Il MIT vuole mettere un cervello artificiale nel vostro smartphone

Al MIT dicono di aver fatto progressi nella progettazione dei memristori, componenti elettronici che in prospettiva potrebbero consentire la creazione di chip che funzionano come cervelli artificiali. I nuovi memristori funzionano come sinapsi e per la creazione i ricercatori si sono ispirati al settore metallurgico.
di Manolo De Agostini pubblicata il 10 Giugno 2020, alle 17:21 nel canale Scienza e tecnologiaGli ingegneri del MIT di Boston hanno messo a punto quello che definiscono un "cervello in un chip", ovvero un piccolissimo chip composto da decine di migliaia di sinapsi artificiali note come memristori. Ogni memristore è stato creato con leghe di argento e rame, insieme al silicio. Queste sinapsi artificiali mimano le sinapsi vere, quelle che nel nostro cervello fungono da autostrade per la trasmissione di informazioni.
Una volta creato il chip, gli ingegneri l'hanno sottoposto a una serie di attività visive riscontrandone la capacità di ricordare le immagini memorizzate e riprodurle più e più volte, in versioni più nitide e pulite rispetto ad altri memristori esistenti realizzati con elementi non legati. I risultati dello studio, pubblicati su Nature Nanotechnology, hanno quindi dimostrato che al MIT hanno ideato un nuovo design promettente per memristori destinabili a dispositivi neuromorfici, ossia soluzioni basate su un nuovo tipo di circuito che processa informazioni in un modo che mima l'architettura neurale del cervello. Intel è tra le aziende impegnate nel settore con Loihi e i sistemi derivati, ma in questo caso lo studio è stato parzialmente finanziato dal MIT-IBM Watson AI Lab e dal Samsung Global Research Laboratory.
Il chip neuromorfico del MIT visto da vicino, composto da decine di migliaia di memristori.
I circuiti ispirati al cervello umano potrebbero consentire anche a piccoli dispositivi portatili, come gli smartphone, di svolgere calcoli complessi che oggi solo i supercomputer possono gestire. "Finora, le reti di sinapsi artificiali esistevano come software. Stiamo provando a realizzare una vera rete neurale hardware per sistemi di intelligenza artificiale portatili" ha dichiarato Jeehwan Kim, professore associato di ingegneria meccanica del MIT. "Immaginate di connettere un dispositivo neuromorfico a una videocamera sulla vostra auto, e che sia in grado di riconoscere luci e oggetti e prendere decisioni immediatamente, senza doverlo collegare a Internet. Speriamo di usare memristori energeticamente efficienti per fare queste operazioni sul posto in tempo reale".
I memristori, all'interno di un dispositivo neuromorfico, operano come i transistor in un circuito elettronico, anche se funzionano in modo molto più simile a una sinapsi cerebrale - la giunzione tra due neuroni. La sinapsi riceve segnali da un neurone, nella forma di ioni, e invia un segnale corrispondente al neurone successivo. Un transistor in un circuito tradizionale trasmette l'informazione passando tra due valori, 0 e 1, e facendolo solo quando il segnale che riceve, sotto forma di corrente elettrica, ha una intensità particolare. Di contro, un memristore funziona lungo un gradiente, in modo molto più simile a una sinapsi nel cervello. Il segnale prodotto varia a seconda della forza del segnale che riceve, consentendo al memristore di avere molti valori diversi ed eseguire una gamma di operazioni più ampia rispetto ai transistor a cui siamo abituati.
In modo simile a una sinapsi, un memristore sarebbe inoltre capace di "ricordare" il valore associato a una determinata intensità di corrente e produrre l'esatto medesimo segnale la volta successiva che riceve una corrente simile. In questo modo sarebbe capace di rispondere a un'equazione complessa, o alla classificazione visiva di un oggetto, in modo affidabile - di norma sono necessari molti transistor e condensatori. Gli studiosi prevedono inoltre che i memristori richiederebbero meno spazio dei transistor tradizionali, permettendo così la creazione di potenti soluzioni di calcolo portatili, che lavorano localmente senza richiedere il collegamento ad altri dispositivi e nemmeno connessioni a Internet.
I memristori esistenti hanno però prestazioni limitate. Un memristore è fatto di un elettrodo positivo e uno negativo, separati da uno spazio o "mezzo di commutazione". Applicando una tensione a un elettrodo, gli ioni scorrono in tale spazio formando un canale di conduzione verso l'altro elettrodo. Gli ioni ricevuti formano il segnale elettrico che il memristore trasmette nel circuito. La dimensione del canale ionico - e il segnale che il memristore produce alla fine – dovrebbe essere proporzionale alla forza della tensione stimolante.
Immagine riprocessata dal chip del MIT in modo più affidabile degli attuali progetti neuromorfici, incluse nitidezza e sfocatura
Secondo il professor Kim, i dei memristori funzionano piuttosto bene nei casi in cui la tensione stimola un grande canale di conduzione, o un flusso pesante di ioni da un elettrodo a un altro. Tali progetti sono però meno affidabili quando i memristori devono generare segnali minori tramite canali conduttivi più sottili. Più è sottile un canale di conduzione e più leggero è il flusso degli ioni che fluiscono da un elettrodo all'altro, più difficile è per i singoli ioni stare insieme. Invece, tendono a vagare, disperdendosi nel mezzo. Di conseguenza, è difficile per l'elettrodo deputato alla ricezione catturare in modo affidabile lo stesso numero di ioni e quindi trasmettere lo stesso segnale, quando stimolato con un determinato intervallo di corrente ridotto.
Come aggirare questa limitazione? Kim e i suoi colleghi hanno preso in prestito una tecnica dalla metallurgia. "Tradizionalmente i metallurgisti cercano di aggiungere atomi differenti in una matrice grezza per rafforzare i materiali, e abbiamo pensato, perché non modificare le interazioni atomiche nel nostro memristore aggiungendo un elemento legante per controllare il movimento degli ioni nel nostro mezzo?", ha spiegato Kim.
Solitamente si usa l'argento per realizzare l'elettrodo positivo del memristore. Il team di Kim ha cercato un elemento che potesse combinarsi con l'argento per tenere uniti gli ioni d'argento, consentendo allo stesso tempo un flusso rapido verso l'altro elettrodo: la scelta è ricaduta sul rame, in quanto è in grado di legarsi insieme all'argento e con il silicio. Per consentire ai memristori di usare la nuova lega, il team ha anzitutto realizzato un elettrodo negativo dal silicio, poi ha realizzato quello positivo depositando una piccola quantità di rame, seguita da uno strato di argento. Dopodiché hanno messo i due elettrodi attorno a un mezzo di silicio amorfo. In questo modo, sono riusciti a ottenere un chip di silicio da un millimetro quadrato composto da decine di migliaia di memristori.
Il chip neuromorfico è stato in grado di riprodurre l'immagine dello scudo di Captain America in modo nitido e affidabile
Ottenuto il chip, era ora di metterlo alla prova: come primo test hanno ricreato un'immagine in scala di grigi dello scudo di Capitan America, equiparando ciascun pixel dell'immagine a un memristore all'interno nel chip, modulando la conduttanza di ciascun memristore relativamente all'intensità del colore del pixel corrispondente. Non solo il chip ha prodotto un'immagine nitida dello scudo, ma è stato anche in grado di ricordare l'immagine e riprodurla molte volte. Il team ha anche programmato i memristori per alterare un'immagine, in questo caso quella del Killian Court nel campus del MIT, in diversi modi specifici, al fine di rendere più nitida o sfocata l'immagine originale. Anche in questo caso il loro design è stato in grado di restituire le immagini riprogrammate in modo più affidabile rispetto ai memristori esistenti.
"Stiamo usando sinapsi artificiali per svolgere test reali di inferenza", ha dichiarato Kim. "Vorremmo sviluppare ulteriormente questa tecnologia per disporre insiemi su larga scala per svolgere attività di riconoscimento delle immagini. E un giorno, forse sarete in grado di portare con voi cervelli artificiali per svolgere questo tipo di compiti, senza collegarvi a supercomputer, Internet o cloud", ha concluso il professore.
7 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoStai confrontando le sinapsi di un chip con le sinapsi di tutto il cervello, grazie al tram che sono molte di più...
E come sempre, da qualche parte si deve partire e all'inizio i numeri in gioco sono ovviamente bassi.
"Vorremmo sviluppare ulteriormente questa tecnologia per disporre insiemi su larga scala per svolgere attività di riconoscimento delle immagini. E un giorno, forse sarete in grado di portare con voi cervelli artificiali per svolgere questo tipo di compiti, senza collegarvi a supercomputer, Internet o cloud"
sembra più uno slogan per raccogliere fondi che un obiettivo di ricerca scientifico. Del resto il riconoscimento immagini non si fa già? E poi metterebbero il cervellone nello smartphone, tenendolo staccato da internet?
"Vorremmo sviluppare ulteriormente questa tecnologia per disporre insiemi su larga scala per svolgere attività di riconoscimento delle immagini. E un giorno, forse sarete in grado di portare con voi cervelli artificiali per svolgere questo tipo di compiti, senza collegarvi a supercomputer, Internet o cloud"
sembra più uno slogan per raccogliere fondi che un obiettivo di ricerca scientifico. Del resto il riconoscimento immagini non si fa già? E poi metterebbero il cervellone nello smartphone, tenendolo staccato da internet?
Il riconoscimento immagini si fa già, ma non è perfetto, si può sempre migliorare. Riguardo le connessioni, tieni presente che il cervello ne ha tante, ma è il suo limite massimo. Se lo costruisci in linea di principio puoi averne quante ne vuoi, a patto di saperle gestire ovviamente.
E poi non tutte servono all'apprendimento, quindi quelle utili allo scopo da emulare in realtà sono meno ( non saprei dire quante).
Altro che intelligenze artificiali. A suon di avere assistenti virtuali si finisce che non si sa nemmeno piu' alzare la forchetta dal piatto.
Anni fa ero con un amico e ricordo si parlasse di cinema e cercavo di ricordare il nome di un attore di un film western famoso ma non mi veniva in mente. Al mio amico subito venne l' istinto di cercarlo tramite smartphone ma gli chiesi di non cercarlo proprio perche' volevo riuscirci senza perche' era impossibile non riuscire a ricordarsi un nome cosi' famoso. Alla fine mi venne in mente con gran soddisfazione ma allo stesso tempo preoccupazione/riflessione di come a fronte di qualsiasi esercizio di memoria si getti la spugna subito per farsi aiutare dallo strumento tecnico.
Questo moltiplicato per giorni, mesi, anni...davvero "aiuterà" il cervello umano?
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