Lotta alla siccità: l'Italia punta sui dissalatori
L'aumento delle temperature e la scarsità di pioggia stanno rendendo l'acqua potabile un bene sempre più prezioso e la necessità di adottare contromisure efficaci non più rimandabile
di Giulia Favetti pubblicata il 08 Maggio 2023, alle 10:24 nel canale Scienza e tecnologiaIl 2023 e il 2024 saranno gli anni più caldi di sempre: sebbene ogni anno, quasi come un appuntamento di routine, il periodo estivo venga accompagnato da notizie riguardanti la temperatura, più alta di quanto non fosse 12 mesi prima [al punto da far scendere drasticamente il livello di attenzione da parte dell'opinione pubblica, ormai quasi assuefatta a questo genere di informazioni], stavolta la situazione sarà drasticamente peggiore.
A cavallo fra il 2023 e il 2024, La Niña, la fase fredda del ciclo ENSO [El Niño-Southern Oscillation] darà il cambio al fratello, El Niño [la fase calda] privandoci della sua azione mitigatrice e lasciandoci davanti a 3-8 anni [questo è l'intervallo di durata del ciclo] di caldo torrido [potete trovare ulteriori informazioni all'articolo che vi abbiamo dedicato].
Lo stato di emergenza che ci si prospetta davanti richiede misure estreme per evitare di ritrovarci senza acqua potabile; fra queste vi dissalatori, una soluzione che era stata snobbata negli anni scorsi a causa degli alti costi ma che ora sono economicamente vantaggiose.
Nicola Dell'Acqua, neo commissario straordinario all'emergenza idrica, durante prima riunione della Cabina di regia per l'emergenza idrica – avvenuta giovedì scorso - li ha inseriti fra le priorità per fronteggiare l'emergenza.

Massimiliano Bianco, CEO di Suez Italia, filiale italiana della multinazionale francese servizi idrici e ambientali, che in 160 anni dalla sua fondazione ha progettato e costruito oltre 11mila impianti di trattamento acque nel mondo, tra cui 255 dissalatori e 50 impianti per il riutilizzo di acque reflue, con oltre un miliardo di persone servite, ha dichiarato:
"Quando c'era ampia disponibilità di gas, nessuno voleva i rigassificatori, ora tutti lo vogliono. Lo stesso è avvenuto per i dissalatori, impianti tecnologicamente più complessi, più costosi e con un maggior impatto ambientale rispetto ai tradizionali sistemi per prendere l'acqua da un lago, ma nello scenario climatico attuale e futuro sono una soluzione interessante, idonea oltretutto a gestire picchi di consumo, ad esempio in alcuni territori turistici come il Sud o le Isole. C'è bisogno di un mix intelligente di sistemi di approvvigionamento, per coprire un fabbisogno di sicurezza, ma anche per coprire i picchi stagionali. Credo che la prospettiva di una integrazione tra diverse soluzioni sia destinata a crescere".
Paola Bertossi, CEO di Fisia Italimpianti, ha aggiunto:
"La scarsità d'acqua nel nostro Paese non si può più considerare un fatto straordinario e se guardiamo le proiezioni della disponibilità di acqua nei prossimi dieci anni non possiamo permetterci di rimanere a guardare. In un solo anno, nel 2022, l'agricoltura in Italia ha subito danni per 6 miliardi di euro. Dobbiamo agire in fretta, creando le infrastrutture che sostengano la nostra economia. Dobbiamo considerare tutte le opzioni che abbiamo a nostra disposizione e la dissalazione è una soluzione, anche per l'Italia, sia a uso irriguo, sia a uso potabile".

Al momento però il nostro Paese risulta del tutto carente di aziende specializzate in questo settore, come ha spiegato Alessandro Marangoni, economista e CEO di Althesys, società di consulenza che nel 2022 ha redatto un documento di analisi sullo stato dell'arte del settore, in Italia e nel resto del mondo.
"Ad oggi non ci sono aziende specializzate in questo genere di attività, tranne qualche mosca bianca, ma questo non è un problema perché le tecnologie esistono e in Italia ci sono tutte le competenze necessarie a implementarle".
E in effetti da diverse regioni e città [come il Veneto e le città di Taranto e Genova] stanno arrivando iniziative e progetti in questa direzione, grazie anche a un iter burocratico reso più snello dalle norme contenute nel recente decreto Siccità e dalle direttive del PNRR dedicate allo sviluppo di soluzioni per la gestione dell'emergenza idrica.
Fra questi, spicca il progetto di Taranto per il dissalatore più grande d'Italia, cui ne seguirà a stretto giro uno per l'ex Ilva. Il primo, ad uso potabile, sorgerà alle porte della città pugliese grazie a un investimento da 100 milioni di euro approvato dalla società Acquedotto Pugliese.
Il progetto beneficerà anche dei fondi PNRR e dovrebbe essere completato nel 2026; l'impianto avrà una potenzialità di 55.400 metri cubi al giorno di acqua, tratterà 1.000 litri al secondo, e produrrà quotidianamente l'equivalente del fabbisogno idrico di 385.000 persone, un quarto della popolazione dell'area del Salento.
Ad oggi la Puglia importa dalle regioni limitrofe circa il 90% dell'acqua necessaria all'uso potabile; grazie alla dissalazione lo schema idrico regionale acquisirà una nuova fonte autonoma ed alternativa per l'approvvigionamento ed avrà una maggiore capacità di reagire alle crisi idriche.
L'inziativa prevede l'utilizzo dell'acqua salmastra del fiume Tara e non quella di mare [maggiormente salata] riducendo sensibilmente il consumo di energia elettrica. L'opera, progettata con attenzione all'ambiente, sarà la prima di grandi dimensioni in Puglia e sorgerà nelle vicinanze della presa d'acqua del Tara, attualmente gestita a scopi irrigui e industriali dall'EIPLI, l'Ente per lo sviluppo dell'Irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia.

Il dissalatore permetterà di far fronte all'incremento delle richieste estive e ridurre il prelievo dell'acqua dai pozzi, contribuendo così al miglioramento dello stato delle falde sotterranee.
Il progetto di fattibilità tecnica ed economica ha superato con esito positivo l'iter della conferenza di servizi preliminare, aprendo le porte alla gara d'appalto, prevista entro la fine dell'anno.
I vertici di Acquedotto Pugliese hanno commentato:
"La differenziazione delle fonti è fondamentale. È il primo passo verso la realizzazione di un'opera ritenuta talmente strategica per il sistema da essere cofinanziata con il PNRR".
Non solo; il nuovo dissalatore è un tassello importante nel mosaico di progetti e misure che Acquedotto Pugliese prevede di realizzare entro il 2026, con investimenti per 2 miliardi di euro finalizzati alla tutela della risorsa idrica.

L'obiettivo finale è recuperare 44 milioni di metri cubi di acqua, migliorare l'economia circolare tramite la gestione in house di 130 mila tonnellate di fanghi, e accelerare la transizione energetica arrivando a produrre – fra tre anni - oltre 90 GWH di energia autoprodotta da fonti rinnovabili.
Il secondo dissalatore della città tarantina, voluto dal Ministro delle Imprese, Adolfo Urso, sarà offshore e dovrebbero rientrare nell'accordo di programma per Acciaierie d'Italia.
In questo caso l'iter si trova ancora nelle sue primissime fasi, con i progetti ancora da approfondire. Idealmente, questi ultimi riguarderebbero investimenti per la produzione di energia rinnovabile attraverso parchi eolici offshore galleggianti firmati Falck Renewables e BlueFloat Energy; le componenti necessarie verrebbero assemblate presso il terminal container di Yilport a Taranto.
Non solo: lo scenario di investimento prevede anche l'uso della loppa d'altoforno, un sottoprodotto, per produrre cemento e la costruzione di un rigassificatore galleggiante e un dissalatore per usi industriali, precisamente siderurgici.
Attualmente l'ex Ilva prende l'acqua dai fiumi Tara e Sinni, dal primo in quantità maggiore rispetto al secondo. Uno degli ultimi approvvigionamenti mensili è stato di 2,687 milioni di metri cubi per circa 375mila euro da corrispondere come bolletta all'EIPLI.










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34 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoI dissalatori personalmente li vedo come una pessima soluzione, perché riversano in mare una melassa ipersatura tossica
Sento sempre parlare di questa cosa che non ho mai capito, se io prendo l'acqua di mare e levo l'acqua dolce, quello che rimane sono sale e altre sostanze che erano già in mare.
Quindi perché dovrebbe inquinare ributtare in mare sostanze che erano già in mare? Magari si possono buttare al largo in modo da diluirle meglio.
Nomen omen!
Quindi perché dovrebbe inquinare ributtare in mare sostanze che erano già in mare? Magari si possono buttare al largo in modo da diluirle meglio.
il problema è la concentrazione di queste sostanze. Ciò che resta dopo la dissalazione è un residuo concentratissimo micidiale.
Se lo versi in un lago ammazzi tutto ciò che c'è nel lago perché fai diventare salata l'acqua dolce e aumenti ulteriormente il problema idrico.
Se lo versi nel mare, ok, il mare è salato ma non a quei livelli e ce ne vuole prima che si diluisca a sufficienza
Se lo versi in un lago ammazzi tutto ciò che c'è nel lago perché fai diventare salata l'acqua dolce e aumenti ulteriormente il problema idrico.
Se lo versi nel mare, ok, il mare è salato ma non a quei livelli e ce ne vuole prima che si diluisca a sufficienza
Riutilizzare il sale per... il sale?
non c'è solo il sale nell'acqua di mare ma un sacco di sostanze disciolte, per cui alla fine non so quanto convenga o sia possibile produrre sale da cucina a partire dalla salamoia di scarto
Se ci mettevi pure le scie chimiche potevi diventare il candidato 5 stelle perfetto.
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