Adric
26-09-2005, 04:23
Sabato 24 Settembre 2005
Il ministro di Giustizia: «È una rivoluzione copernicana. Con le nuove norme si salva un patrimonio aziendale fatto di beni immateriali »
Castelli: «È stata ridata dignità al fallito onesto»
Approvata dal governo la riforma delle procedure concorsuali, dove il giudice è soltanto arbitro.
ROMA - «Una rivoluzione copernicana»: così il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha definito la riforma del diritto fallimentare varata ieri dal Consiglio dei ministri. Perché il fallito «non diventa più il colpevole meritevole di non avere diritti civili e di non votare più per cinque anni». Il Guardasigilli, nel corso della conferenza stampa, con al fianco il sottosegretario all'Economia Michele Vietti (Udc, ex sottosegretario alla Giustizia che ha curato in particolare l’elaborazione del testo), ha spiegato che «il fallito in buona fede diventa un imprenditore che può aver avuto un infortunio durante la sua attività». In questo modo si cerca di «salvare un patrimonio aziendale fatto di beni immateriali e il corpo vivo dell'azienda». Questa riforma, inoltre, secondo Castelli: «Accresce la competitività del sistema e ci pone al pari dei Paesi più moderni».
Tra le novità il ministro della Giustizia ha indicato l'introduzione del rito camerale e la esdebitazione. E ancora: «Il nuovo dominus di tutto l'iter procedurale non sarà più il giudice, ma il curatore e il comitato di creditori. Il magistrato - sottolinea Castelli - diventa una sorta di arbitro» che controlla l'intero iter.
Castelli ha poi raccontato qualche «retroscena». La strada per l’approvazione «è stata tutta in salita anche per alcune obiezioni di banche e imprese». Il Guardasigilli ha accennato a «momenti anche drammatici», poi superati. Castelli ha riferito che «quando sembrava che il decreto fosse ormai approvato, da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta è arrivata una segnalazione del mondo delle banche e delle imprese. Dicevano: se il testo è questo, allora è meglio non farne nulla». A quel punto, ha aggiunto Castelli, «ci si è seduti attorno a un tavolo fino a quando non è stato trovato l'accordo. Mi aspetto veramente che non ci siano critiche - ha concluso il ministro - perchè il testo è nato da una interlocuzione davvero complessa».
Commenti critici, tuttavia, sono giunti ieri dall’ex presidente della Consob Guido Rossi e dall’avvocato Franzo Grande Stevens. Per Rossi: «Si tratta di una riforma non del tutto equilibrata, accanto ad innovazioni positive ve ne sono altre meramente frutto di missioni corporative, soprattutto da parte del mondo bancario». Per l’avvocato Grande Stevens: «Va nella direzione opposta a quella di un sistema economico liberale. Infatti si va a minimizzare il rischio d'impresa alla base di un vero capitalismo evoluto».
M.Cof.
L’INTERVISTA
Vietti: «Abbiamo creato uno strumento per risolvere presto le crisi d’impresa»
di MARIO COFFARO
ROMA - «Con questa riforma il fallimento sarà trasformato da istituto punitivo in strumento per prevenire e risolvere con rapidità le crisi d’impresa»: questa, spiega il sottosegretario all’Economia Michele Vietti (Udc), è la filosofia di fondo della nuova legge approvata ieri dal governo.
Valeva la pena farla proprio in un momento così difficile per l’economia?
«In un momento in cui si moltiplicano le crisi d’impresa era più urgente riformarne le regole. Dopo 60 anni di attesa il diritto fallimentare può e deve dare certezze. Può distribuire il rischio della relazione commerciale in modo prevedibile e garantire la stabilità dei rapporti; evitare il più possibile perdite inutili. La ragione della riforma del sistema fallimentare, in un contesto dove non vi è solo concorrenza tra le imprese, ma anche concorrenza tra ordinamenti è quella di snellire e modernizzare le procedure e non solo agevolare gli addetti ai lavori. Le esigenze di riforma del diritto fallimentare, quindi, rimandano direttamente al sistema economico che ci governa; al suo grado di modernità; alla sua competitività; alla sua stabilità».
Cosa cambia in sostanza?
«La novità sta in un nuovo equilibrio dei poteri tra gli organi della procedura. Al curatore viene affidata la gestione operativa del fallimento, d’intesa con il Comitato dei creditori che è chiamato ad un ruolo molto più incisivo. Il giudice, invece, viene restituito alla sua funzione primaria di regolatore delle controversie e controllore della legalità».
Perché è stata introdotta una nuova “premialità”?
«Anche per venire incontro alle censure dell’Europa. Abbiamo ridato almeno in parte al fallito la sua dignità restituendogli il diritto di voto ed eliminando le mortificanti limitazioni sulla corrispondenza».
Come risponde a chi critica questa riforma di andare in direzione opposta a quella di un sistema economico liberale?
«Mi sembra un film già visto. Dopo la riforma del diritto societario qualcuno ha sollevato dubbi e preoccupazioni che poi sono stati spazzati via dall’applicazione sul campo. Anche adesso la critica è di aver fatto una riforma troppo liberista e troppo dirigista. Questo vuol dire che probabilmente abbiamo trovato un giusto punto di equilibrio. Non si può invocare più capitalismo e lamentarsi che si riconosce più spazio all’autonomia privata di debitore e creditori».
(Il Messaggero.it)
Il ministro di Giustizia: «È una rivoluzione copernicana. Con le nuove norme si salva un patrimonio aziendale fatto di beni immateriali »
Castelli: «È stata ridata dignità al fallito onesto»
Approvata dal governo la riforma delle procedure concorsuali, dove il giudice è soltanto arbitro.
ROMA - «Una rivoluzione copernicana»: così il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha definito la riforma del diritto fallimentare varata ieri dal Consiglio dei ministri. Perché il fallito «non diventa più il colpevole meritevole di non avere diritti civili e di non votare più per cinque anni». Il Guardasigilli, nel corso della conferenza stampa, con al fianco il sottosegretario all'Economia Michele Vietti (Udc, ex sottosegretario alla Giustizia che ha curato in particolare l’elaborazione del testo), ha spiegato che «il fallito in buona fede diventa un imprenditore che può aver avuto un infortunio durante la sua attività». In questo modo si cerca di «salvare un patrimonio aziendale fatto di beni immateriali e il corpo vivo dell'azienda». Questa riforma, inoltre, secondo Castelli: «Accresce la competitività del sistema e ci pone al pari dei Paesi più moderni».
Tra le novità il ministro della Giustizia ha indicato l'introduzione del rito camerale e la esdebitazione. E ancora: «Il nuovo dominus di tutto l'iter procedurale non sarà più il giudice, ma il curatore e il comitato di creditori. Il magistrato - sottolinea Castelli - diventa una sorta di arbitro» che controlla l'intero iter.
Castelli ha poi raccontato qualche «retroscena». La strada per l’approvazione «è stata tutta in salita anche per alcune obiezioni di banche e imprese». Il Guardasigilli ha accennato a «momenti anche drammatici», poi superati. Castelli ha riferito che «quando sembrava che il decreto fosse ormai approvato, da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta è arrivata una segnalazione del mondo delle banche e delle imprese. Dicevano: se il testo è questo, allora è meglio non farne nulla». A quel punto, ha aggiunto Castelli, «ci si è seduti attorno a un tavolo fino a quando non è stato trovato l'accordo. Mi aspetto veramente che non ci siano critiche - ha concluso il ministro - perchè il testo è nato da una interlocuzione davvero complessa».
Commenti critici, tuttavia, sono giunti ieri dall’ex presidente della Consob Guido Rossi e dall’avvocato Franzo Grande Stevens. Per Rossi: «Si tratta di una riforma non del tutto equilibrata, accanto ad innovazioni positive ve ne sono altre meramente frutto di missioni corporative, soprattutto da parte del mondo bancario». Per l’avvocato Grande Stevens: «Va nella direzione opposta a quella di un sistema economico liberale. Infatti si va a minimizzare il rischio d'impresa alla base di un vero capitalismo evoluto».
M.Cof.
L’INTERVISTA
Vietti: «Abbiamo creato uno strumento per risolvere presto le crisi d’impresa»
di MARIO COFFARO
ROMA - «Con questa riforma il fallimento sarà trasformato da istituto punitivo in strumento per prevenire e risolvere con rapidità le crisi d’impresa»: questa, spiega il sottosegretario all’Economia Michele Vietti (Udc), è la filosofia di fondo della nuova legge approvata ieri dal governo.
Valeva la pena farla proprio in un momento così difficile per l’economia?
«In un momento in cui si moltiplicano le crisi d’impresa era più urgente riformarne le regole. Dopo 60 anni di attesa il diritto fallimentare può e deve dare certezze. Può distribuire il rischio della relazione commerciale in modo prevedibile e garantire la stabilità dei rapporti; evitare il più possibile perdite inutili. La ragione della riforma del sistema fallimentare, in un contesto dove non vi è solo concorrenza tra le imprese, ma anche concorrenza tra ordinamenti è quella di snellire e modernizzare le procedure e non solo agevolare gli addetti ai lavori. Le esigenze di riforma del diritto fallimentare, quindi, rimandano direttamente al sistema economico che ci governa; al suo grado di modernità; alla sua competitività; alla sua stabilità».
Cosa cambia in sostanza?
«La novità sta in un nuovo equilibrio dei poteri tra gli organi della procedura. Al curatore viene affidata la gestione operativa del fallimento, d’intesa con il Comitato dei creditori che è chiamato ad un ruolo molto più incisivo. Il giudice, invece, viene restituito alla sua funzione primaria di regolatore delle controversie e controllore della legalità».
Perché è stata introdotta una nuova “premialità”?
«Anche per venire incontro alle censure dell’Europa. Abbiamo ridato almeno in parte al fallito la sua dignità restituendogli il diritto di voto ed eliminando le mortificanti limitazioni sulla corrispondenza».
Come risponde a chi critica questa riforma di andare in direzione opposta a quella di un sistema economico liberale?
«Mi sembra un film già visto. Dopo la riforma del diritto societario qualcuno ha sollevato dubbi e preoccupazioni che poi sono stati spazzati via dall’applicazione sul campo. Anche adesso la critica è di aver fatto una riforma troppo liberista e troppo dirigista. Questo vuol dire che probabilmente abbiamo trovato un giusto punto di equilibrio. Non si può invocare più capitalismo e lamentarsi che si riconosce più spazio all’autonomia privata di debitore e creditori».
(Il Messaggero.it)