Decomporre la plastica in una settimana, ecco l'enzima modificato che potrebbe fare la differenza
Una ricerca pubblicata recentemente su Nature mostra come sia possibile decomporre le plastica in pochi giorni, rispetto alle centinaia di anni che il processo richiederebbe naturalmente. La grande sfida sarà riuscire a introdurre il nuovo metodo nel settore industriale.
di Vittorio Rienzo pubblicata il 06 Maggio 2022, alle 09:11 nel canale Scienza e tecnologiaUn gruppo di scienziati della University of Texas di Austin ha creato un enzima modificato in grado di scomporre la plastica nel giro di pochi giorni anziché i secoli richiesti naturalmente.
I ricercatori hanno pubblicato il loro studio sulla rivista Nature, da cui emergono numerosi dettagli interessanti. Gli scienziati hanno usato il machine learning per sviluppare delle specifiche mutazioni proteiche su un'enzima, dando vita a quello che hanno definito FastPETase. Questo enzima si è dimostrato in grado di abbattere, in circa una settimana, gli elementi costitutivi del polietilene tereftalato, meglio conosciuto come PET.
Si tratta del polimero utilizzato in numerosi settori, da quello tessile per la realizzazione di nuove fibre a quello alimentare per la conservazione e distribuzione di cibi e bevande. Si stima che il PET costituisca circa il 12% dei rifiuti globali in natura, nonostante oggi sia comunque possibile riciclarlo totalmente. I ricercatori hanno testato la capacità dell'enzima su oltre 50 tipi diversi di plastica registrandone le indubbie qualità su diversi tipi di PET.
Come detto, per mettere a punto le mutazioni necessarie alla realizzazione del nuovo enzima è stato utilizzato il machine learning che ha consentito di velocizzare la ricerca. Il processo che ne risulta, chiamato depolimerizzazione, consente di separare gli elementi costitutivi del polimero restituendo i monomeri originari. Fatto ciò, attraverso la ripolimerizzazione, si possono creare nuovi prodotti da zero, con le stesse caratteristiche di quelli nuovi, senza attingere a risorse petrolifere.
"[…] una volta che hai il tuo monomero originale, è come se stessi producendo plastica nuova da zero, con il vantaggio che non è necessario investire nuove risorse petrolifere" ha commentato Hal Arper, professore di ingegneria chimica e redattore del documento, in un'intervista telefonica con Vice.
"Questo ha dei vantaggi rispetto al tradizionale riciclo su nastro" ha poi aggiunto Arper, "Se fondi la plastica e poi la rimodelli inizi a perderne parte dell'integrità, e la perdita aumenta ad ogni nuovo processo di riciclo. Con il nostro metodo, se sei in grado di depolimerizzare e ripolimerizzare chimicamente, puoi produrre plastica vergine ogni volta".
In realtà, come ci ricorda anche Vice, di enzimi capaci di decomporre la plastica ne conosciamo già dal 2005: ma allora qual è la novità? Beh, le sue possibilità di applicazione. Le soluzioni trovate finora, seppur funzionali allo scopo, necessitano di condizioni a dir poco specifiche. Questo, naturalmente, rende difficile oltre che poco conveniente un loro uso su vasta scala.
La vera sfida dei ricercatori americani, infatti, sarà riuscire a trovare un modo economicamente conveniente e soprattutto fattibile per estenderne l'utilizzo in ambito industriale. Stando a quanto dichiarato dal Dottor Arper, il suo team ha già testato l'enzima in condizioni ambientali di pH e temperatura diverse ottenendo risultati importanti: ha dimostrato un'attività 2,4 volte maggiore a una temperatura di 40 °C, e ben 38 volte maggiore a 50 °C rispetto agli enzimi naturali già noti.
Sarà quindi interessante capire se e quando questo nuovo metodo di depolimerizzazione arriverà sul mercato ed i benefici reali che apporterà all'annoso problema dei rifiuti e dell'inquinamento ambientale da plastica.
8 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoMa quali sono i prodotti di risulta di questo processo di digestione?
Ma quali sono i prodotti di risulta di questo processo di digestione?
nell'articolo si parla di monomeri originari. sembra molto promettente il tutto, incrociamo le dita
A me sembra che si cerchi di dare del sensazionalismo ed ingigantire il problema che in realtà è più contenuto nella realtà.
Non che il problema non esista e magari questo è anche l'unico modo per cui le persone se ne possano interessare ma quello che vedo è diverso da quello che leggo.
Disponibile a cambiare idea in presenza di prove.
A me sembra che si cerchi di dare del sensazionalismo ed ingigantire il problema che in realtà è più contenuto nella realtà.
Non che il problema non esista e magari questo è anche l'unico modo per cui le persone se ne possano interessare ma quello che vedo è diverso da quello che leggo.
Disponibile a cambiare idea in presenza di prove.
Puoi leggere a proposito qui e qui.
A me sembra che si cerchi di dare del sensazionalismo ed ingigantire il problema che in realtà è più contenuto nella realtà.
Non che il problema non esista e magari questo è anche l'unico modo per cui le persone se ne possano interessare ma quello che vedo è diverso da quello che leggo.
Disponibile a cambiare idea in presenza di prove.
non è che sia un continente su cui arrivi con la nave, sbarchi e ci cammini sopra.
è fatto di briciole di plastica sminuzzata, che costituiscono uan brodaglia, difficilmente visibile da foto, e men che meno satellitari, che poi al largo sono sempre a definizione bassissima.
Devi effettuare il login per poter commentare
Se non sei ancora registrato, puoi farlo attraverso questo form.
Se sei già registrato e loggato nel sito, puoi inserire il tuo commento.
Si tenga presente quanto letto nel regolamento, nel rispetto del "quieto vivere".