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La Grecia, campanello d’allarme per l’Europa
di Emiliano Brancaccio - 02 Aprile 2010
In Grecia il governo trucca i bilanci, si dà alla finanza allegra, manda in pensione i lavoratori troppo presto e poi chiede aiuto all’Europa quando i mercati finanziari lo sfiduciano. In estrema sintesi è questa l’interpretazione della crisi finanziaria greca che in questi giorni va per la maggiore. Gli economisti Alesina e Perotti, tra gli altri, la sostengono apertamente (Sole 24 Ore, 27 marzo). Questa lettura fa indubbiamente parte del senso comune. Essa tuttavia non coglie alcuni problemi di fondo che riguardano non solo il caso della Grecia ma l’intero assetto della Unione monetaria europea. Le principali difficoltà in seno alla zona euro riguardano più gli squilibri commerciali tra i paesi membri che l’andamento dei conti pubblici di ogni singolo paese. La superiore capacità dei capitali tedeschi di aggredire i mercati esteri è la causa principale di tali squilibri. In Germania l’elevato grado di organizzazione e di centralizzazione dei capitali determina una rapida crescita del valore della produttività oraria del lavoro. A ciò si è aggiunta, soprattutto negli ultimi anni, una politica di forte contenimento dei salari e della spesa interna. Conseguenza di questi andamenti è una dinamica dei costi unitari e delle importazioni molto più contenuta rispetto a quella che si registra in altri paesi europei. L’economia tedesca risulta quindi sempre più competitiva e riesce ad accumulare avanzi commerciali sistematici a fronte della strutturale tendenza al disavanzo estero in cui versano soprattutto Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Questi paesi vengono talvolta bollati con il poco diplomatico acronimo di “pigs”. Ciò che tuttavia sfugge a molte analisi è che i cosiddetti “pigs” sono accomunati dalla summenzionata tendenza ai disavanzi con l’estero, mentre per quanto riguarda i rispettivi debiti pubblici si somigliano molto poco. Del resto le indagini empiriche mostrano che i differenziali tra i tassi d’interesse sui titoli pubblici dei paesi europei sono correlati alla dinamica dei conti esteri in rapporto al Pil più che all’andamento dei conti pubblici[1]. A quanto pare, dunque, gli speculatori contemplano il rischio di un default dei bilanci statali solo in via secondaria, mentre tendono soprattutto a sbarazzarsi dei titoli sia pubblici che privati dei paesi afflitti da una tendenza alla stagnazione o al disavanzo estero, o addirittura da una miscela di entrambe. Il sospetto che sembra dunque muovere gli speculatori è che tali paesi possano prima o poi decidere di affrontare i loro problemi di competitività attraverso l’abbandono dell’euro e la svalutazione. In tal caso i titoli denominati nelle valute deprezzate perderebbero valore, ed è bene quindi venderli prima che ciò accada. Gli squilibri commerciali rappresentano dunque il maggior pericolo per il futuro della moneta unica. L’attuale assetto istituzionale dell’Unione scarica tutto il peso del riequilibrio sui paesi in disavanzo con l’estero, i quali vengono continuamente forzati a comprimere i salari e la spesa sociale. Gli stessi “aiuti” alla Grecia saranno vincolati all’attuazione di tali politiche deflattive. Ma come abbiamo detto anche la Germania si caratterizza per una politica di schiacciamento delle retribuzioni e del welfare. I paesi in difficoltà commerciale sono quindi chiamati ad abbattere i salari e la spesa pubblica per compensare non solo la maggiore produttività delle imprese tedesche ma anche la stessa politica restrittiva della Germania. I dati ci dicono però che in questo modo il problema cruciale dei divari competitivi tra i paesi membri non viene risolto ma viene solo rinviato. Tali divari inoltre sono ormai così accentuati che la tentazione per qualcuno di mandare tutto all’aria e di sganciarsi dalla moneta unica potrebbe un giorno o l’altro farsi irresistibile. E se anche non vi fosse una espressa decisione politica in tal senso, gli attacchi speculativi potrebbero a un certo punto moltiplicarsi fino a rendere inesorabili le svalutazioni. Il caso greco rappresenta in questo senso solo un primo campanello di allarme. La zona euro è dunque attraversata da tendenze centrifughe poderose, che vengono oltretutto rafforzate dalla crisi. Per contrastarle bisognerebbe indurre le autorità tedesche ad accettare l’introduzione di un diverso criterio di riequilibrio commerciale, che si basi su una loro maggior disponibilità a spendere e più in generale su meccanismi di governo politico dell’Unione che compensino la superiore capacità dei capitali tedeschi di penetrare i mercati esteri. Tuttavia a Berlino non sembrano particolarmente scossi dalla eventualità che alcuni paesi arrivino a sganciarsi dalla moneta unica. Ciò non deve meravigliare. Il governo tedesco sa bene che le svalutazioni altrui potrebbero ridurre in via solo temporanea i divari di competitività rispetto alla Germania. Inoltre, una volta esaurita la spinta competitiva delle svalutazioni, le imprese tedesche avrebbero l’opportunità di rastrellare ingenti capitali dal resto d’Europa a prezzi di saldo. Una eventuale crisi dell’unità monetaria potrebbe quindi esser vista dai tedeschi come una normale fase di assestamento lungo l’inesorabile percorso di egemonizzazione economico-politica dell’Europa. Sparire o farsi assorbire: è questo dunque il destino di tante imprese situate in Grecia, in Italia e nelle altre periferie del continente? Bisogna cioè rassegnarsi al fatto che la testa pensante del capitale europeo si concentrerà sempre di più in Germania e che i “pigs” rimarranno popolati solo da masse inermi di azionisti di minoranza e di lavoratori a basso costo? Nella sostanza è esattamente questo il futuro che ci riserva l’attuale assetto dell’Unione monetaria europea. La crisi economica rende però la situazione più dolorosa sul piano economico e quindi forse più accidentata sul terreno politico. Se una tangibile ripresa mondiale si facesse ancora attendere, i paesi deboli dell’Unione potrebbero arrivare ad accarezzare l’idea non soltanto di svalutare, ma anche di ridurre in modi più o meno surrettizi il grado di apertura internazionale dei loro mercati. Impensabile appena pochi anni fa, una reazione del genere trova oggi più di un riscontro tra gli stessi imprenditori “periferici” ed è forse l’unica mossa che potrebbe suscitare qualche dubbio a Berlino sulla aggressiva politica mercantilista fino ad oggi perpetuata dalla Germania[2]. Sembra paradossale, ma il rilancio dell’unità europea potrebbe scaturire proprio da una minaccia neo-protezionista avanzata da qualcuno dei “pigs”. [1] Per un test sulla relazione tra i differenziali fra i tassi d’interesse su titoli italiani e tedeschi e gli andamenti dei conti esteri e dei conti pubblici di Italia e Germania, rinvio a Emiliano Brancaccio, “Deficit commerciale, crisi di bilancio e politica deflazionista”, Studi economici n. 96, 2008/3. [2] Sulle implicazioni della politica mercantilista della Germania si veda anche Sergio Cesaratto, “Notes on Europe, German Mercantilism and the Current Crisis”, contributo agli atti del convegno “La crisi globale” (Siena 2010; gli atti saranno pubblicati nei prossimi mesi da Routledge in un volume a cura di Emiliano Brancaccio e Giuseppe Fontana dal titolo The Global economic crisis. New perspectives on the critique of economic theory and policy; gli atti provvisori e i materiali audio in italiano sono già disponibili nella sezione “atti” del sito www.theglobalcrisis.info/). Fonte: Economia e politica |
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Iscritto dal: Feb 2009
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Della serie i vincitori che si distinguono per l'efficienza del proprio mercato e per la capacità produttiva vanno puniti in nome di.....già in nome de che? Sono i pigs che devono cambiare,non la Germania e se temporaneamente si rendesse utile ridurre l'apertura verso i mercati internazionali da parte dei primi,perchè no. |
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Il punto di vista tedesco invece mi pare sia il seguente, a grandi linee:
-Nel mondo attuale, tra Cina e paesi emergenti, tutti devono essere più competitivi e darsi da fare di più. Quindi è che ha una bassa produttività che deve darsi da fare, aumentando la produttività o tagliando i costi. (questo è rivolto soprattutto alla Francia). -I PIGS (o PIIGS, visto che la serie si allunga) sono paesi che vivono ampiamente sopra le proprie possibilità economiche. Dovrebbero fare massicce riforme per aumentare la loro produttività, anche fronteggiando elevati costi "sociali". Visto che or ora, come detto, stanno vivendo sopra le loro possibilità. (Vuol dire sostanzialmente: abbassare spesa pubblica, stipendi e tasse). -La "mancata convergenza" è dovuta principalmente a fallimenti di questi paesi che nonostante gli investimenti tardano a costruire infrastrutture, i costi salgono etc... quindi pagare (non si intende in termini economici, visto che non hanno soldi!) per la loro mancanza è un affare principalmente loro. D'altra parte è ovvio che un crollo dei PIIGS (+eventualmente Francia e UK) danneggerebbe anche la Germania, quindi al di fuori delle dichiarazioni e delle prese di posizioni credo sia ovvio che metteranno mano al portafoglio per evitarlo. Il meno possibile però... La Germania non cambierà MAI la sua politica economica fin tanto che è vincente. |
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Penso che la Grecia sia un problema per l'europa essenzialmente per via del fatto che ora vi è un'unione economica e monetaria molto forte. Se non fosse stata fatta tale unione, con l'euro etc... i problemi della Grecia sarebbero più che altro fatti suoi.
Ovviamente per evitare che i problemi e l'incapacità di un singolo stato vadano a devastare il tutto esistono delle regole, quali il patto di stabilità, etc... Purtroppo la grave crisi economica mondiale ha costretto l'europa a chiudere un occhio e consentire la violazione temporanea di tali regole. Io penso che se la cosa dovesse ripetersi e altri paesi finissero come la Grecia probabilmente l'europa potrebbe prendere decisioni drastiche, quali un patto di stabilità vincolante con eventuale fuoriuscita dall'unione per un paese che violi le regole (dopo un periodo di preavviso). E' evidente che le conseguenze per tale paese sarebbero devastanti per cui i governi farebbero molta più attenzione onde evitare l'autodistruzione. |
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ancora lacrime e sangue per salvare il culo ai soliti noti che mangiavano mangiano e mangeranno ?
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D'altronde tutte le storture accumulate dal sistema paese,tipo andare in pensione a 40/50 anni grazie alla "cazzutaggine " della sinistra e dei sindacati,il magna magna assistenzialista,ecc. che ci consentiva (a cominciare dai nostri genitori) di vivere al disopra delle nostre possibilità,in qualche modo dovremo pur pagarle.... |
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non sono le pensioni il problema è il comparto del sociale ammorbato da torme di zecche che succhiano indebitamente. il resto va a valle. il debito è impressionante. però il segnale che i politici danno è "non rompetece i c***** che noi magniamo come abbiam sempre fatto e verremo a bussare quattrini alle vostre tasche". scusa, ma io a sto punto voglio vedere qualche fucilata in risposta.
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Difatti l'origine della crescita del debito risale a quegli anni con un picco negli anni 80'. Comunque il debito pubblico non ce lo leveremo mai di torno,temo,a meno che la gente non capisca come stanno le cose e comprenda che non possiamo vivere ai livelli della Germania. |
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Tanto poco un uomo si interessa dell'altro, che persino il cristianesimo raccomanda di fare il bene per amore di Dio. (Cesare Pavese) "Sono un liberale di destra, come potrei votare uno come Berlusconi?" Marcello Dell'Utri, fondatore del partito Forza Italia, è stato condannato per mafia. |
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Tanto poco un uomo si interessa dell'altro, che persino il cristianesimo raccomanda di fare il bene per amore di Dio. (Cesare Pavese) "Sono un liberale di destra, come potrei votare uno come Berlusconi?" Marcello Dell'Utri, fondatore del partito Forza Italia, è stato condannato per mafia. |
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Certo. Ma il debito è cresciuto soprattutto negli anni Ottanta, a causa della politica clientelare del Pentapartito, con assunzione di dipendenti pubblici senza che vi fosse un lavoro produttivo ch'essi potessero svolgere.
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ti ho già detto che io NON sono disposto a pagarlo te fa come vuoi
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Anche negli States la sinistra (i Democratici) tassano e la destra (i Repubblicani) detassano o per lo meno non aumentano le tasse o tagliano le spese,(ma in generale in tutto il mondo democratico lo schema è identico) Il punto è che da noi si riesce (quando si riesce ) solo con grande difficoltà a tagliare le spese:non ci si lamenta forse notte e di,dei tagli alla polizia,alla scuola ecc..? Le tasse non si possono aumentare perchè sono al limite massimo della decenza (anzi dell'indecenza) dunque non resta che detassare,non so che miracoli si pretendano.... |
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#19 | |
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ci sto pensando, il tanfo di m*** italiano mi sta veramente nauseando
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