Gio22
26-11-2008, 13:10
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200811articoli/38518girata.asp
Gli scrittori a Stoccolma, a discutere in pubblico dei loro guai
MARIO BAUDINO
INVIATO A STOCCOLMA
Perseguitati. Ce ne sono tanti, al mondo, fra gli scrittori. Ma in Occidente due sono diventati il simbolo di tutti gli altri. Prima Salman Rushdie, colpito dalla fatwa degli ayatollah iraniani per il suo romanzo I versi satanici, poi, a distanza di anni, Roberto Saviano, «condannato» dalla camorra campana per il suo Gomorra. Le due facce delle stessa medaglia si sono ritrovate ieri all’Accademia di Svezia tra stucchi dorati, candide statue e il solito, anche se poco visibile, apparato di sicurezza, invitati dall’istituzione che assegna il Nobel per la letteratura a discutere insieme di libertà di espressione.
Uno, lo scrittore anglo-indiano, è ormai più lontano dall’incubo. L’altro, Saviano, ci è dentro fino al collo. «Quando i carabinieri - racconta al pubblico svedese - ti telefonano per dirti che la tua vita è cambiata per sempre, quando un pentito svela quella che doveva essere l’ora della tua morte, cominci a pensare. E ti chiedi perché hai scritto queste parole, che cosa hai fatto. È una sensazione di totale straniamento. Senti che le tue parole sono diventate le parole di molti, ed anzi proprio per questo sono pericolose per il potere criminale. Ma nello stesso tempo, sai che il conto lo paghi tu. Questa è la mia esperienza». Salman Rushdie sa bene di che cosa parla il giovane collega. Ora la sua condanna, emessa nel ‘89, è stata formalmente ritirata dal clero iraniano, anche se in questi casi è meglio non dare nulla per scontato.
Anche lui ricorda la stessa solitudine, con qualche scatto di humour: «Ma ci pensate a quattro individui maschi, di cui tre sono nerboruti poliziotti, che abitano tutti insieme in un appartamento senza apparente ragione? Ho parlato con molte persone, per esempio politici, che vivono in stato di “massima sicurezza”. La risposta è sempre stata: è terribilmente penoso». È vero: la blindatura dell’esistenza non è così rara. Tocca pesantemente magistrati, poliziotti, politici, testimoni. Ma uno scrittore di questo tipo ha un’enorme visibilità, è sempre sulla scena mediatica e nello stesso tempo non può permettersi quattro passi sotto casa. Anzi, non trova una casa da affittare. Un posto dove andare con gli amici. Neanche gli amici, alla lunga. Sei solo. C’è anche di peggio, aggiunge Saviano. «La maggior parte delle accuse pubbliche, nella mia situazione, non viene certo dalla camorra. Quelli condannano e basta. È dalla società civile, dagli intellettuali, che mi si dice: sei un pagliaccio. Oppure: te la sei andata a cercare. Oppure mi si rimprovera di denigrare il mio Paese, quando raccontare significa invece fare onore alla parte sana del mio Paese. E io voglio continuare a scrivere. Mi hanno offerto incarichi politici e istituzionali, ma li ho rifiutati». Rushdie: «Ricordo bene le stesse cose dette contro di me dalla nostra società civile occidentale. Mi tacciavano di opportunismo, di ambizione, lamentavano i soldi spesi dallo Stato per proteggermi. È difficile sopportare quando sei in pericolo».
Proprio per questo, aggiunge, «bisogna difendere Roberto non solo perché è un ragazzo simpatico». Ma perché rappresenta quel che lui, Rushdie, era 15 anni fa, e quel che sono a diverso titolo tutti i perseguitati. A loro due è toccato in sorte di essere quelli più famosi del mondo, e non sono affatto sicuri che sia stata una fortuna. Intorno, le polemiche non smettono mai. Rushdie ha da poco chiuso l’incidente del libro scritto da una sua presunta ex guardia del corpo, che lo dipingeva come un personaggio francamente odioso. Saviano è stato accolto in Svezia con grande calore: il suo libro è tradotto dal 2007, ieri ad ascoltarlo c’erano almeno seicento persone, che hanno resistito a lungo ma alla fine, secondo un rituale ormai ben consolidato, si sono alzate nella più classica delle «standing ovation». Oggi Saviano incontra il pubblico di un importante centro culturale, domenica esce nelle sale di Stoccolma il film tratto dal suo libro.
Intanto l’ambasciatore italiano, Anna Della Croce Brigante Colonna, deve andare però in radio e tv a spiegare che Saviano non è un perseguitato politico, che la sua sicurezza è tutelata, che non ha mai avuto problemi di «libertà d’espressione»: perché oltre cento parlamentari svedesi hanno firmato l’appello di una deputata liberale, Cecilia Wikström, in cui si lamenta la mancanza di sicurezza e libertà nel nostro Paese. Da queste incomprensioni il giovane scrittore sta alla larga. In un’intervista al Figaro ha ribadito la sua tentazione di espatriare, per vivere più tranquillo. Pensa agli Usa, «dove l’Fbi mi ha assicurato che ci sono programmi di protezione particolari, senza vivere sempre sotto scorta». Un po’ meno Rushdie, che sotto sotto sembra provocare. «Non sono tempi buoni per la libertà d’espressione, dappertutto, e non solo nei Paesi autoritari, come la Cina. Anche nel nostro mondo cosiddetto “libero” si sta sostituendo al termine “rispetto” l’espressione “essere d'accordo”. Se non sei d’accordo non sei rispettoso. Francamente, mi sembra troppo».
edit
correlato http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/cronaca/saviano-minacce/rushdie-fatwa/rushdie-fatwa.html
Gli scrittori a Stoccolma, a discutere in pubblico dei loro guai
MARIO BAUDINO
INVIATO A STOCCOLMA
Perseguitati. Ce ne sono tanti, al mondo, fra gli scrittori. Ma in Occidente due sono diventati il simbolo di tutti gli altri. Prima Salman Rushdie, colpito dalla fatwa degli ayatollah iraniani per il suo romanzo I versi satanici, poi, a distanza di anni, Roberto Saviano, «condannato» dalla camorra campana per il suo Gomorra. Le due facce delle stessa medaglia si sono ritrovate ieri all’Accademia di Svezia tra stucchi dorati, candide statue e il solito, anche se poco visibile, apparato di sicurezza, invitati dall’istituzione che assegna il Nobel per la letteratura a discutere insieme di libertà di espressione.
Uno, lo scrittore anglo-indiano, è ormai più lontano dall’incubo. L’altro, Saviano, ci è dentro fino al collo. «Quando i carabinieri - racconta al pubblico svedese - ti telefonano per dirti che la tua vita è cambiata per sempre, quando un pentito svela quella che doveva essere l’ora della tua morte, cominci a pensare. E ti chiedi perché hai scritto queste parole, che cosa hai fatto. È una sensazione di totale straniamento. Senti che le tue parole sono diventate le parole di molti, ed anzi proprio per questo sono pericolose per il potere criminale. Ma nello stesso tempo, sai che il conto lo paghi tu. Questa è la mia esperienza». Salman Rushdie sa bene di che cosa parla il giovane collega. Ora la sua condanna, emessa nel ‘89, è stata formalmente ritirata dal clero iraniano, anche se in questi casi è meglio non dare nulla per scontato.
Anche lui ricorda la stessa solitudine, con qualche scatto di humour: «Ma ci pensate a quattro individui maschi, di cui tre sono nerboruti poliziotti, che abitano tutti insieme in un appartamento senza apparente ragione? Ho parlato con molte persone, per esempio politici, che vivono in stato di “massima sicurezza”. La risposta è sempre stata: è terribilmente penoso». È vero: la blindatura dell’esistenza non è così rara. Tocca pesantemente magistrati, poliziotti, politici, testimoni. Ma uno scrittore di questo tipo ha un’enorme visibilità, è sempre sulla scena mediatica e nello stesso tempo non può permettersi quattro passi sotto casa. Anzi, non trova una casa da affittare. Un posto dove andare con gli amici. Neanche gli amici, alla lunga. Sei solo. C’è anche di peggio, aggiunge Saviano. «La maggior parte delle accuse pubbliche, nella mia situazione, non viene certo dalla camorra. Quelli condannano e basta. È dalla società civile, dagli intellettuali, che mi si dice: sei un pagliaccio. Oppure: te la sei andata a cercare. Oppure mi si rimprovera di denigrare il mio Paese, quando raccontare significa invece fare onore alla parte sana del mio Paese. E io voglio continuare a scrivere. Mi hanno offerto incarichi politici e istituzionali, ma li ho rifiutati». Rushdie: «Ricordo bene le stesse cose dette contro di me dalla nostra società civile occidentale. Mi tacciavano di opportunismo, di ambizione, lamentavano i soldi spesi dallo Stato per proteggermi. È difficile sopportare quando sei in pericolo».
Proprio per questo, aggiunge, «bisogna difendere Roberto non solo perché è un ragazzo simpatico». Ma perché rappresenta quel che lui, Rushdie, era 15 anni fa, e quel che sono a diverso titolo tutti i perseguitati. A loro due è toccato in sorte di essere quelli più famosi del mondo, e non sono affatto sicuri che sia stata una fortuna. Intorno, le polemiche non smettono mai. Rushdie ha da poco chiuso l’incidente del libro scritto da una sua presunta ex guardia del corpo, che lo dipingeva come un personaggio francamente odioso. Saviano è stato accolto in Svezia con grande calore: il suo libro è tradotto dal 2007, ieri ad ascoltarlo c’erano almeno seicento persone, che hanno resistito a lungo ma alla fine, secondo un rituale ormai ben consolidato, si sono alzate nella più classica delle «standing ovation». Oggi Saviano incontra il pubblico di un importante centro culturale, domenica esce nelle sale di Stoccolma il film tratto dal suo libro.
Intanto l’ambasciatore italiano, Anna Della Croce Brigante Colonna, deve andare però in radio e tv a spiegare che Saviano non è un perseguitato politico, che la sua sicurezza è tutelata, che non ha mai avuto problemi di «libertà d’espressione»: perché oltre cento parlamentari svedesi hanno firmato l’appello di una deputata liberale, Cecilia Wikström, in cui si lamenta la mancanza di sicurezza e libertà nel nostro Paese. Da queste incomprensioni il giovane scrittore sta alla larga. In un’intervista al Figaro ha ribadito la sua tentazione di espatriare, per vivere più tranquillo. Pensa agli Usa, «dove l’Fbi mi ha assicurato che ci sono programmi di protezione particolari, senza vivere sempre sotto scorta». Un po’ meno Rushdie, che sotto sotto sembra provocare. «Non sono tempi buoni per la libertà d’espressione, dappertutto, e non solo nei Paesi autoritari, come la Cina. Anche nel nostro mondo cosiddetto “libero” si sta sostituendo al termine “rispetto” l’espressione “essere d'accordo”. Se non sei d’accordo non sei rispettoso. Francamente, mi sembra troppo».
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