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View Full Version : Iris, chiude un gioiello italiano strangolato dalla crisi globale


Fides Brasier
12-01-2009, 13:06
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/economia/crisi-10/chiude-sassuolo/chiude-sassuolo.html

ECONOMIA
Fallisce l'azienda simbolo della "piastrella valley" di Sassuolo
Si dissolve un'impresa modello. Senza posto 780 lavoratori
Iris, chiude un gioiello italiano
strangolato dalla crisi globale
La recessione non ha sfumature e minaccia di spazzare via tutti, buoni e cattivi
di EDMONDO BERSELLI

QUESTA è la storia di come ti entra in casa la globalizzazione, e dopo la globalizzazione la crisi, e dopo la crisi chissà. A Sassuolo, quarantamila abitanti, una delle capitali mondiali della ceramica, la faccia cattiva della recessione si è affacciata senza bussare.
Erano anni che il settore della piastrella, quello descritto negli anni Sessanta dal giovane Prodi come il "modello di sviluppo di un settore in rapida crescita", lentamente scendeva nelle quote di mercato, limava il fatturato, perdeva addetti, ristrutturava, recuperava a fatica con la qualità e il prezzo ciò che perdeva in quantità. All'improvviso è arrivato lo schianto.

Il 5 gennaio l'assemblea sociale del gruppo Iris, fondato da Romano Minozzi, ha deciso l'autoscioglimento, la messa in liquidazione dei suoi tre stabilimenti, e la collocazione in mobilità, cioè sulla strada, dei 780 dipendenti. Un'impresa gioiello, leader sul piano internazionale, semplicemente si dissolve. Fatte le proporzioni, è all'incirca come se in provincia di Torino evaporasse da un giorno all'altro la Fiat, o nella Grande Milano fossero licenziati in un colpo solo 80 mila lavoratori.

Si chiude. Senza preavvisi, senza trattative. Mentre tutt'intorno la crisi genera incubi anche negli altri comparti industriali. Con il sindaco di Sassuolo, Graziano Pattuzzi (Pd), che sbarra gli occhi, le forze politiche che si appellano alla "responsabilità sociale" delle imprese, i sindacati sbigottiti che implorano negoziati e minacciano la mobilitazione dell'intero distretto ceramico, con le sue duecento imprese, quattro miliardi e mezzo di fatturato, 22 mila addetti distribuiti fra le province di Modena e Reggio Emilia (di cui adesso 8 mila in cassa integrazione ordinaria, praticamente una strage).

Il distretto di Sassuolo ha rappresentato nel tempo uno dei più classici miracoli italiani. Una produzione tradizionale che risale alle "majoliche" del Sei-Settecento ha visto il miracolo dentro il miracolo, quando le fornaci sono venute su da un giorno all'altro. Il boom rappresentò una produzione strepitosa di ricchezza nel cuore dell'Emilia rossa e migliorista, fra sindaci pragmatici e imprenditori disinibiti. Fu lo stesso Minozzi a sintetizzare gli anni d'oro: "Allora si diceva che, a Sassuolo, tra il fare un partita a briscola e fondare una ceramica non c'era differenza. Ma non era vero: si facevano molte più ceramiche che partite a briscola".

Il resto è storia. Invenzioni tecnologiche continue, una serie di crisi superate con ristrutturazioni sanguinose e con ripartenze brucianti. "Riducete i costi e investite, investite tutto", ammonivano i grandi vecchi della piastrella. Sono sempre stati presi sul serio. Infatti, se uno entra ora in una ceramica resta stupefatto dall'apparente assenza di addetti, mentre le fornaci a monocottura sfornano piastrelle a getto continuo e carrelli robotizzati si spostano mossi da comandi invisibili.

Sono aziende ad alta intensità di capitale, che richiedono investimenti pesanti, hanno tempi di ammortamento lunghi e una redditività moderata. Finora sono riuscite a restare competitive grazie a una impressionante flessibilità produttiva, che consente forniture praticamente personalizzate: "Un appartamento no, ma un condominio a Parigi riusciamo a servirlo". Alle aziende edili della capitale francese costa meno che una fornitura da Lione. Vent'anni fa un'azienda produceva fra i 30 e i 40 articoli, con le vendite che si concentravano su un segmento di tre o quattro prodotti. Oggi la stessa azienda realizza tremila tipologie. Tutto ciò grazie al contenuto tecnologico degli impianti, che incorporano design d'eccezione e spuntano altissimi coefficienti di qualità.

Ebbene, sotto il profilo teorico la decisione di un imprenditore storico come Minozzi di uscire dal settore, e di concentrare le risorse residue in comparti diversi, è un caso da manuale di "efficienza allocativa": si spostano gli investimenti dove le chance di profitto sono migliori. Fuori dal fumus oeconomicus, la scelta ha l'aspetto del rompete le righe. Perché è vero che negli ultimi tempi il gruppo Iris aveva conosciuto un vistoso calo del fatturato, oltre il 40 per cento nell'ultimo biennio. Ma sospendere l'attività non ha per nulla l'aspetto di una scelta aziendale; assomiglia piuttosto a una dichiarazione di resa. Come a dire: il distretto di Sassuolo è finito. Usciamo adesso e salviamo il salvabile, perché nel giro di due anni potrebbe non esserci più nulla: a recessione terminata, allorché l'economia mondiale riprenderà il suo ciclo, nel territorio fra Sassuolo, Maranello, Fiorano, Casalgrande, Scandiano potrebbero esserci soltanto relitti industriali. Un pezzo del miracolo emiliano trasformato in un cratere lunare.

"È cominciata l'era glaciale", ha scritto Minozzi nella relazione societaria. Colpa dell'iperproduzione e del dumping cinese. Colpa dell'euro troppo alto sul dollaro che schiaccia le esportazioni negli Stati Uniti. Colpa dei nuovi e vecchi produttori, dalla Spagna alla Turchia, dal Messico al Brasile, con la loro concorrenza senza quartiere. Colpa del Wto e dei cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro. Colpa del mondo nuovo, insomma. Di un'economia senza barriere e senza limiti, che favorirà anche la "distruzione creatrice" di Schumpeter, ma per il momento, qui e ora, distrugge e basta.

E allora l'obiettivo inevitabilmente si allarga, l'inquadratura si amplia, da Sassuolo all'Emilia, dall'Emilia all'Italia produttiva della piccola e media impresa. A cerchi concentrici investe tutta l'Europa. E non solo. Perché se il distretto ceramico è davvero il possibile paradigma degli effetti della crisi, il problema non è soltanto economico. Diventa filosofico, si fa addirittura morale. Gli economisti che hanno dettato il dogma liberista negli ultimi trent'anni, e che hanno dileggiato il modello "renano" dell'economia sociale di mercato, proveranno a spiegare che gli shock di settore a cui assisteremo saranno semplicemente malattie adattative, a cui il mercato risponderà con le terapie migliori, cioè allocando in altri settori gli investimenti. "Nel lungo periodo" si ristabilirà l'equilibrio, riprenderà l'accumulazione di ricchezza, l'occupazione crescerà di nuovo. La "grande trasformazione" dell'Ottocento, descritta da Karl Polanyi come la nascita dell'economia moderna, conoscerà un nuovo capitolo.

Troppo facile rispondere, con il bignami keynesiano, che nel lungo periodo siamo tutti sottoterra. Ma c'è un elemento fattuale che andrebbe precisato: vale a dire che la crisi non conosce sfumature. Non si limita a ripulire le inefficienze. Non è l'igiene dell'economia. Perché minaccia di spazzare via tutti: i cattivi e i buoni, gli inefficienti e gli efficienti, i non competitivi e i competitivi.

Rischia insomma di annichilire tutte le qualità insite nel lavoro e nell'impresa. L'Emilia dei distretti industriali e l'Italia delle mille specializzazioni produttive intravedono un orizzonte spettrale, in cui la metamorfosi economica mondiale assume fattezze catastrofiche. E allora anche le domande si fanno incerte, perché toccano la sostanza stessa di un assetto sociale. Quale senso ha infatti un sistema economico che non contiene un principio di giustizia, che non distingue, che fa a pezzi sia gli acrobati della finanza illusionistica come il grande truffatore Bernard Madoff sia i protagonisti dell'intelligenza applicata alle tecniche di produzione e ai prodotti? Quale giustificazione razionale ha un sistema che si dimostra nei fatti privo di una moralità intrinseca?

Qui è consigliabile fermarsi, perché fra Sassuolo e la metafisica c'è solo un passo. Ma se uno guarda alla infinita megalopoli industriale nella pianura padana, se mette a fuoco i prodigi tecnologici di cui è disseminata, la qualità del lavoro che si è espressa nella manifattura italiana, non può fare a meno di pensare che non sappiamo che cosa potrà sopravvivere di tutto questo, della virtù tecnica delle centinaia di aziende intorno alla Ferrari di Maranello, nelle piccole cattedrali della meccanica e della meccatronica, nelle aziendine dell'ultratecnologia, nella produttività furibonda del Nordest.

Nel frattempo, guarda caso, sono praticamente ammutoliti i fautori della "mano invisibile". In attesa che si rifacciano vivi, non sarebbe il caso di ricominciare a discutere il mercato, la crescita, i fallimenti della capacità autoregolatrice del mercato? Magari anche soltanto per spiegare, a quel piccolo epicentro che è Sassuolo, cioè alla capitale di un cortocircuito autenticamente glocal, a una comunità che senza volerlo si ritrova in un punto cruciale di questa selvaggia "New Era", dove crisi mondiale e dramma locale si incrociano, che un giorno potrà andare orgogliosa di avere fatto da cavia alla nuova "grande trasformazione".
(12 gennaio 2009)

sanxius
12-01-2009, 15:59
A Modena dicono... "qua la gatta ci cova"
capisco che essere imprenditore porta a fare quello che vuole, ma questo non guarda in faccia a nessuno... mi suona tanto di Agnelli che diceva al Governo, siamo sotto, coprite o chiudiamo baracca?

Fonte: http://gazzettadimodena.repubblica.it/dettaglio/LIris-gela-i-sindacati:-%C2%ABSiamo-qui-per-liquidare%C2%BB/1572111

L'Iris gela i sindacati:
«Siamo qui per liquidare»
L’amministratore Pifferi disposto a parlare soltanto di ammortizzatori sociali
La notizia della chiusura degli stabilimenti Iris, ancora più che un segnale forte della crisi in atto, è il simbolo di un’e poca che finisce. Perchè il marchio Iris, insieme a Marazzi, è quello che più di tutti è stato apprezzato e conosciuto nel mondo. Uno dei loghi e dei segni simbolici della piastrella sassolese che sparisce, salvo ripensamenti, auspicati da tutti, sindacati e forze politiche unite.
Dopo l’uscita della notizia, nella serata di ieri era previsto l’incontro fra l’azienda e le rappresentanze sindacali. L’i ncontro non ha prodotto alcun passo avanti per la sorte dei lavoratori. L’azienda, rappresentata dall’amministratore delegato Giuseppe Pifferi affiancato da due legali dello studio Gragnoli, si è presentata con poche parole ma molto nette: «Siamo qui - ha detto Pifferi - in veste di liquidatori dell’Iris per cui l’unico argomento discutibile sono gli ammortizzatori sociali per i lavoratori». I sindacati hanno così avuto conferma di come fosse tutto pianificato da parte dell’industriale Minozzi e non hanno potuto accettare questi presupposti dell’incontro. Le due parti dovrebbero incontrarsi di nuovo nella giornata di domani.
Che il gruppo che fa capo a Romano Minozzi avesse da tempo dirottato la sua primaria attenzione sulla Granitifiandre quotata in Borsa (la proprietà ha specificato che non subirà alcun ridimensionamento) è risaputo, ma parlando di Iris (tre gli stabilimenti destinati a chiusura, Fiorano, Sassuolo e Viano) parliamo della storia industriale della città. E non si spiega del resto, se lo chiede spontaneamente anche il sindaco di Fiorano Claudio Pistoni, come mai sedi che erano soggette proprio negli ultimi mesi (specie quella di Fiorano) a ristrutturazioni che facevano pensare all’intenzione di un rilancio, vengano invece di punto in bianco dismesse. Sono stati approntati un nuovo forno e due presse di elevato livello tecnologico. Fra l’altro si tratta di due stabilimenti certificati Emas, cioè fra i più avanzati anche dal punto di vista del rispetto ambientale. Tutto è accaduto a sorpresa, cogliendo impreparati anche i sindacati, che si aspettavano, dopo la cassa integrazione del periodo festivo, al massimo l’esigenza di prolungare il periodo di stop.

Iris Ceramica è controllata al cento per cento da Romano Minozzi e dalla sua famiglia e la chiusura del bilancio 2006 con ricavi per oltre 236 milioni di euro, con utile netto di circa 16 milioni, non faceva certamente presagire una fine così repentina. Il rammarico è di tutti, perchè lo stabilimento Iris di Fiorano fin dagli anni Settanta è, all’entrata del comprensorio, uno dei simboli della fortuna imprenditoriale e industriale della zona: da lì sono uscite alcune delle più belle intuizioni di design ed estetica non solo ceramica ma di autentica arte industriale moderna, ricordate nei libri e ammirate in musei.

Pot
12-01-2009, 16:14
I piazzali sono pieni da far schifo.. Ho visto quellidella mirage in cui non ci stava nemmeno un altro pallet..
Visti i tempi di attivazione di forni e mulini da quello che so io la ceramica non puo' fare la settimana corta o la cassa integrazione.

plut0ne
12-01-2009, 16:48
non è mica l'unica azienda che chiude eh.... :fagiano:

Fides Brasier
12-01-2009, 16:57
non è mica l'unica azienda che chiude eh.... :fagiano:certo plu, ma il senso dell'articolo e' un altro, ovvero che non sta chiudendo un'azienda che ha sbagliato, che ha investito male o lavorato peggio. sta chiudendo un'azienda che fa utile. l'articolo si concentra sull'etica e il senso di responsabilita' delle imprese, che pare stia svanendo ovunque; e questo e' un fatto gravissimo. l'economia non e' solo una cosa astratta che si studia sui libri, e necessario calarsi nella realta' e considerare anche le persone che rimangono senza lavoro e che non hanno di che vivere.

Quale senso ha infatti un sistema economico che non contiene un principio di giustizia, che non distingue, che fa a pezzi sia gli acrobati della finanza illusionistica come il grande truffatore Bernard Madoff sia i protagonisti dell'intelligenza applicata alle tecniche di produzione e ai prodotti? Quale giustificazione razionale ha un sistema che si dimostra nei fatti privo di una moralità intrinseca?

Pot
12-01-2009, 17:01
non è mica l'unica azienda che chiude eh.... :fagiano:
concordo... pero' qua si fanno tragedie per 150 tempi determinati nn confermati.

Il punto e' che e' la prima a chiudere ma non sara' l'ultima nella zona di Sassuolo, vuoi per investimenti sbaglaiti, vuoi perche' sia piu' economico produrre da qualche altra parte.

Alessio

Korn
12-01-2009, 17:07
150 qua 200 di là si si tutto regolare tutto ok la crisi non c'è

dave4mame
12-01-2009, 17:15
senza leggere il bilancio (che credo sia anche di pubblico dominio, viste le dimensioni dell'azienda) l'utile di cui sopra vuol dire abbastanza poco.

potrebbe essere dovuto a voci straordinarie, come la cessione di cespiti.
magari nel corso del 2006 hanno venduto i capannoni, in previsione delle chiusura...

NeroCupo
12-01-2009, 17:58
...potrebbe essere dovuto a voci straordinarie, come la cessione di cespiti.
magari nel corso del 2006 hanno venduto i capannoni, in previsione delle chiusura...Sembra che chiudano proprio per evitare il completo fallimento.
E' semplicemente un alzare la bandiera bianca di fronte a cinesi, concorrenza dell'est e crisi.
Fonte: QUI (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/01/iris-leader-mondiale-bandiera-bianca.shtml?uuid=0723259c-def6-11dd-9b16-d3a2e7dfd22d&DocRulesView=Libero)
NeroCupo

Edit & PS: Per me hanno fatto più che bene. Inutile cercare di rianimare un morto, se la diagnosi è certa.

Freeskis
12-01-2009, 18:06
nessun aiuto statale ? :fagiano: non avranno amicizie giuste allora :fagiano:

Rand
12-01-2009, 18:11
Sembra che chiudano proprio per evitare il completo fallimento.
E' semplicemente un alzare la bandiera bianca di fronte a cinesi, concorrenza dell'est e crisi.
Fonte: QUI (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/01/iris-leader-mondiale-bandiera-bianca.shtml?uuid=0723259c-def6-11dd-9b16-d3a2e7dfd22d&DocRulesView=Libero)

Considerato il grado di automazione di molte ceramiche la cosa imho è preoccupante... si tratta molto spesso di aziende all'avanguardia, non di "relitti" che si sono trascinati fino ad ora con metodi produttivi obsoleti e aiuti statali.

IpseDixit
13-01-2009, 10:07
Sassuolo - La maggior parte delle imprese ceramiche italiane prosegue nelle azioni volte ad accrescere la propria competitività, quale concreta risposta alle difficoltà. Viviamo crisi difficile e complessa, ma che parimenti è destinata ad essere superata quando il ciclo economico inevitabilmente riprenderà.

“Gli imprenditori ed il settore ceramico italiano credono nelle loro possibilità – afferma Alfonso Panzani, Presidente di Confindustria Ceramica –. In tal senso vanno letti i 320 milioni di euro di investimenti in nuove tecnologie nel corso del 2008 (+6,1% rispetto al 2007), finalizzati a dotare le aziende di tecnologie in grado di innalzare la qualità dei prodotti. I molteplici esempi di decorazione digitale ceramica, presentati a Cersaie 2008, ne sono un tangibile esempio. In questo contesto, essenziali sono anche il coinvolgimento e la motivazione dei nostri dipendenti che affrontano, assieme a noi, la difficile situazione”.

Il preconsuntivo 2008 dell’industria ceramica italiana registra una flessione della produzione del -6,4%, un dato migliore rispetto a molti altri settori industriali nazionali operanti nel comparto dei beni durevoli, ed una previsione 2009 del -4,1%: si tratta di variazioni che delineano una crisi congiunturale della domanda. Ciò che non è accettabile è che scelte aziendali individuali vengano giustificate con catastrofi settoriali. La situazione è difficile, ma la maggior parte delle imprese del settore si stanno attrezzando per guardare con convinzione al futuro.
Il posizionamento relativo dell’industria ceramica italiana appare migliore rispetto a quella di molti concorrenti esteri. In Spagna sono stati spenti 150 forni e la produzione 2009 è attesa ridursi di quasi 60 milioni di metri quadrati; le esportazioni totali cinesi sono calate a novembre 2008 del -9%, il peggior dato dal 2001, mentre recenti studi della Mc Kinsey – citati da organi di stampa nazionali – confermano il crollo degli investimenti diretti esteri in Cina. Tra gli aspetti competitivi su cui può contare l’industria ceramica italiana ci sono valori di marginalità e quozienti di capitalizzazione di bilancio particolarmente significativi; la conferma delle quote di mercato in molti paesi esteri; la leadership nel commercio internazionale in termini di volumi ma soprattutto di valori (40% del totale); i più elevati prezzi medi di vendita che inglobano l’apprezzamento da parte dei clienti della qualità e design italiani.
Anche l’Associazione sta lavorando per fornire propri tangibili contributi, tra cui quello teso a sviluppare efficacia e coerenza degli investimenti in ricerca e sviluppo. Gli organi di Confindustria Ceramica hanno deliberato, unico soggetto privato disposto a mettere in gioco rilevanti risorse economiche, la partecipazione al Tecnopolo ceramico, localizzato nel distretto e dedicato esclusivamente a questo settore: una iniziativa che ha catalizzato unanimi consensi anche presso la Regione Emilia Romagna, le Amministrazione Provinciali ed i Comuni del Distretto.

http://www.sassuolo2000.it/modules.php?name=News&file=article&sid=88644

Beelzebub
13-01-2009, 10:27
Ma nooo!!! :eek:

Avevo visto delle piastrelle della Iris per la cucina, sarà il caso che mi affretti a comprarle... :(

cocis
13-01-2009, 10:50
qui stanno chiudendo tutti come mosche ormai .. .
ma il nano pensa alle intercettazioni .. :muro:

IpseDixit
17-01-2009, 18:12
Fortunatamente la procedura di liquidazione è stata sospesa, lunedì gli stabilimenti riprendono la produzione.

niko974
17-01-2009, 18:34
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/economia/crisi-10/chiude-sassuolo/chiude-sassuolo.html

7 anni di cassa integrazione?

Fides Brasier
17-01-2009, 18:46
articolo di mercoledi' 14 gennaio

http://www.lastampa.it/search/articolo.asp?IDarticolo=1941597&sezione=Economia

Personaggio
ARMANDO ZENI
INVIATO A SASSUOLO (MO)
Dicono che il giorno dopo aver messo in liquidazione l’Iris, Romano Minozzi sia andato a caccia, la sua passione fuori dal lavoro (con le Ferrari che tiene nel garage di casa a Modena), nella riserva sull’Appennino reggiano, per scaricare la tensione e mettersi il mondo alle spalle. Ma anche per fuggire le tante domande che dopo la sorpresa e l’incredulità per l’annuncio improvviso della chiusura di uno dei gioielli della piastrella made in Italy, triste regalo di una Befana che anticipa (parole sue) «l’era glaciale», sono rimbalzate tra i 780 dipendenti dei tre stabilimenti a rischio e tra gli operai delle cento aziende, piccole, medie e grandi che fanno di Sassuolo, Fiorano e Casalgrande il triangolo d’oro - 4,5 miliardi di fatturato - della ceramica. Un «imprenditore intelligente», parola di Graziano Pattuzzi, sindaco pd di Sassuolo. «Imprenditore con visioni moderniste», parola di Edmondo Berselli. Ritratto, a dirla tutta, su cui non tutti concordano. Giorgio Squinzi, per esempio, patron della Mapei, che di Sassuolo e delle piastrelle conosce vita, morte e miracoli e che del Sassuolo Calcio è presidente: «Non sono sicuro - dice Squinzi di Minozzi - che abbia una visione etica e sociale dell’impresa». Insomma, il mito è pronto per una revisione, magari con la sottolineatura della spregiudicatezza dell’uomo che in quest’angolo di Emilia dei miracoli, terra natale del “drake” Enzo Ferrari, mito inarrivabile, è stato a lungo esempio di capacità, creatività. Modello da seguire, il Minozzi, fino a ieri almeno. Fino alla dichiarazione di resa giustificata dalla certezza della fine imminente della società del benessere e l’inizio dell’era glaciale: vendite crollate del 40% in due anni, fatturato del 46%, colpa dei cinesi entrati nel settore con la forza dei loro bassi costi, colpa della crisi dell’immobiliare, della sfiducia che genera sfiducia. Apriti cielo! L’uomo duro, solitario ma geniale, abituato a sbattere la porta (l’ha fatto nel 1992 uscendo da Confindustria), ma mai ad arrendersi e che adesso teorizza la liquidazione: meglio salvare il patrimonio e via. Ma cosa dice e con quale secondo fine? Già perché un secondo fine ci deve pur essere. E così il battitore libero Minozzi finisce all’angolo, contestato da tutti. Dal sindacato («Tolga di mezzo la messa in liquidazione e trattiamo», chiede Manuela Gozzi della Filcem-Cgil). E dalla Confindustria ceramica che, pur non nascondendo le difficoltà, il forte ricorso alla cassa integrazione nel settore, la flessione del 6,4% nella produzione 2008, se ne guarda bene dall’alzare bandiera bianca.
E lui, il Minozzi, che dice? «Personalmente non sto certo scappando, così come non sono mai scappato nella mia vita», scrive al segretario provinciale della Cisl di Modena Francesco Falcone. Dopo averle provate tutte, spiega, «è necessariamente prevalso il senso del dovere istituzionale che impone agli amministratori di non dissipare il patrimonio sociale e di agire di conseguenza» L’uomo dell’Iris non avrà seguaci, dice comunque il sindaco Pattuzzi. Più cauto il sindacato dove si teme che crisi economica e concorrenza cinese possano mettere a rischio il 40% della produzione di fascia bassa e medio bassa, accennando così a una possibile spiegazione della mossa a sorpresa di Minozzi che, pochi giorni prima della liquidazione di Iris Ceramica, ha assunto la presidenza di Graniti Fiandre, altro gioiello di famiglia quotato in Borsa che soffre meno la crisi facendo segnare solo un calo dello 0,48% nel fatturato e un balzo (del 25%) negli Usa. L’obiettivo, in sintesi, potrebbe essere il taglio di Iris («La minaccia della liquidazione punterebbe a una nuova società con organici ridotti a un terzo», aggiunge il sindaco Pattuzzi) per concentrarsi sulle produzioni di fascia alta e di maggior qualità della Graniti, Iris ridimensionata e in parte ceduta: qualche voce di trattativa circola, chi dice con i francesi di Saint Gobain, chi rivela un interesse di Marazzi, trattative non si sa se nate sul serio o se stoppate dalla crisi del credito. Intanto, col silenzio dei protagonisti, le supposizioni crescono. C’è chi ricorda gli investimenti finanziari di Minozzi, l’intervento nel 2001 in Consortium (su richiesta di Vincenzo Maranghi) che gli ha aperto le porte (con uno 0,11% intestato a lui personalmente) nel capitale e nel patto di sindacato di Mediobanca. Chi immagina clamorosi cambi di settore dopo l’acquisto di un 4% di Technogym. E chi addirittura il ritiro dalla scena di un settantatreenne che, con tre figlie come eredi, non vedrebbe più il futuro del gruppo in famiglia. «Tutte balle», contesta uno dei più fedeli compagni di caccia, sicuro che il ritiro non stia nel Dna dell’amico.