che vive nei pressi delle zone in cui si combatte sta scappando in fretta cercando di fuggire alla battaglia che, se possibile, è ancora peggio di quella della scorsa settimana, visto l’uso continuo di artiglieri pesante da entrambe le parti” dice alla MISNA il dottor Ali Mohali Mohamed, vicedirettore del Madina. “Noi comunque restiamo qui, faremo il nostro lavoro fino alla morte” aggiunge cercando di dare un tono serioso alla sua frase pronunciata in un buon italiana, ma esplodendo poi in una risata fragorosa, “scherzo…non siamo eroi, ma non lasceremo mai il nostro popolo” conclude il medico. Intanto fonti della Croce rossa internazionale fanno sapere che è già arrivati a Mogadiscio un carico di materiale sanitario ordinario e d’emergenza che dovrebbe rifornire il Madina e il Keysaney (il primo sotto la responsabilità del Icrc e il secondo sotto quello della Mezzaluna Rossa). Il carico è alle porte di Mogadiscio e si attende solo che una pausa nei combattimenti consenta di effettuare la consegna.
ERITREA 26/5/2006 6.17
MISSIONE ONU PROTESTA PER NUOVO ARRESTO DIPENDENTI
La Missione delle Nazioni Unite in Etiopia ed Eritrea (Unmee) ha protestato per l’arresto avvenuto ieri di un altro dei suoi dipendenti. Lo hanno fatto sapere fonti della stessa Unmee, precisando che con questo fermo sale a 11 il numero di collaboratori locali della Missione Onu arrestati dal governo di Asmara per ragioni ancora tutte da comprendere. Fonti dell’Unmee, infatti, hanno sottolineato che, come nel caso degli altri 11 dipendenti fermati nelle scorse settimane, la polizia eritrea non ha ancora comunicato le motivazioni dell’arresto. Il 18 maggio scorso le autorità asmarine avevano poi rilasciato uno dei dipendenti (una donna madre di un bimbo piccolo) arrestati ai primi del mese. Lo scorso febbraio 27 collaboratori eritrei dell’Unmee erano stati fermati e poi rilasciati in seguito alle proteste della missione internazionale. Questi incidenti avvengono nel momento in cui le relazioni tra l’Eritrea e la missione Onu hanno raggiunto il loro punto più basso: già a ottobre 2005 Asmara aveva imposto limiti alle pattuglie dei caschi blu e agli elicotteri impegnati nel monitoraggio dei circa mille chilometri di frontiera con l’Etiopia; personale nordamericano ed europeo dell’Unmee era stato espulso. L’Eritrea accusa l’Onu di non voler applicare la demarcazione del territorio prevista da un’apposita commissione di arbitraggio, il cui esito è stato più volte respinto dall’Etiopia. I due paesi del Corno d’Africa sono stati protagonisti di una sanguinosa guerra nel 1998-2000, al termine della quale è stata stabilita la missione di osservazione internazionale.
ETIOPIA 27/5/2006 8.12
‘DONORS’ SBLOCCANO AIUTI, MA SOLO PER USI “SOCIALI”
Gran Bretagna e Banca Mondiale hanno annunciato di aver sbloccato i 315 milioni di euro destinati al governo etiope e congelati sei mesi fa in segno di protesta contro la repressione attuata da Addis Abeba nei confronti dell’opposizione e della società civile nazionale dopo le elezioni. Lo hanno annunciato i due ‘donors’, precisando che i soldi, inizialmente destinati al sostengo diretto delle finanze governative, potranno essere usati ma solo per programmi umanitari con finalità sociali: sia nel settore dell’educazione che in quello della sanità. Nell’annunciare lo sblocco dei fondi, Inghilterra e Banca Mondiale hanno ribadito le loro perplessità per la situazione politica e dei diritti umani nel paese, ma hanno sottolineato di non voler “punire la popolazione”. “L’impatto di questa decisione sarà insignificante, benché saranno i poveri a rimetterci” aveva detto il ministro delle Finanze dell’Etiopia, Sufyan Ahmed, quando i donatori internazionali minacciarono di sospendere aiuti economici diretti.
SOMALIA 27/5/2006 15.46
DA MOGADISCIO SCAPPANO ANCHE “I PIÙ POVERI DEI POVERI”
Centinaia di famiglie nelle ultime 24 ore sono arrivate a Jowhar, il capoluogo della regione della Middle Shabelle, a una novantina di chilometri a nord di Mogadiscio, in fuga dalla principale città della Somalia dove proseguono senza sosta i combattimenti tra i protagonisti di una guerra iniziata lo scorso febbraio. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, che hanno fatto sapere che la maggior parte di questi sfollati ha trovato rifugio proprio nel cuore della cittadina di Jowhar, ma che moltissimi si sono sistemati anche nelle zone rurali circostanti. Si tratta in prevalenza di donne, bambini e anziani, visto che spesso gli uomini della famiglia preferiscono restare a Mogadiscio a proteggere le abitazioni e le proprietà dai saccheggi di eventuali sciacalli. La gente arriva a Jowhar a bordo di mini-bus stracolmi o con mezzi di locomozione propria in cui sono stipati anche alcuni effetti personali e i pochi beni di famiglia. “Quelli che stanno fuggendo ora da Mogadiscio sono i più poveri dei poveri” spiega alla MISNA una fonte umanitaria dell’Onu contattata a Nairobi e che ha chiesto di restare anonima. “Negli ultimi due anni – aggiunge - chiunque aveva anche una minima possibilità economica o familiare per lasciare il paese è fuggito dalla Somalia e se ne è andato all’estero. Quelli che sono rimasti e che ora stanno morendo a Mogadiscio, sono stati costretti a restare perché non avevano nessun altro posto dove andare”. Intanto da Mogadiscio continuano ad arrivare notizie di nuovi combattimenti che si riaccendono in maniera sporadica, ma comunque molto intensa, sia nei quartieri meridionali (soprattutto Daynile) che in quelli settentrionali. Nell’area nord di Mogadiscio, colpi di mortaio e di artiglieria pesante sono tornati in tarda mattinata a risuonare nella zona di Galgalato, dove i miliziani della sedicente Alleanza contro il terrorismo sarebbero riusciti a respingere un’offensiva delle cosiddette Corti Islamiche. Secondo l’ultimo bilancio diffuso dalla stampa internazionale, solo nei combattimenti di oggi almeno 20 persone sarebbero morte e altrettanti sarebbero i feriti. La MISNA non è stata ancora in grado, a causa dei cattivi collegamenti telefonici, di ottenere conferme a queste cifre dai due principali ospedali della città.
SOMALIA 27/5/2006 10.50
MOGADISCIO: RIPRENDONO SCONTRI NEL SUD DELLA CITTÀ
Sono ripresi i combattimenti a Mogadiscio, dove stamattina i miliziani delle sedicenti Corti Islamiche e quelli della cosiddetta Alleanza contro il terrorismo sono tornati a spararsi nella zona sud della città. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, le quali hanno precisato che, come annunciato ieri, i combattimenti sono in corso nel quartiere di Daynile all’altezza di K4 e K5 (ovvero chilometro 4 e 5) i due punti sulla principale strada della zona meridionale della città in cui sono attestati gli uomini dei due schieramenti. Secondo informazioni ancora da verificare la sparatoria di stamani, in cui come nei giorni scorsi le parti stanno facendo ampio uso di artiglieria pesante, avrebbe già causato almeno cinque morti e dieci feriti.
SOMALIA 29/5/2006 12.26
MOGADISCIO: NON SI SPARA, MA LE PARTI SI RINFORZANO
“C’è grande paura in città, perché, anche se è da ieri che i combattimenti sono sostanzialmente cessati, i miliziani delle cosiddette Corti Islamiche e quelli della sedicente ‘Alleanza contro il terrorismo’ continuano a essere schierati gli uni di fronte agli altri in vari punti della città e la battaglia potrebbe riprendere in ogni momento”: a parlare con la MISNA è un esponente del parlamento somalo raggiunto telefonicamente a Mogadiscio, teatro da settimane dei violenti combattimenti tra i due protagonisti della cosiddetta ‘Guerra per Mogadiscio’ iniziata lo scorso febbraio e con fasi alterne mai conclusasi davvero. “Ci aspettiamo che la battaglia ricominci da un momento all’altro anche perché da ieri assistiamo a movimenti di uomini e mezzi e all’arrivo di numerosi rinforzi da entrambe le parti” dice ancora la fonte della MISNA. Secondo le informazioni raccolte dalla MISNA, numerosi giovani starebbero accorrendo da tutte le regioni della Somalia, ma anche dall’estero – come hanno confermato fonti contattate a Londra - dove gli elementi della diaspora seguono con apprensione gli sviluppi di Mogadiscio. A beneficiare di questi rinforzi sarebbero soprattutto le cosiddette Corti Islamiche. Fonti del Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc) hanno fatto sapere che nella settimana appena trascorsa quasi 150 persone sono state ricoverate per ferite da guerra nei due principali ospedali di Mogadiscio (il Madina e il Keysaney). “Attualmente abbiamo 56 feriti. Sono soprattutto donne e bambini, ma ci sono anche anziani e miliziani delle due parti” dice alla MISNA il vice direttore del Madina, il dottor Ali Mohalim Mohamed. Dalla Croce Rossa sottolineano che un aereo con 5 tonnellate di aiuti e di materiale sanitario dovrebbe arrivare domani nei pressi di Mogadiscio e, se le condizioni di sicurezza rimarranno invariate, il suo carico sarà subito distribuito a tutti gli ospedali cittadini. Ma in queste ore è proprio una delle strutture sanitarie di Mogadiscio, il Keysaney, ad essere al centro dell’attenzione delle parti coinvolte nei combattimenti. Secondo le informazioni raccolte, infatti, uno dei principali esponenti della cosiddetta Alleanza contro il terrorismo sta tentando da ieri di ottenere il controllo dell’ospedale, che si trova nella zona nord di Mogadiscio, un’area in gran parte nelle mani delle Corti. Ieri si sono registrati anche momenti di tensione, quando alcuni uomini armati erano entrati nell’ospedale, salvo poi essere convinti da alcuni mediatori a rispettare la ‘neutralità’ della struttura sanitaria.
ETIOPIA 29/5/2006 15.53
ANCORA UNA SERIE DI ESPLOSIONI, QUESTA VOLTA NEL SUD
A poco più di due settimane da una serie di esplosioni nella capitale Addis Abeba, almeno tre bombe sono deflagrate in altrettanti locali pubblici della città meridionale di Jijiga, provocando una 40 di vittime. La MISNA lo ha appreso oggi da fonti locali, che non hanno saputo indicare se vi siano state anche vittime. L’episodio risale a sabato sera, quando tre ordigni sono esplosi a poca distanza di tempo intorno alle 20:00 ora locale in due caffè e un albergo di Jijiga, capitale del cosiddetto Somali State, circa 490 chilometri a est della capitale, non lontano dal confine con l’autoproclamata repubblica del Somaliland (nord della Somalia). Un testimone contattato dalla MISNA per telefono in città ha detto che già ieri la situazione sembrava già essersi normalizzata e oggi non vi sono segnali di tensione. L’amministratore della regoine, Abdulahi Hassan, citato da fonti di stampa internazionale, ha riferito di una ventina di feriti gravi. A luglio dell’anno scorso 9 persone rimasero uccise e una trentina ferite in un simile attacco contro bar e ristoranti nella stessa città. Dall’inizio dell’anno si sono verificate numerose esplosioni soprattutto nella capitale Addis Abeba: l’ultima serie - con almeno otto bombe lo scorso 12 maggio – ha causato 4 vittime e una quarantina di feriti per ordigni esplosi in luoghi pubblici e sui taxi-collettivi. Il governo accusa l’opposizione e alcuni gruppi armati attivi soprattutto nel sud. Oltre alle esplosioni in Etiopia nell’ultimo anno – dopo le contestate elezioni legislative del maggio 2005, vinte dal partito del primo ministro Meles Zenwai - sono avvenuti disordini elettorali sedati nel sangue dalle forze governative, con oltre 90 vittime, in gran parte civili; intanto i vertici dell’opposizione sono stati arrestati e incarcerati in un’ondata repressiva contro intellettuali, esponenti della società civile e giornalisti indipendenti.
SOMALIA 30/5/2006 12.14
MOGADISCIO: MILIZIANI OCCUPANO PRINCIPALE OSPEDALE DELLA CITTÀ
I miliziani di Muse Sudi Yalahow, uno dei signori della guerra che fa parte della sedicente Alleanza contro il terrorismo, hanno occupato ieri sera l’ospedale di Keysaney, la principale struttura sanitaria nel nord di Mogadiscio. La MISNA lo ha appreso da fonti del Comitato internazionale della Croce Rossa in Somalia, che gestisce sia il Keysaney (attraverso la Mezzaluna Rossa), sia il Madina, l’altro grande ospedale di Mogadiscio, situato nella zona sud della città. Secondo le informazioni raccolte decine di uomini armati sono penetrati ieri nell’ospedale prendendo posizione intorno alla struttura e posizionando alcuni mitragliatori sul tetto dell’ospedale. “Ci sono 4 ‘tecniche’ (i fuoristrada con un mitragliatore montato sopra) nel parcheggio, mentre 5 uomini armati sono posizionati sul tetto che è stato tutto contornato di sacchi di sabbia” dice alla MISNA una fonte della Croce Rossa che ha chiesto di mantenere l’anonimato. “L’ospedale - spiega la fonte - riveste un’importanza strategica fondamentale, visto che permette di controllare per un vasto raggio la zona circostante e soprattutto consente di tenere sott’occhio il quartier generale delle cosiddette Corti Islamiche, non molto distante”. L’edificio che oggi ospita l’ospedale di Keysaney era una vecchia prigione ed è contornato da un alto muro di cinta. Fonti della Croce Rossa contattate dalla MISNA smentiscono che i miliziani abbiano obbligato i pazienti a lasciare l’ospedale. “Circa la metà dei pazienti in cura presso il Keysaney sono stati dimessi ieri, altri, che non presentavano gravi ferite, hanno deciso di andarsene volontariamente anche a causa dei nuovi sviluppi” precisa la fonte. “L’ospedale continua comunque a funzionare, medici e infermieri entrano ed escono e proseguono il loro lavoro, anche se certo la presenza di uomini armati non aiuta” aggiunge la fonte della Croce Rossa contattata dalla MISNA. In una nota diffusa stamani da Ginevra, il Comitato internazionale della Croce Rossa “condanna” la presa dell’ospedale sottolineando che tale gesto viola tutte le “leggi umanitarie internazionali”, i normali codici di condotta in tempo di pace e di guerra e lo stesso ‘Biri ma Geido’ il codice di comportamento in guerra della tradizione somala. Nella nota, la Croce Rossa chiede che “i combattenti vengano ritirati dall’ospedale il prima possibile”. Dal 18 febbraio scorso, quando è esplosa la Battaglia di Mogadiscio tra i miliziani delle Corti Islamiche e quelli dell’Alleanza contro il terrorismo, almeno 300 persone sono morte e 1500 sono rimaste ferite, secondo le stime della Croce Rossa. In città per il momento regna una "calma tesa" e le armi tacciono ormai da quasi 72 ore.
SOMALIA 30/5/2006 11.35
INTENSI SCONTRI NEL CENTRO DEL PAESE
Proseguono ormai da tre giorni gli scontri tra due clan rivali che si contendono il comando delle forze di sicurezza del distretto di Jalaladsi, circa 250 chilometri a nord di Mogadiscio, nella regione centrale somala dell'Hiran. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali, le quali hanno precisato che le violenze, intensificatesi nelle ultime 24 ore, avrebbero già causato almeno 4 morti e 13 feriti. Secondo testimonianze ottenute sul posto dall’agenzia italiana Ansa, però, il bilancio potrebbe essere più grave. Fonti locali fanno sapere che i timori maggiori sono legati alla possibilità che le tensioni tra i due clan si estendano ulteriormente a nuovi ‘rami’ delle due famiglie. I combattimenti per il momento hanno già provocato la paralisi delle attività commerciali in tutta la zona e la fuga di un numero ancora imprecisato di civili che ha preferito abbandonare le proprie abitazioni nel timore di nuove violenze. Queste tensioni non sembrano comunque essere in alcun modo in relazione con i violenti combattimenti in corso da settimane a Mogadiscio.
SOMALIA 30/5/2006 19.13
MOGADISCIO: CLAN PROTESTA CONTRO CORTI ISLAMICHE
Alcune centinaia di persone – in parte con armi leggere – hanno manifestato oggi in un quartiere meridionale di Mogadiscio dove nei giorni scorsi sono avvenuti i violenti scontri tra fazioni rivali che hanno provocato non meno di una cinquantina di morti e oltre 150 feriti. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui i manifestanti avrebbero chiesto alle milizie delle Corti islamiche di ritirarsi dall’area di Daynille, controllata da uno dei signori della guerra che fa parte della sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’. All’iniziativa – stando alle fonti locali – hanno partecipato soprattutto esponenti del clan Murusade, al quale appartiene Mohammed Qanyare Afrah, warlord della zona e attuale ministro della sicurezza del governo di transizione provvisorio (ancora in carica malgrado ripetute richieste dei deputati che ne chiedono la rimozione). È la prima volta che gli abitanti di un quartiere scendono in strada contro “l’occupazione” delle Corti islamiche, che nei combattimenti dei giorni scorsi avrebbero guadagnato terreno ai danni dei warlord dell’Alleanza anti-terrorismo. Intanto la MISNA ha appreso che l’ospedale di Keysaney, nell’area nord di Mogadiscio, è ancora occupato dai miliziani dell’Alleanza, che ieri sera lo hanno occupato. “Le attività sanitarie oggi si sono mantenute a un livello minimo” ha detto alla MISNA il portavoce del Comitato internazionale della Croce rossa (Icrc) Pedram Yazdi, raggiunto al telefono. “I miliziani mantengono le loro posizioni all’interno dell’ospedale” ha spiegato, aggiungendo che “sia nella struttura sanitaria che in città la tensione resta molto alta”. Da Nairobi si apprende inoltre del trasferimento di un diplomatico statunitense dell’ambasciata Usa in Kenya che nei giorni scorsi aveva criticato i finanziamenti Usa ai ‘warlords’ di Mogadiscio: l’agenzia ‘Reuters’ scrive che Michael Zorick, ex-funzionario responsabile delle questioni politiche somale, è stato inviato nella rappresentanza americana in Ciad, dopo aver ripetutamente espresso disaccordo con la scelta di Washginton di appoggiare alcuni ‘signori della guerra’ della capitale somala in funzione “anti-terroristica”. Numerose critiche sono state avanzate agli Usa per il sostegno alla sedicente ‘Alleanza’, che – insieme alle Corti islamiche – si è resa responsabile dei più gravi combattimenti a Mogadiscio degli ultimi dieci anni, nei quali sono morte non meno di 320 persone, in gran parte civili.
SOMALIA 31/5/2006 10.10
MOGADISCIO: INTENSA BATTAGLIA ALLE PRIME ORE DEL MATTINO
Sono almeno 7 le persone morte questa mattina negli intensi combattimenti esplosi in un quartiere a nord di Mogadiscio. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, le quali precisano che la battaglia è iniziata verso le 3 del mattino (ora locale, le 02:00 ora italiana) ma si è fatta più intensa verso le 05:00. I combattimenti sono durati circa 3 ore e hanno interessato una larga fetta di territorio nella periferia nord di Mogadiscio. Sporadici colpi di arma da fuoco continuano a risuonare nella zona, anche se, dalle informazioni raccolte, la battaglia di stamani si sarebbe conclusa, facendo registrare un altro ‘successo’ dei miliziani delle cosiddette Corti Islamiche che pare siano riusciti a strappare il controllo del mercato di Hologa, uno dei principali della zona, agli uomini della sedicente Alleanza contro il terrorismo. Al momento la ‘linea del fronte’ nella zona nord della città si sarebbe quindi spostata sulla strada che da Mogadiscio porta verso nord in direzione Jowhar. Fonti dell’ospedale Madina, la principale struttura ospedaliera nel sud della città, fanno sapere alla MISNA che sono almeno sei i feriti dei combattimenti di stamani. “Stamani abbiamo ricoverato 1 bambino, 2 donne e 3 uomini; tutti riportano gravi ferite per i combattimenti e le loro condizioni sono critiche” ha detto alla MISNA il dottor Ali Moustapha Mohalim, vice direttore del Madina. Fonti della Croce Rossa - che a Mogadiscio gestisce sia il Madina che l’altro grande ospedale nel nord della città, il Keysaney – fanno sapere che da oltre 48 ore il Keysaney non riceve pazienti. La struttura ospedaliera del nord, infatti, continua a essere occupata dai miliziani dell’Alleanza contro il terrorismo che lunedì sera hanno preso possesso della struttura (la cui posizione risulta importantissima da un punto di vista strategico perché a ridosso del quartier generale delle Corti Islamiche) piazzando i propri uomini all’interno e alcuni mitragliatori sul tetto. Un tentativo di mediazione è in corso per convincere gli uomini Muse Sudi Yalahow, uno dei signori della guerra che fa parte della sedicente Alleanza contro il terrorismo, a lasciare l’ospedale.
SOMALIA 1/6/2006 13.57
MOGADISCIO: SCONTRI FUORI CITTÀ, SI TEMONO ULTERIORI VIOLENZE
È ancora incerto il bilancio degli scontri avvenuti oggi a nord della capitale Mogadiscio, dove la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ sostenuta in modo indiretto dagli Usa avrebbe attaccato posizioni delle milizie islamiche, che negli ultimi giorni hanno conquistato alcuni quartieri della capitale. Sembra che le vittime siano almeno 3, cui si aggiungono alcuni feriti. Secondo informazioni raccolte dalla MISNA, i combattimenti sono avvenuti sulla strada per Balad, una ventina di chilometri a nord di Mogadiscio, dove nelle ultime ore sono arrivati rinforzi a favore dell’Alleanza e si temono nuovi combattimenti: sembra che decine di cosiddette ‘tecniche’ – i fuoristrada su cui i miliziani montano armi pesanti – siano giunte da Johwar. Intanto in città stamani si sono uditi solo colpi sporadici, ma la situazione resta particolarmente tesa all’ospedale Keysaney, nella zona settentrionale di Mogadiscio, occupato da tre giorni dalle bande armate del warlord Muse Sudi Yalahow. “I miliziani continuano a tenere posizione all’interno dell’ospedale e sul tetto” ha detto stamani alla MISNA Pedram Yazdi, portavoce per la Somalia del Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc, che a Mogadiscio sostiene l’ospedale Keysaney e il Medina). “Le attività sanitarie sono ridotte al minimo e il numero di pazienti è di circa 45-50, meno della metà dei ricoveri abituali”. Secondo un’emittente radiofonica locale, esponenti dell’associazione ‘Giustizia somala’ negli Stati Uniti avrebbero chiesto l’intervento della Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi) accusando di crimini di guerra Muse Yalahow per aver violato le Convenzioni di Ginevra con l’occupazione dell’ospedale. Da New York, intanto, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha duramente condannato i nuovi scontri nella capitale, che negli ultimi giorni hanno provocato 60-70 vittime, cui si aggiungono i circa 150 morti della seconda settimana di maggio e oltre 1.000 feriti. Una richiesta di “tregua immediata e incondizionata” è stata rivolta dal massimo organismo dell’Onu alle due parti coinvolte negli scontri. Mogadiscio, l’unica capitale al mondo dove il personale sanitario delle Nazioni Unite non hanno accesso a causa dell’assoluta mancanza di sicurezza, malgrado l’urgenza di prestare aiuto a circa 250.000 sfollati, che vivono nella città; dopo la caduta di Siad Barre nel 1991 la Somalia – malgrado una fallita missione dell’Onu nel 1992-93 (‘Restore hope’) non si è più risollevata ed è rimasta in uno stato di sostanziale anarchia che le fragili istituzioni di transizione – con sede temporanea nella città di Baidoa - non riescono a superare.
ERITREA 1/6/2006 19.21
GOVERNO AUMENTA RESTRIZIONI DI VIAGGIO PER GLI STRANIERI
Da oggi gli stranieri – diplomatici, lavoratori, operatori umanitari e turisti – dovranno richiedere permessi di viaggio ogni volta che dovranno spostarsi entro la nazione. “A partire dal primo giugno 2006, è necessario che tutti i cittadini stranieri, compresi i diplomatici, residenti ad Asmara abbiano un permesso di viaggio per viaggiare fuori Asmara” si legge in un comunicato diffuso dal ministero degli Esteri, che prosegue: “Similmente, gli stranieri che lavorano fuori Asmara dovranno richiedere un permesso di viaggio ogni volta che dovranno muoversi fuori dalle città dove lavorano”. Il governo aveva già imposto restrizioni di viaggio ai cittadini stranieri. Solo le città di Massawa, Keren, Dekemhare e Mendefera – tutt’e quattro a meno di 100 chilometri dalla capitale Asmara – potevano essere visitate senza specifici permessi. D’ora innanzi bisognerà comunicare alle autorità locali date, tempi, rotta e ragioni di qualsiasi viaggio e occorrerà attendere parecchi giorni prima di ottenere l’autorizzazione. Il provvedimento “era necessario” ha commentato il ministro per l’Informazione Ali Abdu, negando che a motivarlo siano state ragioni di sicurezza ma senza fornire ulteriori spiegazioni. “Non avrà effetti sul turismo – ha poi assicurato – e non cambierà la vita quotidiana degli stranieri in Eritrea”.
AFRICA 1/6/2006 15.55
ETIOPIA ED ERITREA CRITICHE SU RIDUZIONE MISSIONE ONU
Critiche e perplessità sono state avanzate oggi dai governi di Asmara e Addis Abeba per la risoluzione 1681 adottata ieri all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, che riduce da 3.373 a 2.300 i caschi blu della missione di pace dell’Onu dislocata da circa sei anni tra Eritrea ed conosciuta come (Unmee), oltre a prorogarne il mandato di quattro mesi sino al 30 settembre. “Il taglio e la durata dell’Unmee sono dei diversivi: la questione centrale è la definizione della frontiera. L’Etiopia continua a bloccare la demarcazione e il Consiglio di sicurezza continua a tollerarlo” ha commentato Yemane Gebremeskel, direttore di gabinetto del presidente eritreo Isayas Afeworki. Wahilde Belay, portavoce del ministro etiope degli Affari stranieri, ha invece criticato che la risoluzione: “L’Eritrea non è stata menzionata per avere respinto la richiesta dell’Onu di annullare le sanzioni che limitano il movimento della Unmee, perché è l’Eritrea che blocca il processo di pace”. Lo scambio d’accuse reciproco non è nuovo: dopo il conflitto del 1998-2000 che ha provocato oltre 70.000 vittime, siglando l’Accordo d’Algeri, i due paesi avevano accettato la demarcazione dei 1.000 chilometri della frontiera comune – mai definita da quando nel 1993 l’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia – da parte di una Commissione internazionale. Nel 2002 però l’Etiopia ha respinto tale decisione e il confine non è mai stato tracciato. L’Eritrea, che accusa l’Onu di essere parziale nei confronti di Addis Abeba, nell’ottobre 2005 ha vietato voli dell’Unmee sul suo territorio e espulso alcuni funzionari Onu. Dopo il fallimento dei colloqui a Londra del 17 e 18 maggio, l’Onu ha perciò approvato la risoluzione 1681 che, tra l’altro, “esige che le parti applichino integralmente la risoluzione 1640” del novembre 2005, che invita il governo eritreo ad annullare le restrizioni della libertà di movimento per i caschi blu.
SOMALIA 3/6/2006 9.37
MOGADISCIO: OCCUPAZIONE OSPEDALE È “VIOLAZIONE DIRITTO UMANITARIO”
“Nel momento in cui le persone hanno bisogno di cure sanitarie e chirurgiche, l’occupazione dell’ospedale Keysaney (di Mogadiscio, ndr) da parte di milizie armate costituisce una massiccia violazione del diritto umanitario internazionale”: lo ha detto Jan Egeland, sottosegretario Onu agli affari umanitari. All’inizio della settimana uomini armati al soldo di Musa Sudi Yalahow, un cosiddetto ‘un ‘signore della guerra’ di Mogadiscio, hanno preso il controllo di uno dei due principali nosocomi della capitale, costringendo i sanitari a dimettere decine di pazienti, come la MISNA aveva appreso e riferito nei giorni scorsi. Le milizia appartengono alla sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ protagonista di violentissimi combattimenti nelle ultime settimane contro le milizie legate ai potenti tribunali islamici locali. Secondo quanto ha appreso la MISNA stamani, l’ultimo bilancio degli scontri nella notte tra mercoledì e giovedì è di 11 morti e decine di feriti nella zona di Elmuri, circa 20 chilometri a nord di Mogadiscio; le vittime, questa volta, sarebbero tutte miliziani. All’inizio di maggio e la scorsa settimana, invece, sono stati uccisi decine di civili, in un bilancio difficile da calcolare ma comunque pesantissimo: secondo Egeland, dall’inizio dell’anno – in tre differenti momenti - sono state uccise 300 persone, 1.500 ferite e oltre 17.000 costrette ad abbandonare le proprie abitazioni, nei combattimenti più feroci vissuti nella capitale negli ultimi anni, dove comunque dal 1991 vige l’anarchia assoluta. “I recente bombardamenti indiscriminati a Mogadiscio – si legge ancora nelle dichiarazione di Egeland – e l’allargamento degli scontri nei dintorni della capitale hanno prodotto un enorme sofferenza umana”. Il dramma della Somalia è stato denunciato ieri anche da Dennis McNamara, consigliere speciale dell’Onu per gli sfollati, appena rientrato da una missione in loco. Da Ginevra, McNamara ha chiesto all’Occidente di riportare sicurezza nel paese invece di armare i miliziani: il riferimento è a recenti dichiarazioni degli Usa, che hanno ammesso di aver sostenuto “alcuni gruppi” di Mogadiscio in funzione anti-terroristica. Pur non ammettendolo apertamente, gli Stati Uniti stanno finanziando la sedicente ‘Alleanza anti-terroristica’ composta proprio da quei ‘warlords’ (o dai loro ‘eredi’ militari) che nel 1993 uccisero 18 marines abbattendo un elicottero durante l’operazione Onu ‘Restore Hope’ (l’episodio venne raccontato anche nel film ‘Black Hawk down’). “Stiamo vedendo grandi investimenti negli scontri armati, investimenti in instabilità soprattutto a Mogadiscio e poco sostegno invece alla stabilità, al processo di pace e a riportare i somali alla normalità” ha aggiunto McNamara. I donatori, ha aggiunto, finora hanno contribuito con meno del 20% alla richiesta di 330 milioni di dollari lanciata dall’Onu per la Somalia, dove nel sud si stanno ancora scontando le conseguenze di una grave siccità che si è protratta per mesi.
SOMALIA 3/6/2006 17.15
MOGADISCIO: RIPRENDONO SCONTRI FUORI CITTÀ, NUOVE VITTIME
È di almeno 8 morti – tutti miliziani – e decine di feriti il bilancio ancora provvisorio di nuovi scontri avvenuti oggi una ventina di chilometri a nord di Mogadiscio, dove si sono affrontati la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ e i gruppi armati delle Corti islamiche della capitale. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui i combattimenti – anche con l’uso di artiglieria pesante - si sarebbero concentrati nella zona di el-Arfid e Alyale, nei pressi di Balad, lungo il principale asse viario della regione agricola del Middle Shabelle. Nella stessa zona erano avvenuti violenti scontri anche nella notte tra mercoledì e giovedì; il bilancio è apparso più grave di quanto inizialmente riportato: sembra che almeno 16 persone siano state uccise, anche in questo caso in maggioranza uomini armati. Secondo il corrispondente di un’emittente radiofonica locale, i miliziani dei tribunali islamici avrebbero preso il controllo di un’area in precedenza controllata da Muse Sudi Yahalow, uno dei cosiddetti ‘signori della guerra’ che a febbraio ha dato vita all’‘Alleanza per la restaurazione della pace e contro il terrorismo' (Arpct), che secondo molti è sostenuta dagli Stati Uniti (Washington ha ammesso di aver appoggiato “alcuni gruppi” impegnati contro il terrorismo). Ieri migliaia di persone erano scese nelle strade di Mogadiscio protestando contro il coinvolgimento degli Usa e il loro sostegno economico a una delle due parti coinvolte nei recenti scontri, che dall’inizio del 2005 – come ha detto ieri il sottosegretario Onu agli affari umanitari Jan Egeland – ha provocato oltre 300 morti, 1500 feriti e 17.000 sfollati.
SOMALIA 5/6/2006 8.55
MOGADISCIO: NUOVE CONQUISTE MILIZIE ISLAMICHE DENTRO E FUORI LA CAPITALE
Dopo aver conquistato ieri l’importante località di Balad, circa 30 chilometri da Mogadiscio, stamani le milizie dell’Unione delle Corti islamiche avrebbero preso il controllo anche del quartiere meridionale di Daynille, in città, costringendo alla fuga Mohammed Qanyare Afrah, potente ‘signore della guerra’ e – sulla carta – ministro della sicurezza del governo di transizione somalo. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui i combattenti dei Tribunali islamici avrebbero confiscato decine di cosiddette ‘tecniche’ – fuoristrada dotati di armi pesanti e mitragliatrici sul cassone posteriore – obbligando alla resa decine di miliziani. Non è chiaro il bilancio degli ultimi scontri, anche se ieri sarebbero morte almeno 12 persone. Sembra che il ‘warlord’ della zona abbia abbandonato la sua roccaforte, dove si trova anche un piccolo scalo aereo che in questi anni gli aveva permesso illegali e lucrosi traffici legati soprattutto al qhat, la droga dei poveri che viene importata dal vicino Kenya. Qanyare è uno dei fondatori della sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ – sostenuta anche dagli Stati Uniti - che da febbraio ha provocato violentissimi scontri con le milizie islamiche, in cui almeno 350 persone sono rimaste uccise e oltre 1.500 ferite, in gran parte civili.
SOMALIA 6/6/2006 12.19
UNIONE AFRICANA: “AIUTATE I SOMALI, NON I SIGNORI DELLA GUERRA”
“Garantire assistenza ai diversi gruppi e ai ‘signori della guerra’ non è una soluzione di lunga durata. Vorremmo che si facessero sforzi per avere un governo stabile a Mogadiscio”: lo ha detto il presidente dell’Unione Africana (Ua) Denis Sassou Nguesso dopo aver incontrato il presidente degli Stati Uniti a Washington, a poche ore dall’annuncio che l’Unione delle Corti islamiche controlla la maggior parte della capitale somala dopo una battaglia di quattro mesi contro l’‘Alleanza anti-terrorismo’ dei signori della guerra. “Come africani, stiamo lavorando insieme perché si possa avere al più presto il nuovo governo a Mogadiscio, perché altrimenti la Somalia continuerà ad essere un non-Stato” ha aggiunto il presidente di turno dell’Ua. Di recente gli Usa avevano ammesso il sostegno economico ad “alcuni gruppi” a Mogadiscio; secondo la maggior parte degli osservatori il supporto statunitense è stato finora rivolta alla sedicente “alleanza anti-terrorismo” dei warlords che per 15 anni hanno controllato con la violenza la capitale e che da ieri sono stati in gran parte estromessi dalla città. Finora l’amministrazione Usa non ha risposto alle accuse di aver finanziato i signori della guerra e – indirettamente – anche la battaglia che in questi mesi ha provocato circa 350 morti, oltre 1.500 feriti (in gran parte civili) e alcune migliaia di sfollati. Da ieri la “guerra di Mogadiscio” sembrerebbe arrivata a un punto di svolta, con la vittoria delle Corti islamiche, sospettate di contiguità con alcuni ambienti legati ad al-Qaida.
SOMALIA 6/6/2006 13.53
MOGADISCIO: CORTI ISLAMICHE PRONTE A DIALOGO CON GOVERNO
Disponibilità al dialogo con il governo di transizione, nessun accenno alla ‘Sharìa’ o all’applicazione di leggi islamiche, volontà di ristabilire la pace a Mogadiscio e le condizioni per l’elezione dei rappresentanti da parte del popolo: sono alcuni dei passaggi salienti di un lungo documento in inglese che l’Unione delle Corti islamiche – che da ieri ha il controllo su gran parte di Mogadiscio – ha recapitato in tarda mattinata alle ambasciate straniere a Nairobi, in Kenya, di cui la MISNA è venuta a conoscenza. Il testo – firmato dal portavoce delle Corti Sherif Sharif Ahmad, un somalo che parla arabo e che ha studiato in Libia e Sudan – conferma l’impegno a riportare la calma nella capitale dopo quattro mesi di scontri con l’alleanza anti-terrorismo composta da alcuni signori della guerra, ormai esautorati da Mogadiscio. “È errata l’equazione che rappresenta le Corti islamiche come un governo ‘talebano’ pronto a introdurre la sharìa, la legge del Corano” dice alla MISNA Mario Raffaelli, rappresentante speciale dell’Italia in Somalia, raggiunto al telefono a Nairobi. Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa, citato dalla agenzie internazionali, dopo la ‘vittoria’ delle milizie islamiche ha detto: “Non vogliamo vedere la Somalia trasformarsi in un paradiso per i terroristi stranieri”, senza tuttavia rispondere alle accuse di aver sostenuto finanziariamente l’alleanza dei ‘warlords’ nella ‘guerra di Mogadiscio’, che da febbraio ha provocato 350 vittime e oltre 1.500 feriti – in gran parte tra i civili. “È improprio parlare di ‘talebani’ perché le corti islamiche sono caratterizzate dall’appartenenza ai clan, che costituisce l’elemento portante della società somala” spiega Raffaelli. “Non sfugge a nessuno che a Mogadiscio vi sono anche elementi radicali, ma il governo provvisorio somalo ha già dichiarato di essere pronto a trattare con le Corti islamiche, facilitando così il dialogo con gli elementi moderati” dice ancora il diplomatico italiano alla MISNA. “Qualcuno – aggiunge un deputato somalo raggiunto per telefono a Baidoa, che chiede l’anonimato – non ha ancora capito che anche l’organizzazione delle Corti islamiche è basata sui clan: si tratta in gran parte di Habr Gedir, il gruppo che arrivò a Mogadiscio insieme al generale Mohamed Farah Aidid per rovesciare il dittatore Siad Barre”. Malumori contro la possibile predominanza del clan Habr Gedir sono confermati da due diverse manifestazioni che stamani hanno avuto luogo a Mogadiscio, dove alcune centinaia di persone appartenenti al clan Abgal – una fazione del più ampio clan Hawiya, di cui fanno parte anche gli stessi Habr Gedir - hanno sfilato per le strade protestando contro le Corti islamiche; gli stessi Abgal hanno comunque il controllo di alcuni Tribunali islamici. “In Somalia non si può non ragionare in base all’appartenenza per clan – dice ancora il deputato alla MISNA – perché altrimenti si rischia di fare come gli americani che vedono terroristi ovunque: qui siamo tutti musulmani, la definizione di ‘tribunali islamici’ non significa che improvvisamente siano arrivati miliziani di al-Qaida a occupare Mogadiscio, anche se è nota la presenza in città di alcuni personaggi legati a gruppi terroristici stranieri”. In Somalia, conclude, “c’è più preoccupazione per la possibile rottura di equilibri tra clan piuttosto che per una trasformazione in senso ‘talebano’. Ma soprattutto, c’è la speranza di aver posto fine al periodo di impunità assoluta con cui i warlords hanno controllato Mogadiscio per quindici anni”.
SOMALIA 6/6/2006 21.19
MOVIMENTI DI TRUPPE INTORNO A JOWHAR, MENTRE FERVONO NEGOZIATI
Negoziati sono in corso tra rappresentanti delle Corti Islamiche e i Signori della Guerra che, dopo essere stati sconfitti e aver abbandonato Mogadiscio, hanno riparato a Jowhar, una novantina di chilometri a nord della principale città somala. Lo riferiscono alla MISNA fonti del parlamento somalo, precisando che entrambe le parti sembrano intenzionate ad evitare che Jowhar – piccola città in cui vivono non più di 3000 anime e che nei mesi scorsi ha ospitato temporaneamente le nuove istituzioni somale diventando per un po’ la capitale della Somalia - si trasformi in un campo di battaglia come accaduto a Mogadiscio nei mesi scorsi. Sin da ieri un nutrito gruppo di miliziani delle Corti (si parla di almeno 500 uomini a bordo di una decina di tecniche) si era messo in marcia verso Jowhar e oggi sono stati segnalati a una decina di chilometri dalla città. Poco distante si troverebbe un numero equivalente di uomini fedeli ad alcuni ex-‘signori della guerra’ di Mogadiscio. I negoziati proseguono anche nella principale città somala, dove, nonostante i proclami di ieri, resta ancora un piccolo gruppo di uomini armati fedeli a Muse Sudi Yalahow, il warlord membro della sconfitta Alleanza contro il terrorismo che la scorsa settimana aveva occupato l’ospedale di Keysaney, trasformandolo nella propria sede e che non ha ancora lasciato la struttura nel nord di Mogadiscio. In città, intanto, la popolazione continua a essere estremamente incerta sugli sviluppi politici della fine dell’era dei signori della guerra e dell’arrivo delle Corti. “Ci sono incontri a ripetizione a Mogadiscio, a Baidoa e a Nairobi. Tutte le famiglie del paese e la complicata struttura di potere legata ai clan è in subbuglio e sono in corso negoziati, trattative e mediazioni i cui esiti sono ancora imprevedibili” aggiunge una fonte diplomatica occidentale che ha chiesto di restare anonima. Da parte loro, le Corti Islamiche oggi hanno confermato l’ottimismo in circolazione da almeno 48 ore riguardo alla loro volontà di confrontarsi col governo di transizione con sede a Baidoa. In quello che assomiglia molto a un programma politico, l’Unione delle Corti Islamiche fa sapere di volere “la pace, il disarmo dei criminali, e la ricostruzione del paese, a partire dai porti, aeroporti, strade e scuole” Il documento, di cui la MISNA aveva già anticipato alcuni passaggi nel pomeriggio, è stato inviato oggi alla comunità internazionale - Onu, Lega Araba, Unione Africana, Organizzazione dei Paesi Islamici, Igad
(Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo), Unione Europea,
dipartimento di stato Usa, 14 ambasciate internazionali (tra cui quella d' Italia) a Nairobi – proprio per "rompere il silenzio tra noi e la stessa comunità" e "rendere l'esatta immagine del conflitto attuale a Mogadiscio". Nel documento, firmato dal portavoce delle Corti sheikh Sharif Sheikh Ahmed, si accusano apertamente i “warlord” somali del caos che ha ‘governato’ il paese negli 15 anni e che è stato causato dal loro rifiuto di “partecipare al processo di pace somalo e di essere disarmati” e dalla volontà di “tenere in ostaggio il paese". “La Somalia è una società omogenea – prosegue la nota - siamo musulmani al 100 per 100, parliamo la stessa lingua ed abbiamo un patrimonio culturale difficile da interpretare per gli estranei. Abbiamo un sistema clanico che i non somali non capiscono facilmente, rimasto nelle radici nel paese". Nel documento, le Corti rifiutano l' accusa di ospitare terroristi nelle aree in cui operano i tribunali islamici e invitano la comunità internazionale a visitarle per rendersi conto della situazione. Viene respinta l' accusa di voler creare governi anti-americani o anti-occidentali, ribadendo la volontà di voler contribuire a dar vita a un ambiente di pace per il futuro e rapporti amichevoli con la comunità mondiale nel rispetto degli interessi reciproci, allo scopo di ottenere sostegno per il processo di pace. Fonti diplomatiche occidentali contattate dalla MISNA fanno notare però che, nella loro lunga marcia politica (iniziata con l’occupazione del cimitero coloniale italiano di Mogadiscio), le Corti hanno effettivamente ospitato al loro interno elementi estremamente radicali e che queste correnti del movimento, definite “facce non presentabili”, potrebbero non accettare facilmente di essere messe da parte per favorire l’ingresso delle Corti nelle nuove istituzioni somale.
SOMALIA 7/6/2006 9.49
‘SIGNORI DELLA GUERRA’ MESSI AL BANDO DAL KENYA
I ‘signori della guerra’ e i loro alleati di Mogadiscio non potranno più usare il Kenya come base per le loro attività: il governo li ha dichiarati “persone non grate” e d’ora in avanti non rilascerà loro visti di ingresso, di transito né di soggiorno: lo scrive stamani il quotidiano ’The Nation’, che cita un comunicato del ministero degli Esteri diffuso la notte scorsa. Le autorità keniane non intendono permettere che il suo territorio “sia usato da coloro che persistono nella destabilizzazione della Somalia e minacciare gli sforzi per riportare pace e sicurezza nel paese” si legge nel documento. I ‘warlords’ somali – sconfitti nei giorni scorsi dalle Corti islamiche e costretti ad abbandonare gran parte delle proprie postazioni a Mogadiscio – hanno a lungo usato Nairobi per incontri più o meno ufficiali e per organizzare traffici leciti e illeciti: l’ormai deposto ministro della sicurezza del governo di transizione somalo Mohammed Qanyare Afrah – come la MISNA ha constatato nei mesi scorsi – ha soggiornato con frequenza in un lussuoso alberghi di Nairobi. In realtà Nairobi in questi anni è stata la base anche per gran parte dei colloqui politici e delle lunghe conferenze di pace che nell’ottobre del 2004 hanno portato alla formazione dell’attuale governo di transizione. Il Kenya ha sostenuto – anche economicamente, insieme alla comunità internazionale e anche all’Italia – gli sforzi per la nascita delle nuove istituzioni: “Abbiamo speso tempo, denaro e altre risorse e non possiamo permetterci che i warlords possano rovinare tutto” ha detto al ‘Nation’ Moses Wetangula, assistente del ministero degli Esteri, ribadendo che le regioni del Corno d’Africa – oltre a Kenya, Sudan, Uganda, Etiopia, Eritrea e Gibuti – sono impegnati per riportare la pace in Somalia.
SOMALIA 7/6/2006 18.51
APPELLO PER AIUTI A MOGADISCIO, A JOWHAR SITUAZIONE RESTA TESA
Un appello urgente alla comunità internazionale per la consegna di aiuti e l’assistenza umanitaria agli abitanti di Mogadiscio è stato lanciato oggi dal primo ministro del governo di transizione somalo Ali Mohamed Gedi che ha ricordato come siano migliaia le persone che hanno subito i contraccolpi degli intensi combattimenti avvenuti negli ultimi 4 mesi per le strade della capitale somala. Parlando con alcuni giornalisti locali, da cui la MISNA ha appreso la notizia, Gedi ha chiesto alla comunità internazionale di indirizzare gli aiuti alle autorità della provincia del Banadir, all’Unione delle Corti Islamiche e alle associazioni della società civile di Mogadiscio che potranno poi occuparsi della distribuzione. È la prima volta che il primo ministro somalo lancia un appello per aiuti da destinare a Mogadiscio, una città che le nuove istituzioni non hanno mai controllato sin dalla loro creazione. Intanto la tensione vissuta per mesi da Mogadiscio sembra essersi trasferita adesso a Jowhar (una novantina di chilometri più a nord) dove hanno riparato, dopo la sconfitta subita nei giorni scorsi, i signori della guerra fuggiti dalla capitale somala. Da ieri circa 500 miliziani delle Corti Islamiche si trovano a sud di Jowhar, a pochi chilometri di distanza da un numero equivalente di uomini fedeli all’Alleanza contro il terrorismo dei warlord che fino a qualche giorno fa comandavano Mogadiscio. Fonti giornalistiche internazionali hanno riferito nel pomeriggio di “numerosi abitanti di Jowhar in fuga dalla città nel timore di imminenti combattimenti tra le parti”, ma varie fonti contattate dalla MISNA non sono in grado di confermare e sostengono invece che la situazione sarebbe tesa, ma ancora pacifica e che negoziati proseguono per arrivare a accordo negoziato. Intanto a Mogadiscio si fa un gran parlare delle dichiarazioni rilasciate oggi ad alcuni organi di informazione internazionali e ribadite sulle frequenze delle radio locali da Sharif Sheikh Ahmed, portavoce e volto delle Corti Islamiche, il quale ha detto di “pensare seriamente a dimettersi”. “Sento che ho perfettamente fatto fronte ai miei compiti e che sia il tempo che qualcun altro prenda questa responsabilità. Siamo infatti alla vigilia di una nuova fase che necessita sangue nuovo'' ha detto Sharif. Nel clima di grande incertezza e dei convulsi negoziati politici in corso a Mogadiscio (così come a Baidoa, ad Addis Abeba e a Nairobi) la gente si chiede se le parole si Sharif non siano da ricollegare alle spaccature emerse negli giorni all’interno delle Corti (tra un’ala più moderata pronta a venire a patti col governo di transizione e quella più radicale che sogna la proclamazione di uno stato islamico) o piuttosto alle tensioni “etniche” che, nel complicato scenario somalo, si incrociano a quelle politiche. Il portavoce delle Corti, infatti, sarebbe uno dei due appartenenti all’etnia Agbal (la maggioranza autoctona di Mogadiscio) presenti all’interno delle Corti, che per il resto sono formate e sostenute soprattutto da esponenti e notabili dell’etnia Ahir, giunti nella capitale solo una quindicina di anni fa, ma rapidamente arricchitisi e divenuti potenti. “C’è una gran confusione stiamo cercando di venire a capo di un groviglio in cui si mischiano fattori ideologici religiosi, etnici, clanici, politici, affaristici; Insomma tutti quegli aspetti che hanno portato gli antropologi a inserire i somali tra le società strutturalmente più complesse del pianeta” dice, sorridendo, un diplomatico occidentale contattato a Nairobi, dietro richiesta dell’anonimato.
SOMALIA 8/6/2006 13.15
CALMA TESA A JOWHAR, MENTRE A MOGADISCIO SI NEGOZIA PER ALLEANZA CLANICA
Resta calma per ora la situazione a Jowhar, la cittadina di 3000 abitanti a circa una novantina di chilometri da Mogadiscio, dove, con l’arrivo nei giorni scorsi dei ‘warlord’ sconfitti nella capitale somala e delle milizie delle Corti Islamiche al loro inseguimento, si sono ormai spostati tensione e timori di nuovi combattimenti. Lo riferiscono alla MISNA fonti locali, precisando che le parti stanno continuando a negoziare per arrivare a un ritiro di entrambi gli schieramenti (si parla di almeno 500 uomini pesantemente armati da ciascuna parte) dalla città. Conferme a queste informazioni sembrano arrivare anche da alcune agenzie di stampa internazionali che hanno riportato il ripiegamento verso sud dei miliziani islamici, diretti in queste ore verso Balad, a metà strada tra Jowhar e Mogadiscio. Intervistato dalla stampa internazionale, il portavoce e capo delle Corti Islamiche, Sharif Sheikh Sharif Ahmed, ha poi precisato che non vi sono piani relativi a un attacco su Jowhar. Intanto, fonti umanitarie hanno fatto sapere alla MISNA che da Jowhar sono stati evacuati ormai tutti i dipendenti internazionali delle agenzie dell’Onu e delle organizzazioni non governative (ong) che operavano in città, di cui però resta il personale somalo. Queste stesse fonti fanno sapere di non avere, per il momento, notizia di fughe di massa della popolazione civile di Jowhar, come riportato nelle ultime 24 ore da alcune agenzie di stampa internazionali. A Mogadiscio intanto sarebbero entrati nel vivo i negoziati tra esponenti del governo di transizione, dell’Unione delle Corti Islamiche e i rappresentanti dei clan della capitale, per arrivare alla costituzione di una grande alleanza che, accantonati i toni religiosi (o pseudo tali), si starebbe configurando seguendo quei criteri clanici e tribali, tipici dell’organizzazione della società somala. Spetterebbe proprio a questa nuova formazione, se l’accordo finale dovesse essere effettivamente raggiunto, gestire temporaneamente la capitale.
SOMALIA 9/6/2006 14.55
NUOVA SPARATORIA A BAIDOA, MENTRE A MOGADISCIO SI TRATTA
Una nuova intensa sparatoria è avvenuta stamani a Baidoa, circa 250 chilometri a ovest di Mogadiscio, nella Somalia meridionale, coinvolgendo miliziani dei clan locali e alcuni degli uomini di scorta al presidente del governo di transizione somalo Abdullahi Yusuf. Lo riferiscono fonti giornalistiche locali e internazionali, precisando che nello scontro a fuoco (avvenuto come in precedenti e analoghe occasioni a uno degli innumerevoli posti di blocco posti in entrate e in uscita dalla città) sarebbero rimaste uccise almeno 2 persone - anche se alcune fonti parlano già di 6 - mentre un’altra decina sono rimaste ferite. Si tratta comunque, sottolineano le fonti, di un bilancio ancora provvisorio. Con la sparatoria di oggi - che non ha alcun collegamento con i recenti fatti di Mogadiscio - salgono a tre gli scontri avvenuti a Baidoa negli ultimi due mesi e che hanno avuto per protagonisti gli uomini di Yusuf (tutti provenienti dalla regione semi-autonoma del Puntland, nel nord della Somalia) e i gruppi armati locali. Le precedenti sparatorie erano esplose in seguito al rifiuto degli uomini del presidente di pagare la ‘gabella’ agli armati che controllavano uno dei tanti check-point della città. A Mogadiscio, intanto, la situazione continua a essere tranquilla, anche se fonti della MISNA hanno fatto sapere che stamani colpi di artiglieria pesante sono risuonati brevemente nella zona nord della città. Per il resto nella capitale somala fervono ancora i negoziati e le intense trattative tra tutte le varie componenti (claniche, politiche, pseudo-religiose, economico affaristiche) della complicatissima politica cittadina, per organizzare l’era post-signori della guerra. Questi ultimi continuano ad essere arroccati a Jowhar (una novantina di chilometri da Mogadiscio) e nelle ultime 24 ore avrebbero creato nuove postazioni difensive alla periferia sud della città, dopo che ieri i miliziani delle Corti hanno preferito ripiegare verso Balad. Anche a Jowhar per il momento proseguono le trattative e sembra improbabile uno scontro armato tra le Corti e i warlord dell’Alleanza contro il terrorismo, anche se rischi in questo senso (spiega alla MISNA una fonte diplomatica occidentale contattata a Nairobi) potrebbero arrivare dall’Etiopia. Addis Abeba, infatti, sembrerebbe intenzionata a combattere una sorta di guerra per procura in territorio somalo, dal momento che tra i miliziani delle Corti si troverebbero anche alcuni ribelli etiopi del movimento di liberazione degli Oromo. Per questo motivo, il governo etiope sembrerebbe intenzionato a spingere alcuni dei signori della guerra di Jowhar, quelli storicamente più vicini ad Addis Abeba, a dare battaglia.
SOMALIA 9/6/2006 18.01
NUOVA SPARATORIA A BAIDOA – 2
Sarebbe di nove morti e un numero ancora imprecisato di feriti il bilancio della sparatoria avvenuta stamani a Baidoa, la sede temporanea delle nuove istituzioni somale, dove oggi si sono affrontati gli uomini della scorta del presidente Abdullahi Yusuf e alcuni miliziani locali. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali, le quali hanno precisato che le tensioni sono esplose stamani quando un gruppo di uomini armati appartenenti a uno dei clan che controlla (anche a livello ‘amministrativo’) una zona della città ha predisposto un posto di blocco non distante dal luogo in cui si trova il quartier generale del presidente somalo. Secondo una prima ricostruzione, la sparatoria è iniziata quando gli armati che controllavano il posto di blocco si sono rifiutati di smantellarlo come richiesto dalle autorità governative. Proprio ieri il governo aveva deciso di aiutare le autorità amministrative della regione di Bay e Bakol, dove si trova Baidoa, a liberarsi dei numerosi posti di blocco illegali presenti lungo tutte le principali vie di collegamento della zona. Questi check point, e le relative ‘gabelle’, negli ultimi 15 anni hanno costituito una delle principali entrate dei signori della guerra che si sono spartiti autorità e territorio in Somalia. Nel complicato scenario somalo, però, è bene sottolineare che l’intensa sparatoria di oggi ha visto contrapporsi da un lato gli uomini del presidente, come lui originari del Somaliland (nel nord del paese), e dall’altro miliziani legati al clan Raharwein, il più potente importante della regione sud occidentale di Bay e Bakol.
SOMALIA 10/6/2006 10.24
WASHINGTON PROPONE ‘GRUPPO DI CONTATTO’ INTERNAZIONALE
Il governo statunitense ha proposto di tenere, la prossima settimana, un convegno internazionale dedicato agli ultimi sviluppi registrati in Somalia. Lo ha annunciato un portavoce del dipartimento di Stato, precisadno che l’obiettivo del “gruppo di contatto", che dovrebbe essere costituito durante l'incontro, "sarà quello di promuovere un’azione concertata e un coordinata per sostenere le istituzioni federali di transizione della Somalia”. Gli Stati Uniti, nelle scorse settimane, erano stati fortemente criticati da molti governi africani, ma anche dalle diplomazie occidentali (Italia, Inghilterra, Norvegia in testa), per aver appoggiato economicamente la sedicente Alleanza contro il terrorismo messa in piedi dai signori della guerra di Mogadiscio per cacciare le Corti Islamiche (accusate di legami col terrorismo internazionale) dalla città. Così facendo, hanno ripetuto per giorni i critici di Washington, gli Usa non solo hanno favorito la vittoria delle Corti, ma soprattutto hanno rischiato di indebolire e di compromettere il governo di transizione somalo su cui invece avevano i principali mediatori internazionali, primi fra tutti Onu, Unione Africana, Unione Europea. Secondo i piani di Washington, il “Gruppo di Contatto”, di cui ancora non si conoscono i membri, dovrebbe tenere riunioni periodiche per decidere un’azione comune
SOMALIA 10/6/2006 14.52
NUOVE APERTURE A MOGADISCIO, STALLO A JOWHAR E TENSIONE A BAIDOA
“Non abbiamo intenzione di monopolizzare questo paese, il nostro principale obiettivo è quello di portare la pace tra le comunità”: lo ha detto il presidente delle Corti Islamiche, Sheik Sharif Skeikh Ahmed, nel corso di una conferenza stampa tenuta questa mattina a Mogadiscio durante la quale ha ribadito - come la MISNA ha appreso da fonti giornalistiche locali presenti all’incontro - le aperture nei confronti della comunità internazionale e la disponibilità al dialogo e al confronto con tutte le forze (somale e non) interessate al benessere della Somalia. “Non vogliamo rappresentare una minaccia per nessun paese e per nessun individuo” ha ribadito ancora il capo delle Corti Islamiche, che, successivamente, rispondendo a una domanda sulle preoccupazioni statunitensi di una ‘deriva talebana’ in Somalia ha imputato le paure Usa alla “scarsa o cattiva informazione sulle vicende somale”. “Non vogliamo combattere, abbiamo dato la possibilità ai notabili (anziani, intellettuali e uomini di fede) dei clan d’appartenenza di persuaderli a raggiungere un accordo e arrendersi pacificamente” ha detto poi Sharif, rispondendo ad alcuni giornalisti che lo hanno interrogato sul destino prossimo di Jowhar, la città a una novantina di chilometri da Mogadiscio dove si sono rifugiati i signori della guerra fuggiti dalla capitale la scorsa settimana e dove circa un migliaio di miliziani appartenenti ai due schieramenti sono impegnati da giorni in una serie di riposizionamenti militari strategici intorno alla città. “I timori principali adesso vengono da Baidoa” dice alla MISNA una fonte diplomatica occidentale, precisando che l’episodio di ieri (la sparatoria in cui sono morte almeno 12 persone, secondo l’ultimo bilancio diffuso dai media locali) rischia di degenerare in violenti scontri tra gli uomini del clan Majerteen (lo stesso a cui appartiene il presidente e gli uomini della sua scorta che ieri hanno aperto il fuoco contro gli armati locali che gestivano un posto di blocco illegale) e quelli del clan Rahwein, che storicamente controlla la regione di Bay, in cui si trova Baidoa. Esponenti di primo piano dei due clan stanno negoziando da ieri un accordo per risolvere la disputa senza tornare a sparare. In città intanto da oggi sarebbe massiccia la presenza di soldati ‘governativi’ (ufficialmente si parla di 300, ma qualcuno riporta addirittura 1500 uomini), incaricati di smantellare i posti di blocco illegali utilizzati dai ‘signorotti’ locali per raccogliere soldi da popolazione e commercianti. Secondo la ricostruzione più attendibile, la sparatoria di ieri sarebbe esplosa proprio nel corso della rimozione di uno di questi ‘barrage’.
SOMALIA 10/6/2006 16.31
ONU STUDIA POSSIBILE INTERVENTO UMANITARIO
Una serie di incontri ad alto livello si sono svolti ieri a Nairobi tra il rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Somalia, Francois Lonseny Fall, e gli esponenti del mondo diplomatico e umanitario per coordinare un piano di aiuti per la popolazione di Mogadiscio. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali, le quali precisano che già ieri Fall ha incontrato i principali ambasciatori di Nairobi e altri esponenti di spicco della comunità internazionale che si trovano nella capitale keniana, dove ieri si trovava anche il governatore di Mogadiscio, che ha fatto ai presenti un quadro dettagliato della situazione della città e dei bisogni da un punto di vista sanitario e umanitario della popolazione, uscita all’inizio di questa settimana dai più intensi combattimenti mai registrati in Somalia dal 1991. La ‘Guerra di Mogadiscio’ - come sono stati subito ribattezzati gli scontri tra i miliziani delle cosiddette Corti Islamiche e quelli della sedicente Alleanza contro il terrorismo - è iniziata il 18 febbraio scorso e nei 4 mesi successivi ha causato almeno 350 morti e oltre 1550 feriti, ma soprattutto ha devastato interi quartieri della città teatro di combattimenti intensi e lanci di artiglieria pesante. Fall oggi si trova in Somaliland, la regione auto-proclamatasi autonoma nel nord della Somalia, insieme a Eric La roche, il responsabile dell’ufficio locale dell’Ocha, l’agenzia per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, per discutere delle modalità con cui far pervenire gli aiuti alle popolazioni civili delle zone interessate dagli scontri dei mesi scorsi. La prossima settimana l’inviato speciale dell’Onu è atteso di fronte al Consiglio di Sicurezza del Palazzo di vetro per riferire della situazione somala. Nei giorni scorsi, un appello urgente alla comunità internazionale per la consegna di aiuti e l’assistenza umanitaria agli abitanti di Mogadiscio era stato lanciato dal primo ministro del governo di transizione somalo Ali Mohamed Gedi che ha ricordato come siano migliaia le persone che hanno subito i contraccolpi degli intensi combattimenti avvenuti negli ultimi 4 mesi per le strade della capitale somala.
Al Qaeda ora ha uno Stato a sua immagine e somiglianza
Somalia, l’emirato islamico minaccia il mondo
È il primo Stato “controllato” da Bin Laden. Ora l’Occidente teme un effetto domino
[Fatti Sentire] A lungo è sembrata una previsione fantasiosa, impossibile, ci siamo illusi che si trattasse solo di una minaccia ideologica, di nessuna concreta realizzazione, invece ha visto la luce una bozza di Emirato islamico, a Mogadiscio. Uno Stato guidato dagli adepti di Osama Bin Laden, meglio noto come lo sceicco della morte, l’imprendibile, l’onnipresente. Così si rafforza la figura del “leggendario artefice” della riscossa islamica, naturalmente contro i “crociati”. È il momento che l’Occidente metta da parte gli egoismi di casa, come i veti di fermare l’Iran alla conquista dell’atomica, perché la difesa dell’economia dei singoli Stati potrebbe portare – e non in troppo tempo – al risveglio della nostra civiltà alle prese con la tragedia. E non c’è un Goffredo di Buglione a guidarci.
Non tutta la Somalia è caduta nelle grinfie delle Corti islamiche, ma il cedimento dell’Alleanza «per la ricostruzione della pace e contro il terrorismo», formatasi con l’appoggio degli Usa, è ormai cosa fatta. I “signori della guerra” non sono stati in grado di bloccare quel movimento nato da malintese priorità durante la lotta armata tra somali e etiopi, questi ultimi cristiani ma anche comunisti, e quindi nemici “naturali” degli americani.
Una guerra considerata di rango tribale e quindi dimenticata, fin quando la stampa occidentale si è “svegliata”, stranita, alla notizia della caduta di Mogadiscio nelle mani dei seguaci di Bin Laden. E il gioco geo-politico si ripete con quel balletto di alleanze che gli Usa giocano in molti parti del mondo. Come per l’Afghanistan è successo ora per la Somalia, dove i “signori della guerra” hanno goduto appunto di appoggi americani per combattere il terrorismo di cui loro stessi verosimilmente erano fautori. Si pensa che siano stati proprio loro a organizzare le prime Corti islamiche.
Per la verità, eco di malefatte era balzati già lo scorso anno agli onori della cronaca: è del settembre 2005 l’ultima grande campagna di stampa contro i pirati somali che continuano a sequestrare navi cariche di aiuti umanitari. Una piaga vecchia di una quindicina di anni, non opera di liberi “fratelli della costa”, ma di terroristi affiliati ad Al Qaeda, insensibili anche alle grandi disgrazie come lo tsunami. Lo scontro tra Somalia ed Etiopia risale al 1977, ma è dal 1991 che la Somalia è sconvolta da una feroce guerra civile. Da un lato un governo debole, retto ad interim da Ali Ghedi, che deve far fronte agli interessi dei “signori della guerra”, in lotta tra loro per il controllo dei traffici, dei porti e degli aeroporti; dall’altro la popolazione che vive nella miseria più nera, dopo che l’Onu, nel 2005, ha sospeso ogni attività umanitaria, anche perché impaurita dall’azione di Al Qaeda nel Corno d’Africa. L’Unione islamica ha quindi preso il controllo della situazione, mentre non è chiaro se i terroristi siano del tutto indipendenti dai “signori della guerra”. Certo la leadership è nelle mani militari di Hassan Ashi Aeru, addestrato nei campi di Bin Laden in Afghanistan e autore dell’oltraggio al cimitero italiano del gennaio 2005 (le tombe furono rase al suolo per destinarne il terreno a campo di addestramento), mentre l’imam è Sharif Shek Ahmed, capo spirituale e quindi guida politica dell’Unione delle corti.
In questo quadro l’annuncio che Mogadiscio, capitale di uno Stato che non esiste, è caduta in mano al fondamentalismo islamico era cosa da prevedere. Anche perché era noto che i “signori della guerra” avevano, nei giorni scorsi, affannosamente cercato l’aiuto degli Usa e degli stessi etiopi. Nessuno si nasconde che la battaglia di questi mesi - al di là di ogni valenza “ideologica” – sia stata combattuta principalmente per il controllo delle infrastrutture, come lo scalo marittimo e quelli aeroportuali che per tre lustri hanno consentito traffici illeciti di ogni tipo e notevoli guadagni alle bande armate che li hanno controllati, sia per fini terroristici che per pirateria vera e propria. Gli ultimi quattro mesi sono stati un vero massacro e ora toccherà alle organizzazioni umanitarie salvare orfani e vedove, sempre che i fondamentalisti diano il permesso di intervenire. Era da febbraio che si erano intensificati gli scontri tra le truppe legate ai tribunali coranici e la sedicente Alleanza, lasciando sul campo oltre 400 morti e più di 1.500 feriti, come sempre in gran parte civili.
Le Corti, che hanno comunque rassicurato le rappresentanze commerciali occidentali presenti a Mogadiscio che ci saranno «pace e sicurezza», hanno già istituzionalizzato la Sharia. Mentre il premier cerca di salvare la testa: nelle stesse ore in cui è stata militarmente sconfitta l’Alleanza anti-terrorismo, il governo ha annunciato la rimozione di quattro ministri di Mogadiscio. Una presa di distanza dai corrotti che non incanta nessuno e tantomeno attenua la cruda realtà: Al Qaeda ora ha uno Stato a sua immagine e somiglianza. E potrebbe essere l’avvio di quel grande disegno di conquista del mondo da parte della piovra islamica che è negli incubi dell’Occidente e nei sogni di Bin Laden.
di Emiddio Pietraforte
SOMALIA 12/6/2006 12.19
TENSIONE ALTISSIMA A JOWHAR, CORTI SOSPENDONO COLLOQUI CON GOVERNO
Intensi movimenti di truppe sono in corso nei pressi di Balad, una trentina di chilometri a nord di Mogadiscio, dove da almeno 24 ore continuano a convergere ingenti rinforzi inviati dalle milizie delle Corti Islamiche. La MISNA lo ha appreso da fonti locali concordanti, secondo cui ampi riposizionamenti e rafforzamenti delle linee difensive sono in corso anche a Jowhar - 90 chilometri a nord di Mogadiscio - la città di 30.000 abitanti in cui si sono arroccati i signori della guerra della sedicente Alleanza contro il terrorismo fuggiti da Mogadiscio dopo la sconfitta subita dalle Corti. “Circolano insistentemente voci di un attacco contro Jowhar da parte delle milizie delle Corti islamiche entro 24 ore, ma molti ritengono che l’offensiva potrebbe iniziare già in serata” dice alla MISNA una fonte del parlamento somalo contatta a Baidoa. Secondo fonti locali, politiche e giornalistiche, una mediazione sarebbe ancora in corso per trovare una soluzione negoziata al controllo di Jowhar, ma secondo alcune indiscrezioni, le Corti non gradirebbero la presenza nella cittadina a nord di Mogadiscio di una delegazione del governo etiope arrivata nel fine settimana. Fonti diplomatiche occidentali avevano già detto alla MISNA nei giorni scorsi che l’Etiopia è impegnata a combattere una sorta di guerra per procura in territorio somalo, contro alcuni gruppi di ribelli etiopi dell’etnia Oromo che pare abbiano combattuto nei mesi scorsi tra le file delle Corti Islamiche. Intanto la tensione è tornata a salire anche nella zona nord di Mogadiscio, dove si trova ancora uno dei principali signori della guerra dell’Alleanza contro il terrorismo, Muse Sudi Yalahow. Secondo fonti del Comitato internazionale della Croce Rossa contattate dalla MISNA, gli uomini di Muse SudI avrebbero lasciato nella notte tra sabato e domenica l’ospedale di Keysaney (una delle principali strutture ospedaliere di Mogadiscio), che avevano occupato qualche giorno fa trasformandolo nella loro base, nonostante le forti critiche e le condanne che l’episodio aveva suscitato a livello internazionale. Gli uomini di Muse Sudi, tuttavia, avrebbero costituito un accampamento sempre nello stesso quartiere di Mogadiscio e si teme che, se la mediazione in corso dovesse fallire, possano riaccendersi combattimenti anche in questa parte della città. Nel resto di Mogadiscio, intanto, la vita ha cominciato a riprendere i ritmi normali e molti esercizi commerciali hanno riaperto i battenti, spesso chiusi negli ultimi 4 mesi, quando i miliziani delle Corti e quelli dell’Alleanza contro il terrorismo si sono combattuti nei quartieri della città, provocando almeno 350 morti e oltre 1500 feriti. Sul fronte politico, però, va registrata la sospensione dei colloqui tra una delegazione del governo e i vertici delle Corti Islamiche. Il dialogo è stato annunciato dal presidente delle Corti Sheikh Sharif Sheikh Ahmed dopo che ieri il Parlamento - che come le altre istituzioni di transizione somale ha sede a Baidoa (250 chilometri a ovest di Mogadiscio) - ha avviato la discussione di una proposta governativa per chiedere l’invio in Somalia di una missione militare internazionale. “Anche per le Corti Islamiche, il problema non è tanto la presenza di una forza militare straniera in Somalia – spiega un diplomatico occidentale che chiede di restare anonimo – quanto i paesi che dovranno comporre questa forza. Come accaduto in passato le Corti, ma non solo loro, non vogliono che l’Etiopia faccia parte di un’eventuale missione di peacekeeping”. Poco dopo la loro nascita, ormai quasi due anni fa, le stesse istituzioni somale si divisero a metà proprio sulla questione della presenza di alcuni paesi africani nella missione in Somalia.
ETIOPIA 12/6/2006 10.32
GAMBELLA: COPRIFUOCO IN CITTÀ DOPO MISTERIOSA IMBOSCATA
Sono ancora incerte le cause che hanno portato ieri all’imposizione di un coprifuoco notturno nella città di Gambella, in una delle zone più povere dell’Etiopia sud occidentale. Secondo le informazioni diffuse dall’associazione Aegis Trust, un’organizzazione non governativa inglese che si occupa di prevenzione del genocidio, la misura sarebbe stata decisa dalle autorità locali dopo una presunta imboscata tesa ieri sera a un autobus nei pressi di Gambella. L’attacco, su cui ancora non sono state trovate conferme, avrebbe, il condizionale è d’obbligo, causato la morte di almeno una trentina di persone, almeno secondo i bilanci in circolazione in città. Il coprifuoco, imposto poco dopo l’attacco, è stato accompagnato anche dall’interruzione di acqua ed energia elettrica. Truppe dell’esercito etiope e alcune milizie vicine al governo sarebbero state dispiegate in maniera massiccia per le strade della città da ieri sera. Restano ancora ignoti i responsabili e i motivi dell’imboscata, che fonti locali temono possa ricollegarsi alle tensioni tra le popolazioni Anuak e i Nuer. A Gambella - che si trova in un’area remota ma ricca di oro e dove sono in corso esplorazioni petrolifere - tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004 gli scontri tra gli Anuak e i rivali Nuer denegenarono in gravi violenze; la zona è abitata anche dai cosiddetti ‘highlander’ (gli abitanti degli altipiani) e da decine di migliaia di profughi provenienti dal vicino Sudan. Secondo l’Organizzazione mondiale contro la tortura, in totale nella stessa area furono oltre 1.130 i morti dal dicembre 2003 al marzo 2004.
SOMALIA 13/6/2006 13.22
TRA POLITICA E DIPLOMAZIA SITUAZIONE ANCORA CONFUSA
Nuovi movimenti di truppe legate alle cosiddette Corti Islamiche sarebbero in corso stamattina verso Jowhar, la città a circa 90 chilometri a nord di Mogadiscio in cui hanno trovato riparo i 'signori della guerra' fuggiti dopo la sconfitta subita nella capitale. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, le quali hanno precisato che non è ancora chiaro se si tratti di semplici riposizionamenti, come i molti avvenuti nei giorni scorsi, o se invece ci si stia preparando a un nuovo attacco. In realtà un'offensiva su Jowhar era stata data per “imminente e sicura” già ieri, ma le intricate mediazioni claniche affidate agli anziani avrebbero ottenuto altro tempo. Negoziati, incontri, faccia a faccia e colloqui sono in corso anche a Mogadiscio e a Baidoa, dove oggi il parlamento dovrebbe riprendere la discussione su un pacchetto di provvedimenti relativi alla sicurezza che prevede, tra le altre cose, il dispiegamento in Somalia di una forza militare internazionale per lo più composta da paesi dell’Africa orientale. Il dibattito parlamentare era stato congelato ieri dai deputati dopo che le Corti Islamiche (disturbate dalla possibilità che in questa forza venissero inserite anche truppe etiopi) hanno minacciato la sospensione dei colloqui con la delegazione governativa sulla gestione di Mogadiscio. Le attività di negoziato fervono anche fuori dai confini somali. A Nairobi oggi è attesa una riunione dei ministri degli Esteri dell’Africa orientale per discutere degli sviluppi somali e, secondo le indiscrezioni, valutare una pacchetto di sanzioni regionali (si parla di congelamento di fondi e interdizione ai viaggi) contro i 'signori della guerra' coinvolti nei combattimenti di Mogadiscio. Da Washington, invece, ieri è stato annunciato che la prima riunione del cosiddetto 'Gruppo di Contatto' si terrà giovedì e che finora hanno dato la propria adesione i governi di Svezia, Norvegia, Inghilterra, Italia e Tanzania. Nel difficile compito di mediare nell’intricatissima vicenda somala, nelle ultime 48 ore si sono inseriti anche Yemen e Sudan. Il primo paese, attraverso il suo ambasciatore in Somalia, si è detto pronto a ospitare un vertice tra il governo somalo e l’Unione delle Corti Islamiche, mentre - secondo la stampa sudanese - Khartoum sarebbe pronta a giocare un ruolo di mediazione tra le Corti (accusate di collegamenti col terrorismo internazionale) e gli Stati Uniti, ritenuti i principali finanziatori della cosiddetta Alleanza contro il terrorismo messa in piedi dai signori della guerra di Mogadiscio.
ETIOPIA 13/6/2006 10.05
VIOLENZE NEL SUD E NUOVI PARTICOLARI SU IMBOSCATA A GAMBELLA
Oltre 100 persone, alcune fonti parlano addirittura di 150, sarebbero morte negli ultimi 10 giorni in una serie di scontri e violenze avvenute nel sud dell’Etiopia tra due comunità che si contendono il possesso di alcuni terreni. Lo riferiscono fonti giornalistiche internazionali citando le amministrazioni locali dell’area di Borena, 400 chilometri circa a sud della capitale. Le violenze avrebbero coinvolto le comunità Borena e quelle dei Guji, al quale per un aggiustamento giurisdizionale sono stati trasferiti recentemente alcuni terreni appartenenti ai primi. Fonti umanitarie hanno confermato le violenze, pur non essendo state in grado di fornire cifre esatte sul numero delle vittime o su quello degli sfollati che alcuni riferiscono essere già migliaia. Nessuna conferma per ora dal governo o dalla polizia etiope. Conferme, invece, sono arrivate nelle ultime ore alle notizie relative a un’imboscata compiuta domenica notte nella zona di Gambella, una delle più povere dell’Etiopia sud-occidentale. Secondo fonti giornalistiche internazionali, un gruppo di uomini in divisa avrebbe aperto il fuoco contro un autobus che collega la capitale Addis Abeba con Gambella (700 chilometri. a sud ovest), nei pressi del villaggio di Bonga. Secondo le stesse fonti almeno 14 persone sarebbero morte in questo attacco, che, in base alla lettura ufficiale, dovrebbe essere solo un atto di banditismo. Altre fonti - che ieri avevano riferito di almeno 30 persone morte nell’attacco e dell’imposizione del coprifuoco a Gambella - temono che l’imboscata sia da ricollegare alle tensioni tra le popolazioni Anuak e i Nuer. A Gambella - che si trova in un’area remota ma ricca di oro e dove sono in corso esplorazioni petrolifere - tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004 gli scontri tra gli Anuak e i rivali Nuer denegenarono in gravi violenze; la zona è abitata anche dai cosiddetti ‘highlander’ (gli abitanti degli altipiani) e da decine di migliaia di profughi provenienti dal vicino Sudan. Secondo l’Organizzazione mondiale contro la tortura, in totale nella stessa area furono oltre 1.130 i morti dal dicembre 2003 al marzo 2004.
SOMALIA 13/6/2006 22.23
JOWHAR, CORTI ISLAMICHE CONQUISTANO ANCHE ULTIMA ROCCAFORTE WARLORDS
I miliziani delle Corti islamiche avrebbero ottenuto il controllo di Jowhar, la cittadina a circa 90 chilometri da Mogadiscio dove nei giorni scorsi si erano rifugiati i ‘signori della guerra’ sconfitti nella capitale: la MISNA lo ha appreso in serata da fonti locali. Stando alle prime frammentarie informazioni, per ora non vi sarebbe stato il temuto scontro tra le due fazioni armate. Sembra che i ‘warlords’ – tra loro anche Mohamed Dere, membro dell’ormai sconfitta ‘Alleanza anti-terrorismo’ e uomo-forte di Jowhar – si sarebbero ritirati dalla città. Le fonti contattate dalla MISNA sul posto non sono in grado di indicare, per ora, dove si siano ritirati i ‘signori della guerra’. Stamani fonti locali avevano segnalato nuovi movimenti delle bande armate legate alle cosiddette Corti Islamiche. Già ieri era stata data per imminente un'offensiva su Jowhar, poi apparentemente rinviata forse in seguito alle mediazioni tra i clan affidate ad anziani e capi tradizionali locali. In assenza di altri elementi, al momento è confermato che i ‘signori della guerra’ si sono ritirati da Jowhar anche se resta difficile prevedere un’eventuale loro reazione o un tentativo di riconquistare la città.
SOMALIA 14/6/2006 8.39
IMPOSTE SANZIONI REGIONALI CONTRO ‘SIGNORI DELLA GUERRA’
Divieto di viaggio e congelamento dei beni personali dei ‘warlords’ somali – sconfitti di recente a Mogadiscio dalla Corti islamiche dopo mesi di sanguinose battaglie – sono stati imposti oggi dall’Autorità inter-governativa per lo sviluppo (Igad) che riunisce 7 paesi dell’Africa orientale. Lo si è appreso da fonti diplomatiche a Nairobi, al termine di un incontro con la partecipazione dei ministri degli Esteri dell’Igad; l’organismo ha deciso di “applicare le stesse sanzioni contro tutti i warlords già decise dal Kenya, compreso il bando agli spostamenti e il blocco dei conti” si legge in comunicato. Nei giorni scorsi le autorità di Nairobi – dove molti ‘signori della guerra’ erano di casa, spesso in grandi alberghi anche per gestire vari traffici illeciti – avevo interdetto ai signori della guerra di Mogadiscio l’ingresso nel paese. Secondo fonti locali, i warlords – che si erano riuniti nella sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ sostenuta in modo indiretto anche dagli Usa – hanno forti interessi nei paesi della regione, dove ora però non potranno più operare. “Non permetteremo loro di usare le nostre banche, i nostri aeroporti né di portare i loro figli qui a scuola da noi” ha detto il ministro degli Esteri del Kenya Raphael Tuju. Fino a qualche mese fa, per esempio, dal Kenya partivano quotidianamente voli con carichi di ‘qat’, l’erba leggermente allucinogena destinata al mercato locale somalo, interamente controllato da gruppi armati locali e, a Mogadiscio, dai warlords. I ministri dell’Africa orientale – oltre a Kenya, anche Uganda, Etiopia, Eritrea, Sudan, Gibuti - hanno inoltre annunciato un’amnistia per coloro che si arrenderanno e accetteranno il dialogo con il governo di transizione somalo, finora troppo debole per controllare Mogadiscio. I miliziani delle Corti islamiche hanno ottenuto il controllo della capitale dopo una battaglia che in oltre tre mesi ha provocato più di 350 vittime, in gran parte civili, circa 1.500 feriti e migliaia di sfollati. Ieri in tarda serata la MISNA ha appreso che le milizie dell’Unione dei tribunali islamici avrebbero preso anche la cittadina di Jowhar, circa 90 chilometri a nord di Mogadiscio, dove si erano in precedenza ritirati i warlords, che ora sarebbero in fuga in una direzione ancora imprecisata.
ETIOPIA 14/6/2006 13.15
ONU SOSPENDE ATTIVITÀ UMANITARIA NEL SUD PER SCONTRI
Le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite attive in Etiopia meridionale hanno sospeso le proprie attività. Lo riferisce una nota diffusa oggi dall’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, Ocha, precisando che la sospensione o la forte limitazione delle attività, a seconda delle zone, è stata decisa a causa dei “violenti scontri tribali in corso da giorni nelle zone del sud dell'Etiopia”. Oltre 100 persone, alcune fonti parlano addirittura di 150, sarebbero morte negli ultimi 10 giorni in una serie di scontri e violenze avvenute nel sud dell’Etiopia tra due comunità che si contendono il possesso di alcuni terreni. Secondo le poche informazioni disponibili, le violenze, in corso nell’area di Borena (400 chilometri circa a sud della capitale) coinvolgerebbero le comunità Borena e quelle dei Guji, al quale per un aggiustamento giurisdizionale sono stati trasferiti recentemente alcuni terreni appartenenti ai primi.
SOMALIA 14/6/2006 19.21
JOWHAR CONTROLLATA DA CORTI ISLAMICHE, PARLAMENTO CHIEDE TRUPPE STRANIERE
Con 125 voti a favore e 40 contrari, il Parlamento somalo di transizione ha approvato oggi dopo tre giorni di dibattito una mozione del governo che chiede il dispiegamento di truppe straniere in Somalia, mentre la città di Jowhar – circa 90 chilometri da Mogadiscio – è da alcune ore sotto il controllo delle Corti islamiche, che nei giorni scorsi avevano sconfitto la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ dei warlords della capitale. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali. Le milizie islamiche – che da alcune ore controllano l’abitato – hanno imposto il coprifuoco a partire dalle 20 ora locale. Sheik Sharif Sheik Ahmed, il capo dell’Unione delle Corti islamiche, ha parlato davanti ad alcune centinaia di persone radunate nel locale stadio di calcio, affermando che “la gente di Jowhar è stata liberata dai warlords che hanno tiranneggiato a lungo”. Secondo un’emittente radiofonica locale, almeno una dozzina di persone – in gran parte combattenti – sarebbero rimaste uccise e altre 20 ferite negli scontri di oggi all’esterno della città tra le Corti e i ‘signori della guerra’, che già ieri sera avevano iniziato ad abbandonare Jowhar, dove avevano cercato riparo dopo essere stati sconfitti a Mogadiscio all’inizio del mese. Il documento approvato oggi dal Parlamento prevede anche la presenza di truppe dai paesi confinanti, tra cui l’Etiopia: già nel 2005 questo punto aveva provocato una profonda lacerazione tra i deputati e anche nelle ultime settimane ha alimentato tensioni. Le Corti islamiche si erano dichiarate contrarie alla presenza di soldati stranieri: il loro capo avrebbe però negato di voler attaccare la città di Baidoa in caso di una decisione del Parlamento favorevole a un contingente internazionale.
SOMALIA 15/6/2006 7.11
PRESA JOWHAR, "AMMESSE" SULLA CARTA LE TRUPPE STRANIERE...E POI?
Dopo la notizia che il parlamento di transizione è favorevole al dispiegamento di truppe straniere in Somalia, successiva agli ultimi scontri di ieri alla periferia di Jowhar - ex capitale temporanea e quindi uno dei fulcri della complicata e interminabile crisi somala - complesse consultazioni sarebbero in corso tra protagonisti della confusa politica somala a Mogadiscio, Baidoa e nella stessa Jowhar; sarebbero perciò in molti a credere, o almeno a sperare, che una vera svolta nelle vicende somale degli ultimi mesi possa arrivare oggi al termine della prima riunione del Gruppo di Contatto proposta da Washington dopo quella che alcuni ritengono una cocente sconfitta diplomatica subita con la cacciata dell’Alleanza contro il terrorismo da Mogadiscio. All'incontro dovrebbero partecipare i principali protagonisti internazionali delle complesse mediazioni che hanno portato alla nascita del nuovo governo. Secondo voci rimbalzate da New York, dove si dovrebbe tenere l’incontro, potrebbe arrivare un pieno e maggiore sostegno sia da un punto di vista economico che militare al governo del presidente Abdullahi Yusuf, soprattutto dopo il voto del parlamento sull'ingresso di truppe straniere. Ma torniamo a Jowhar, 90 chilometri a nord di Mogadiscio. E agli eventi di ieri. I combattimenti si sono svolti tra uomini delle Corti Islamiche, che ormai controllano la città, e manipoli dei ' signori della guerra' giunti nella cittadina la settimana scorsa dopo essere stati sconfitti a Mogadiscio; fonti della MISNA contattate a Jowhar hanno precisato che difficilmente sarà possibile un bilancio preciso delle vittime e che gli scontri sarebbero cominciati in maniera “fortuita", visto che il grosso delle forze dei 'signori della guerra' aveva già lasciato l'abitato dirigendosi verso la regione centrale del Galgudud. Secondo informazioni raccolte sul posto dalla fonte della MISNA, una ‘pattuglia’ inviata dagli ex-occupanti per verificare i posizionamenti degli uomini delle Corti avrebbe incrociato uomini dell’altro campo. Le permanenti incertezze su quello che è effettivamente accaduto, incluso il numero delle vittime, è ulteriore testimonianza, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell'indecifrabile condizione di caos e d'anarchia in cui la Somalia vive da tre lustri, senza che se ne riesca a vedere ancora davvero la fine. Secondo fonti anonime dell’agenzia italiana ‘Ansa’ - che cita informatori vicini al primo ministro del governo federale Ali Gedi - la presa di Jowhar, con modalità di fatto concordate, era stata annunciata dalle Corti al governo di transizione somalo (che ha sede per ora a Baidoa non essendo mai riuscito a insediarsi, come avrebbe voluto, a Mogadiscio). Gli accordi prevederebbero che le Corti islamiche mantengano il controllo militare di Jowhar , mentre le competenze amministrative e politiche dovrebbero essere garantite da una sorta di alleanza dei clan locali, pacificamente riuniti a Jowhar. Ma la presa di Jowhar sembra aver seminato molti dubbi. “Tra la gente c’è chi comincia a vedere le operazioni delle Corti Islamiche come una vera e propria campagna di conquista del territorio. Questa nuova chiave rischia di riportare il confronto su un piano clanico e tribale che rimescolerebbe ulteriormente le carte" dice alla MISNA un diplomatico occidentale (che ha chiesto di restare anonimo) sottolineando un altro aspetto: la presa di Jowhar rischierebbe di coinvolgere maggiormente la confinante Etiopia, già sostenitrice convinta dei signori della guerra e impegnata in una sorta di conflitto per procura in territorio somalo contro i ribelli etiopi del fronte Oromo militarmente schierati, secondo alcune fonti, a fianco delle Corti. Finora le Corti, nonostante toni a volte radicali non particolarmente graditi ai somali, erano state ben viste dalla popolazione stufa di 15 anni di vessazioni dei 'signori della guerra'. Molti osservatori rilevano anche che, da un punto di vista strettamente strategico, con Mogadiscio e Jowhar le Corti si sono ormai garantite gran parte del controllo del Sud della Somalia; mancherebbe solo Baidoa, attuale sede del governo di transizione. A Mogadiscio già corrono voci di possibili attacchi anche a Baidoa, “imminenti” secondo altre e più allarmistiche fonti... Voci e paure che nelle scorse ore hanno spinto il capo delle Corti Islamiche, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, a smentire come "pura propaganda", parlando ai microfoni di alcune emittenti radiofoniche locali, l'ipotesi di attacchi. Eppure circolano informazioni su movimenti di truppe e riposizionamenti in corso da alcuni giorni anche nella zona di Baidoa. Se da un lato gli uomini del presidente Abdullahi Yusuf, dopo le scaramucce dei giorni scorsi con elementi del clan Raharwein (il più potente importante della regione sud occidentale di Bay e Bakol) si sarebbero ormai posizionati nei punti strategici della città (incluso l’aeroporto), alcuni gruppi armati locali (Raharwein) si sarebbero accordati con elementi delle Corti e insieme si troverebbero non lontano dalla capitale temporanea della Somalia e più precisamente nella zona di Lega. Alle Corti, che non hanno subito reagito alle ultime notizie e avrebbero in corso contatti con gli Stati Uniti, l'idea delle truppe straniere non è mai piaciuta. Mentre è soprattutto la popolazione civile inerme a soffrire le conseguenze negative di un conflitto dalle molte facce - locali ma anche lontane - verrà davvero oggi da New York un 'indicazione chiara per una svolta della crisi? O è da Baidoa che giungeranno notizie di ulteriori, non proprio tranquillizzanti sviluppi?
SOMALIA 15/6/2006 18.49
CAPO CORTI ISLAMICHE A MISNA: “NON PRENDEREMO BAIDOA”
“Non abbiamo intenzione di muoverci verso Baidoa ma ci fermeremo nelle località conquistate finora, in attesa che venga ritirata la richiesta di truppe straniere in Somalia”, approvata ieri dal Parlamento di transizione: lo ha detto alla MISNA Sheikh Sherif Sheikh Ahmed, presidente dell’Unione delle Corti Islamiche di Mogadiscio, escludendo di voler conquistare anche la città nel sud della Somalia dove hanno sede le istituzioni di transizione. Sheikh Ahmed ha anche confermato che oggi le sue milizie hanno preso il controllo della località di Baladwyne, circa 300 chilometri a nord di Mogadiscio, non lontano dal confine con l’Etiopia. “Siamo pronti a discutere con il governo e aspettiamo proposte. Come primo atto però il presidente deve annullare la richiesta di truppe straniere, perché la sicurezza nel nostro paese deve essere affidata ai somali” ha detto ancora alla MISNA il capo delle Corti islamiche, che ha affermato di parlare da Jowhar, la località a circa 90 chilometri da Mogadiscio conquistata ieri dai suoi uomini dopo la fuga dei ‘signori della guerra’. Per ora le milizie islamiche “si impegnano innanzitutto a garantire sicurezza nelle zone sotto il nostro controllo” ha aggiunto Sheikh Ahmed. “I nostri sostenitori chiedono protezione e sicurezza: noi le garantiremo e nel momento in cui sarà finalmente tornata la calma l’ultima parola su chi deve guidare il paese spetterà al popolo somalo” ha concluso il capo delle milizie islamiche, che nei giorni scorsi avevano sconfitto dopo tre mesi di battaglia a Mogadiscio la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ dei signori della guerra, cacciati anche da Jowhar.
[EB]
SOMALIA 16/6/2006 8.41
PRIMA RIUNIONE “GRUPPO DI CONTATTO”: NESSUNA "SVOLTA" APPARENTE PER LA CRISI
Necessità di un miglior dialogo multilaterale con le istituzioni federali transitorie e con altre forze presenti nel paese: lo chiede il comunicato conclusivo emesso al termine della prima riunione del cosiddetto “Gruppo di Contatto” per la Somalia svoltasi a New York in una sede diplomatica della Norvegia. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che non ha mai condiviso il comportamento americano in Somalia – soprattutto l’appoggio ai cosiddetti “signori della guerra” – ha espresso approvazione per l’incontro. “Tenteremo di costruire sulle relazioni positive gia esistenti con le parti somale e di incoraggiare un dialogo che includa tutti e tenda alla riconciliazione in base alla la ‘Carta federale transitoria" si aggiunge nella nota del Gruppo costituito da Tanzania, Unione Europea, Norvegia, Svezia, Italia e Stati Uniti; Unione Africana e Onu erano presenti come osservatori. Al principio del mese, i ‘signori della guerra’, sostenuti da Washington anche attraverso l’attività dei servizi segreti, sono stati espulsi da Mogadiscio dalle “Corti Islamiche” che l’altro ieri hanno preso anche la città di Jowhar. Gli Stati Uniti insistono che le Corti includono elementi di ‘al-Qaeda’ ed ora , attraverso il Gruppo, starebbero cercando un nuovo posizionamento politico coinvolgendo altri paesi. Non sembra che la riunione di ieri abbia costituito la svolta da alcuni auspicata. Nel frattempo, dalla Somalia, nessuna signifiativa novità se si esclude la dichiarazione di ieri del capo della Corti Islamiche che, parlando in arabo con l'aiuto di un traduttore, ha detto alla MISNA di non avere alcuna intenzione di "prendere" anche la città di Baidoa. Sembrano finora prive di fondamento anche altre voci di spostamenti di uomini verso Baladayne, 300 chilometri circa a nord-ovest di Mogadiscio,verso il confine con l'Etiopia. Le Corti Islamiche, lì dove si sono insediate, sembrano esssere state accolte con favore da gran parte della popolazione.
SOMALIA 16/6/2006 18.25
MOGADISCIO: PROTESTE CONTRO TRUPPE STRANIERE, INCERTEZZA SU SVILUPPI POLITICI
Migliaia di sostenitori delle Corti islamiche hanno manifestato oggi a Mogadiscio protestando contro il possibile invio in Somalia di un contingente di pace dei paesi dell’Africa Orientale – in particolare quelli confinanti, come l’Etiopia – richiesto due giorni fa dal governo per sostenere le istituzioni di transizione. Fonti della MISNA nella capitale riferiscono che le dimostrazioni si sono svolte in diversi quartieri della città, ormai da dieci giorni sotto il controllo delle Corti islamiche dopo la sconfitta dei ‘signori della guerra’. Nei cortei non sono mancati slogan anti-americani: gli Usa sono accusati di sostenere l’ormai sconfitta ‘Alleanza anti-terrorismo’ composta da alcuni warlords e uomini d’affari locali; da marzo all’inizio di giugno, i violenti scontri con le milizie islamiche hanno provocato oltre 350 morti e 1.500 feriti a Mogadiscio.
Mentre sul terreno resta diffusa la percezione di un sostegno di Washington ai signori della guerra, sui tavoli della diplomazia si registra una prima presa di posizione ufficiale di segno opposto degli Usa. Parlando ieri durante l’incontro del “Gruppo di contatto” per la Somalia, l’assistente alla Segreteria di Stato Jendayi Frazier – citato da agenzie di stampa internazionali – ha risposto a una domanda su un possibile dialogo tra l’amministrazione americana e le Corti islamiche: “Non sappiamo se potremo, per ora non lo escludiamo. Lo sapremo dalle loro azioni”. Secondo l’agenzia ‘Associated Press’, questa dichiarazione potrebbe significare che gli Usa non vedono più le Corti islamiche come quella “minaccia” in precedenza percepita. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa ieri aveva detto che la stessa Unione delle Corti islamiche – che di fatto sono guidate quasi tutte da esponenti dello stesso sottoclan somalo, gli Habr Gedir (espressione del clan Hawiya) – si erano rivolte agli Stati Uniti con una lettera. Secondo diversi osservatori, all’interno delle Corti vi sarebbero elementi legati al terrorismo internazionale che hanno trovato rifugio in Somalia, dove dal 1991 – dopo la caduta di Siad Barre – non esiste alcuna autorità.
Fonti della MISNA a Mogadiscio riferiscono che oggi durante le preghiere del venerdì nelle moschee, è stato chiesto ai fedeli di rispettare l’eventuale presenza di operatori umanitari in città: Mogadiscio è l’unica capitale al mondo dove l’Onu non ha accesso all’assistenza umanitaria; conta circa 250.000 sfollati a causa della lunga guerra civile. Per ora le Corti controllano Mogadiscio, Jowhar (circa 90 chilometri a nord) e probabilmente un’altra località verso il confine con l’Etiopia. Ieri, parlando alla MISNA, il capo dell’Unione delle Corti islamiche Sheikh Sharif Sheik Ahmed si era dichiarato disponibile al dialogo col governo a condizione che venga ritirata la richiesta di invio di truppe straniere.
Oggi, un sito di informazione del Puntland – la regione nord-occidentale della Somalia da cui proviene il presidente ad interim Adbullahi Yussuf – scrive che lo stesso presidente e il capo delle Corti avrebbero concordato un incontro per avviare un dialogo diretto, sgombrando il rischio – paventato da alcuni – di un possibile scontro armato tra le Corti islamiche (forti di circa 3.000 combattenti, secondo stime in circolazione) e gli uomini del presidente Yussuf (circa 4-5.000, stando ad alcune fonti). Sembrerebbe che il capo di Stato e il leader delle Corti abbiano accettato una mediazione del presidente dello Yemen, capace già a gennaio di risolvere una forte spaccatura tra governo e una parte del Parlamento. Al di là della giustificazione ‘ideologica’ delle Corti, sul terreno resta la convinzione che l’azione delle milizie islamiche risponda al tentativo del sottoclan Habr Gedir di ottenere il controllo di ampi settori della Somalia meridionale, a partire dalla capitale Mogadiscio e che gli scontri di questi mesi siano stati soprattutto un tentativo di mantenere il controllo sui lucrosi commerci illegali degli ultimi 15 anni.
SOMALIA 17/6/2006 9.15
MOGADISCIO, WARLORDS IN FUGA A BORDO DI NAVI USA?
Due ‘signori della guerra’ sconfitti nei giorni scorsi dalle Corti islamiche avrebbero lasciato all’alba Mogadiscio a bordo di una nave statunitense ormeggiata non lontano dalle coste della capitale. Lo ha affermato un esponente delle milizie islamiche, Abdulrahman Ali Osman, anche se non ci sono ancora conferme indipendenti. La stessa fonte – citata dall’agenzia ‘Reuters’ - sostiene che si tratti di Bashir Raghe e Muse Sudi Yalahow, due dei promotori della sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ creata lo scorso 18 febbraio con il sostegno indiretto degli Usa per combattere contro la crescente influenza delle Corti islamiche a Mogadiscio. “Hanno detto che torneranno in pochi giorni, ma tutti pensano che cercheranno asilo” ha detto Ali Osman, aggiungendo che le residenze dei due warlords sarebbero state saccheggiate. Un terzo ‘signore della guerra’ – Omar Mohamed detto Finnish - avrebbe annunciato pubblicamente attraverso una radio locale la sua rinuncia a combattere contro le bande armate legate ai Tribunali islamici. Sudi Yalahow e Finnish hanno ricoperto per oltre un anno la carica di ministri del governo di transizione, ma – oltre a non aver mai partecipato all’esecutivo - sono stati rimossi alla fine di maggio su richiesta del Parlamento, che li ha accusati per i violenti combattimenti di Mogadiscio contro le Corti islamiche, in cui in poche settimane sono state uccise oltre 350 persone e 1.500 ferite. I ‘warlords’ hanno a lungo controllato alcune infrastrutture della capitale, controllando porzioni di Mogadiscio con le proprie milizie ‘personali’, in una città che dalla caduta di Siad Barre nel 1991 ha vissuto nel caos e nell’anarchia.
ETIOPIA 17/6/2006 9.53
MIGLIAIA DI SFOLLATI NEL SUD DOPO SCONTRI TRA GRUPPI LOCALI
Avrebbero provocato oltre 23.000 sfollati gli scontri tra comunità locali per il possesso della terra nel sud dell’Etiopia, dove nei giorni scorsi l’ufficio umanitario dell’Onu ha anche limitato o addirittura sospeso le proprie attività a causa delle violenze. “Le autorità regionali hanno riferito che più di 23.000 persone sono state costrette a fuggire dai propri villaggi negli ultimi 15 giorni” ha riferito Liz Lucas dell’organizzazione internazionale ‘Oxfam’, aggiungendo che anziani e capi tradizionali hanno incontrato responsabili governativi per cercare una soluzione alla controversia. Nei giorni scorsi un numero imprecisato di civili – oltre un centinaio secondo alcune fonti, fino a 150 secondo altre – sono state uccisi in scontri e violenze nell’area di Borena (400 chilometri circa a sud della capitale) tra l’omonima comunità Borena e i Guji, che per un aggiustamento giurisdizionale hanno di recente ottenuto alcuni terreni appartenenti ai primi.
AFRICA 16/6/2006 18.44
ERITREA-ETIOPIA: REAZIONI DOPO ANNULLAMENTO COLLOQUI SU CONFINI
“Emendare la decisione sulla demarcazione per accogliere le richieste dell’Etiopia non è una soluzione, anzi peggiora il problema del rifiuto etiope”: Lea Brilmayer, consigliere legale della presidenza eritrea, ha motivato così la decisione dell’Eritrea di non aderire ai colloqui convocati ieri all’Aja dalla Commissione internazionale incaricata, al termine del conflitto del 1998-2000, di demarcare i circa 1.000 chilometri della frontiera comune con l’Etiopia, mai definita da quando quest’ultima nel 1993 ha ottenuto l’indipendenza da Addis Abeba e oggetto di contesa durante la recente guerra. Dopo il rifiuto dell’Etiopia nell’aprile 2002 della decisione internazionale e in seguito ai numerosi e fallimentari negoziati tra i due paesi – gli ultimi quelli di Londra del 17 e 18 maggio –, la scorsa settimana la Commissione aveva proposto alle due parti di presentare a un consigliere speciale richieste di cambiamenti alla sentenza internazionale che attribuisce la città di Badme all’Eritrea; aveva inoltre suggerito – in caso di mancanza di un ulteriore accordo – l’istituzione di un nuovo comitato dell’Onu e della comunità internazionale. In una lettera indirizzata alla Commissione il governo di Asmara ha chiesto all’Etiopia di “conformarsi” ai precedenti ordini della Commissione, accettando “senza ambiguità” anche la decisione sulla demarcazione dei confini; perciò, si legge ancora, “finché continuerà la presa di posizione etiope, non v’è ragione che si tenga un altro incontro”. Salomon Abebe, portavoce del ministero degli Esteri etiope ha ancora una volta accusato l’Eritrea di “non volere la pace”: “Siamo molto delusi – ha detto -. L’Etiopia era pronta a partecipare all’incontro con vero trasporto, mente aperta e buona volontà… ma è stato cancellato perché il governo eritreo non ha voluto partecipare”. Il consigliere presidenziale eritreo Remane Ghebremeskel ha invece ribadito le accuse agli Stati Uniti: “Con il coinvolgimento degli Usa, gli etiopi stanno cercando di cambiare le regole base. La decisione della commissione non può essere alterata. Non c’è spazio per colloqui. Alterare l’accordo avrebbe conseguenze che vanno oltre la contesa tra Eritrea ed Etiopia: i principi fondamentali della legge internazionale verrebbero messi al rogo”.
SOMALIA 17/6/2006 14.39
CORTI ISLAMICHE DENUNCIANO SCONFINAMENTO ETIOPI, NESSUNA CONFERMA
Non ci sarebbero conferme indipendenti alla notizia di uno sconfinamento in Somalia di circa 300 soldati etiopi denunciato oggi dal capo dell’Unione delle Corti islamiche Sheikh Sharif Sheikh Ahmed e già smentito dal governo di Addis Abeba. “Da due giorni circolano voci su un attraversamento di militari dell’Etiopia in territorio somalo, ma in base a controlli effettuati nelle ultime ore non risulta alcuna operazione di questo tipo” ha detto alla MISNA Mario Raffaelli, capo della Delegazione italiana in Somalia, raggiunto al telefono a Nairobi, dove ha sede il suo ufficio. Stamani il leader delle milizie islamiche – che da una decina di giorni controllano la capitale Mogadiscio e alcune località dell’interno – aveva accusato le forze armate etiopiche di aver sconfinato nei pressi di Dollow, nella Somalia sud-occidentale, in un’area lontana centinaia di chilometri da quella controllata dalle milizie islamiche. “L’Etiopia non ha oltrepassato il confine e i fondamentalisti hanno occupato Baladwyne marciando verso la frontiera. L’Etiopia spera che non intendano varcare il confine” ha detto all’agenzia ‘Reuters’ il ministro dell’Informazione Bereket Simon. Già ieri alcuni organi di stampa riferivano notizie di un ammassamento di truppe etiopi al confine con la Somalia. “Sappiamo – ha detto ancora il rappresentante del governo italiano alla MISNA - che l’Etiopia ha messo in stato di allerta le proprie truppe, ma non si vede perché il governo di Addis Abeba dovrebbe muovere le sue truppe proprio quando ci sono segnali di dialogo tra le Corti islamiche e il governo di transizione somalo”. Secondo il capo delle milizie islamiche, gli Usa – storici alleati del governo di Addis Abeba, guidato dal primo ministro Meles Zenawi - “stanno incoraggiando l’Etiopia ad assumere il controllo della regione”. In una battaglia divenuta ormai anche mediatica e di informazione - dopo gli oltre 350 morti e 1.500 feriti a Mogadiscio tra febbraio e l’inizio di giugno –, resta difficile anche avere conferme indipendenti sull’effettiva occupazione da parte delle Corti islamiche della località di Baladwyne, al confine. Di fatto la frontiera separa un’area in cui la presenza dei somali oltrepassa le demarcazioni amministrative: nel sud dell’Etiopia si trova la ‘Somali region’ (Regione somala) che – insieme al confinante Ogaden - è abitata da una forte maggioranza somala. Accuse di sconfinamento reciproco non sono nuove. Secondo diversi osservatori, il governo etiopico appoggerebbe il presidente di transizione somalo Abdullahi Yusuf e ha sostenuto anche i warlords durante la battaglia – ormai persa - contro le corti islamiche nei mesi scorsi.
La Somalia, l’Afghanistan e D’Alema
di Marco Respinti
5 giugno 2006, Somalia. Sbaragliando l’anarchia dei “signori della guerra”, entrano le Corti islamiche ed è subito shar’ia. In assenza di un potere forte, cioè, la rete tecnicamente mafiosa del contropotere territoriale “debole” che nel 1991 si sostituì allo Stato dopo l’abbattimento della tirannia marxista – cioè tecnicamente “forte” – di Mohamed Siad Barre da un lato ha fatto il bello e il cattivo tempo, dall’altro ha innescato l’avvento di un nuovo soggetto “forte”. Ma la verità è che la Mogadiscio di oggi è colpa dei fallimenti politici della comunità internazionale di ieri.
Nel 1992 l’ONU varò un grandioso piano di aiuti umanitari che si trasformò in un disastro immane allorché i denari stanziati per i derelitti finirono ad armare le milizie assassine. Gli Stati Uniti di Bill Clinton spedirono in loco 25mila uomini, ma dopo la morte di 18 servicemen si ritirarono pavidi. E la Somalia fu lasciata a se stessa.
L’identico è accaduto in Afghanistan, Paese che, dopo l’epopea anticomunista dei mujaheddin aiutati dagli USA in base alla dottrina Reagan, è stato abbandonato sempre da Clinton alle faide che hanno poi spianato la via ai “normalizzatori” talebani venuti da fuori (e sempre all’estero mentre gli eroi afghani combattevano Mosca).
Sempre Clinton (si vedano gli studi dello statunitense Richard Miniter) ha per anni ignorato la crescente minaccia di Osama bin Laden e questo nonostante i reiterati allarmi lanciati dall’intelligence.
Insomma, gran parte dei mali che a posteriori ci ritroviamo a piangere in relazione al fondamentalismo islamico sono l’esito della debolezza, dell’inefficienza e della stanchezza di un certo Occidente, e magari pure di una certa sua oggettiva complicità. Quella stessa complicità oggettiva che lega i massacratori dei soldati occidentali in Irak e le Sinistre europee, le quali salutano i primi come “resistenti” e i secondi come “occupanti”. A questo punto un pensierino va proprio agli apprendisti stregoni dello jihad globale, i quali sanno fare bene la guerra nei Paesi che occupano e altrettanto bene la politica in quelli che combattono.
In Spagna l’11 marzo 2004, oggi con una nuova Nassiriya che benedice il ritiro degl’italiani dall’Irak voluto dal governo Prodi nel giorno in cui il postcomunista ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema impara finalmente a definire la nostra una «missione di pace».[Il Domenicale]
SOMALIA 17/6/2006 19.44
SCONFINAMENTO SOLDATI ETIOPIA, PRIME PARZIALI CONFERME
Almeno 5 o 6 vetture dell’esercito etiopico “con a bordo alcuni soldati” sono state viste oggi nella cittadina frontaliera di Dolow, nella regione sud-occidentale di Gedo: lo hanno detto a fonti della MISNA alcuni residenti contattati sul posto. È stata però esclusa la presenza di centinaia di militari provenienti da oltre confine, dopo la denuncia del capo delle Corti islamiche Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, secondo cui 300 soldati avrebbero sconfinato. “La presenza di militari etiopici è certa, mentre non è chiaro il loro numero” ha riferito la fonte, chiedendo l’anonimato per questioni di sicurezza. I residenti confermano comunque l’elevata presenza di truppe dell’Etiopia alla periferia della città, che si trova sul confine. Nel pomeriggio il ministro dell’Informazione di Addis Abeba, Simon Berekat, aveva respinto le accuse del capo delle Corti Islamiche, affermando che non ci sono soldati etiopici in territorio somalo.
Dolow è un piccolo agglomerato di case sul fiume Juba, a circa 250 chilometri dalla città di Baidoa, che da alcuni mesi ospita il governo e il Parlamento di transizione. Già nel 1996 a Dolow l’esercito dell’Etiopia sconfinò in territorio somalo e bombardò Dolow, durante gli scontri tra due fazioni somale e ne occupò brevemente il territorio. I confini tra i due Paesi dividono un’area abitata in netta maggioranza da somali, che vivono anche in ampie regioni dell’Etiopia sud-orientale (Somali State e Ogaden). A partire dagli Anni 70, diversi gruppi locali hanno iniziato una lotta armata per la secessione dall’Etiopia con l’obiettivo di essere integrati in Somalia.
Intanto proseguono gli sforzi di mediazione per rilanciare il dialogo tra il governo e le Corti islamiche, che hanno conquistato Mogadiscio, Jowhar e alcune località dell’interno dopo aver sconfitto l’alleanza anti-terrorismo dei warlords sostenuti dagli Usa e probabilmente dalla stessa Etiopia. Il presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh ha garantito che “sono aperti tutti i canali di comunicazione – come scrive l’agenzia di stampa nazionale Saba – con tutte le fazioni somale, al fine di stabilizzare e rendere sicura la Somalia”.
zerothehero
19-06-2006, 20:05
Dopo voci sempre più insistenti di una imminente invasione etiope della Somalia, l’agenzia MISNA ha confermato nel tardo pomeriggio di sabato la presenza di “almeno cinque o sei vetture dell’esercito etiopico con a bordo alcuni soldati” nella città somala di Dolow, al confine con l’Etiopia, stimando altresì “massiccia” la presenza di truppe inviate da Addis Abeba nella periferia della città, che si trova in territorio etiope. Il portavoce del presidente Meles Zenawi, dopo un’iniziale smentita, ha affermato il diritto dell’Etiopia a “monitorare i propri confini”.
Dolow si trova al confine con la regione orientale dell’Etiopia, la cui denominazione amministrative è “Somali region”, data la preminenza dei Somali tra la popolazione. Proprio l’”irredentismo somalo” verso questi territori è stato in passato causa di scontri militari, anche se questa volta la situazione sembra essere diversa. La salda alleanza tra Addis Abeba e Washington porterebbe infatti a giudicare l’intervento etiope come l’ultimo sviluppo del conflitto tra forze islamiche e counter-terrorism sponsorizzato dagli USA nel Corno d’Africa, il cui primo capitolo – la battaglia per Mogadiscio e Johwar – ha visto una netta vittoria da parte delle Corti islamiche. Se in quella occasione la strategia statunitense si è rivelata altamente controproducente, adesso potrebbe troncare sul nascere la possibilità di colloqui tra le Corti e il Governo provvisorio somalo che sembrava concretizzarsi dopo l’accettazione da parte degli islamici della mediazione yemenita proposta dal governo.
zerothehero
19-06-2006, 20:06
SOMALIA: GLI INTEGRALISTI PROCLAMANO LA SHARIA A JOWHAR
(AGI/AFP) - Jowhar (Somalia), 19 giu. - Le Corti islamiche unite hanno imposto oggi la sharia a Jowhar, l'ex roccaforte dei signori della guerra, 90 chilometri a nord di Mogadiscio, conquistata nei giorni scorsi dalla milizia integralista, che ha assunto anche il controllo della capitale". "Si tratta di una amministrazione temporanea islamica che contribuira' a ripristinare la giustizia e l'ordine in questa citta' molto importante", ha affermato il capo della milizia, lo sceicco Sharif Ahmed. "Spero che la nuova amministrazione dia corso alla sharia in tempi rapidi", ha detto agli anziani.
La nuova amministrazione sara' guidata dallo sceicco Osman Mohamed Muhamoud, un predicatore proveniente da Mogadiscio, che si avvarra' della collaborazione dello sceicco Mohamed Mohamoud Abdulrahman, un rispettato insegnante delle madrasse, e di un altro imam meno noto, lo sceicco Moalim Hassan. Al loro fianco operera' un tribunale che avra' il compito di controllare l'applicazione della legge islamica.
Ieri i miliziani, guidati dallo sceicco Abu Muslim, hanno fatto chiudere le sale cinematografiche fino a nuovo ordine, negando di fatto agli appassionati di calcio la possibilita' di seguire i mondiali di Germania. "In linea di principio siamo siamo contro la visione di film occidentali. Ci consulteremo per verificare se c'e' la possibilita' di far vedere le rimanenti partite della Coppa del mondo", ha dichiarato lo sceicco Ali Hassan, delle Corti islamiche unite.
Nessun veto e' stato imposto ai possessori di televisori, ma essendo questi una cerchia ristretta di privilegiati, l'esenzione non ha attenuato nella cittadinanza il senso di frustrazione per l'impossibilita0' di vedere le partite, che sinora sono state trasmesse nei cinema a beneficio dei piu'.
"Non ci piacciono questi islamici perche' ci impediscono di guardare il calcio. Li abbiamo accolti con calore dopo che hanno cacciato i signori della guerra, ma quello che stanno facendo adesso e' inaccettabile", ha detto un certo Yusuf Mohamed. "Se la situazione non cambia, dovremo protestare", ha affermato a sua volta il venticinquenne Bashir Ali. (AGI) Cis 191643 GIU 06 .
191802 GIU 06
zero, stiamo perdendo colpi :D
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1043446
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1008433
SOMALIA 19/6/2006 13.53
SCONFINAMENTO SOLDATI ETIOPI, ULTERIORI CONFERME?
Un numero limitato di soldati dell’Etiopia avrebbe oltrepassato ieri la frontiera con la Somalia in tre diverse località, ma all’alba di stamani avrebbe fatto rientro in territorio etiope: lo riferiscono fonti locali contattate dalla MISNA. Stando a diverse testimonianze, la presenza dei militari sarebbe segnalata in due zone della regione meridionale di Gedo, comunque abbastanza remote e non facili da raggiungere: a Dolow, dove già sabato erano stati visti alcuni militari etiopi, e nei pressi di Beled Haawo, vicino alla triplice frontiera tra Etiopia, Somalia e Kenya; altre fonti sostengono che un analogo sconfinamento di soldati etiopici sia avvenuto a Ferfer, una quarantina di chilometri da Beled Weyne (o Belet Uen), la località che le Corti islamiche affermano di aver conquistato dopo aver preso il controllo di Mogadiscio all’inizio di giugno.
In una conferenza stampa da Johwar, il portavoce delle Corti islamiche Sheik Sharif Sheik Ahmed ha confermato le accuse lanciate all’Etiopia di aver inviato propri soldati, già smentite dal governo di Addis Abeba. “Non ci sono truppe etiopiche in Somalia” ha ribadito oggi il portavoce del governo di transizione somalo, Abdirahman Nur Mohamed Dinari. Malgrado i confini amministrativi tra i due Paesi, nel sud dell'Etiopia è presente una forte maggioranza somala.
Secondo indiscrezioni raccolte dalla MISNA – ma ancora prive di una conferma – nella città di Baidoa, dove hanno sede il governo e il parlamento di transizione, vi sarebbe stato un incontro con la partecipazione di ufficiali etiopici e yemeniti. L’Etiopia sostiene il presidente somalo Abdullahi Yussuf (ex-signore della guerra nella regione settentrionale del Puntland) e ha anche appoggiato i ‘warlords’ di Mogadiscio nei combattimenti dei mesi scorsi contro le corti islamiche. Lo Yemen sta cercando di svolgere un ruolo di mediazione per favorire il dialogo tra le autorità somale – sostenute anche dalla comunità internazionale – e le Corti islamiche, che da due settimane controllano la capitale Mogadiscio, la città di Johwar e alcune altre località.
SOMALIA 19/6/2006 13.53
SCONFINAMENTO SOLDATI ETIOPI, ULTERIORI CONFERME?
Un numero limitato di soldati dell’Etiopia avrebbe oltrepassato ieri la frontiera con la Somalia in tre diverse località, ma all’alba di stamani avrebbe fatto rientro in territorio etiope: lo riferiscono fonti locali contattate dalla MISNA. Stando a diverse testimonianze, la presenza dei militari sarebbe segnalata in due zone della regione meridionale di Gedo, comunque abbastanza remote e non facili da raggiungere: a Dolow, dove già sabato erano stati visti alcuni militari etiopi, e nei pressi di Beled Haawo, vicino alla triplice frontiera tra Etiopia, Somalia e Kenya; altre fonti sostengono che un analogo sconfinamento di soldati etiopici sia avvenuto a Ferfer, una quarantina di chilometri da Beled Weyne (o Belet Uen), la località che le Corti islamiche affermano di aver conquistato dopo aver preso il controllo di Mogadiscio all’inizio di giugno.
In una conferenza stampa da Johwar, il portavoce delle Corti islamiche Sheik Sharif Sheik Ahmed ha confermato le accuse lanciate all’Etiopia di aver inviato propri soldati, già smentite dal governo di Addis Abeba. “Non ci sono truppe etiopiche in Somalia” ha ribadito oggi il portavoce del governo di transizione somalo, Abdirahman Nur Mohamed Dinari. Malgrado i confini amministrativi tra i due Paesi, nel sud dell'Etiopia è presente una forte maggioranza somala.
Secondo indiscrezioni raccolte dalla MISNA – ma ancora prive di una conferma – nella città di Baidoa, dove hanno sede il governo e il parlamento di transizione, vi sarebbe stato un incontro con la partecipazione di ufficiali etiopici e yemeniti. L’Etiopia sostiene il presidente somalo Abdullahi Yussuf (ex-signore della guerra nella regione settentrionale del Puntland) e ha anche appoggiato i ‘warlords’ di Mogadiscio nei combattimenti dei mesi scorsi contro le corti islamiche. Lo Yemen sta cercando di svolgere un ruolo di mediazione per favorire il dialogo tra le autorità somale – sostenute anche dalla comunità internazionale – e le Corti islamiche, che da due settimane controllano la capitale Mogadiscio, la città di Johwar e alcune altre località.
SOMALIA 19/6/2006 15.33
UNIONE AFRICANA INVIA ESPERTI PER PREPARARE MISSIONE DI PACE
Una missione tecnica in vista dell’eventuale dispiegamento di una forza di pace africana verrà inviata in Somalia “il prima possibile”: lo hanno deciso oggi i rappresentanti dell’Unione Africana (Ua), i diplomatici dei paesi della regione e della comunità internazionale impegnati a mediare nelle vicende somale durante la riunione tenuta ad Addis Abeba (in Etiopia). Incontrando la stampa, il commissario per la pace e la sicurezza dell’Ua, Said Djinnit, ha sottolineato che, nell’immediato, “la priorità continua ad essere data al dialogo tra il governo federale di transizione e le altre parti”, anche se “nel frattempo, verranno avviati i lavori per la pianificazione di una missione di pace dell’Ua”. L’Igad, l’organizzazione regionale che raggruppa i principali paesi dell’Africa orientale, aveva già dato lo scorso anno il proprio avallo a una missione di pace africana da dispiegare in Somalia, lo stesso aveva fatto l’Ua e la settimana scorsa anche il parlamento somalo di transizione (che ha sede a Baidoa) ha approvato il progetto. Fonti diplomatiche sottolineano che in vista di un’eventuale dispiegamento di uomini e mezzi in Somalia, sarà necessario che le Nazioni Unite ritirino l’embargo alle armi imposto nel 1992.
SOMALIA 19/6/2006 16.37
JOWHAR, SACCHEGGI E VITTIME PER MINE DOPO ARRIVO CORTI ISLAMICHE
Televisori, parabole satellitari, mobili, vestiti e altri materiali sono stati saccheggiati ieri in un numero imprecisato di case nella cittadina di Jowhar, circa 90 chilometri da Mogadiscio, dove sono presenti le milizie delle Corti islamiche che nei giorni scorsi hanno estromesso un warlord locale e dove si trova tuttora il presidente delle milizie islamiche, Sheikh Sharif Skeikh Ahmed: la MISNA lo ha appreso da fonti locali.
Non è chiaro chi abbia commesso i saccheggi, che hanno riguardato soprattutto le residenze costruite da quando – nel luglio dell’anno scorso - Jowhar è diventata una sorta di “capitale provvisoria” come sede del presidente Abdullahi Yusuf, che attualmente si è trasferito nella città di Baidoa. Dal loro arrivo, le milizie islamiche hanno integrato nei propri ranghi anche uomini armati legati all’ex-signore della guerra locale Mohammed Dere, fuggito nei giorni scorsi.
La MISNA ha appreso anche che per la prima volta in queste ore ci sono state alcune vittime (almeno un morto e diversi feriti) a causa di mine e ordigni inesplosi: sembra che durante la fuga da Jowhar i ‘signori della guerra’ – già sconfitti anche Mogadiscio dalle Corti islamiche - abbiano minato alcune zone alla periferia di Jowhar. Si tratta di un fenomeno nuovo.
Intanto il capo delle Corti islamiche ha approvato la creazione di una sorta di Commissione incaricata di gestire l’amministrazione di Jowhar, composta da cinque rappresentanti locali dei principali sotto-clan presenti in città. Fonti locali hanno anche segnalato alla MISNA che dopo l’arrivo delle milizie islamiche sono stati rimossi i numerosi check-point che per lungo tempo sono stati gestiti dai ‘warlords’ locali.
Le Corti islamiche hanno più volte dichiarato di voler riportare legge e ordine nei territori sotto il loro controllo, ottenendo in questo senso un significativo appoggio popolare dopo oltre 15 anni di anarchia e caos seguiti alla caduta di Siad Barre. Sheik Ahmed si è però dichiarato contrario all'invio di una forza di pace che l'Unione Africana vuole invece inviare "il più presto possibile".
SOMALIA 19/6/2006 21.37
MALCONTENTO A JOWHAR, TENSIONE A MOGADISCIO E … NEGOZIATI OVUNQUE
Cresce il malcontento della popolazione di Jowhar (novanta chilometri a nord di Mogadiscio) nei confronti dei miliziani delle Corti Islamiche in seguito ad alcuni episodi di saccheggio verificatisi nelle ultime ore. La MISNA lo ha appreso da fonti vicine alle stesse Corti, le quali hanno precisato che la gente è sempre più “infastidita” da “episodi sporadici” (come li hanno definiti, confermandoli, altre fonti) ma che continuano ad essere riportati con crescente frequenza, creando crepe in quell’immagine di austera severità e rigore morale con cui le Corti si erano presentate ai somali. Secondo le informazioni raccolte dalla MISNA, i saccheggi (seppur non sistematici) avrebbero interessato alcune abitazioni, ma anche i locali della sede di una organizzazione non governativa italiana presente in città, da cui non è ancora stato possibile ottenere conferme. Ma alcuni miliziani delle Corti sarebbero stati protagonisti anche di altri episodi spiacevoli, come l’ingresso in un ospedale in cerca di un nemico da finire. Episodio rientrato in seguito all’intervento di un comandante delle milizie delle Corti. Proprio il malcontento popolare potrebbe spingere, già nelle prossime 24-48 ore, le Corti Islamiche a ritirare gran parte del proprio dispositivo militare dispiegato a Jowhar per ripiegare su Mogadiscio. D’altronde ormai le Corti avrebbero nominato i propri rappresentanti a Jowhar: un gruppo di 7 persone incaricate di garantire la legge coranica sotto la guida di Sheikh Osman Mohamed Muhamoud, un imam di Mogadiscio. Intanto, però, col passare dei giorni si moltiplicano le voci relative alle perdite che le forze delle Corti Islamiche avrebbero subito durante la presa di Jowhar, un avvenimento che in un primo momento sembrava essere avvenuto quasi senza colpo ferire e che invece pare abbia fatto registrare perdite molto alte soprattutto tra le file dei miliziani delle Corti. Le informazioni a riguardo sono poche, non confermate e quasi sussurrate dalle più disparate fonti contattate dalla MISNA in Somalia, ma anche nelle capitali occidentali in cui ha riparato l’attentissima diaspora somala che continua con apprensione a seguire gli sviluppi delle ultime settimane. Secondo queste voci (insistenti ma per ora difficilmente confermabili), nella presa di Jowhar le Corti avrebbero perso decine di miliziani, forse una settantina, mentre oltre un centinaio sarebbero rimasti feriti a causa degli ordigni piazzati dai signori della guerra prima di lasciare la città. Ma nel complicato quadro somalo sono molte le notizie, provenienti da una parte e dall’altra, a cui è difficile trovare conferma: da quelle relative alle truppe etiopi entrate in territorio somalo a quelle che vedrebbero i soldati del confinante vicino già dispiegati a presidio dell’aeroporto di Baidoa (sede del governo provvisorio e possibile bersaglio di un nuovo attacco delle Corti), per arrivare infine a quelle raccolte in serata dalla MISNA, secondo cui Mohamed Dhere, il potente warlord che controllava Jowhar, starebbe addestrando un elevato numero di uomini a Fir Fir, piccola località in territorio etiope a ridosso del confine con la Somalia, pronto a sferrare un attacco e riprendersi la città. Tra voci, spesso di parte, e informazioni difficili da confermare, nelle ultime ore, invece, sembra prendere sempre più piede la possibilità che il presidente del governo di transizione somalo Abdullahi Yusuf si rechi domani in visita in Etiopia per incontrare il primo ministro Meles Zenawi. Yusuf, ex-presidente del Puntland (la regione autonoma nel nord della Somalia), è considerato molto vicino agli etiopi, che invece sarebbero particolarmente avversi a buona parte della popolazione e dei politici, tanto nelle Corti quanto nello stesso governo di transizione. La possibile presenza dei soldati di Addis Abeba in territorio somalo o nella missione di pace africana per la Somalia (che diventa ogni giorno più probabile) rischia di mettere in pericolo la delicata e complicatissima tela di negoziati, mediazioni e trattative in corso da giorni nonostante proclami e dichiarazioni pubbliche. Colloqui, che almeno a sentire alcuni osservatori particolarmente informati, dovrebbero avere esiti positivi. A conferma di questo clima, in serata è arrivata l’apertura delle Nazioni Unite nei confronti delle Corti Islamiche. Parlando con la stampa, l’inviato speciale in Somalia di Kofi Annan, François Lonsény Fall, ha annunciato che una squadra di esperti si recherà in settimana a Jowhar per incontrare i vertici delle Corti e discutere con loro delle necessità della popolazione da un punto di vista umanitario, valutando altresì le possibilità di ulteriori contatti a livello ‘politico’. Ma gli stravolgimenti politici e sociali (soprattutto all’interno della ‘Gabila’, la complicata struttura gerarchica basata su clan e famiglie) in corso in Somalia rendono possibile ogni scenario.
SOMALIA - Due giornalisti della ‘Radio Shabelle’ che sabato hanno dato la notizia del presunto superamento del confine nazionale da parte di truppe etiopi sono stati fermati dalla polizia e trattenuti alcune ore. Mohamed Addawe e Ali Jey hanno trascorso 8 ore in carcere a Baidoa ieri prima di essere rilasciati.
zerothehero
19-06-2006, 21:24
orpo..non uno..ma due.. :stordita:
Chiudete allora..
Oppure unite le discussioni sullo stesso tema, ancora meglio, l'avremmo fatto io o zero, ma non siamo più moderatori :p
Oppure unite le discussioni sullo stesso tema, ancora meglio, l'avremmo fatto io o zero, ma non siamo più moderatori :p
Unite as requested ;)
Meglio anche cambiare il titolo,citando la situazione somal
Edit by Ewigen
ETIOPIA – Sono più di 100.000, secondo il governo etiope, i rifugiati africani che vivono nel Paese. Si tratta di persone provenienti soprattutto dalla Somalia, dal Sudan e dall’Eritrea. La fine della guerra tra il governo sudanese e i ribelli del Sud e l’attuazione di un accordo tra i governi di Khartoum e di Addis Abeba, sotto l’egida dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr), sta però permettendo il ritorno a casa di migliaia di profughi sudanesi.
SOMALIA 20/6/2006 13.39
PRESIDENTE YUSUF AD ADDIS ABEBA PER CHIEDERE MISSIONE DI PACE AFRICANA
La richiesta dell’invio urgente di un contingente di pace per stabilizzare la Somalia dopo la conquista di Mogadiscio e di altre città da parte delle Corti islamiche è al centro della visita di oggi del presidente somalo Abdullahi Yusuf alla sede dell’Unione Africana (Ua) ad Addis Abeba.
L’ambasciatore somalo in Etiopia Abdikarin Farah ha detto che Yusuf – ex-signore della guerra della regione somala settentrionale del Puntland, appoggiato dall’Etiopia – incontrerà il presidente della Commissione dell’Ua, Alpha Oumar Konaré e avrà un incontro anche con il primo ministro etiope Meles Zenawi.
Ieri l’Onu, per voce del rappresentante speciale per la Somalia François Lonseny Fall, aveva annunciato per la prossima settimana l’invio di una missione a Mogadiscio di un gruppo di esperti internazionali incaricati di incontrare l’Unione delle Corti islamiche.
È opinione diffusa che dopo aver sconfitto i ‘signori della guerra di Mogadiscio’ in una battaglia durate oltre tre mesi – con non meno di 350 morti e 1.500 feriti – e aver conquistato la cittadina di Jowhar e altre località, le Corti islamiche rappresentino un interlocutore politico non solo a livello somalo ma anche internazionale.
SOMALIA 20/6/2006 20.47
MOGADISCIO: ETIOPIA, YEMEN, GIBUTI E SUDAN, FERVONO ATTIVITÀ DIPLOMATICHE
Non è ancora emerso alcun elemento concreto dal viaggio che oggi il presidente del governo di transizione somalo, Abdullahi Yusuf Ahmed, ha compiuto in Etiopia dove avrebbe incontrato il primo ministro Meles Zenawi ed esponenti di spicco dell’Unione Africana. Secondo indiscrezioni, pubblicate da alcune agenzie internazionali, citando anonimi collaboratori di Yusuf, il capo di Stato somalo avrebbe incontrato Zenawi per chiedere il rapido dispiegamento di una forza di pace africana in territorio somalo. Secondo altre agenzie internazionali, che citano diplomatici somali in Etiopia, nell’agenda del presidente figurerebbe invece solo un incontro di un paio d’ore con i vertici dell’Unione Africana per illustrare un piano di sicurezza e stabilità nazionale, che l’Ua dovrebbe poi presentare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Tale piano, sempre secondo le stesse fonti, sarebbe una delle condizioni poste dall’Onu per ritirare l’embargo sulle armi. Una moratoria chiesta a gran voce e con insistenza dai paesi dell’Africa orientale e dal governo somalo, e senza la quale sarebbe impossibile dispiegare una forza di pace a fianco delle istituzioni di transizione. Qualche certezza in più sull’esito e sui contenuti degli incontri avuti oggi da Yusuf ad Addis Abeba potrebbe arrivare da una conferenza stampa prevista in serata. Intanto però vanno registrate le numerose mediazioni in corso ad opera di paesi africani o della regione. Se il ministro degli Esteri di Gibuti, Mahamoud Ali Yossouf, è tornato con forza a chiedere il ritiro parziale dell’embargo alle armi imposto dall’Onu nel 1992, lo Yemen ha ribadito la propria disponibilità a ospitare un’incontro tra le Corti Islamiche e la delegazione governativa nominata ieri dal primo ministro somalo, Mohamed Ali Ghedi, per negoziare un ingresso delle Corti nella vita politica nazionale e il loro disarmo. Il Sudan è l’ultimo paese africano ad essere entrato di prepotenza nel tourbillon di attività diplomatiche e mediazioni in corso nel tentativo di scongiurare un conflitto su larga scala in Somalia (ma che potrebbe avere effetti devastanti anche per l’intera regione date gli interessi sovranazionali esistenti. Parlando all’agenzia di stampa nazionale, Suna, il presidente Omar Hassan el Beshir ha annunciato che domani una delegazione delle Corti Islamiche è attesa a Khartoum dove si svolgerà un “tentativo di mediazione araba” alla crisi somala. “In qualità di presidente di turno della Lega Araba, il Sudan può essere utile per mediare tra i dirigenti somali e le Corti” ha detto el Beshir. Non è ancora chiaro se all’iniziativa sudanese siano stati invitati anche rappresentanti del governo di transizione somalo. Da Addis Abeba, inoltre, l’ambasciatore Sudanese, Abdi Zaid Hassan, fa sapere che Khartoum è anche pronta a inviare in Somalia un battaglione di peacekeeper “per riportare la pace e la sicurezza”, non appena l’Onu avrà ritirato l’embargo sulle armi. L’Uganda, che da tempo aveva segnalato la propria disponibilità a inviare soldati in Somalia per ristabilire l’ordine, ha fatto sapere oggi di aver sospeso, per il momento, la propria offerta a causa delle profonde differenze politiche sulla questione emerse nell’ex-colonia italiana.
SOMALIA 21/6/2006 18.26
PROVE DI DIALOGO TRA GOVERNO E CORTI ISLAMICHE
Delegati del governo somalo e delle Corti Islamiche sono partiti oggi alla volta del Sudan, accettando così l’invito lanciato ieri dal presidente sudanese Omar Hassan el Beshir che si è proposto come mediatore a nome della Lega Araba, la cui presidenza di turno è affidata proprio Khartoum. La conferma che entrambe le delegazioni hanno accettato l’invito al dialogo è arrivata da numerosi fonti giornalistiche e ufficiali. Secondo le informazioni raccolte, la delegazione del governo somalo di transizione è composta dai suoi massimi esponenti (il presidente Abdullahi Yusuf, il primo ministro Ali Gedi e il portavoce del parlamento Sharif Hassan Sheikh Adan), mentre le Corti Islamiche avrebbero inviato una decina di loro esponenti guidati da Mohamed Ali Ibraham, un potente capo religioso. Seppur non ancora confermato ufficialmente, pare che nella delegazione delle Corti non figuri Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, il presidente nonchè portavoce dell’Unione corti islamiche. Oltre al presidente Beshir, all’incontro dovrebbe partecipare in qualità di mediatore anche Amir Moussa, segretario della Lega Araba. Non è ancora ben chiara l’agenda dei lavori, che potrebbero entrare nel vivo solo domani, ma pare che almeno in un primo momento non siano previsti faccia a faccia tra le due delegazioni somale, ma solo incontri con i mediatori. Parlando con la stampa al termine del suo incontro col primo ministro etiope, il presidente somalo Yusuf aveva posto alcune condizioni al dialogo con le Corti: riconoscimento formale delle nuove istituzioni e il ritiro dalle località conquistate dopo la presa di Mogadiscio il 5 giugno scorso. Le Corti dal canto loro hanno rifiutato qualsiasi condizione preliminare al dialogo.
SOMALIA 21/6/2006 20.11
CENTINAIA IN FUGA IN KENYA PER SCONTRI E CARESTIA
Dallo scorso febbraio, sono almeno 1.300 i cittadini somali che hanno lasciato il loro paese in seguito agli scontri nella capitale Mogadiscio e a Jowhar, trovando rifugio nel campo profughi di Dadaab, in Kenya. È stato il rappresentante in Kenya dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr), George Okoth-Obbo, a riferire il dato, aggiungendo però anche che “alcuni dei rifugiati hanno abbandonato la Somalia a causa della grave siccità”. La lenta ma inesorabile emorragia di persone continuerebbe, secondo Okoth-Obbo: “La settimana scorsa abbiamo ospitato altri 64 rifugiati provenienti dalla Somalia. Stiamo monitorando la situazione per vedere se siamo in grado di accogliere il crescente numero di profughi in arrivo”. Sono circa 100.000 i somali ospiti di tre campi sorti da una decina d’anni a Dadaab, nel Kenya settentrionale, dove i primi rifugiati dalla Somalia sono arrivati all’inizio degli anni Novanta, dopo lo scoppio della guerra fratricida conseguente alla cacciata del dittatore Siad Barre, nel 1991. Alla guerra negli ultimi anni si è aggiunta anche la carestia provocata dalla prolungata siccità, con circa due milioni di persone a rischio un po’ in tutta la Somalia.
Somalia - Chi sta dietro le corti islamiche?
Le corti islamiche sono un elemento costitutivo della società somala. La loro presa di potere rappresenta una novità ancora da decifrare
Mogadiscio (Agenzie)- “È difficile sapere se vi sono interessi legati all’estremismo internazionale dietro alle corti islamiche che hanno preso il potere su buona parte della Somalia” dicono fonti della Chiesa locale nel Corno d’Africa dove cresce la preoccupazione per una possibile presa del potere in Somalia di elementi radicali, che potrebbero essere forse legati all’estremismo islamico internazionale,
“Quello che è certo, e che ha sorpreso diversi osservatori, è che le truppe delle corti islamiche sono riuscite a sbaragliare le milizie dei cosiddetti “signori della guerra” che da più di 15 anni dominavano Mogadiscio” afferma la nostra fonte. “Questo è potuto avvenire perché le truppe delle corti islamiche erano ben dirette e ben armate. Da chi non si sa ancora con certezza, non si può quindi escludere anche l’intervento di elementi esterni che hanno fornito un supporto per lo meno finanziario e logistico”.
“Per comprendere come le corti islamiche abbiano preso il potere bisogna prendere in considerazione la situazione della Somalia, dove dal 1991 non esiste più lo Stato” continua la fonte. “La società somala si è ripiegata se stessa e sul suo sistema di clan. La struttura statale occidentale è un elemento estraneo alla Somalia. La vera forma di organizzazione sociale e politica è il clan, a sua volta diviso in diversi sottoclan. Esistono complessi meccanismi che regolano sia la vita all’interno del singolo clan, sia i rapporti tra i differenti gruppi clanici.”
In questa struttura rientrano i tribunali islamici, ai quali è demandato di regolare le questioni afferenti la giurisprudenza islamica, in particolare quel che riguarda il diritto di famiglia (matrimoni, divorzi, questioni ereditarie, ecc…). “In Somalia, fino al 1991, esistevano almeno 3 tipi di tribunali. Quello statale, quello islamico e quello tradizionale. Quest’ultimo era incaricato di occuparsi di dirimere le controversie tra le persone (conflitti di proprietà, per i pascoli, ecc..) appartenenti allo stesso clan. In effetti anche i tribunali islamici sono strutture claniche: ogni clan ne ha uno” precisa la fonte. “La cosa interessante è che le cosiddette corti islamiche sono almeno 15-17. Queste sono riuscite a trovare una linea di intesa e prendere il potere”.
“L’emergere della corti islamiche, quindi, rientra in un percorso tipicamente somalo, dove la struttura clanica tradizionale è il punto di riferimento principale di ogni abitante di quel Paese. Con gli occhi di un occidentale è difficile comprendere questa realtà, ma bisogna considerare che lo Stato moderno è nato dopo secoli di lotte sanguinose in Europa. Non è una struttura che si può semplicemente importare in un’altra cultura” afferma la nostra fonte. “Certamente se all’interno delle corti islamiche dovessero prevalere gli elementi più estremisti saremmo di fronte a una svolta nella storia della Somalia, con esiti difficili di prevedere” conclude la fonte.
SOMALIA 22/6/2006 11.29
KHARTOUM: GOVERNO E CORTI ISLAMICHE INCONTRANO LEGA ARABA
Sono state ricevute stamani dal presidente sudanese Omar Hassan el-Bashir le delegazioni del governo somalo e delle Corti islamiche che all’inizio di giugno hanno conquistato Mogadiscio e che per la prima volta si vedono riconosciute come soggetto politico. Lo si apprende da fonti di stampa internazionale, ma non è chiaro se sia avvenuto anche un faccia-a-faccia tra le due parti, nell’ambito della mediazione di pace promossa dalla Lega Araba attraverso il Sudan, che ne detiene al momento la presidenza di turno.
Dopo i colloqui con el-Beshir, la delegazione del governo – composta dal presidente Abdullahi Yusuf, dal primo ministro Ali Gedi e dal presidente del parlamento Sharif Hassan Sheikh Adan – ha incontrato il ‘Comitato per la Somalia’ della Lega araba, con la partecipazione dei ministri degli Esteri di Egitto, Libia, Gibuti e altri paesi. “L’obiettivo di questo incontro è salvare la Somalia” aveva detto alla vigilia dei colloqui Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba, aggiungendo che l’iniziativa diplomatica mira a una “piena riconciliazione” tra le parti.
Nei giorni scorsi le Corti islamiche – che oltre alla capitale hanno conquistato altre località del Sud della Somalia – hanno duramente contestato la richiesta del governo di un contingente internazionale per riportare ordine e legalità dopo 15 anni di anarchia e caos.
OMALIA 22/6/2006 16.49
KHARTOUM: CORTI E GOVERNO SI INCONTRANO -2
Sono iniziati nel pomeriggio a Khartoum (Sudan) i primi colloqui diretti, ad alto livello, tra il governo di transizione della Somalia e l’Unione delle Corti Islamiche, la formazione che ha ottenuto il controllo di Mogadiscio ai danni dei signori della guerra (che la controllavano da 15 anni) e che successivamente ha esteso la propria influenza anche ad altre tra le principali città del Sud della Somalia, tra cui Jowhar, novanta chilometri a nord di Mogadiscio. Lo hanno fatto sapere fonti della Lega Araba, l’organismo che ha organizzato la mediazione, precisando che in mattinata le parti hanno avuto incontri separati con i mediatori presenti al tavolo del negoziato. Secondo le indiscrezioni trapelate, governo somalo e Corti Islamiche si sarebbero già accordati sull’agenda dei lavori dei colloqui al cui centro vi sarebbe la dichiarazione di un cessate il fuoco e la condivisione del potere. Riuniti in un centro conferenze sulle sponde del Nilo Blu, le due delegazioni arrivate ieri a Khartoum discuteranno di armi, del futuro dei signori della Guerra, ma anche di cooperazione e ricostruzione. Non è chiaro se le parti affronteranno anche la delicata questione del dispiegamento nel paese di una missione di pace internazionale. Proprio su questo punto i due protagonisti della politica somala degli ultimi mesi sembrano mantenere le maggiori differenze.
SOMALIA 22/6/2006 19.05
KHARTOUM: GOVERNO E CORTI FIRMANO ACCORDO DI “MUTUO RICONOSCIMENTO”
Il governo di transizione della Somalia e l’Unione delle Corti Islamiche hanno siglato nel pomeriggio a Khartoum (Sudan) un accordo che prevede il mutuo riconoscimento. Lo ha annunciato il segretario generale della Lega Araba, Amr MOussa, che ha organizzato la mediazione per i primi colloqui diretti ad alto livello tra le due parti. Il testo, redatto dal capo della delegazione delle Corti (Ali Mohammad Ibrahim) e dal ministro degli Esteri del governo di transizione (Abdallah al-Cheikh Ismaïl) prevede inoltre la “fine delle campagne mediatiche e militari”. Il documento, firmato alla presenza di Moussa e del presidente sudanese Omar Hassan el Beshir, stabilisce “il proseguimento del dialogo senza condizioni preliminari e nel quadro del mutuo riconoscimento”, nonché “il giudizio dei criminali di guerra”. Proprio il segretario della Lega Araba, che ha illustrato alla stampa i contenuti dell’accordo, ha sottolineato che l’intesa lancia poi un “appello alla pace a tutte le fazioni presenti in Somalia”. “È l’inizio della fine dei conflitti in Somalia” ha commentato il presidente sudanese Beshir. I colloqui dovrebbero proseguire fino al 15 luglio prossimo e l’accordo firmato oggi costituisce solo un primo passo necessario - le Corti non avevano ancora riconosciuto formalmente il governo di transizione, e il presidente somalo nei giorni scorsi ha rilasciato dichiarazioni non tenere nei confronti delle Corti - prima di entrare nel vivo e discutere di disarmo, condivisione del potere e infine del dispiegamento di una forza di pace internazionale in grado di aiutare le istituzioni a installarsi nel paese e a ristabilire l’ordine, assente in Somalia da troppi anni.
SOMALIA 22/6/2006 15.34
AFFONDAMENTO NAVE CARGO, SI CERCANO SOPRAVVISSUTI
Una nave cargo carica di 20.000 tonnellate di carbone è affondata ieri notte a largo delle coste somale. Lo riferiscono oggi fonti giornalistiche locali, citando il coordinatore del programma di assistenza marittima del Kenya, Andrew Mangura, il quale ha precisato che operazioni di salvataggio sono in corso da questa mattina nel tentativo di trarre in salvo i 20 componenti l’equipaggio che, secondo informazioni della marina keniana, sarebbero ancora vivi, ma alla deriva a bordo di zattere di fortuna. “poco prima che la nave si inabissasse l’equipaggio del ‘MV Kanaya’ è riuscito a mandare un sos, altre due navi stanno già setacciando l’area alla ricerca di sopravvissuti. Mwangura ha ditto di non avere ancora elementi sufficienti per collegare l’incidente di ieri ai numerosi atti di pirateria registrati a largo delle coste somale nell’ultimo anno.
SOMALIA 23/6/2006 13.45
MOGADISCIO, UCCISO GIORNALISTA SVEDESE
Un giornalista svedese è stato ucciso oggi a Mogadiscio mentre seguiva una manifestazione organizzata dalle Corti islamiche. La MISNA lo ha appreso da un’emittente radiofonica locale, secondo cui il reporter è morto in seguito a uno o più colpi di arma da fuoco nella zona di Tribunka Square. “Restano sconosciuti i responsabili dell’omicidio” ha riferito la radio, che lo identifica come “Marten”. Dopo i colpi di arma da fuoco, la gente sarebbe fuggita e la manifestazione si sarebbe dispersa. Fonti internazionali riferiscono che si tratterebbe di un cameraman dell’emittente britannica ‘Channel 4’. Secondo la radio locale “questo episodio rappresenta un massiccio passo indietro per la sicurezza di Mogadiscio” da quando all’inizio di giugno le Corti islamiche hanno preso il controllo della capitale dopo aver sconfitto l’Alleanza dei signori della guerra locali.
SOMALIA 23/6/2006 14.49
MOGADISCIO, UCCISO GIORNALISTA SVEDESE – 2
È morto prima di arrivare in ospedale il giornalista svedese raggiunto da uno o più colpi di arma da fuoco oggi a Mogadiscio durante una manifestazione organizzata dalle Corti islamiche: la MISNA lo ha appreso da fonti sanitarie dell’ospedale Medina, uno dei due centri sanitari della capitale gestito dal Comitato della Croce Rossa internazionale. Il cadavere è stato poi trasferito in un’altra struttura con una camera mortuaria dotata di impianto di condizionamento in attesa dell’arrivo di un aereo per il rimpatrio della salma o per il trasferimento a Nairobi, in Kenya, che potrebbe avvenire già nelle prossime ore.
Secondo la testimonianza riferita alla MISNA da un giornalista somalo presente sul posto, il cronista svedese sarebbe stato ucciso da un uomo armato che gli ha sparato da distanza ravvicinata mentre riprendeva alcune immagini con la sua videocamera; la vittima sarebbe un cameraman che lavorava per l’emittente britannica ‘Channel 4’.
Da quando le Corti islamiche all’inizio di giugno hanno preso il controllo della città, alcuni giornalisti occidentali si sono recati a Mogadiscio, finora considerata troppo pericolosa.
A febbraio dell’anno scorso Kate Peyton, una producer della ‘Bbc’, venne colpita a morte mentre entrava nell’‘Hotel Sahafi’ (che significa ‘Hotel del giornalista’) a Mogadiscio. Il 20 marzo 1994 l’inviata del Tg3 Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin vennero assassinati da un commando a Mogadiscio.
SOMALIA 23/6/2006 16.00
MOGADISCIO: UCCISO GIORNALISTA…UN TESTIMONE ALLA MISNA -3
“Tutti gli altri giornalisti presenti alla manifestazione, inclusi altri bianchi, si trovavano sul palco delle autorità, mentre lui era sceso in mezzo alla gente per filmare qualcosa, quando si è udito uno sparo, la gente è fuggita e a terra è rimasto il suo corpo, con la camicia bianca che diventava lentamente rossa a partire dal lato sinistro quello del cuore”: così un giornalista somalo, che ha chiesto di restare anonimo per questioni di sicurezza, ha raccontato alla MISNA i concitati momenti che hanno portato alla morte di un cameraman, sembra di nazionalità svedese, ucciso oggi in circostanze ancora tutte da chiarire. “Io ero lontano dal palco, ma mi ero messo su un’altura per fare delle riprese della piazza, non posso dirlo con certezza, ma ho avuto l’impressione che il colpo fosse partito da lontano” aggiunge alla MISNA il giornalista. Per il momento la maggior parte delle testimonianze in circolazione, incluse quelle raccolte da altre fonti della MISNA a Mogadiscio, riferiscono di un colpo sparato a distanza ravvicinata, probabilmente al cuore e forse alle spalle. “Gli uomini delle sicurezza dell’Unione delle Corti Islamiche (che avevano organizzato la manifestazione e che avevano invitato i giornalisti, ndr) hanno subito portato via il cameraman colpito e il giornalista che lavorava con lui”. Secondo informazioni affidabili, ma ancora da confermare, i due lavorerebbero per ‘Channel 4’. Il cameraman ucciso oggi, che secondo alcune fonti somale avrebbe già un nome e cognome, ma su cui si stanno attendendo conferme, sarebbe un freelance. Non è ancora chiaro che fine abbia fatto la telecamera che il giornalista aveva con sé al momento dell’omicidio.
SOMALIA 23/6/2006 18.33
MOGADISCIO: UCCISO GIORNALISTA, LA CRONACA DA UN VIDEO GIUNTO IN REDAZIONE
Pantaloni blu scuri, camicia e cappello bianco, dopo lo sparo intorno a Martin Adler - questo il nome del giornalista ucciso oggi a Mogadiscio - si crea subito il vuoto. La folla di migliaia di persone che stamani riempiva piazza Tribunka si allarga, vicino ad Adler (il nome è stato confermato nel pomeriggio dal ministero degli Esteri svedese) resta solo un altro collega ‘bianco’. Il fotografo svedese lo guarda, incredulo, mentre con le mani si preme il lato sinistro del petto. Con gli occhi cerca aiuto intorno a sé, prima di accasciarsi al suolo cadendo sul fianco sinistro. Questa la tragica sequenza contenuta in un filmato giunto in redazione per posta elettronica, in cui si documenta l’uccisione di Martin Adler, il fotografo svedese a cui è stato sparato oggi un colpo di arma da fuoco in circostanza ancora tutte da chiarire. Dopo una quarantina di secondi dal momento dello sparo, una tecnica (i fuoristrada armati di un pesante mitragliatore) si fa largo tra la folla e carica il giornalista, per portarlo all’ospedale, dove Adler arriverà già morto, come hanno confermato alla MISNA fonti mediche del Madina Hospital, la principale struttura sanitaria nel sud della città in cui è stato trasportato il fotoreporter. “Tutti gli altri giornalisti presenti alla manifestazione, inclusi altri bianchi, si trovavano sul palco delle autorità, mentre lui era sceso in mezzo alla gente per filmare qualcosa, quando c’è stato lo sparo. Poi è rimasto solo il suo corpo in mezzo alla polvere e la sua camicia bianca che diventava lentamente rossa a partire dal lato sinistro quello del cuore” aveva raccontato già in precedenza alla MISNA un giornalista somalo, che ha chiesto di restare anonimo per questioni di sicurezza. Secondo alcune fonti giornalistiche, Adler, che in un primo momento era stato indicato come un cameraman freelance che collaborava con ‘Channel 4’, sarebbe stato ucciso mentre filmava i manifestanti che davano alle fiamme alcune bandiere (secondo alcune fonti etiopi, secondo altre statunitensi). Ma dalle immagini visionate in redazione questo particolare non trova alcuna conferma ed Adler, al momento dello sparo, aveva a tracolla solo una macchina fotografica. Immediata e durissima la reazione delle Corti, che avevano organizzato la manifestazione di oggi e invitato i giornalisti. Alcuni portavoce delle Corti, presenti al comizio al momento dell’omicidio, hanno condannato l'assassinio, affermando di non aver nulla a che fare con quanto accaduto e promettendo di rintracciare e punire i responsabili. Ma nel caos, politico, sociale e militare, che si registra in queste settimane in Somalia, non si può scartare nessuna ipotesi e l’esecuzione di un giornalista in pieno giorno e sotto gli occhi di migliaia di persone, autorità e media internazionali inclusi, sembra soprattutto un messaggio. Bisognerà aspettare per capire sia il contenuto che i destinatari.
23 giugno 2006 14.49
MOGADISCIO
SOMALIA: LE CORTI ISLAMICHE CONDANNANO L'UCCISIONE DEL GIORNALISTA SVEDESE
[Avvenire] Secondo quanto riferito, Martin Adler, il giornalista svedese ucciso a Mogadiscio stava riprendendo per "Channel 4" una manifestazione organizzata dalle Corti islamiche contro l'invio di un contingente di peacekeeping dell'Ua. L'uomo è stato raggiunto al petto da alcuni colpi d'arma da fuoco, inutile il trasferimento in ospedale. Subito dopo è scoppiato il panico tra la folla.
L'episodio è stato duramente condannato dal presidente dell'Unione delle Corti islamiche, lo sceicco Sharif Ahmed. "Condanniamo l'accaduto e non accetteremo che la nostra immagine venga peggiorata in questo modo - ha dichiarato il leader moderato dell'organizzazione - Indagheremo e troveremo il criminale che ha commesso questo atto orribile".
Durante la manifestazione sono state bruciate anche bandiere dell'Etiopia, Paese accusato di ingerenze nella vita pubblica somala e di sostenere il presidente Abdullahi Yusuf. In realtà il contingente Ua che ad ogni probabilità sarà inviato nel Paese per garantire l'ordine dovrebbe essere composto da truppe ugandesi e sudanesi e non da peacekeeper provenienti dai Paesi limitrofi come l'Etiopia. La loro presenza finirebbe soltanto per creare ulteriori tensioni.
SOMALIA 24/6/2006 12.47
MOGADISCIO: PRESIDENTE CORTI ISLAMICHE SU GIORNALISTA UCCISO E ACCORDO CON GOVERNO
"La caccia continuerà finché non prenderemo questo assassino e lo puniremo": lo ha detto oggi, incontrando la stampa locale e internazionale a Mogadiscio, il presidente dell'Unione delle Corti Islamiche Sheikh Sharik Sheikh Ahmed, annunciando l’avvio di “una inchiesta approfondita” sull’omicidio di Martin Adler, il fotografo e cameraman svedese assassinato ieri in mezzo a migliaia di persone durante una manifestazione indetta proprio dalle Corti. Sheikh Ahmed ha condannato quanto avvenuto e ha chiesto alla popolazione di fornire tutte le informazioni possibili per arrivare alla cattura dei responsabili dell’omicidio. Il presidente delle Corti Islamiche è poi passato alla politica, evidenziando che le Corti “appoggiano l'accordo firmato a Khartoum” col governo di transizione per un reciproco riconoscimento politico e che dovrà aprire la strada a veri e propri negoziati riguardanti l’ingresso delle Corti nella vita politica del paese.”Siamo per la pace ed intendiamo percorrere tutte le strade che possano portarvi” ha aggiunto Sheikh, senza commentare i contenuti dei negoziati che dovrebbero riprendere il 15 luglio prossimo. Dopo aver sconfitto i capi clan che hanno ‘governato’ Mogadiscio negli ultimi 16 anni, le Corti oggi controllano Mogadiscio e alcuni dei principali centri abitati del Sud della Somalia, fatta eccezione per Baidoa dove ha sede il governo di transizione somalo. Intanto l’Etiopia - uno dei principali sostenitori sia del governo di transizione sia dell’Alleanza contro il terrorismo costituita dai capi clan di Mogadscio per cacciare le Corti ma uscita sconfitta dal confronto – ha fatto sapere che “continuerà a seguire da vicino gli sviluppi a Mogadiscio e resterà vigile per proteggere eventuali minacce di sconfinamento nel proprio territorio”. Nella sua nota settimanale, il ministero dell’Informazione etiope “ribadisce l’urgenza di assicurare una pace duratura e sostenere il legittimo governo federale di transizione”. Sempre ieri, il primo ministro etiope Meles Zenawi si è incontrato con il sottosegretario agli esteri con delega all’Africa del governo statunitense, la signora Jendayi Frazer, accordandosi perché la soluzione della questione somala entri in modo prioritario nell’agenda internazionale.
SOMALIA 26/6/2006 8.53
IL NUOVO CONSIGLIO SUPREMO DELLE CORTI ISLAMICHE E I TIMORI DI WASHINGTON
Sheikh Hassan Dahir Aweys, 62 anni, occhiali vistosi e barbetta rossiccia sul mento – almeno in alcune delle foto in circolazione - presunto fondatore e/o capo militare del movimento radicale islamico al-Itihaad al-Islaami (sciolto forse da tempo), è da sabato scorso il capo del nuovo ‘Somali Supreme Islamic Courts Council’ (SSICC), il ‘Consiglio supremo delle corti islamiche” che appare ormai in pieno controllo di Mogadiscio e, a quanto sembra, di altre zone della Somalia. Nel fine-settimana, fonti di stampa soprattutto statunitensi hanno continuato a rilanciare la notizia che il nome di Aweys figura nelle liste di presunti terroristi che potrebbero avere o aver avuto rapporti con al-Qaida e che quindi sarebbe in atto una pericolosa svolta nella gestione del nuovo potere emergente in Somalia. A ben guardare, però, sulla base di notizie relative all’incontro di Khartoum di giovedì scorso tra rappresentanti delle cosiddette “corti” e del governo somalo di transizione – e consultando documenti di varie fonti a partire dall’inizio degli anni ’90 – la situazione determinatasi al vertice delle “corti” il giorno dopo l’uccisione del giornalista svedese Martin Adler si presenta forse più articolata e complessa di quel che l’antiterrorismo di Washington e parte dei media lasciano intendere. Innanzitutto, secondo testimoni presenti alla riunione in cui Aweys è stato eletto, nella stessa circostanza si sarebbe proceduto alla scelta di un totale di 88 delegati chiamati a far parte del Consiglio e sarebbero state fatte altre nomine il cui peso è per il momento difficile da stabilire. Tra i nomi e incarichi finora noti figurano: Sheikh Omar Iman Abukar e Sheikh Abdulahi Afrah Asparo, nominati vice di Aweys; Sharif Sheikh Ahmed, già al posto di Aweys e oggi presidente della commissione esecutiva del Consiglio, organo a cui è demandata la gestione quotidiana delle attività delle corti; Mahmoud Sheikh Ibrahim Suleh, segretario generale; Yusuf Mohammed Siad, già governatore della Shabellaha a sud di Mogadiscio. Inutili sono stati i tentativi di contattare ieri Aweys che non si troverebbe a Mogadiscio ma a Guri-El, nella regione di Galguduud, a nord della capitale, per incontri relativi al rafforzamento delle corti. Fonti che intendono restare anonime hanno però sottolineato che lo stesso Aweys era presente giovedì scorso a Khartoum dove avrebbe anche partecipato all’incontro negoziale tra governo di trazione e corti islamiche. Il presunto terrorista - salafita e sostenitore della jihad secondo Anouar Boukhars, autore di articoli sui movimenti islamici pubblicati dalla statunitense ‘Jamestown Foundation’ - avrebbe quindi già avuto un ruolo tra i negoziatori due giorni prima di essere eletto al vertice del Consiglio. Non si può escludere che l’uccisione di Adler - percepita come una provocazione ai danni delle Corti - abbia affrettato i tempi di un processo di organizzazione del potere islamico, di cui Aweys è una componente importante ma solo una componente, già previsto e in atto da qualche giorno. Per ora, secondo fonti giornalistiche di Washington e di Mogadiscio, il nuovo “Consiglio Supremo” terrebbe la porta aperta sia ai negoziati interni tra diversi gruppi islamici, sia a quello con il governo di transizione, che prevederebbe un secondo incontro a Khartoum per il 15 luglio. In un contesto sfuggente e mercuriale come quello somalo, che da 15 anni sembra vivere soprattutto di caos e di anarchia, "qualsiasi tentativo di definire gli sviluppi della situazione in maniera definitiva e totale - avverte un osservatore che vuole restare anonimo - rischia di rivelarsi per il momento per lo meno fallace e fuori luogo".
SOMALIA 26/6/2006 14.25
MOGADISCIO: LE REAZIONI IN CITTÀ AI NUOVI VERTICI DELLE CORTI
“La gente teme soprattutto che anche all’interno delle Corti si creino fratture in grado di degenerare in nuovi combattimenti”: così un giornalista somalo, sintetizza le scarse reazioni interne, a differenza delle molte sollevate a livello internazionale, alla nomina di Sheikh Hassan Dahir Aweys come capo del nuovo Consiglio supremo delle Corti Islamiche di Mogadiscio. A Mogadiscio la sua presenza ai vertici del movimento era cosa risaputa e un avvicendamento era atteso già dopo la presa della città, lo scorso 5 giugno. La nomina di Aweys rappresenta appieno il complicato intreccio tra politica, religione e appartenenza ai clan che rende estremamente variegate al loro interni le correnti confluite nelle Corti Islamiche. Secondo un diplomatico occidentale, contattato dalla MISNA a Nairobi, dietro l’avvicendamento al vertice delle Corti tra Sheikh Sharif Ahmed e Dahir Aweys pesano sia le differenze interne al movimento, tra l’ala più moderata (rappresentata dal primo) e quella più radicale e oltranzista (che ha nel nuovo capo uno dei suoi esponenti), che quelle claniche. Se Sharif Ahmed infatti è un Abgal - il clan a cui appartenevano gran parte dei capi famiglia riuniti nell’Alleanza contro il terrorismo che hanno controllato Mogadiscio per 15 anni, prima di esserne cacciati proprio dalle Corti - Dahir Aweys appartiene al sottoclan degli Ahir (appartenente al più vasto clan degli Abreghidir), il gruppo di intraprendenti e potenti commercianti che dalla caduta di Siad Barre, nel 1991, ha aumentato la propria influenza a Mogadiscio. “Seguendo questa logica – spiega ancora il diplomatico - la nomina di Sheikh Sharif alla guida delle Corti nella prima fase (quella della conquista di Mogadiscio, ndr) serviva perché la campagna non fosse percepita dalla gente come una battaglia tra famiglie per il predominio in città. Superato questo momento, però, gli Ahir (il gruppo che maggiormente ha sostenuto lo sviluppo delle Corti, ndr) hanno ripreso il posto che gli spettava alla guida del movimento, che, seppur composito da un punto di vista clanico, deve soprattutto a loro le sue fortune”. Il governo di transizione somalo per ora non ha ancora commentato pubblicamente le nuove nomine ai vertici delle Corti. Fonti della MISNA a Mogadiscio e a Baidoa (sede delle istituzioni di transizione) fanno sapere che in entrambe le città fervono riunioni e incontri per preparare il prossimo incontro (il 15 luglio) tra i delegati del governo e quelli delle Corti organizzato con la mediazione della Lega Araba.
ETIOPIA 27/6/2006 17.49
MINISTERO DIFESA, UCCISI OLTRE 100 “RIBELLI” PROVENIENTI DA ERITREA
L’uccisione di 111 “ribelli provenienti dall’Eritrea” e la cattura di altri novanta sono state annunciate dal ministero della Difesa etiopico, citato oggi dall’agenzia di stampa nazionale ‘Ena’, in un episodio privo di conferme indipendenti che il governo di Asmara ha già definito come “una totale macchinazione”. “Elementi contrari alla pace” – si legge nel comunicato - avrebbero attraversato il confine con l’Etiopia nella regione nord-occidentale di Gondar. Le autorità di Addis Abeba hanno ripetutamente accusato l’Eritrea di sostenere formazioni ribelli attive in Etiopia; i due paesi hanno combattuto una feroce guerra di frontiera tra il 1998 e il 2000 (oltre 70.000 vittime), pochi anni dopo l’indipendenza dall’Etiopia ottenuta da Asmara nel 1993 in seguito a una guerra trentennale.
Altri 18 “ribelli” – secondo l’agenzia di stampa ufficiale – sarebbero rimasti feriti durante l’operazione militare delle forze etiopiche; non vi sono riferimenti né al luogo esatto dell’episodio né alla data anche se sembra sia avvenuto all'inizio del mese. Secondo le fonti ufficiali dell’Etiopia, durante l’operazione sarebbe stata sequestrata anche un’ingente quantità di armi.
“Si tratta di una totale macchinazione” ha detto all’agenzia ‘Reuters’ il ministro dell’Informazione eritreo Ali Abdu, secondo cui la notizia sarebbe stata diffusa per “distogliere l’attenzione dei presunti movimenti di truppe etiopiche al confine con la Somalia”. L’ipotesi di una presenza armata etiopica in Somala – confermata da alcune fonti locali - era stata poi smentita dallo stesso governo di Addis Abeba.
SOMALIA 27/6/2006 19.07
MOGADISCIO, TENSIONE ALTA DOPO SCONTRI CONTRO WARLORD
Resta alta stasera la tensione nei quartieri meridionali di Mogadiscio, dopo che stamani miliziani delle Corti islamiche hanno attaccato a una quindicina di chilometri dalla città due posti di blocco controllati da Abdi Hassan Awale ‘Qeybdid’, uno degli ultimi ‘signori della guerra’ della capitale, uccidendo 5 persone. “Si teme che nella notte possano riprendere gli scontri, anche perché le Corti islamiche avrebbero di nuovo inviati uomini e mezzi nella zona controllata da ‘Qeybdid’, che si è asserragliato con i suoi nella sua residenza nei pressi dell’ufficio generale delle carceri” ha detto poco fa alla MISNA un testimone contattato per telefono nella zona sud di Mogadiscio.
Nei mesi scorsi ‘Qeybdid’ ha fatto parte della sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ composta da alcuni warlords locali, sconfitta all’inizio di giugno – malgrado il sostegno indiretto degli Usa - dall’Unione della Corti islamiche dopo tre mesi di violenti combattimenti che hanno provocato non meno di 350 vittime e 1.500 feriti, soprattutto civili.
Stamani all’alba le milizie delle Corti hanno attaccato alcuni posti di blocco di ‘Qeybdid’ in posizione strategica nei pressi della località di Afgoye, dove i miliziani al soldo di questo warlords imponevano balzelli illeciti a vetture e persone di passaggio. Parlando alle radio locali, esponenti delle Corti islamiche hanno spiegato in giornata che ‘Qeybdid’ avrebbe rifiutato di arrendersi. Insieme a lui a Mogadiscio vive anche un altro esponente dell’ormai defunta Alleanza, Omar Mohamud Mohamed, deposto ministro degli Affari religiosi, che dopo la sconfitta armata ha accettato di collaborare con le Corti. Le nuove “autorità” islamiche hanno più volte ribadito di voler riportare l’ordine, dopo 15 anni di anarchia; venerdì scorso, durante una manifestazione promossa dalle stesse Corti, è stato assassinato Martin Adler, fotografo e cameraman svedese colpito da distanza ravvicinata.
Due giorni fa, le Corti hanno creato un nuovo Consiglio supremo delle Corti Islamiche di Mogadiscio, guidato da Sheikh Hassan Dahir Aweys, conosciuto per essere tra i capi di un disciolto movimento radicale islamico degli Anni Novanta e considerato vicino all’ala radicale delle Corti, abbastanza omogenee sotto il profilo della provenienza dei clan ma divise tra diverse componenti, la più moderata delle quali sembra essere quella guidata dal portavoce Sheikh Sharif Sheik Ahmed, il volto più “presentabile” a cui fino a due giorni fa le Corti avevano affidato la propria non ancora chiara immagine.
SOMALIA 28/6/2006 18.53
MOGADISCIO, “APERTURA” CAPO CORTI ISLAMICHE A USA?
“Siamo pronti a un partenariato con gli americani: vorremmo lavorare con loro, se ci accettassero e smettessero di interferire negli affari interni somali”: lo ha detto oggi Sheikh Hassan Dahir Aweys, il capo del nuovo Consiglio supremo creato nei giorni scorsi dalle Corti Islamiche. “L’America – ha proseguito, parlando all’agenzia ‘Afp’ – deve sapere che tutti i popoli sono uguali e che nessuno ha diritto di dettare le politiche agli altri, soprattutto riguardo a come amministrare il proprio paese. È nostro diritto imporre le leggi che vogliamo: se noi seguiamo la Sharia (legge cranica) non deve essere un problema degli Stati Uniti”. All’inizio di giugno le Corti islamiche - accusate di ospitare nei propri ranghi anche esponenti legati al terrorismo internazionale - hanno preso il controllo di Mogadiscio e di alcune località del sud della Somalia sconfiggendo una coalizione di warlords locali, sostenuti in modo indiretto dagli stessi Usa. “È vergognoso che gli Stati Uniti abbiano sostenuto i ‘signori della guerra’ che hanno rovinato il paese in questi 15 anni. È stato un errore strategico da parte loro” ha aggiunto Aweys, che risulterebbe in alcuni elenchi di ricercati per terrorismo e che, nei giorni scorsi, ha pubblicamente dichiarato di voler applicare la sharia.
SOMALIA 29/6/2006 6.21
UNIONE AFRICANA: LIMITARE EMBARGO ARMI PER CONSENTIRE MISSIONE DI PACE
Il Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione africana (Ua) ha deciso di inviare “un messaggio forte” all’Onu per chiedere di limitare l’embargo sulle armi, imposto alla Somalia nel 1992, perché ostacolerebbe l’eventuale dispiegamento di una missione di pace africana nella regione, oltre ad impedire al governo di transizione di salvaguardare la sicurezza nel paese. Lo ha detto il ministro sudafricano degli Esteri Nkosazana Dlamini Zuma al termine di un incontro a margine del vertice dell’Ua iniziato a Banjul, in Gambia. “L’embargo non dovrebbe condizionare una missione di pace – ha precisato Dlamini Zuma – e anche il governo di transizione deve essere in grado di costruire le sue istituzioni, e anche le forze di polizia”. Secondo Abdikarin Farah, ambasciatore somalo presso l’Ua ad Addis Abeba, la Somalia “non è più un problema della sola Somalia, sta per diventare un problema regionale, d’insicurezza ed estremismo” soprattutto dopo i recenti scontri tra clan che hanno portato l’Unione delle Corti Islamiche a estendere la sua influenza su Mogadiscio – che i signori della guerra controllavano da 15 anni con le armi – e altre località meridionali del paese, tra cui Jowhar. L’ultimo rinnovo dell’embargo risale al luglio scorso, ed era stato deciso dal Consiglio di Sicurezza Onu nonostante l’Ua e il presidente somalo, Abdullahi Yusuf Ahmed, avessero definito “indispensabile” una sospensione temporanea della misura restrittiva, per poter garantire la sicurezza di Mogadiscio e di altre zone del Paese sotto il controllo di miliziani apparentemente contrari alle nuove istituzioni.
ETIOPIA 1/7/2006 3.03
[INGERENZA NELLA VITA PUBBLICA] APPELLO DEL PATRIARCA ORTODOSSO A DIALOGO CON ERITREA
“Come presidente del Consiglio mondiale delle Chiese, mi rivolgo a tutti i fedeli dell’Etiopia e dell’Eritrea, affinché lavorino con i dirigenti politici per accelerare l’avvento di una pace duratura”: è l’appello lanciato dal patriarca ortodosso Abune Paulos, eletto a marzo di quest’anno alla guida del ‘Wolrd Council of Churches (Wcc). Malgrado precedenti esortazioni di questo tipo non abbiamo permesso di ricomporre le divergenze, il Patriarca ha detto che userà il suo nuovo ruolo per iniettare vigore nel dialogo tra i due paesi del Corno d’Africa, protagonisti di una sanguinosa guerra di frontiera nel 1998-2000. Il governo di Asmara accusa Addis Abeba di aver respinto la demarcazione dei confini stabilita da una Commissione internazionale nel 2002, mentre le autorità etiopiche accusano chiedono nuove trattative. I rapporti diplomatici diretti non sono mai ripresi e da mesi le tensioni si sono esacerbate.
ETIOPIA 1/7/2006 11.47
DECINE DI MIGLIAIA SFOLLATI NEL SUD DOPO VIOLENZE TRA COMUNITÀ LOCALI
Sarebbero ormai circa 90.000 in totale gli sfollati in seguito a scontri tra comunità locali per il possesso della terra nel sud dell’Etiopia, che all’inizio di giugno hanno provocato un centinaio di morti in tre diversi distretti. Le autorità amministrative della zona di Arero, circa 450 chilometri a sud da Addis Abeba, hanno riferito che dall’inizio del mese circa 29.000 civili hanno abbandonato le proprie case; intorno alla città di Yabello, distante 500 chilometri dalla capitale, gli operatori umanitari attivi nella zona hanno rilevato una presenza compresa tra 37.000 e 39.000 profughi; infine, intorno all’area di Shakiso (380 chilometri da Addis Abeba), gli sfollati sarebbero circa 20.000. Scontri e violenze hanno avuto il loro epicentro nei rpessi di Borena (400 chilometri circa a sud della capitale) tra l’omonima comunità Borena e i Guji, che per un aggiustamento giurisdizionale hanno di recente ottenuto alcuni terreni appartenenti ai primi.
SOMALIA 1/7/2006 15.51
MOGADISCIO, WARLORD SI ARRENDE A CORTI ISLAMICHE
Oltre 200 armi – tra cui mortai e mitragliatrici - sono state consegnate da Omar Mohamud Mohamed detto ‘Finnish’, ex-warlord ed ex-ministro degli Affari religiosi del governo di transizione, alle Corti islamiche che dal 5 giugno controllano Mogadiscio e altre località della Somalia meridionale. “Abbiamo fatto ciò che ci hanno chiesto i capi tradizionali e religiosi” ha detto un suo collaboratore, Ahmed Aden Dawo, spiegando la scelta di arrendersi alle nuove ‘autorità’ della capitale, che il mese scorso hanno sconfitto la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ di alcuni ‘signori della guerra’ locali, tra cui lo stesso Finnish, sostenuta indirettamente dagli Stati Uniti. In città è ancora presente un altro warlords, Abdi Hassan Awale ‘Qeybdid’, già oggetto di un attacco armato da parte delle milizie delle Corti islamiche qualche giorno fa ma non ancora esautorato. Anche quest’ultimo – come Finnish – aveva fatto parte dell’‘Alleanza’ che per mesi ha combattuto contro i Tribunali islamici, provocando oltre 350 morti e non meno di 1.500 feriti in città, in gran parte civili. La situazione resta comunque confusa: le Corti islamiche – che la scorsa settimana hanno varato un Consiglio supremo, guidato da un controverso ex-capo di una milizia islamica somala degli anni Novanta – affermano di voler prendere estendere il proprio controllo su altre zone del paese, senza escludere tuttavia una ‘partnership’ con gli Stati Uniti, che li accusano di essere legati al terrorismo internazionale. Intanto il governo di transizione del presidente Abduallhi Yussuf, che ha sede nella città di Baidoa ed è sostenuto dalla comunità internazionale, fa sapere che impedirà ulteriori “estensioni” del potere delle Corti. L’intricata vicenda somala è oggi tra i primi punti in discussione al VII vertice dell’Unione Africana, dove però è già stato escluso che le Corti possano per ora essere considerato un interlocutore politico.
Bin Laden: «Niente forze straniere in Somalia»
Osama esalta le Corti islamiche di Mogadiscio e sull’Irak minaccia vendette contro gli sciiti
[Il Giornale] «I fratelli mujaheddin dell'organizzazione di Al Qaida mi hanno informato che il fratello Abu Hamza al-Muhajir è il loro emiro in sostituzione di Abu Musab al-Zarqawi. Prego Allah che lo renda un buon successore». È con queste parole che Osama Bin Laden, benedice il nuovo capo della cellula terroristica irachena dopo la sua nomina avvenuta alcune settimane fa. Nel suo ultimo messaggio audio, diffuso ieri nei soliti forum islamici in Internet, il terrorista saudita affronta principalmente due argomenti che riguardano l'Irak e la Somalia.
Bin Laden preannuncia «vendetta» contro gli sciiti «che violano assieme agli americani e ai loro alleati di Ramadi, Falluja, Mosul. «Dico ai fratelli di Bagdad che i loro continui attentati rendono felici tutti i musulmani. Tutta la nazione islamica guarda a voi con fierezza». Il leader di Al Qaida attacca poi i politici iracheni. «O iracheni - aggiunge - tutti i vostri problemi nascono dall'occupazione americana. La prima cosa da fare è quella di cacciare gli occupanti, poi vanno puniti tutti i leader politici iracheni che hanno incoraggiato la loro invasione». Sulla Somalia, dopo aver esaltato le Corti islamiche, lo sceicco del terrore ha ammonito la comunità internazionale a non inviare truppe e ha detto che Al Qaida si riserva di punire gli Usa «ovunque».
GAMBIA 3/7/2006 9.41
VERTICE UNIONE AFRICANA: TRUPPE DI PACE RESTANO IN DARFUR, ANDRANNO IN SOMALIA
Il prolungamento della missione di pace dell’Unione Africana (Ua) nella regione occidentale sudanese del Darfur fino alla fine del 2006 e l’invio di un contingente in Somalia in sostegno alle istituzioni di transizione sono le due principali decisioni adottate al VII vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ua, che si è chiuso ieri a Banjul, capitale del Gambia.
Su precisa richiesta del Segretario generale dell’Onu Kofi Annan, per il Darfur è stata decisa la proroga del mandato dei circa 7.000 soldati africani – in scadenza il prossimo 30 settembre per mancanza di fondi – fino al 31 dicembre. Le Nazioni Unite avrebbero dovuto sostituire la missione dell’Ua con un contingente internazionale inviato dal Palazzo di vetro, ma il Sudan si è sempre opposto; a nulla è servito l’incontro tra lo stesso Annan e il presidente sudanese Omar el-Bashir a margine del vertice. “Su richiesta del segretario generale dell’Onu, l’Unione Africana continuerà il suo mandato fino alla fine dell’anno” ha detto il capo di stato della Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso, presidente di turno dell’Ua. Finora la missione africana non è riuscita a fermare massicce violazioni dei diritti umani contro i civili in Darfur, che in questi mesi sono continuati sia ad opera di milizie filo-governative ma anche di gruppi ribelli; la firma all’inizio di maggio di un fragile trattato di pace ad Abuja, in Nigeria, da parte di uno solo dei tre gruppi anti-governativi attivi in Darfur non ha migliorato la situazione della sicurezza.
Per la Somalia – che insieme al Darfur costituiva il principale punto in agenda del vertice continentale – i rappresentanti dei 53 paesi africani hanno deciso in una risoluzione adottata all’unanimità l’invio di una missione di pace in collaborazione con l’Igad, l’‘Autorità intergovernativa per lo sviluppo’ che riunisce le regioni dell’Africa orientale. “Abbiamo deciso che l'Unione africana assuma il controllo della situazione in Somalia" ha detto ancora Nguesso, aggiungendo che l'organismo continentale "darà tutto il suo appoggio al governo ad interim e chiede alla comunità internazionale di unirsi in questo sforzo, favorendo anche il dialogo interno in Somalia”. In particolare, si solelcita il dialogo tra il governo di transizione – che ha sede nella città di Baidoa, nel sud della Somalia e controlla praticamente un’area limitata del paese – e le Corti islamiche, che dal 5 giugno scorso hanno preso il controllo di Mogadiscio e di altre zone del sud dopo aver sconfitto sul terreno l’alleanza dei ‘signori della guerra’ che per anni hanno esercitato una sorta di potere armato in assenza di qualsiasi istituzioni politica o amministrativa.
SOMALIA 3/7/2006 9.49
PRIMO MINISTRO: “BIN LADEN VUOLE CREARE CAOS IN SOMALIA”
“Bin Laden non è un leader musulmano, è un estremista e sta cercando di trascinare la Somalia nel caos”: lo ha detto il primo ministro Ali Mohamed Gedi a proposito del messaggio audio attribuito a Osama bin Laden, nel quale si afferma che l’eventuale invio di soldati nell’ex-colonia italiana sarebbe una nuova “crociata” contro l’Islam. Ieri l’Unione Africana ha deciso l’invio di truppe di pace in Somalia a sostegno delle istituzioni provvisorie. “È chiaro che Bin Laden è fortemente coinvolto in alcune aree della Somalia e ha basi per l’addestramento di miliziani” ha aggiunto il capo del governo in una conferenza stampa ieri sera a Baidoa, la città del sud dove da febbraio hanno sede le istituzioni di transizione create nel 2004.
Gedi ha anche detto che il governo e “il popolo somalo” espelleranno dal paese questi “stranieri”; di fatto le autorità hanno un potere limitato sul territorio, mentre dall’inizio di giugno Mogadiscio e ampie zone del sud sono sotto il controllo dell’Unione delle Corti islamiche, che ha sconfitto in tre mesi di battaglie – con oltre 350 morti e 1.500 feriti, in gran parte civili – la sedicente alleanza anti-terrorismo dei ‘warlords’ della capitale.
Le Corti sono sospettate di ospitare tra i propri ranghi alcuni elementi legati ad al-Qaida, che da tempo hanno base in Somalia grazie alla situazione di anarchia iniziata nel 1991 con la fuga del dittatore Siad Barre. “Osama bin Laden ha espresso il suo punto di vista come qualsiasi altra figura internazionale, non siamo preoccupati” ha detto ieri l’ex-capo delle Corti islamiche Sheikh Sharif Sheik Ahmed, considerato la voce più “moderata” del suo gruppo, in un’affermazione che secondo alcuni costituisce una presa di distanza dal capo di al-Qaida.
SOMALIA 3/7/2006 16.26
MOGADISCIO, INVIATI ONU INCONTRANO CORTI ISLAMICHE SU AIUTI UMANITARI
Una missione dell’Onu ha incontrato oggi a Mogadiscio alcuni rappresentanti delle Corti islamiche, che lo scorso 5 giugno dopo tre mesi di duri scontri con i signori della guerra hanno conquistato la capitale somala e controllano ora alcune zone del sud del paese. La delegazione, guidata da Joe Gordon, consigliere capo per la sicurezza del personale delle Nazioni Unite in Somalia, è atterrata nel piccolo scalo aereo alla periferia settentrionale di Mogadiscio e ha incontrato in un albergo della capitale gli esponenti delle Corti, tra cui l’ex-portavoce Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, considerato il più “moderato”.
L’Onu, che ha alcune missioni in Somalia, intende valutare la possibilità di inviare un gruppo di esperti a Mogadiscio, da dove le Nazioni Unite sono uscite da tempo a causa dei pericoli per i suoi rappresentanti nella capitale. Il Palazzo di Vetro vorrebbe fare di Mogadiscio il centro di un piano da 326 milioni di dollari per salvare dalla fame i 10 milioni di cittadini somali che 15 anni di guerra civile hanno ridotto in totale miseria. Per procedere, l’Onu ha bisogno di garanzie sulla sicurezza per i suoi inviati e sull’uso dell’aeroporto e del porto di Mogadiscio, strategici per il piano. Non sono noti i risultati dell’incontro.
Dalla capitale intanto giungono voci su un imminente attacco contro uno dei warlord dell’ormai sconfitta ‘Alleanza anti-terrorismo’, sostenuta indirettamente anche dagli Usa: Abdi Awale Qaybdiid, asserragliatosi nella sua roccaforte fuori città, sarebbe intenzionato a non arrendersi alle Corti islamiche, a differenza di un altro deposto ‘signore della guerra’ che pur si salvarsi non ha esitato a consegnare le armi alle milizie che oggi controllano Mogadiscio.
SOMALIA 5/7/2006 12.55
CORTI ISLAMICHE INTERROMPONO VISIONE MONDIALI DI CALCIO, DUE VITTIME
Almeno due persone – un uomo e una donna – sarebbero state uccise ieri sera da miliziani delle Corti islamiche che hanno interrotto la visione pubblica della semifinale dei mondiali di calcio Italia-Germania nel distretto di Dhusomareb, nella regione centrale del Galgudud. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui una delle due vittime sarebbe Mohamed Hirsi Dhore, il proprietario del locale dove veniva trasmessa la partita.
L’incidente è avvenuto dopo l’ordine di chiusura del “cinema” – in realtà una sala con un televisore per visione collettiva – dove si trasmetteva la partita. Secondo testimonianze raccolte per telefono da un’emittente radiofonica di Mogadiscio, i miliziani islamici avrebbero obbligato il pubblico, soprattutto giovani, ad abbandonare il locale. Centinaia di persone hanno poi manifestato per le strade contro il provvedimento provocando la reazione degli uomini delle Corti islamiche, che hanno sparato per disperdere la folla; tra le vittime, oltre al proprietario del locale, vi sarebbe una giovane identificata come Sahro Indhoweyne; sembra che altre persone siano rimaste ferite.
Le Corti islamiche hanno preso il controllo di Mogadiscio lo scorso 5 giugno sconfiggendo l’alleanza dei signori della guerra sostenuti dagli Usa; da allora hanno allargato il controllo del territorio ad altre zone della Somalia centrale e meridionale. Non è ancora chiaro se e in che modo intendano imporre la sharìa, la legge islamica; l’ala radicale ha dichiarato di volerla applicare, mentre la componente più moderata sembra più consapevole della netta opposizione dei somali a un eccessivo rigorismo religioso
ETIOPIA 6/7/2006 11.23
SCONTRI TRA CLAN SOMALI NELL’EST
Almeno 18 persone sarebbero rimaste uccise e decine ferite in scontri tra due sotto-clan somali che vivono nell’est dell’Etiopia, avvenuti martedì scorso ma di cui si ha notizia solo oggi. Lo scrive l’agenzia ’Garowe on-line’, che ha sede nel Puntland, la regione nord-orientale semiautonoma della Somalia. I combattimenti avrebbero coinvolto l’ampio sotto-clan degli Ogaden e quello rivale degli Isaaq, che vivono negli stessi distretti di frontiera nella ‘Somali region’, un’ampia e semidesertica area dell’Etiopia abitata in grande maggioranza da somali. Secondo le poche informazioni disponibili, gli scontri sarebbero durati alcune ore; in passato i due gruppi si sono più volte affrontati e sembra che entrambi si stiano riorganizzando in vista di possibili nuovi combattimenti. Un gruppo di anziani delle due comunità ha già avviato una mediazione per prevenire una recrudescenza degli scontri. Per ora né il governo etiopico né le autorità amministrative regionali hanno commentato gli incidenti.
SOMALIA 7/7/2006 13.45
MOGADISCIO: CORTI ISLAMICHE RIBADISCONO ‘NO’ A FORZA DI PACE STRANIERA
Il rifiuto di una missione internazionale di peacekeeping ma anche l’impegno a lavorare per riportare la pace in Somalia sono stati espressi dal capo dell’esecutivo delle Corti Islamiche Sheikh Sharif Sheik Ahmed in un incontro ieri a Mogadiscio con una ventina di delegati dell’Unione Africana, della Lega araba e di alcuni paesi europei. Le Corti hanno ribadito che l’unica soluzione della crisi somala può avvenire attraverso il dialogo, in un documento sottoscritto anche da rappresentanti della società civile, imprenditori e affaristi locali, capi anziani tradizionali, donne, delegati della diaspora e dal governatore eletto dalle autorità centrali.
Secondo informazioni raccolte dalla MISNA, nel testo consegnato alla delegazione internazionale le Corti affermano di voler garantire sicurezza con l’obiettivo di creare una “stabile amministrazione” nella capitale e “nella regione”, riferendosi probabilmente non solo alla provincia del Banadir – che già controllano da alcune settimane, dopo la presa di Mogadiscio il 5 giugno – ma anche alla zona di Merka, Johwar e al distretto centrale del Galgudud. Il documento conferma anche la volontà alla trattativa con il governo di transizione che ha sede a Baidoa, circa 250 chilometri a nord-ovest di Mogadiscio. Il prossimo 15 luglio si dovrebbe tenere a Khartoum un secondo incontro – con la mediazione del Sudan – tra il governo di transizione e una delegazione delle Corti allargata alle altre componenti.
“È evidente – ha detto alla MISNA Mario Raffaelli, responsabile delle delegazione italiana per la Somalia, presente ieri all’incontro di Mogadiscio – che all’interno delle Corti ci sono toni e approcci diversi, che però tengono conto anche delle altre componenti come la società civile e la comunità dei ‘businessmen’ locali”.
La missione internazionale – che per la prima volta si è recata ieri nella capitale dopo la vittoria delle Corti sull’alleanza dei warlords locali all’inizio di giugno - aveva anche l’obiettivo di verificare le condizioni di sicurezza per il dispiegamento della missione di pace internazionale, che è stata chiesta nelle scorse settimane dal governo di transizione di Baidoa. “Ho visto – ha aggiunto Raffaelli - che sono stati rimossi alcuni posti di blocco e la sensazione anche se parziale è che ci siano in circolazione meno tecniche”, i fuoristrada attrezzati con armi pesanti. “Lo scenario di dialogo e mantenimento dell’attuale situazione pacifica non può che facilitare la parte moderata mentre l’eventuale e poco auspicabile ripresa di scontri a Mogadiscio o tra le Corti e il governo di Baidoa potrebbe fare il gioco della componente radicale”.
Mogadiscio
Coloro che non reciteranno le cinque preghiere al giorno previste per i musulmani sono passibili di condanna a morte, così come indicato dalla sharia, la legge coranica. È quanto ha dichiarato un influente religioso di Mogadiscio, dove le Corti islamiche hanno preso il potere il 4 giugno, allargandolo poi a buona parte del Sud della Somalia. Sheikh Abdalla Ali, uno dei fondatori del Consiglio islamico somalo, ha dichiarato che «la sharia ordina la condanna a morte di tutti i musulmani che non assolvano all'obbligo delle preghiere quotidiane». Seguire alla lettera le indicazioni della legge coranica, ha aggiunto, «permetterà a tutti una vita prospera e pacifica». Questo tipo di esternazioni contrastano seccamente con le posizioni ufficiali della leadership musulmana di Mogadiscio, nelle mani dei radicali, che ancora due giorni fa, durante alcuni incontri con delegazioni di alto livello estere, cercava di mostrare un volto molto dialogante. Salvo sul punto - irrinunciabile per gli esponenti delle Corti - del rifiuto di truppe straniere per garantire la pace sul territorio, un'ipotesi definita «inutile e dannosa». Questa sorta di politica del doppio binario mette sempre più in difficoltà quanti intendono realmente instaurare un vero dialogo con le Corti, in modo da favorire la pacificazione del Paese ed evitare una pericolosa deriva verso il fondamentalismo.[Avvenire]
SOMALIA 8/7/2006 12.07
SCONTRI NEL SUD, INTANTO A BAIDOA PRIMI PASSI PER RICONCILIAZIONE LOCALE
Almeno 4 persone sarebbero state uccise e un numero imprecisato ferite in scontri tra milizie rivali in un villaggio del distretto di Luuq, nella regione sud-occidentale di Gedo. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui le comunicazioni con la zona – abbastanza remota, non lontano dal confine con Kenya ed Etiopia – sarebbero interrotte. Stando alle poche informazioni a disposizione, sembra che gli scontri siano iniziati ieri pomeriggio, protraendosi per alcune ore; per ora non è chiaro il motivo che ha provocato la battaglia, anche se si potrebbe trattare di una disputa territoriale. Un elevato numero di persone avrebbe abbandonato il villaggio, come confermato dalle autorità distrettuali di Luuq a un’emittente radiofonica somala; un gruppo di negoziatori è stato inviato nella zona degli scontri per trovare una soluzione alla contesa, ma non è chiaro se la mediazione abbia finora avuto esito positivo.
Dalla caduta di Siad Barre nel 1991, in Somalia non esiste alcuna autorità amministrativa centrale; il governo di transizione ha sede a Baidoa, nel sud, dove ieri per la prima volta è stato eletto il governatore della regione di Bay, nell’ambito di un piano di riconciliazione appoggiato dalla comunità internazionale che ha visto la partecipazione della società civile, gruppi di donne, associazioni giovanili, intellettuali e attivisti.
Da oltre un mese Mogadiscio e altre località centro-meridionali sono sotto il controllo delle Corti islamiche, mentre nel resto della Somalia il potere è nelle mani di alleanze di clan locali. La Carta costituzionale provvisoria prevede tra l’altro che il governo ad interim riorganizzi l’amministrazione territoriale, sul modello della nomina avvenuta ieri nella regione di Bay.
SOMALIA 10/7/2006 8.18
CORTI ANNUNCIANO “CONTROLLO TOTALE” MOGADISCIO DOPO DOMENICA DI SCONTRI
Almeno 25 morti e decine di feriti – tra cui diversi civili - è il bilancio, ancora provvisorio, dei pesanti combattimenti che hanno opposto nella giornata di domenica a Mogadiscio le Corti islamiche ai combattenti fedeli a due ex-‘signori della guerra’, Hussein Aidid, vice primo ministro e ministro dell’Interno del governo provvisorio, e Adbi Awale ‘Qeybdid’; si è trattato degli scontri più pesanti da quando, il 5 giugno scorso, le Corti hanno strappato il controllo di Mogadiscio alla sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ sostenuta indirettamente dagli Stati Uniti. “Controlliamo ormai tutta la città” ha detto all’Afp Mukhtar Robow, vice segretario incaricato della difesa nel Consiglio supremo islamico di Somalia (Sics), precisando che le ultime zone in mano ai fedelissimi dei due ‘warlords’, asserragliati nel quartiere meridionale di Medina, sarebbero stati conquistati dalle Corti. Da Baidoa, la sede delle istituzioni transitorie situata 240 chilometri a ovest di Mogadiscio, Aidid ha ammesso la sconfitta ma ha detto che non si darà per vinto.
SOMALIA 10/7/2006 14.53
MOGADISCIO: NUOVI COMBATTIMENTI, DECINE DI VITTIME - 2
Un numero imprecisato di persone – probabilmente non meno di 20 ma secondo alcune fonti almeno il doppio – sono rimaste uccise oggi in violenti combattimenti nella zona meridionale di Mogadiscio, dove ieri le milizie islamiche che controllano la città si erano scontrate con le bande armate di due ‘signori della guerra’ provocando non meno di 25 morti. Lo confermano fonti della MISNA raggiunte poco fa al telefono; si spara soprattutto nella zona ‘K-5’, nei pressi del cosiddetto ‘chilometro 5’, dove sono asserragliati i miliziani di Abdi Hassan Awale Qeybdiid, già oggetto dell’attacco di domenica.
Fonti della Croce rossa internazionale hanno riferito alla MISNA che nell’ospedale di Madina sono stati finora ricoverati 30 feriti; altre 35 persone con ferite da colpi di arma da fuoco si trovano presso il ‘Benadir Hospital’; mancano tuttavia conferme sul numero di vittime anche se si sa che sarebbero morti numerosi civili. Le salme sono già state trasportate in altre strutture e risulta difficile indicarne un numero preciso.
“Dalla nostra posizione sentiamo sparare da almeno due ore, con artiglieria e mitragliatrici pesanti” ha detto alla MISNA un operatore umanitario di un’organizzazione locale, mentre dal telefono si distinguevano chiaramente il crepitìo delle armi e raffiche continue.
SOMALIA 11/7/2006 9.32
MOGADISCIO: CORTI ANNUNCIANO RESA ULTIMO ‘SIGNORE DELLA GUERRA’
Abdi Hassan Awale Qeydiid, l’ultimo signore della guerra di Mogadiscio, si sarebbe arreso ai combattenti delle Corti Islamiche dopo due giorni di combattimenti che hanno provocato almeno 67 morti, tra cui molti civili, e decine di feriti. Lo hanno reso noto le stesse Corti precisando che le loro milizie si sono impadronite della residenza di Qeydiid, nel sud della città, e che gli uomini del ‘warlord’ avrebbero iniziato a consegnare le armi. Già domenica, al termine di una sanguinosa giornata, le Corti avevano annunciato la vittoria sugli uomini di Qyeidiid e di Hussein Aidid, vice premier e ministro dell’Interno delle istituzioni provvisorie al momento basate a Baidoa, 240 chilometri a ovest di Mogadiscio; ma ieri pomeriggio gli scontri erano ripresi facendo aumentare il numero delle vittime. La situazione a Mogadiscio ha suscitato preoccupazione tra i leader africani che ieri hanno lanciato un appello alla calma e al dialogo. In una nota congiunta, divulgata da Nairobi, i presidenti kenyano Mwai Kibaki e ugandese Yoweri Kaguta Museveni hanno chiesto alla comunità internazionale di sostenere gli sforzi dell’Igad, l’organizzazione regionale che raggruppa i principali paesi dell’Africa orientale, per il dispiegamento di una forza di pace africana in Somalia.
SOMALIA 11/7/2006 18.55
MOGADISCIO: CORTI ISLAMICHE CONTROLLANO TUTTA CITTÀ MA RESTANO GLI “IRRIDUCIBILI”
Dopo aver sconfitto l’ultimo ‘warlord’ di Mogadiscio in due giorni di violentissimi scontri – che hanno provocato circa 100 morti e 250 feriti, secondo fonti della MISNA – le Corti islamiche hanno lanciato oggi un ultimatum ai gruppi armati ancora presenti a nord di Mogadiscio, legati ad alcuni sotto-clan che non ne riconoscono l’autorità. La MISNA ha appreso che il presidente del Comitato esecutivo delle Corti islamiche, Sheik Sharif Sheik Ahmed, si è rivolto oggi a queste formazioni chiedendo loro di deporre le armi, minacciando altrimenti un attacco come quello che tra domenica e lunedì ha costretto alla resa l’ormai ex-signore della guerra Abdi Hassan Awale Qeybdiid.
Secondo un’emittente radiofonica di Mogadiscio, le Corti – che controllano Mogadiscio dal 5 giugno scorso, dopo aver sconfitto la sedicente alleanza dei warlords appoggiati anche dagli Usa – starebbero cercando di “disarmare” la capitale, limitando la circolazione delle armi nella città che probabilmente ha la più alta densità di kalashnikov al mondo.
Sembra che la notte scorsa alcune centinaia di miliziani dello sconfitto Qeybdiid abbiano consegnato le armi, mentre il loro capo è fuggito da Mogadiscio. Secondo voci non confermate raccolte dalla MISNA avrebbe cercato riparto a Baidoa, la città a circa 240 chilometri dalla capitale dove hanno sede il governo e le istituzioni di transizione.
Nella violenta battaglia di questi giorni le Corti islamiche hanno anche sconfitto militarmente i miliziani del potente Hussein Aidid, vice-premier e ministro dell’interno - cittadino statunitense ed ex-soldato della marina Usa - nonché figlio del generale Mohamed Farah Aidid, che nel 1991 contribuì a rovesciare Siad Barre e fu un protagonista delle guerra civile contro il contingente internazionale negli anni successivi. Ieri Aidid – da Baidoa – aveva lanciato pesanti accuse alle Corti, affermando di volerle escludere dai colloqui previsti nei prossimi giorni a Khartoum con il governo di transizione. Ma oggi il ministro per i rapporti con il Parlamento Abdurahman Aden Ibrhaim ha criticato le dichiarazioni di Aidid e ne ha preso le distanze. Alcuni temono che possano verificarsi delle rotture anche all’interno del governo di transizione che è costruito su un difficile gioco di equilibri tra clan, mentre le Corti sembrano poter contare su un’omogeneità di appartenenza al clan degli Hawiye e in particolare al sotto-clan degli Habr Gedir. Le Corti ormai controllano, oltre a Mogadiscio, anche Johwar e altre località meridionali della Somalia, compresa la costa fino a Merka.
SOMALIA 11/7/2006 18.55
MOGADISCIO: CORTI ISLAMICHE CONTROLLANO TUTTA CITTÀ MA RESTANO GLI “IRRIDUCIBILI”
Dopo aver sconfitto l’ultimo ‘warlord’ di Mogadiscio in due giorni di violentissimi scontri – che hanno provocato circa 100 morti e 250 feriti, secondo fonti della MISNA – le Corti islamiche hanno lanciato oggi un ultimatum ai gruppi armati ancora presenti a nord di Mogadiscio, legati ad alcuni sotto-clan che non ne riconoscono l’autorità. La MISNA ha appreso che il presidente del Comitato esecutivo delle Corti islamiche, Sheik Sharif Sheik Ahmed, si è rivolto oggi a queste formazioni chiedendo loro di deporre le armi, minacciando altrimenti un attacco come quello che tra domenica e lunedì ha costretto alla resa l’ormai ex-signore della guerra Abdi Hassan Awale Qeybdiid.
Secondo un’emittente radiofonica di Mogadiscio, le Corti – che controllano Mogadiscio dal 5 giugno scorso, dopo aver sconfitto la sedicente alleanza dei warlords appoggiati anche dagli Usa – starebbero cercando di “disarmare” la capitale, limitando la circolazione delle armi nella città che probabilmente ha la più alta densità di kalashnikov al mondo.
Sembra che la notte scorsa alcune centinaia di miliziani dello sconfitto Qeybdiid abbiano consegnato le armi, mentre il loro capo è fuggito da Mogadiscio. Secondo voci non confermate raccolte dalla MISNA avrebbe cercato riparto a Baidoa, la città a circa 240 chilometri dalla capitale dove hanno sede il governo e le istituzioni di transizione.
Nella violenta battaglia di questi giorni le Corti islamiche hanno anche sconfitto militarmente i miliziani del potente Hussein Aidid, vice-premier e ministro dell’interno - cittadino statunitense ed ex-soldato della marina Usa - nonché figlio del generale Mohamed Farah Aidid, che nel 1991 contribuì a rovesciare Siad Barre e fu un protagonista delle guerra civile contro il contingente internazionale negli anni successivi. Ieri Aidid – da Baidoa – aveva lanciato pesanti accuse alle Corti, affermando di volerle escludere dai colloqui previsti nei prossimi giorni a Khartoum con il governo di transizione. Ma oggi il ministro per i rapporti con il Parlamento Abdurahman Aden Ibrhaim ha criticato le dichiarazioni di Aidid e ne ha preso le distanze. Alcuni temono che possano verificarsi delle rotture anche all’interno del governo di transizione che è costruito su un difficile gioco di equilibri tra clan, mentre le Corti sembrano poter contare su un’omogeneità di appartenenza al clan degli Hawiye e in particolare al sotto-clan degli Habr Gedir. Le Corti ormai controllano, oltre a Mogadiscio, anche Johwar e altre località meridionali della Somalia, compresa la costa fino a Merka.
SOMALIA 12/7/2006 13.05
ONU, INCORAGGIARE DIALOGO TRA GOVERNO E CORTI ISLAMICHE
“Dobbiamo continuare a incoraggiare il dialogo tra il governo di transizione e la nuova realtà di Mogadiscio (le Corti islamiche, ndr) affinché entrino in dialogo sincero per normalizzare la situazione nel migliore dei modi”: lo ha detto l’inviato dell’Onu per la Somalia, François Lonsény Fall, che al Palazzo di Vetro ha anche proposto al Consiglio di sicurezza di attenuare l’embargo di armi nell’ex-colonia italiana per permettere il dispiegamento di una forza di pace.
Intanto sta circolando una bozza di documento proposto dalla Gran Bretagna secondo cui se il Consiglio dovesse ritenere utile una missione di ‘sostegno alla pace’, sarebbe utile prendere in considerazione proposte da parte dell’Unione Africana (Ua) e dell’Autorità interregionale per lo sviluppo (Igad), che riunisce i Paesi del Corno d’Africa. Nei giorni scorsi, il segretario generale Kofi Annan aveva ribadito la necessità di garantire appoggio al governo di transizione. L’inviato Onu si è detto comunque ottimista su possibili progressi nei prossimi colloqui tra il governo ad interim e le Corti islamiche, che dal 5 giugno scorso controllano Mogadiscio e diverse zone del sud della Somalia.
Ieri, dopo la violentissima battaglia che tra domenica e lunedì nella catpiale ha provocato non meno di 100 morti e 250 feriti – che si aggiungono alle circa 350 vittime e 1.500 feriti dei mesi precedenti – anche l’ultimo ‘warlord’ si è arreso alle Corti, mentre rimangono sacche di irriducibili nei quartieri settentrionali della capitale.
SOMALIA 12/7/2006 18.53
MOGADISCIO: CORTI ISLAMICHE PRENDONO CONTROLLO PORTO
Dopo aver conquistato Mogadiscio all’inizio di giugno, le Corti islamiche starebbero adottando i primi provvedimenti “amministrativi” in città e nelle zone sotto il loro potere; secondo fonti locali, avrebbero assunto il controllo del porto della capitale, finora nelle mani di alcune clan milizie locali. Il ministro delle infrastrutture del governo di transizione, Mohamed Jama Furuh, ha detto che dopo la presa di Mogadiscio da parte dell’Unione delle Corti islamiche l’unica opzione è cedere “i beni nazionali in mani responsabili”. Dalla capitale gli ha risposto – citato dalle agenzie di stampa internazionali – Sheikh Sharif Sheik Ahmed, secondo cui “tutti coloro che occupano beni pubblici devono consegnarli alle Corti perché siano utilizzati per il popolo”.
Nella città di Johwar, una novantina di chilometri da Mogadiscio, i primi provvedimenti delle Corti hanno suscitato proteste: un centinaio di persone avrebbe manifestato per l’introduzione di nuove tasse e – secondo la testimonianza riferita all’agenzia ‘Reuters’ – un dimostrante sarebbe stato ucciso.
Le Corti – divise al loro interno tra l’ala più radicale considerata vicina ad elementi del terrorismo internazionale e quella più moderata, rappresentata da Sheikh Ahmed – hanno il controllo quasi totale su Mogadiscio dopo aver sconfitto l’ultimo warlord in una sanguinosa battaglia tra domenica e lunedì, con circa un centinaio di vittime tra cui moltissimi civili.
SOMALIA 14/7/2006 9.26
ONU DISPONIBILE A REVOCA EMBARGO ARMI E INVIO ‘CASCHI BLU’
Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si è detto per la prima volta disponibile a valutare una “limitata modifica dell’embargo sulle armi” imposto nel 1992 in Somalia, con il fine di “aprire la strada a una missione di sostegno della pace e facilitare il ritorno alle forze nazionali di sicurezza” nel paese del Corno d’Africa, come richiesto dall’Unione Africana (Ua). I Quindici hanno adottato una dichiarazione britannica in cui esprimono il loro accordo sul dispiegamento del ‘caschi blu’, se questo “contribuirà alla pace e alla stabilità in Somalia”; la decisione sarà presa sulla base di uno studio dell’Ua per l’Igad, l’Autorità Intergovernativa di sviluppo che raccoglie sette paesi dell'Africa orientale e ha già approvato in linea di principio l’iniziativa. L’ambasciatore somalo all’Onu, Idd Beddel Mohamed, ha espresso soddisfazione per la posizione del Consiglio, ricordando che “è la prima volta che accetta una richiesta dal governo legittimo della Somalia per revocare parzialmente l’embargo sulle armi che ci consentirà anche di dispiegare le nostre forze di sicurezza”.
SOMALIA 15/7/2006 7.43
GOVERNO AD INTERIM BOICOTTA COLLOQUI CON CORTI ISLAMICHE
Il debole governo di transizione – sostenuto dalla comunità internazionale ma di fatto relegato nella città meridionale di Baidoa – ha boicottato i colloqui di pace con l’Unione delle Corti islamiche, che dall’inizio di giugno controlla militarmente la capitale Mogadiscio e ampie regioni del Sud della Somalia. “Il rinvio è stato deciso dal governo a causa della violazione degli accordi di Khartoum” ha detto l’ex-signore della guerra e vice-primo ministro Hussein Aidid, riferendosi agli accordi sottoscritti nella capitale del Sudan lo scorso 22 giugno tra governo e Corti per evitare uno scontro armato diretto.
L’iniziativa fa crescere i timori di un possibile scontro armato tra il governo ad interim – appoggiato militarmente dall’Etiopia – e la fazione islamica, all’interno della quale vi sono elementi accusati di essere vicini al terrorismo internazionale. L’inviato in Somalia della Lega Araba, Abdallah Mubarak, ha detto che i colloqui si svolgeranno in una data da fissare, aggiungendo che comunque oggi, sabato, le Corti islamiche incontreranno il presidente sudanese Omar el-Bashir, che si era proposto come mediatore. “La comunità internazionale vedrà chi vuole la pace e chi non la vuole” ha commentato Sheik Sharif Sheik Ahmed, capo del Consiglio esecutivo delle Corti islamiche, considerato il portavoce dell’ala più moderata del movimento. “È difficile credere alle Corti, perché non hanno cambiato il loro atteggiamento violento” ha detto ancora il vice-premier Aidid, figlio del generale Moahmed Farah Aidid che nel 1991 contribuì alla caduta di Siad Barre. Le Corti hanno dichiarato di voler riportare l’ordine: dopo aver sconfitto militarmente tutti i warlords di Mogadiscio – sostenuti dagli Usa in modo indiretto - hanno preso il controllo del porto e di tutta la città; ieri è stato imposto il coprifuoco in alcuni quartieri, tra cui il distretto di Madina, dove hanno anche chiuso l’unico cinema, suscitando sorpresa e disappunto tra i residenti. Le nuove “norme” introdotte finora dalle Corti hanno provocato anche proteste: a Johwar, una novantina di chilometri dalla capitale, tre giorni fa un centinaio di persone ha manifestato contro nuove tasse e un dimostrante è stato ucciso. Lo scorso 23 giugno – malgrado l’impegno delle Corti a voler riportare l’ordine in città – è stato ucciso il fotografo e cameraman freelance svedese Martin Adler mentre partecipava a una manifestazione indetta dalle stesse Corti. Lo scontro per il controllo di Mogadiscio ha provocato in tre mesi circa 450 morti in tre mesi – di cui gli ultimi 100 all’inizio della settimana – e oltre 1.500 feriti, in gran parte civili.
SOMALIA 17/7/2006 11.45
CORTI ISLAMICHE RIBADISCONO ‘NO’ A INTERVENTO PAESI STRANIERI
Non “focalizzarsi sull’invio di una forza di mantenimento della pace” perché sarebbe “inutile” e “portatrice di violenze”: è l’invito rivolto da sheick Hassan Dahir Aweys, il capo del nuovo Consiglio supremo creato il mese scorso dalle Corti Islamiche, ai paesi membri del ‘Gruppo di contatto’ per la Somalia che oggi si incontreranno a Bruxelles alla presenza di rappresentanti della Lega araba, dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad, raggruppante sette paesi dell’Africa dell’Est) e dell’Unione africana (Ua). “I paesi vicini hanno interessi geopolitici in Somalia e il fatto che si considerino dei mediatori di pace potrebbe fomentare violenze e una ripresa del conflitto che potrebbe coinvolgere tutta la regione” ha aggiunto Aweys, riferendosi innanzitutto all’Etiopia.
Intanto il governo di transizione ha comunicato che nominerà al più presto un comitato di riconciliazione per i negoziati con l’Unione delle Corti islamiche che dall’inizio di giugno controlla militarmente la capitale Mogadiscio e altre città meridionali. La decisione è stata presa congiuntamente dal presidente Abdullahi Yusuf, dal primo ministro Mohamed Ali Gedi e dal presidente del Parlamento Sharif Hassan Sheick Hadan, dopo che sabato scorso l’esecutivo si era rifiutato di recarsi a Khartoum (Sudan) per i colloqui di pace mediati dalla Lega araba accusando le Corti di avere violato gli accordi sottoscritti tra le parti nella capitale sudanese lo scorso 22 giugno per evitare uno scontro armato diretto. Nonostante l’assenza dei delegati del governo, i rappresentanti delle Corti hanno comunque incontrato i mediatori dei paesi arabi e – ha riferito l’inviato della Lega, Zeid al Sabban – “hanno sottolineato l’importanza di salvare la legittimità del governo e la volontà di aprire una discussione onesta”. Hanno detto inoltre che non attaccheranno Baidoa, sede del governo di transizione, ma che prepareranno “il terreno perché l’esecutivo ritorni a Mogadiscio”.
SOMALIA 18/7/2006 20.37
GOVERNO DI TRANSIZIONE CAMBIA IDEA, “SÌ” A DIALOGO CON CORTI ISLAMICHE
Ribaltando la decisione di boicottare i colloqui di pace, il governo somalo di transizione si è detto favorevole a nuove trattative con l’Unione delle Corti islamiche, che dall’inizio di giugno hanno conquistato Mogadiscio e gran parte del sud del paese. “I colloqui sono l’ultima speranza e opportunità per pace e stabilità” ha detto oggi Abdirahman Mohamed Dinari, portavoce del governo ad interim, che controlla di fatto solo Baidoa, la città meridionale dove hanno sede le istituzioni di transizione.
Il cambio di strategia dell’esecutivo, ha aggiunto, è stato determinato dalle forti pressioni internazionali: dopo l’annuncio di non partecipare all’incontro con le Corti islamiche previsto a Khartoum il 22 luglio, il governo è stato sollecitato a cambiare idea da Unione Africana, paesi arabi ed europei.
Ieri, al termine di un incontro a Bruxelles, il cosiddetto ‘gruppo di contatto per la Somalia – che riunisce tra gli altri Unione Europea, Italia, Norvegia, Tanzania, Unione Africana, paesi arabi e l’organismo regionale dell’Africa orientale ‘Igad’ – ha sollecitato l’avvio di colloqui intra-somali per l’allargamento delle attuali istituzioni di transizione.
Il primo incontro tra le due parti si è svolto lo scorso 22 giugno nella capitale del Sudan, con la mediazione del presidente sudanese Omer al-Bashir, ottenendo un accordo di mutuo riconoscimento e di cessazione delle ostilità.
Nei giorni scorsi si erano evidenziate pericolose divisioni anche all’interno del governo ad interim: il vicepremier Hussein Aidid – figlio del generale Mohamed Farah Aidid, protagonista della prima fase della guerra nel 1991 dopo la caduta di Siad Barre – aveva annunciato di non voler trattare con le Corti. Secondo informazioni difficili da verificare, Aidid starebbe reclutando miliziani in vista di un possibile scontro armato con le Corti.
Ethiopian troops on Somalia soil
A column of Ethiopian trucks, more than 100-strong and including armoured cars, is reported to have crossed into neighbouring Somalia.
A BBC reporter has seen Ethiopian troops in uniform in Baidoa, the base of the weak interim government.
Ethiopia had warned it would crush the Islamists who had advanced to within 60km of Baidoa on Wednesday.
But the Union of Islamic Courts (UIC) say they never intended to attack Baidoa and have pulled troops back.
The UIC have rapidly expanded their control of southern Somalia since they took control of the capital, Mogadishu, but observers fear it is only a matter of time before the two sides clash.
"We have no such military plan as claimed by the non-functioning government," the UIC's security head Sheikh Yusuf Mohamed Siad told the AFP news agency.
"The prime minister's claims are a ploy to attract Ethiopian intervention."
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/5198338.stm
Chiunque vuole entrare nel territorio altrui lo faccia ora!Non spingete! :doh:
<Straker>
20-07-2006, 12:44
Ma cosa succede in questo periodo, ogni tre invasioni se ne vince una gratis? :confused:
Quasi quasi oggi pomeriggio invado l'ufficio della mia collega carina accanto al mio :oink:
Stasera invado il CdA di TI, vi avviso prima.
LuVi
FastFreddy
20-07-2006, 12:50
Il fatto che non se ne parli non significa che non ci siano altre guerre in giro per il mondo, le scaramucce tra Etiopia e Somalia mi sembra siano roba decisamente stagionata...
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1043446
HenryTheFirst
20-07-2006, 17:02
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1043446
Ho unito le due discussioni.
SOMALIA 20/7/2006 11.35
ETIOPIA MINACCIA INTERVENTO IN CASO DI ATTACCO CORTI ISLAMICHE A BAIDOA
Il governo di Addis Abeba “userà ogni mezzo a sua disposizione” in caso di un attacco delle Corti islamiche sulla città di Baidoa, sede del fragile governo di transizione somalo: lo ha detto il ministro dell’informazione dell’Etiopia Berhanu Hailu. Ieri il primo ministro somalo Mohamed Ali Gedi aveva denunciato la presenza vicino a Baidoa delle milizie islamiche, che dall’inizio di giugno controllano la capitale Mogadiscio e ampie regioni del sud. Gedi ha detto che le forze di sicurezza governative sono in stato di “elevata allerta” per la presenza di “moltissimi” miliziani delle Corti islamiche nella località di Buur Hakaba, a una sessantina di chilometri di distanza.
Un esponente delle Corti – citato in forma anonima dalle agenzie di stampa internazionali – ha negato l’intenzione di un attacco a Baidoa, affermando invece che le milizia islamiche “stanno consolidando le proprie posizioni”. Il primo ministro ha invitato le bande armate delle Corti a rientrare a Mogadiscio.
Le autorità di Addis Abeba – che sostengono le istituzioni di transizione, guidate dal presidente somalo ad interim Abdullahi Yussuf, ex-signore della guerra del Puntland – si sono più volte dichiarate pronte a intervenire militarmente in caso di attacco contro il governo a Baidoa, collocata a metà strada dei 500 chilometri che separano il confine etiopico da Mogadiscio.
Non è chiaro se la crescente tensione avrà ripercussioni sul prossimo incontro tra il governo e le Corti islamiche, previsto per sabato a Khartoum con la mediazione del Sudan.
SOMALIA 20/7/2006 13.49
BAIDOA, CONFERMATA PRESENZA TRUPPE ETIOPI
Un numero imprecisato di veicoli militari dell’Etiopia è arrivato oggi nella città meridionale di Baidoa, sede del governo di transizione somalo: lo hanno confermato alla MISNA testimoni oculari raggiunti per telefono, mentre le autorità somale e quelle di Addis Abeba hanno però smentito. Nelle ultime ore l’Etiopia aveva dichiarato di essere pronta a proteggere il governo ad interim della Somalia in caso di un eventuale attacco delle Corti islamiche.
Anche un cronista dell’emittente britannica ‘Bbc’ ha affermato di aver visto uomini dell’esercito etiopico in città, mentre non è chiara la consistenza delle colonna di veicoli militari giunta a Baidoa. Alcuni riferiscono di una ventina di automezzi con a bordo anche pezzi di artiglieria; testimoni interpellati dalla MISNA parlano di “alcuni veicoli e qualche camion militare”.
All’agenzia ‘Afp’ il portavoce governativo Abdirahman Nur Mohamed Dinari ha però risposto che “è assolutamente falsa”. Da Addis Abeba, un funzionario del ministero della Difesa, coperto da anonimato, ha detto smentito la presenza “anche di un solo soldato etiopico in territorio somalo”. Nelle scorse settimane i militari provenienti dall’Etiopia aveva superato il confine in più di una località.
La tensione era salita ieri, per la presenza di un capo militare dell’Unione delle Corti islamiche nella cittadina di Buur Hakaba, circa 60 chilometri da Baidoa; la MISNA ha appreso da fonti locali che le truppe islamiche si sono già ritirate per fare rientro verso Mogadiscio, dove hanno preso il potere all’inizio di giugno.
Nelle ultime ore il primo ministro somalo Ali Gedi aveva accusato le Corti islamiche di voler attaccare Baidoa; l’Etiopia – alleata del presidente somalo ad interim Abdullahi Yusuf – aveva assicurato un suo intervento a difesa del governo di transizione della Somalia. Le Corti avevano però tuttavia smentito l’intenzione di attaccare Baidoa. Sabato si dovrebbe svolgere un secondo incontro tra il governo di transizione e l’Unione delle Corti islamiche a Khartoum.
All’inizio della settimana, il cosiddetto ‘gruppo di contatto per la Somalia – che comprende tra gli altri Unione Europea ed Africana, Italia, Norvegia e l’organismo regionale dell’Africa orientale ‘Igad’ – aveva sollecitato l’avvio di colloqui intra-somali per l’allargamento delle attuali istituzioni di transizione, ipotizzando così una partecipazione delle Corti al governo.
jpjcssource
20-07-2006, 18:54
Chiunque vuole entrare nel territorio altrui lo faccia ora!Non spingete! :doh:
è una Shengen a modo loro :D , libera circolazione di persone (perchè i soldati non sono persone per caso? :O ), merci (ak47, bombe a mano, ecc..) capitali (tante banche senza scrupoli in prima fila per finanziare le parti in causa). :sofico:
:asd: , ma ho una piccola curiosità, Ewigen interviene qualche voslta con post che riportano parole sue? Io fino ad ora ho visto solo che riporta notizie, ma risponde o interviene raramente esprimendo una sua diretta opinione :mbe:
Vuoi sapere la mia opionione sui fatti?Ti accontento
[IN]
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http://images.fotosearch.com/bigcomps/DSN/DSN105/1582163.jpg
SOMALIA 21/7/2006 11.39
CORTI ISLAMICHE CHIEDONO RITIRO TRUPPE ETIOPIA, CRESCE TENSIONE
“Chiediamo all’Etiopia il ritiro immediato delle sue truppe e la sospensione dell’ingerenza negli affari interni somali”: lo ha detto stamani Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, presidente del Consiglio esecutivo supremo delle Corti islamiche – che controllano Mogadiscio e ampie regioni del sud - dopo che ieri Addis Abeba ha inviato un numero ancora imprecisato di soldati a Baidoa, sede del governo di transizione somalo. “L’Etiopia ha commesso un atto di violenza che infrange la sovranità della Somalia” ha aggiunto Sheikh Ahmed parlando con l’agenzia ‘Afp’ a Mogadiscio, e ha poi invitato le autorità di Addis Abeba a comportarsi da "buoni vicini". Ieri testimoni oculari hanno confermato anche alla MISNA la presenza di truppe etiopi a Baidoa, circa 240 chilometri a nord-ovest di Mogadiscio. Secondo informazioni citate dall’agenzia ‘Reuters’, sembra che oggi i soldati etiopi si siano avviati lungo l’asse stradale che conduce verso la capitale e avrebbero già raggiunto la località di Buur Hakaba. Stando a informazioni difficili per il momento da verificare, pare che gli etiopi siano entrati in Somalia anche nella zona di Fer Fer, nel centro del paese, che un tempo costituiva uno dei principali passaggi di confine lungo gli oltre duemila chilometri di frontiere comuni. L’Etiopia ha finora smentito di aver inviato truppe in territorio somalo. Il viceministro dell’informazione somalo Salad Ali Jelle stamani ha detto che le milizie “governative” si sono mobilitate dopo che le Corti islamiche si erano avvicinate nei giorni scorsi a Baidoa, anche se ieri avevano in realtà fatto rientro nella capitale. Ha poi aggiunto che la gente si è confusa a causa di nuove divise donate dall’Etiopia alle milizie del governo.
Io qualcosa di concreto, nel mio piccolo, per i bambini etiopi, la sto facendo.
Invece di fare copia-incolla su un forum.
jpjcssource
21-07-2006, 14:26
Vuoi sapere la mia opionione sui fatti?Ti accontento
[IN]
[OFF]
http://images.fotosearch.com/bigcomps/DSN/DSN105/1582163.jpg
Su quello nulla da dire, si stà sicuramente consumando un dramma ;)
SOMALIA 21/7/2006 15.46
SOLDATI ETIOPI IN MARCIA VERSO MOGADISCIO?
Una colonna di militari, presumibilmente etiopi, sarebbe diretta verso Mogadiscio - da ormai quasi due mesi nelle mani dell’Unione delle Corti Islamiche - e si troverebbe attualmente a un centinaio di chilometri dalla città. A riferirlo stamani sono le principali radio di Mogadiscio, ma anche le voci di strada che nelle ultime ore, fanno sapere alla MISNA fonti contattate sul posto, hanno moltiplicato le segnalazioni di truppe ‘etiopi’ nei pressi dell’aeroporto che si trova a una novantina di chilometri dalla città. In realtà per ora non è stato possibile trovare conferme ufficiali o indipendenti a queste segnalazioni, anche se alcune agenzie di stampa internazionale riferiscono di informazioni che darebbero in movimento verso Mogadiscio i presunti soldati etiopi giunti l’altro ieri a Baidoa (la città distante oltre 200 chilometri in cui sono ospitate temporaneamente le istituzioni di transizione somale). Sulla notizia della presenza di truppe etiopi, confermata ieri da testimoni oculari alla MISNA e smentita finora sia dal governo di Addis Abeba che da quello Somalo, oggi è intervenuto il ministro dell’Informazione somalo Salad Ali Jelle, secondo cui la gente starebbe confondendo i soldati governativi che indossano divise etiopi con i militari di Addis Abeba. “In città la situazione è tranquilla, ma le ultime voci in circolazione stanno facendo aumentare la paura che Mogadiscio torni a essere teatro di combattimenti” dice una fonte contattata dalla MISNA in città. Intanto stamani, come di consueto dopo le preghiere del venerdi, circa un migliaio di simpatizzanti della Corti Islamiche sono scesi in strada per partecipare a una manifestazione (chiamata “la lunga marcia della pace”) in sostegno alle Corti e ai miglioramenti che la loro gestione avrebbe apportato alle condizioni di vita della gente da quando i ‘signori della guerra’ (o meglio i capi dei clan che per 15 anni hanno controllato Mogadiscio) sono stati cacciati. Fonti giornalistiche locali, precisano però che, soprattutto nelle ultime settimane, sta crescendo in parte della popolazione una certa diffidenza nei confronti di alcuni esponenti delle Corti. Se da un lato la nuova amministrazione della capitale somala sembra aver eliminato alcuni degli aspetti più nefasti della gestione precedente (come gli innumerevoli posti di blocco in cui versare gabelle) e sarebbe impegnata nei lavori di ricostruzione di alcune importanti infrastrutture cittadine (porto e aeroporto), si moltiplicano le segnalazioni di casi di singole Corti che nei territori di loro competenza sembrano garantire un’applicazione estremamente radicale della sharìa.
SOMALIA 22/7/2006 11.55
NUOVE SEGNALAZIONI DI MILITARI ETIOPI NEI PRESSI DI BAIDOA
Nuove truppe etiopi sono state segnalate nelle ultime ore nel distretto di Wajid, nella regione del Bakol, sud della Somalia. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali, le quali hanno precisato che numerose segnalazioni sono giunte dagli abitanti dell’area “spaventati” dall’arrivo di una lunga colonna di militari, che, secondo alcune fonti, sarebbero in possesso anche di armi pesanti. La zona di Wajid si trova circa 90 chilometri a ovest di Baidoa, dove hanno temporaneamente sede le istituzioni di transizione somale, ed è a metà strada tra questa città e il confine con l’Etiopia. Secondo alcune informazioni ancora da confermare, i soldati sarebbero arrivati durante la notte e si sarebbero sistemati alla periferia della città. Fonti giornalistiche internazionali hanno ottenuto altre conferme alle informazioni su Wajid, sostenendo che sarebbero circa 250 i soldati etiopi giunti in città tra ieri e oggi. Altri militari etiopi, che si trovavano a Baidoa già giovedì scorso, ieri erano stati segnalati in movimento verso Mogadiscio. Ufficialmente smentite sia dal governo etiope che da quello somalo, la presenza di queste colonne militari etiopi (su cui invece fonti giornalistiche continuano a raccogliere testimonianze oculari) è stata spiegata ieri dal ministro dell’Informazione somalo Salad Ali Jelle come un grosso equivoco. La gente, secondo il ministro, starebbe infatti confondendo i soldati governativi somali, che indossano divise etiopi, con i militari di Addis Abeba. Intanto non si hanno notizie dell'incontro che si sarebbe dovuto tenere oggi a Khartoum, nella seconda fase di una mediazione avviata il mese scorso dalla Lega Araba.
SOMALIA 22/7/2006 13.50
...STAMPA, COINVOLGIMENTO ETIOPIA FA SALTARE NEGOZIATI - 2
I vertici della Corti Islamiche avrebbero deciso di interrompere i colloqui a Khartoum, dove oggi si sarebbe dovuta tenere la seconda fase dei negoziati col governo di transizione somalo organizzati dalla Lega Araba per trovare una soluzione alla crisi. Lo sostiene l’agenzia di stampa Reuters, citando un comunicato delle Corti in cui si riportano alcuni passaggi di una lettera inviata dai vertici del movimento ai propri delegati a Khartoum e che sostanzialmente fa sapere di non voler trattare con un governo (quello somalo, ndr) che è aiutato dal nemico della Somalia, riferendosi alle truppe etiopi che negli ultimi giorni vengono ripetutamente segnalate in territorio somalo e a Baidoa, sede delle istituzioni di transizione somale. A parziale conferma dell’annullamento dell’incontro di oggi, sempre la stessa agenzia cita il portavoce del ministero degli Esteri Sudanese secondo cui il “problema adesso è quello di un conflitto tra le Corti e l’Etiopia”, precisando che a Khartoum oggi si trova solo una delegazione delle Corti, mentre i mediatori governativi non sarebbero ancora arrivati. Per il momento non è stato possibile trovare nessuna conferma alla notizia del fallimento dei colloqui.
SOMALIA 22/7/2006 16.10
MILITARI ETIOPI NEI PRESSI DI BAIDOA…NUOVI PARTICOLARI – 3
Due elicotteri con a bordo truppe etiopi sarebbero atterrati nel pomeriggio di oggi nella zona di Wajid, la cittadina a metà strada tra Baidoa, sede provvisoria delle istituzioni di transizione, e il confine tra Somalia ed Etiopia dove nella notte era arrivata una colonna con centinaia di militari etiopi. Lo riferiscono fonti giornalistiche internazionali, precisando che l’avanguardia arrivata via terra nelle scorse ore, in mattinata avrebbe preso il controllo della città e garantito la sicurezza della pista in terra battuta che costituisce ‘l’aeroporto’ di Wajid, dove qualche ora più tardi sarebbe sbarcato personale militare etiope. Per il momento sia il governo etiope che quello somalo continuano a smentire la presenza di truppe di Addis Abeba in territorio somalo
Somali: corti, no a colloqui
Decisione segue notizie su presenza etiope in terra somala
Le Corti islamiche al potere a Mogadiscio hanno annunciato che non parteciperanno ai colloqui con il governo di transizione. La decisione segue notizie su spostamenti di truppe etiopi in territorio somalo, a sostegno della debole amministrazione ad interim del presidente Yusuf. 'Non trattiamo con un governo sostenuto dal nemico della Somalia', ha scritto il leader delle Corti Sheik Sharif Ahmed in una lettera ai delegati islamici incaricati di partecipare ai colloqui, a Khartoum.
AFRICA NEL CAOS
«L’intervento di Addis Abeba era necessario: ora si può trattare, e i soldi avranno la loro importanza»
Corti somale:«Jihad contro gli invasori»
Manifestazione minacciosa degli islamici a Mogadiscio: i tribunali coranici minacciano la «guerra santa» alle truppe etiopiche, stanziate da due giorni a Baidoa in difesa del governo di transizione
[Avvenire] Ricorrono alla piazza, ora che hanno capito che la strada verso Baidoa non è affatto spianata. Ora che Addis Abeba è passata dalle parole ai fatti, schierando truppe a difesa di quel governo di transizione somalo impaludato nelle proprie debolezze. Così le Corti coraniche chiamano i somali alla rivolta contro lo straniero. «Tutti hanno il dovere di difendere il loro Paese», è stata l'invocazione lanciata ieri da sheikh Sharif Ahmed, alto esponente di quei tribunali coranici che da un mese e mezzo controllano, oltre alla capitale Mogadiscio, ampie porzioni del territorio somalo. «Vi guideremo alla vittoria contro l'invasore», ha proseguito il leader islamista, ribadendo, per il secondo giorno consecutivo, che sarà «jihad» se i militari di Addis Abeba non lasceranno il Paese. Migliaia di persone hanno marciato ieri a Mogadiscio durante una manifestazione organizzata dalle Corti stesse. Una sfilata «imponente», secondo quanto riferito da fonti locali, «arricchita» dalla presenza inquietante di milizie armate con artiglieria pesante e slogan di fuoco contro «i nemici» Etiopia e Stati Uniti. Washington viene accusata dagli islamici di sostenere l'attivismo di Addis Abeba, dopo aver peraltro armato per diversi mesi i signori della guerra, sconftti militarmente dalle Corti. Il governo di Melles Zenawi ancora ieri negava di aver inviato proprie truppe a Baidoa a sostegno dell'esecutivo somalo, ma molti testimoni hanno confermato la presenza di «diverse centinaia» di soldati etiopici sia in città che nelle zone vicine. Alcuni analisti hanno stigmatizzato l'intervento di Addis Abeba, dichiarando che questa «ingerenza» mette a rischio i negoziati a Khartum. «In realtà, se il sostegno dell'Etiopia pone problemi di natura politica, offrendo il destro alla propaganda delle Corti, l'intervento delle sue truppe è stato fondamentale per evitare la vera e propria eliminazione fisica dei membri dell'esecutivo somalo - ha spiegato da Baidoa ad Avvenire una fonte che ha richiesto l'ano nimato per motivi di sicurezza - Soltanto ora che si è ristabilito un certo equilibrio di forze si può davvero passare alle trattative». Il cosiddetto Gruppo di contatto sulla Somalia - organismo diplomatico che comprende anche Italia e Stati Uniti - ha chiarito che solo dopo un eventuale accordo tra il governo di transizione e le Corti sarà possibile l'arrivo nel Paese di una missione internazionale, che si faccia carico, tra l'altro, della formazione e dell'addestramento delle nuove forze di sicurezza somale. In realtà l'intesa tra le parti, separate da visioni e interessi inconciliabili, appare lontanissima. «Sia a livello ideologico che etnico-clanico non ci sono punti di contatto - sottolinea la nostra fonte - Le Corti sono nelle mani del clan degli Hawiye, e in particolare della tribù degli Habr-Gedir, la quale, originaria del centro del Paese, cerca da ormai 15 anni di occupare i territori meridionali. A questa "antica" ambizione si è poi aggiunto il sostegno da parte degli ambienti fondamentalisti internazionali, che ora soffiano sul fuoco per fare della Somalia una loro base». Molti osservatori ritengono che lo scontro finale per la conquista del Corno d'Africa sia ormai inevitabile. Diversi i fattori che saranno determinanti in questa fase. Innanzitutto il tipo di supporto che la comunità internazionale offrirà al governo di Baidoa, sia a livello economico che di sicurezza. Inoltre, «anche a favore delle Corti - spiega la nostra fonte - potrebbero essere previsti dei finanziamenti, subordinati però ad un accordo con l'esecutivo di transizione». A quel punto, però, entrerebbe in gioco un altro, ingombrante, elemento, ovvero la contro-proposta economica da parte dei finanziatori del terrorismo internazionale che tirano le fila delle Corti. «Vincerà l'offerta maggiore - osserva con realismo la fonte - Purtroppo il terrorismo, dispiace dirlo, offre sempre di più». Cash, tra l'altro. E il contante, in Africa come altrove, ha sempre avuto la sua importanza.
Somalia, spiraglio per negoziati
Forti pressioni della Lega araba anche su Corti islamiche
Dopo fortissimi rumori di guerra, in Somalia aumentano i segnali di una possibile riapertura di dialogo. A Baidoa - sede delle istituzioni somale - una lunga riunione ha dato il via libera alla ripresa dei negoziati. La notizia pero' non e' ancora ufficiale. E anche sul fronte delle Corti coraniche, che hanno proclamato la 'jihad', sembra che il clima stia lentamente cambiando. Anche perche' la Lega Araba, sponsorizza moltissimo il negoziato.
SOMALIA 24/7/2006 14.24
A MOGADISCIO SI MANIFESTA PER LA GUERRA, MA SI APRONO SPIRAGLI PER TRATTARE
Alcune migliaia di persone sono scese oggi in strada a Mogadiscio per partecipare a una manifestazione contro l’Etiopia indetta dalle Corti Islamiche che controllano la città. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, le quali hanno precisato che il corteo, conclusosi in piazza Tribuna, ha visto la partecipazione di un buon numero di sostenitori delle Corti Islamiche gridare slogan e incitare alla guerra contro l’Etiopia, colpevole di essere entrata in territorio somalo per proteggere le deboli istituzioni di transizione che hanno sede a Baidoa. E proprio Baidoa da ieri è tornata ad essere al centro di polemiche politiche tra il governo del presidente Abdullahi Yusuf e le Corti che controllano Mogadiscio. Da ieri, infatti in città si troverebbe Mohamed Qanyare Afrah, uno dei signori della guerra (o meglio capi clan) che per 15 anni ha controllato Mogadiscio, da dove è scappato due mesi fa dopo essere stato sconfitto dai miliziani delle Corti. I vertici dei Tribunali islamici hanno criticato la decisione del governo di dare ospitalità “a un loro nemico”. Nonostante le polemiche e i forti venti di guerra che da alcuni giorni sembrano spirare sempre più forti, una serie di indiscrezioni in circolazione da questa mattina lasciano presagire che i colloqui tra il governo e le Corti organizzati dalla Lega Araba in Sudan potrebbero presto riprendere. Secondo il corrispondente da Nairobi dell’agenzia italiana ‘Ansa’ (normalmente ben informata sugli sviluppi diplomatici nelle vicende somale) il governo di Yusuf avrebbe confermato “ufficialmente” la decisione di recarsi a Khartoum il 2 agosto per riprendere i colloqui. A guidare la delegazione questa volta dovrebbe essere il portavoce del parlamento di Baidoa, Sharif Hassan Sheickh Ahmed: il capofila della ampia corrente governativa che è contraria alla presenza militare etiope tanto quanto le Corti. Indiscrezioni riportate da altre fonti, citando un portavoce fanno sapere che anche le Corti si sarebbero già dette pronte a riprendere i negoziati.
La minaccia di un alto esponente di Addis Abeba: «C’è una frontiera che i miliziani coranici non devono oltrepassare: se lo faranno,saranno schiacciati»
Somalia, gli islamici boicottano i colloqui
Gli etiopici a Wajid
I delegati delle Corti hanno abbandonato i negoziati,
in programma a Khartum: «Non trattiamo con un governo sostenuto dai nostri nemici» Dopo il blitz a Baidoa, truppe di Melles avanzano ancora
[Avvenire] Situazione ancora altamente instabile in Somalia, dove da un mese e mezzo si confrontano le Corti islamiche, al potere a Mogadiscio dopo la vittoria sui signori della guerra, e il fragile governo di transizione stanziato a Baidoa. I colloqui previsti ieri a Khartum sono terminati ancor prima di cominciare. I delegati delle Corti hanno infatti abbandonato la capitale sudanese dopo che si è diffusa la notizia di un ulteriore spostamento di truppe etiopi in territorio somalo, a sostegno della debole amministrazione del presidente Abdullahi Yusuf. «Non trattiamo con un governo che è sostenuto dal nemico della Somalia», ha scritto il leader delle Corti, sheikh Sharif Ahmed in una lettera indirizzata ai delegati islamici incaricati di partecipare ai colloqui. Tre giorni fa truppe di Addis Abeba era giunto a Baidoa, in modo da proteggere l’esecutivo da un eventuale blitz armato delle Corti. Secondo fonti locali, un nuovo contingente etiopico sarebbe giunto ieri nella località somala di Wajid, situata a metà strada tra il confine con l’Etiopia e Baidoa. I militari, giunti nella città a bordo di una trentina di automezzi, sarebbero circa 250. L’aeroporto cittadino sarebbe, già dall’altra notte, passato sotto il controllo dei militari etiopi, subentrati a uomini armati al servizio del governo di transizione. Un alto responsabile del governo di Addis Abeba, guidato da Melles Zenawi, ha sottolineato ieri che l’Etiopia è in grado di «schiacciare» militarmente i miliziani islamici, mostrandosi comunque fiducioso del fatto che le Corti non oseranno attaccare le proprie truppe, nonostante l’appello alla «guerra santa» lanciato dal leader dei coranici somali Assan Dahir Aweys. «Gli islamici non oseranno fare nulla, perché sanno che c’è una forza capace di fare ciò che dice, una forza capace di schiacciare chiunque, nel vero senso della parola – ha dichiarato, chiedendo peraltro l’anonimato, l’esponente di Addis Abeba – L’Etiopia ha ribadito che c’è una frontiera che le Corti non de vono oltrepassare: se lo faranno, saranno schiacciati». L’Etiopia ha uno degli eserciti più agguerriti e meglio equipaggiati dell’Africa. Addis Abeba ha più volte espresso la propria preoccupazione per l’evolversi della situazione in Somalia, dopo la presa di potere degli islamici a Mogadiscio. Due giorni fa il leader delle Corti ha esortato tutti i somali perché aderiscano alla jihad contro l’Etiopia, dopo l’arrivo a Baidoa dei primi soldati di Addis Abeba. «L’Etiopia è venuta a proteggere un governo fantoccio, creato per favorire i loro interessi», ha detto Aweys. Nella serata di ieri si è diffusa la notizia (peraltro non confermata) di un primo, anche se leggero, scontro tra militanti islamici e forze dell’esecutivo di Baidoa. L’episodio sarebbe avvenuto a Qoryooley, a circa 120 Km dalla sede del governo.
ERITREA 25/7/2006 8.41
A MILANO IL CONGRESSO DEL PARTITO DEMOCRATICO ERITREO
Si apre oggi a Milano il secondo congresso internazionale del Partito Democratico Eritreo, formazione della diaspora che si oppone al regime del presidente Isayas Afeworki. Lo riferisce lo stesso partito in una nota fatta pervenire alla MISNA in cui si precisa che il Congresso si pone l’obiettivo di costituire un tavolo di dialogo aperto per concordare una linea comune e delineare le prospettive della transizione verso la democrazia in Eritrea.
“Questa iniziativa politica, che va oltre i contenuti tecnici del Congresso, ha lo scopo di individuare le comuni soluzioni pacifiche alla conflittualità interna ed esterna che affligge il Paese da troppi anni” si legge nella nota, in cui si sottolinea anche come “l’unica strada per risolvere la crisi in Eritrea sia quella del dialogo e della riconciliazione nazionale”. “La scelta di privilegiare l’Italia come sede per lo svolgimento del Congresso – spiega ancora la nota - ha lo scopo di coinvolgere in maniera diretta le forze democratiche e il governo italiano, perché assumano, in Italia come nella Unione Europea, un ruolo di rilievo nel dibattito sui diritti umani nei paesi del Corno d’Africa”.
SOMALIA 25/7/2006 12.13
NUOVE CONFERME A RIPRESA COLLOQUI GOVERNO-CORTI
“Andremo a Khartoum senza precondizioni”: così Abdirizak Adam, capo dello staff del presidente somalo Abdullahi Yusuf, ha confermato stamani che una delegazione del governo si recherà a Khartoum (in Sudan) il 1 e 2 agosto per incontrare nuovamente esponenti delle Corti Islamiche con la mediazione della Lega Araba. La decisione, di cui già ieri erano filtrate anticipazioni, è stata ufficializzata oggi nell’incontro avvenuto a Baidoa tra il presidente Yusuf e Francois Lansana Fall, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Somalia. L’inviato Onu dovrebbe partire oggi stesso per Mogadiscio dove è previsto un incontro con i vertici delle Corti Islamiche perché anch’essi decidano di recarsi a Khartoum. Nonostante le dichiarazioni polemiche degli ultimi giorni, moltiplicatesi dopo l’ingresso in territorio somalo di truppe etiopi a sostegno del governo di Yusuf, sembra che anche le Corti siano pronte a tornare a Khartoum e riprendere i colloqui.
SOMALIA 25/7/2006 18.51
CORTI ISLAMICHE CAMBIANO IDEA, NO A COLLOQUI DI PACE CON GOVERNO
Contrariamente a quanto era finora sembrato, le Corti islamiche non sarebbero disposte a nuovi colloqui di pace con il debole governo ad interim del presidente Abdullahi Yusuf, che proprio oggi aveva confermato la partecipazione a un incontro negoziale a Khartoum, in Sudan, il prossimo 1 e 2 agosto. “Fino a quando l’Etiopia rimarrà nel nostro paese, le trattative di pace non possono procedere” ha detto oggi ai giornalisti a Mogadiscio Sheikh Hassan Dahir Aweys, influente esponente delle Corti islamiche e rappresentante dell’ala più radicale. Nella capitale è arrivato anche Francois Lansana Fall, inviato speciale dell’Onu per la Somalia, che in precedenza aveva incontrato esponenti del governo a Baidoa, la città del sud della Somalia dove hanno sede le istituzioni di transizione. Alle Corti islamiche Fall, senegalese, ha detto: “Mi rivolgo a voi da africano e vi chiedo di continuare il dialogo”; la sua richiesta, per ora, è stata però declinata. Lo scorso 17 luglio il cosiddetto Gruppo di contatto per la Somalia – che riunisce tra gli altri Unione Africana ed Europea, Italia, Norvegia, Gran Bretagna e Tanzania – aveva proposto al governo di prendere in considerazione un “ampliamento” delle attuali istituzioni, riferendosi a un possibile ingresso delle Corti islamiche, che dall’inizio di giugno controllano Mogadiscio e ampie regioni meridionali.
Somalia:governo ribadisce si' a Onu
Missione a Mogadiscio dell'inviato speciale
Disponibilita' 'senza precondizioni' a riprendere i negoziati con le Corti islamiche. Lo ribadisce il governo federale di transizione. Il si' del Tng al rappresentante speciale dell'Onu, ambasciatore Fall, era stato peraltro gia' annunciato domenica. Il rappresentante speciale della Somalia partira' per Mogadiscio, controllata, come quasi tutto il Sud dagli islamici. Finora la posizione ufficiale islamica e' di rifiuto, per la presenza di truppe etiopiche in Somalia.
SOMALIA 26/7/2006 21.17
MOGADISCIO: ATTERRA AEREO CARGO, PER GOVERNO TRASPORTA ARMI DA ERITREA
L’atterraggio di un aereo cargo stamani a Mogadiscio ha spinto il governo di transizione somalo ad accusare l’Eritrea di armare le Corti islamiche, che dall’inizio di giugno hanno il controllo di Mogadiscio e di ampie regioni meridionali del paese. “Sappiamo che l’Eritrea ha portato un massiccio carico militare stamattina con un aereo cargo” ha detto il viceministro dell’Informazione Salad Ali Jelle in una conferenza stampa a Baidoa. Un’emittente locale ha riferito che centinaia di miliziani armati a bordo delle cosiddette ‘tecniche’ – i fuoristrada dotati di mitragliatrici usati di solito dai ‘warlords’ – hanno presidiato il piccolo scalo aereo di Mogadiscio, impedendo a giornalisti e curiosi di avvicinarsi. Secondo un anonimo esponente delle Corti islamiche citato dall’agenzia ‘Reuters’, l’aereo trasportava “macchine da cucire, dono di un governo amico”. Secondo il fragile governo di transizione – che malgrado il sostegno della comunità internazionale di fatto controlla solo la città di Baidoa dove ha sede – a bordo vi erano invece esplosivi, mine, missili anti-carro e anti-aerei. L’Eritrea ha sostenuto le Corti islamiche in funzione anti-etiopica, mentre il governo di Addis Abeba appoggia il governo ad interim somalo e il presidente Adbullahi Yussuf, ex-signore della guerra del Puntland. In Somalia è in vigore un embargo dell’Onu sulle armi, sistematicamente violato in questi anni; un recente rapporto accusava – pur senza nominarla – l’Eritrea, ma anche l’Etiopia ha fornito appoggio militare ai ‘warlords’ di Mogadiscio, sconfitto dalle Corti islamiche dopo oltre tre mesi di battaglia e non meno di 450 vittime, in gran parte civili.
Ieri, intanto, l’Onu ha confermato la presenza di truppe etiopiche in Somalia: secondo l’inviato del segretario generale, Francois Lanseny Fall, soldati inviati da Addis Abeba sono presenti sul territorio somalo, ma le stime di 4-5.000 militari denunciate da diverse fonti sarebbero a sui parere “esagerate”. Le Corti hanno chiesto all’Etiopia il ritiro immediato, mentre il governo di Addis Abeba anche oggi – attraverso l’agenzia di stampa Ena ha denunciato la presenza di elementi fondamentalisti all’interno delle stesse Corti, esprimendo preoccupazione per i movimenti “contrari alla pace” nella regione.
SOMALIA 27/7/2006 17.24
BAIDOA: SI DIMETTE UN TERZO DEL GOVERNO DI TRANSIZIONE
Almeno 27 esponenti del governo somalo di transizione – su un totale di 92 previsto dalla Costituzione provvisoria - si sono dimessi oggi in segno di protesta contro la scelta del primo ministro Ali Mohamed Gedi di interrompere il dialogo con le Corti islamiche, al potere a Mogadiscio e in ampie regioni del sud del paese dall’inizio di giugno. La MISNA lo ha appreso da fonti politiche a Baidoa, la città meridionale dove hanno sede le istituzioni di transizione, tra cui il Parlamento. Tra i dimissionari, vi sarebbero almeno 11 responsabili di dicasteri; gli altri sono viceministri e sottosegretari; tutti dovrebbero comunque mantenere la carica di deputati. La protesta – ha detto alla MISNA il deputato Sharif Mohamed Said, raggiunto per telefono a Baidoa – “è rivolta verso il primo ministro, che si è espresso contro il dialogo con le Corti islamiche. La maggioranza dei deputati, insieme al presidente dell’Assemblea Sharif Hassan Sheikh Aden è invece favorevole a un negoziato anche con l’ala più radicale delle stesse Corti”. Non pochi ministri hanno manifestato con le dimissioni anche il dissenso per la presenza di truppe etiopiche in Somalia, inviate dalle autorità di Addis Abeba “a protezione” del governo di transizione somalo.
SOMALIA 27/7/2006 20.33
ERITREA CHIEDE RITIRO TRUPPE ETIOPICHE
Il governo di Asmara ha chiesto “con forza” all’Etiopia l’immediata sospensione “di tutti gli atti di invasione” in Somalia, dove le truppe di Addis Abeba sono state inviate a protezione del governo di transizione: lo si legge sul sito internet del ministero dell’informazione eritreo. Nel comunicato – al quale l’Etiopia per ora non ha risposto – Asmara sostiene che l’attuale crisi può degenerare “nella destabilizzazione e nel caos” dell’intero Corno d’Africa. L’Eritrea è accusata di sostenere le Corti islamiche, che all’inizio di giugno hanno conquistato Mogadiscio e oggi controllano gran parte delle zone meridionali della Somalia. L’Etiopia – avversaria dell’Eritrea nel conflitto del 1998-2000 e protagonista di una crisi non ancora risolta con Asmara – ha invece sempre sostenuto il governo somalo ad interim e in particolare il presidente Adbullahi Yussuf. Ieri il governo – che ha sede nella città meridionale di Baidoa, l’unica che è in grado di controllare – ha accusato l’Eritrea di aver fornito armi alle Corti islamiche per l’atterraggio di un aereo-cargo a Mogadiscio.
SOMALIA 28/7/2006 10.44
CORTI ISLAMICHE INVITATE A RIPRENDERE NEGOZIATI CON GOVERNO
Un nuovo, reiterato, invito a riprendere i colloqui di pace col governo di transizione della Somalia è stato lanciato dal rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Somalia, Francois Lonseny Fall, al presidente del Consiglio esecutivo delle Corti Islamiche, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed. Lo riferiscono fonti delle Nazioni Unite, precisando che in una lettera, spedita ieri, l’inviato Onu chiede al dirigente delle Corti (che secondo gli osservatori rappresenta l’ala moderata del movimento, al momento però guidato da elementi più intransigenti e radicali) di inviare una delegazione ai colloqui che dovrebbero riprendere la prossima settimana nella capitale sudanese Khartoum con la mediazione della Lega Araba. Nella missiva, Fall assicura a Sheikh Ahmed il massimo impegno dell’Onu “nel proseguire su tutte le strade in grado di portare la pace e la riconciliazione nel paese attraverso il dialogo”. Fall è rientrato nei giorni scorsi a Nairobi, in Kenya, dopo aver incontrato in Somalia sia il governo di transizione che le Corti: Strappato il consenso al primo per l’invio di emissari governativi al tavolo negoziale, era ripartito per il Kenya senza una risposta certa delle Corti. Le due anime dell’attuale politica somala si erano incontrate a Khartoum il 22 giugno scorso, siglando un accordo per un cessate il fuoco e promettendo di astenersi da qualsiasi provocazione che avrebbe potuto portare a un’escalation del conflitto.
«Agguato ordinato dalle Corti islamiche» Ma i tribunali coranici accusano l’Etiopia Oggi il Parlamento vota sulla mozione di sfiducia al premier Gedi: probabile la sua uscita dall’esecutivo
Somalia, caos a Baidoa: assassinato un ministro
Il responsabile degli Affari costituzionali è stato colpito all'uscita da una moschea Fermato sospetto. Il governo: «È un'azione terroristica» Esplode la protesta
[Avvenire] Un omicidio «eccellente» rischia di far deragliare le già flebili speranze di stabilizzazione della Somalia, dove sono sempre più forti i contrasti tra le Corti islamiche di Mogadiscio e l'esecutivo di transizione stanziato a Baidoa. Proprio a Baidoa è stato ucciso ieri in un agguato il ministro per gli Affari costituzionali e federali, Abdallah Deerow Isaq. L'esponente governativo è stato colpito da una raffica di proiettili all'uscita di una moschea. «Un'azione terroristica - secondo il ministro dell'Informazione, Mohamed Abdi Hayr - «Un omicidio premeditato e ben organizzato». Subito dopo l'agguato, il governo ha ordinato alle forze di sicurezza di bloccare ogni possibile via di fuga dalla città, mentre alcune centinaia di persone sono scese in strada per protestare contro l'episodio di violenza.
Le ricerche della polizia hanno portato all'arresto di un individuo, sospettato di essere tra i componenti del gruppo che ha fatto fuoco contro Isaq. L'uomo è stato interrogato per diverse ore: se verrà dimostrata la sua colpevolezza rischia la pena di morte.
Per quanto riguarda i mandanti dell'operazione, diversi osservatori hanno puntato il dito contro le Corti, sostenendo che l'omicidio rappresenta un'ulteriore avvisaglia della volontà degli islamici di imporre con la forza la propria autorità nel Paese. «Agguati così ben preparati possono essere messi a segno soltanto da organizzazioni collegate ad al-Qaeda», ha sottolineato un analista locale, ricordando i sospetti più volte già circolati sui contatti tra le Corti e il network di Ossama Benladen.
Uno dei principali leader dei tribunali, sheikh Sharif Ahmed, ha smentito il coinvolgimento del movimento coranico con l'assassinio di Isaq, «di cui, invece, è responsabile l'Etiopia». Addis Abeba, intervenuta una settimana fa con centinaia di miliziani in difesa del governo somalo, è vista dalle Corti come uno dei principali ostacoli all'espansione del movimento islamico nel Paese.
Tra le altre ip otesi circolate sull'omicidio, anche quella di un regolamento di conti tutto interno all'esecutivo, che negli ultimi giorni si è diviso tra un'ala dura (capeggiata dal primo ministro, Ali Mohamed Gedi) decisa a non riprendere i negoziati con gli islamici, e una corrente più moderata (guidata dallo speaker del Parlamento, Sceikh Adan) disponibile a riavviare le trattative.
Il braccio di ferro aveva portato, due giorni fa, alle dimissioni di una ventina di membri governativi (tra ministri e sottosegretari). Isaq non figurava nella lista di coloro che hanno abbandonato l'esecutivo, ma la sua morte potrebbe rappresentare un avvertimento per altri esponenti delle istituzioni.
Oggi, peraltro, il Parlamento discuterà una mozione di sfiducia contro il premier, che rischia di essere estromesso dalla compagine di Baidoa.
Da Mogadiscio, peraltro, giungono sempre più spesso voci secondo le quali diversi velivoli, con a bordo «carichi misteriosi», sarebbero atterrati negli ultimi giorni in città. Il sospetto avanzato da alcune fonti locali è che i mezzi fossero imbottiti di armi indirizzate ai miliziani delle Corti. È l'ipotesi fatta propria anche dal governo di Baidoa, che non ha esitato a individuare nell'Eritrea lo spedizioniere degli islamici.
la roccaforte «protetta» da Addis Abeba
[Avvenire] Baidoa è sede da diversi mesi del governo di transizione somalo, che, formato in Kenya alla fine del 2004, non si è ancora mai riunito a Mogadiscio. Situata a 240 chilometri a Nord-Ovest della capitale, Baidoa è attualmente l'unica roccaforte rimasta all'esecutivo, dopo che le Corti islamiche hanno conquistato nelle ultime settimane, oltre alla capitale, vaste zone del Sud del Paese, compresa l'importante città di Jowhar. Il rischio che i tribunali coranici si spingessero a invadere anche Baidoa, ha indotto una settimana fa l'Etiopia a inviare un contingente militare a protezione del governo somalo. L'esecutivo, infatti, dispone di una forza di sicurezza limitata, che difficilmente avrebbe potuto tenere testa a un'eventuale avanzata dei miliziani islamici.
SOMALIA 28/7/2006 14.42
BAIDOA: MINISTRO UCCISO, FERMATO PRESUNTO OMICIDA
Una persona sarebbe stata fermata poco fa per l’omicidio del ministro per gli affari federali e costituzionali Abdallah Derrow Isaak, assassinato oggi mentre saliva a bordo della sua auto all’uscita da una moschea a Baidoa, sede del governo di transizione. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, secondo cui non è ancora stata diffusa l’identità del presunto omicida. “Il ministro è stato colpito davanti a centinaia di persone che uscivano dalla moschea al termine della preghiera del venerdì, i testimoni sono moltissimi e probabilmente hanno riconosciuto chi ha sparato” ha detto una fonte locale alla MISNA. Intanto a Baidoa si sta già preparando il funerale del ministro, che fu anche presidente del parlamento in esilio a Gibuti nel 2000. Si è appreso inoltre che la vittima apparteneva al clan dei Digil Merifle. Non è il primo esponente di gruppo clan a essere colpito a Baidoa, dove ha sede anche il Parlamento di transizione: due giorni fa uomini armati hanno sparato a un deputato dello stesso clan, l’avvocato Mohamed Ibrahim, provocandogli gravi ferite alle gambe che hanno reso necessario il trasferimento a Nairobi, in Kenya.
SOMALIA 28/7/2006 15.37
E INTANTO A MOGADISCIO SALE LA TENSIONE
Mentre da Baidoa giunge la notizia dell’uccisione di un ministro del governo di transizione, a Mogadiscio cresce la tensione dopo l’arrivo in città di alcuni aerei che avrebbero scaricato uomini e armi a sostegno delle milizie delle Corti Islamiche. “In città e sulla stampa internazionale si è parlato nei giorni scorsi di un aereo arrivato a Mogadiscio, ma fonti ben informate riferiscono di almeno 3 velivoli atterrati in tre differenti piste intorno alla città” dice alla MISNA una fonte diplomatica occidentale contattata a Nairobi e che ha chiesto di restare anonima. Una parziale conferma arriva da alcune agenzie di stampa internazionali che riferiscono di un altro aereo cargo atterrato oggi a Mogadiscio e il cui misterioso carico sarebbe stato subito trasferito in alcuni magazzini di proprietà di esponenti delle Corti. "L'aereo portava armi dall'Eritrea, violando l'embargo dell'Onu" ha detto un esponente del governo, Salad Ali Jelle, che è tornato ad accusare Asmara di sostenere le Corti nella sua guerra ‘per conto terzi’ con Addis Abeba , a sua volta accusata di sostenere apertamente il presidente Abdullahi Yusuf e le istituzioni somale con sede a Baidoa. Mentre voci di un’imminente attacco etiope contro Mogadiscio continuano a essere messe in circolazione nella principale città dell’ex-colonia italiana, spaventando la popolazione, in città risuonano gli spari dei miliziani delle Corti che puliscono o provano le armi, un segnale che ormai gli abitanti sanno non precludere a niente di buono. Fonti locali riferiscono anche di miliziani che da alcuni giorni si starebbero recando nelle scuole della città invitando i giovani tra i 14 e i 18 anni ad arruolarsi e ad unirsi alla loro lotta. Ma nonostante i numerosi segnali che sembrerebbero indicare una prossima radicalizzazione delle tensioni tra Governo e Corti, fonti giornalistiche della MISNA a Mogadiscio confermano che i vertici dei Tribunali Islamici sembrano ormai intenzionati a recarsi a Khartoum (l’1 e 2 agosto prossimi) per la seconda tornata dei colloqui di pace col governo di transizione organizzati dalla Lega Araba e che una comunicazione ufficiale a questo riguardo è attesa nelle prossime 48 ore. Dall’inizio della crisi, comunque, i rapporti tra istituzioni somale e corti islamiche sono stati altalenanti.
SOMALIA 28/7/2006 19.43
DISORDINI E PROTESTE IN CITTÀ
Disordini si sono verificati nel pomeriggio a Baidoa, dove oggi intrno alle 13.30 ora locale è stato ucciso il ministro per gli Affari costituzionali e federali del governo di transizione, Abdallah Deerow Isaaq. Fonti della MISNA sul posto hanno riferito che i manifestanti hanno bruciato copertoni per le strade, protestando con slogan e cortei contro l’uccisione del ministro, mentre in città cresce la tensione. La MISNA ha appreso inoltre che anche a Baidoa – come a Mogadiscio – in questi giorni sono atterrati aerei cargo con armi e materiale bellico, facendo aumentare i timori di uno scontro armato tra il governo di transizione – sostenuto politicamente dalla comunità internazionale e militarmente dall’Etiopia – e le Corti islamiche, che hanno l’appoggio dell’Eritrea.
Il ministro assassinato non era tra i circa 20 componenti del governo che ieri si erano dimessi in segno di protesta contro il primo ministro Ali Mohammed Gedi, che ha rifiutato il dialogo con l’Unione delle Corti islamiche. Intanto il rappresentante speciale dell’Onu per la Somalia, Francois Fall, ha condannato l'uccisione del ministro, che è stato colpito oggi con 4 colpi di arma da fuoco all’uscita da una moschea dopo la preghiera del venerdì. La MISNA ha avuto conferma che una persona è stata arrestata e la polizia la sta interrogando. Stando a elementi raccolti in città, sembra che l’attentatore avesse partecipato alla preghiera del venerdì e non è escluso che si trovasse all’interno della moschea prima di sparare contro il ministro. Stando a voci in circolazione a Baidoa – la città meridionale controllata dal debole governo di transizione – gli eventi degli ultimi due giorni potrebbero portare a una caduta dell’esecutivo guidato da Ali Gedi. I componenti del governo che si sono dimessi ieri hanno però mantenuto l’incarico di deputati: l’eventuale sfiducia ad al premier dovrebbe comunque essere votata dal Parlamento di transizione, che conta 275 deputati in rappresentanza dei 4 principali clan somali e di una quinta componente che raggruppa i sottoclan minori.
SOMALIA 29/7/2006 12.43
BAIDOA: RINVIATO VOTO DI SFIDUCIA PER FUNERALI DEL MINISTRO UCCISO IERI
All’indomani dell’assassinio del ministro per la Costituzione e il Federalismo Abdallah Deerow Isaaq, e dei successivi disordini dinanzi alla sede temporanea del governo a Baidoa, il parlamento di transizione ha deciso di ridurre le tensioni rinviando il voto previsto oggi per la sfiducia al primo ministro Ali Mohamed Gedi perché non coincidesse con i funerali del ministro ucciso all’uscita da una moschea dopo le preghiere del venerdì. “Oggi si onora la memoria del nostro amato ministro, perciò non vi sarà alcuna sessione parlamentare” ha detto il ministro delle Comunicazioni Mohamed Abdi Hayr, mentre il presidente Abdullahi Yusuf e altri autorevoli esponenti del governo ad interim costituito nel 2004 hanno guidato il corteo funebre. Isaaq non era tra i circa 20 dei 92 componenti del governo che giovedì si erano dimessi dall’esecutivo - pur mantenendo l’incarico di deputati - per protestare contro la scelta di Gedi di rifiutare il dialogo con l’Unione delle Corti islamiche che all’inizio di giugno ha sottratto il controllo di Mogadiscio ai signori della guerra ed esteso la propria influenza su altre località meridionali del paese. Il dibattito parlamentare sulla mozione di sfiducia previsto oggi – ha aggiunto Hayr – “potrebbe avvenire domani, o il giorno dopo. Aspetteremo quello che deciderà il presidente del parlamento”. Intanto le autorità hanno arrestato sette persone sospettate di essere coinvolte nell’omicidio del ministro. Non è chiara per ora la responsabilità dell’attentato, anche se esponenti delle Corti islamiche da Mogadiscio addossano la responsabilità alle truppe etiopiche inviate a Baidoa a protezione del governo di transizione.
Somalia: premier accusa terroristi
Gedi punta il dito contro Libia, Egitto, Iran ed Eritrea
Gli assassini del ministro somalo ucciso ieri a Baidoa hanno legami col 'terrorismo internazionale', ha dichiarato il premier somalo Gedi. 'Abdallah Deerow Isaq e' stato ucciso da criminali legati al terrorismo internazionale. E' uno sfortuna che alcuni Paesi che noi pensiamo siano nostri amici si siano uniti per distruggere il governo federale di transizione - ha detto il premier - Tra questi paesi ci sono Libia, Egitto, Iran ed Eritrea che stanno alimentando il terrorismo in Somalia'.
Somalia: fiducia al premier
La polizia deve sedare una rissa tra deputati
Il premier somalo Ali Mohamed Gedi e' riuscito a superare una mozione di sfiducia presentata contro di lui in parlamento. Subito dopo il voto e' scoppiata una rissa tra i parlamentari: si sono presi a pugni ed hanno lottato gettandosi a terra finche' non e' intervenuta la polizia. I promotori della sfiducia ritenevano che dopo la vittoria delle corti islamiche a Mogadiscio il premier si dovesse dimettere per lasciare il posto ad un esponente delle corti.
SOMALIA 30/7/2006 18.48
BAIDOA: PRIMO MINISTRO ESCE INDENNE DA VOTO DI SFIDUCIA
Mohamed Gedi resta il primo ministro del governo di transizione della Somalia: i proponenti della mozione di sfiducia nei confronti del premier, scelto dal presidente Abdullahi Yusuf, infatti, non sono riusciti a raccogliere il numero di voti necessari a licenziarlo. La votazione si è conclusa con 88 voti a favore di Gedi e 126 contrari, ma per rimuovere il primo ministro servivano almeno138 voti su un totale di 275. “Ringrazio tutti ed esprimo la mia gratitudine a coloro che hanno votato per mantenermi al governo” ha detto Gedi subito dopo il voto, salutando anche coloro che hanno votato contro di lui “per aver esercitato pacificamente il loro diritto”. Dopo il voto quattro deputati sono stati protagonisti di una piccola rissa in aula, costringendo la polizia ad intervenire per calmare gli animi. Nei giorni scorsi una ventina di esponenti del governo di transizione si erano dimessi dall’esecutivo per protestare contro la scelta di Gedi di rifiutare il dialogo con l’Unione delle Corti islamiche e per le aperture del primo ministro a favore di un intervento militare etiope (in chiave anti Corti Islamiche) in Somalia. Contestualmente alle dimissioni, alcuni deputati avevano presentato una mozione di sfiducia per chiedere il licenziamento di Gedi.
SOMALIA 31/7/2006 15.48
BAIDOA: SOSTEGNO A PRIMO MINISTRO, COLLOQUI ANCORA IN FORSE
Centinaia di persone hanno manifestato, questa mattina, il loro sostegno al primo ministro del governo di transizione somalo Mohamed Gedi, scampato ieri per un soffio alla rimozione dall’incarico, visto che la mozione di sfiducia presentata nei suoi confronti ha ottenuto ‘solo’ 126 voti a favore invece dei 138 necessari (su un totale di 275 parlamentari) per licenziarlo. La folla di sostenitori di Gedi si è raccolta questa mattina di fronte all’abitazione del primo ministro nella cittadina di Baidoa (sud della Somalia), dove hanno sede temporaneamente le nuove istituzioni. Secondo alcuni, la sconfitta di Gedi avrebbe portato al collasso il governo di transizione nato nel 2004 al termine dei quattordicesimi colloqui di pace organizzati dalla comunità internazionale dopo la caduta di Siad Barre (1991) e l’avvento dell’anarchia nell’ex-colonia italiana. Secondo altri, invece, l’uscita di scena dell’attuale primo ministro (molto vicino al presidente Abdulahhi Yusuf) avrebbe liberato una poltrona importante da offrire alle Corti Islamiche in vista di nuovi negoziati. A proposito dei colloqui di pace che domani e mercoledì dovrebbero riprendere a Khartoum, in Sudan, con la mediazione della Lega Araba, il presidente delle Corti Islamiche (il movimento che attualmente controlla la capitale e altre delle principali località del Sud della Somalia) Sheikh Hassan Dahir Aweys ha ribadito ieri, durante un collegamento telefonico con una delle radio più ascoltate del paese, che le Corti non parteciperanno ad alcun negoziato col governo di transizione finché le truppe etiopi dispiegate in alcune zone del paese a sostegno dell’esecutivo non lasceranno il territorio somalo. E se le Corti denunciano il sostegno armato che Addis Abeba fornisce alle istituzioni di Baidoa, il premier Gedi sabato scorso è tornato ad accusare l’Eritrea, ma anche la Libia, l’Egitto e l’Iran, di fornire armi alle milizie dei Tribunali islamici che controllano Mogadiscio.
SOMALIA 1/8/2006 11.41
CORTI ISLAMICHE “CONQUISTANO” DISTRETTI A NORD DI MOGADISCIO
Un nuovo tribunale è stato aperto dalle Corti islamiche nel distretto di Adaad, nella regione centrale del Galgudud, alcune centinaia di chilometri a nord della capitale Mogadiscio. La MISNA lo ha appreso da fonti radiofoniche locali, secondo cui l’operazione costituisce un “rafforzamento” del potere delle Corti islamiche, che dall’inizio di giugno controllano la capitale e ampie regioni del sud. Secondo la stessa fonte, milizie islamiche a bordo di fuoristrada dotati di armi pesanti hanno raggiunto le zone centrali del paese ottenendo “calorosa accoglienza”. “Andremo ovunque la gente ci chiederà di aprire un tribunale” ha detto Sheikh Hassan Dahir Aweys, l’ex-colonnello di Siad Barre e già capo di una milizia islamica negli anni Novanta, che oggi guida l’ala più radicale delle Corti. Avrebbe anche aggiunto di voler raggiungere Galkayo, non distante dai confini interni con il Puntland, la regione semi-autonoma di cui è stato ‘signore della guerra’ l’attuale presidente somalo Abdullahi Yusuf, sostenuto dall’Etiopia.
Intanto da Baidoa, dove ha sede il fragile governo di transizione, arrivano notizie delle dimissioni di altri 4 componenti del governo – composto in totale da 92 tra ministri, vice e sottosegretari – che si aggiungono ai 19 che nei giorni scorsi avevano rinunciato all’incarico per protestare contro il primo ministro Ali Mohamed Gedi, contrario secondo loro al dialogo con le Corti. Domenica era stata bocciata una mozione parlamentare di sfiducia del governo e ieri centinaia di persone hanno manifestato a Baidoa per esprimere sostegno a Gedi.
SOMALIA 1/8/2006 14.29
RINVIATI NEGOZIATI GOVERNO-CORTI, PRIMO MINISTRO CHIEDE TEMPO
È stata fissata al prossimo 17 agosto la seconda tornata dei negoziati organizzati in Sudan dalla Lega Araba per trovare un accordo politico tra il governo di transizione della Somalia e la potente Unione delle Corti Islamiche, che ormai controlla Mogadiscio e alcuni dei principali centri abitati del sud del Paese. Lo ha fatto sapere oggi il primo ministro somalo Mohamed Gedi, in una conferenza stampa, durante la quale ha anche precisato che il rinvio di 15 giorni era stato chiesto dal suo governo ai mediatori arabi. Secondo indiscrezioni raccolte dalla MISNA in ambienti diplomatici, lo spostamento dei colloqui potrebbe essere legato alle recenti frizioni emerse all’interno del governo e che negli ultimi giorni hanno portato al ritiro dall’esecutivo di una ventina di ministri (gli ultimi solo stamani) e a una mozione di sfiducia contro Gedi presentata dalla stessa corrente a cui appartengono i ministri dimissionari. In base agli accordi presi, la delegazione governativa somala che avrebbe dovuto recarsi a Khartoum (in Sudan) oggi e domani per la seconda fase dei colloqui doveva essere guidata dal presidente del parlamento Sharif Hassan Sheikh Ahmed, considerato il capofila dell’ampia corrente governativa contraria a Gedi. Proprio nel tentativo di ricomporre l’ennesimo strappo creatosi all’interno delle istituzioni di transizione somale, diplomatici dell’Igad, l’autorità regionale per l’Africa orientale, stanno incontrando da questa mattina a Nairobi esponenti del governo e del parlamento. Intanto oggi a Baidoa, la cittadina del sud del Paese in cui hanno sede le istituzioni di transizione somale, il presidente Abdullahi Yusuf ha lanciato un ultimatum chiedendo a tutti i residenti di consegnare alle autorità tutte le armi in loro possesso, prima che le forze di sicurezza comincino una campagna di disarmo forzato.
Somalia: altri ministri lasciano
Sempre piu' fragile amministrazione del premier Gedi
Altri quattro membri del governo ad interim della Somalia hanno presentato le loro dimissioni. Il loro abbandono alle attivita' governative mina ulteriormente la stabilita' della fragile amministrazione del premier Ali Gedi. Solo due giorni fa l'esecutivo di Gedi era riuscito a superare indenne una mozione di sfiducia presentata da oltre 150 dei 247 deputati somali dopo che ben 18 tra ministri e segretari di Stato si erano dimessi giovedi' scorso.
AFRICA 3/8/2006 2.41
ETIOPIA ED ERITREA PER UNA VOLTA D’ACCORDO… IN SUDAN
Per una volta Etiopia ed Eritrea sembrerebbero andare d’accordo: pur mantenendo da mesi relazioni tese – a causa della mai risolta crisi seguita al conflitto territoriale del 1998-2000 – i due governi ‘rivali’ del Corno d’Africa in questo periodo stanno intensificando in modo crescente le relazioni diplomatiche e commerciali con il Sudan. La stampa locale riferiva ieri che il rafforzamento dei legami tra Khartoum e Addis Abeba è stato al centro di un incontro tra il presidente del parlamento etiopico Teshome Toga e l’assistente alla presidenza sudanese, Nafei Ali Nafei. I due avrebbero discusso, tra l’altro, dei rapporti tra Etiopia ed Eritrea e della crisi somala. Il Sudan – stando al resoconto riportato dai giornali – ha ribadito le sue intenzioni di svolgere un’azione di ‘buon vicinato’ con la Somalia. Di fatto la mediazione tra le Corti islamiche di Mogadiscio e il governo ad interim somalo è stata di recente assunta dal Sudan, che sta cercando di avviare il dialogo malgrado non pochi problemi interni. Intanto anche l’Eritrea – che non ha relazioni dirette con l’Etiopia e sostiene le Corti islamiche somale proprio in funzione anti-Addis Abeba – ha dimostrato interessi verso il Sudan, in particolare sul fronte commerciale: proprio in questi giorni il governo di Asmara si è detto interessato a importare petrolio dal Sudan per soddisfare il suo fabbisogno.
SOMALIA 3/8/2006 15.18
AGENDA DI PACE TRA GOVERNO E CORTI PREVEDE “UNITÀ NAZIONALE”
Comprenderebbe cinque punti – tra cui un governo di unità nazionale e l’ipotesi di uno status di autonomia speciale per Mogadiscio – l’agenda che la delegazione governativa e le Corti islamiche dovrebbero discutere a Khartoum forse già da domani con l’obiettivo di rilanciare il processo di riconciliazione in Somalia ed evitare nuovi scontri armati. La MISNA lo ha appreso da fonti politiche a Baidoa, la città del sud-ovest dove hanno sede le istituzioni di transizione. Una delegazione di 15 membri guidata dal presidente del Parlamento Sheikh Hassan Sheikh Aden e composta tra gli altri dal ministro degli Esteri somalo “è in attesa di partire per il Sudan e riavviare i colloqui con le Corti islamiche” ha detto alla MISNA un deputato contattato per telefono. Della delegazione faranno parte anche alcuni ministri dimissionari, che hanno però mantenuto l’incarico di deputati. Sono ormai una quarantina i componenti del governo su 102 – tra cui 27 ministri – che hanno rinunciato al loro mandato per protestare contro la politica del primo ministro Ali Mohamed Gedi. Nei giorni scorsi il premier - che oggi ha fatto sapere di non volersi dimettere - aveva chiesto un nuovo rinvio della trattativa con l’Unione delle Corti islamiche, che dall’inizio di giugno controllano la capitale e alcune zone meridionali del paese; domenica scorsa una mozione di sfiducia del governo era stata bocciata in Parlamento ma l’esecutivo di Gedi si è fortemente indebolito. “La delegazione governativa non è in contrasto col capo del governo, ma viene inviata di intesa tra il presidente Abduallhi Yusuf, il primo ministro e il capo del Parlamento” ha aggiunto la fonte della MISNA.
Dai contatti intercorsi in questi giorni, sembra che le Corti islamiche siano disposte al dialogo su cinque punti: 1) cessate-il-fuoco; 2) riunificazione delle forze di sicurezza nazionali; 3) governo di unità nazionale; 4) rilancio dell’economia; 5) creazione di un’amministrazione territoriale (che in Somalia manca del tutto dal 1991, quando con la caduta del dittatore Siad Barre il paese è sprofondato nel caos). L’intento – almeno sulla carta – è di creare apposite commissioni che possano affrontare i singoli punti. Nell’ipotesi di accordo potrebbe rientrare anche una possibilità di riconoscimento di autonomia speciale per la capitale Mogadiscio, totalmente controllata dalle Corti. Intanto, nella notte, si sarebbe dimesso anche il ministro della sanità Abdul-Aziz Sheikh Youssef, aggiungendosi al lungo elenco. “Qui a Baidoa – dice alla MISNA con ironia il deputato, quasi per sdrammatizzare le tensioni politiche – quando ci si sveglia il mattino c’è qualche ministro in meno”.
ETIOPIA/ERITREA – Resta “stabile ma tesa” la situazione nell’area smilitarizzata che separa i due paesi del Corno d’Africa dalla fine della guerra del 1998-2000: lo afferma oggi la missione di monitoraggio dell’Onu (Unmee), che continua a garantire assistenza medica alle popolazioni locali che vivono nella ‘zona cuscinetto’ lungo i circa mille chilometri di confine comune.
SOMALIA 4/8/2006 13.11
MOGADISCIO: CORTI ISLAMICHE CREANO “NUOVA POLIZIA”
I miliziani dell’Unione delle Corti islamiche hanno occupato commissariati e caserme della polizia – dissolta nel 1991 dopo la fuga di Siad Barre – e “lavoreranno” come agenti per garantire l’ordine pubblico: lo ha detto il loro responsabile della sicurezza, Abdulahi Nahar, a un’emittente radiofonica della capitale. Ha aggiunto che i miliziani sono stati dispiegati nelle ex-strutture della polizia a Mogadiscio e in alcuni distretti della regione del Banadir – anche se non vi sono conferme indipendenti. Secondo Nahar gli uomini armati delle Corti islamiche avrebbero ricevuto una formazione “sufficiente” per svolgere compiti di polizia e qualsiasi ex-poliziotto o ex-ufficiale che vorrà prestare servizio sotto la nuova “amministrazione” di Mogadiscio sarà il benvenuto. Ribadendo le promesse di sicurezza avanzate dalle Corti già dai mesi scorsi, ha poi garantito che l’obiettivo è quello di sconfiggere il crimine e garantire la sicurezza della popolazione. Le Corti islamiche hanno conquistato Mogadiscio all’inizio di giugno, sconfiggendo una sedicente coalizione di signori della guerra – sostenuti dagli Usa – che per anni avevano controllato il territorio con la violenza delle bande armate; tra i primi “provvedimenti” adottati dalle Corti nelle scorse settimane, la messa al bando delle armi. Episodi di violenza sono stati comunque segnalati anche di recente ma resta difficile valutare l’effettivo miglioramento della situazione sul terreno. Intanto si attende l’avvio di colloqui in Sudan tra una delegazione del governo ad interime con sede a Baidoa, nel sud-ovest del paese, e le stesse Corti (che hanno al loro interno anche alcuni elementi radicali vicini alla rete del terrorismo internazionale), per cercare un accordo di riconciliazione e dar vita a un governo di unità nazionale.
SOMALIA 4/8/2006 16.04
ERITREA NEGA GUERRA ‘BY PROXY’ CON ETIOPIA
“L’Eritrea non ha mai guardato alla Somalia come a un campo di battaglia per risolvere le questioni aperte con l’Etiopia”: lo sostiene un documento pubblicato oggi su un sito ufficiale governativo in cui si definiscono “senza fondamento” le accuse secondo cui l’Eritrea starebbe fornendo armi alle Corti Islamiche che controllano Mogadiscio e alcune delle principali località del sud del paese. “Il conflitto territoriale con l’Etiopia è un problema così grave che non può essere combattuto in Somalia” prosegue la nota, in cui ripetutamente si nega sia la possibilità di una guerra tra Asmara e Addis Abeba combattuta via terzi (le Corti Islamiche per i primi e il governo di transizione per i secondi), sia il sostegno eritreo ai tribunali islamici, soprattutto attraverso la fornitura di armi. Eppure proprio su questo aspetto le conferme a un coinvolgimento eritreo non mancano, non ultimi i vari rapporti (l’ultimo solo qualche mese fa) redatti dagli esperti delle nazioni Unite incaricati di verificare le violazioni all’embargo sulle armi imposto alla Somalia. Recentemente poi, alcuni aerei (in base alle informazioni raccolte dalla MISNA almeno 3) sono atterrati a Mogadiscio per scaricare materiale militare che secondo molti proveniva proprio dall’Eritrea.
Somalia: premier nomina 7 ministri
Dopo ondata dimissioni che minacciano debole governo
Il primo ministro somalo ha nominato sette nuovi ministri, dopo che un'ondata di dimissioni ha minacciato il fragile governo di transizione. 'Alcuni ministri se ne sono andati, altri li ho licenzati ed altri ancora si sono dimessi, per questo ho nominato questi ministri', ha spiegato Gedi nella sede provinciale del governo di Baidoa. I dimissionari avevano addotto come causa la riluttanza di Gedi a dialogare con i rivali islamici che controllano una larga parte del Paese.
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