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Old 02-07-2007, 16:07   #1
Adric
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Gino Paoli: "il jazz, l'unica musica non in crisi"

Gino Paoli canta jazz: 'L'unica musica non in crisi'

C'è una gran voglia di jazz in giro ("incredibile", dice Enrico Rava, "per festival, concerti, nuovi talenti e domanda del pubblico in questo momento siamo davanti alla Francia e primi in Europa, le riviste internazionali ci portano in palmo di mano, anche Veltroni a Roma sta facendo un gran lavoro: credevo avrebbe saturato il mercato con la sua Casa del Jazz, invece il pubblico risponde alla grande"). Ma per Gino Paoli, che con lo stesso Rava, l'altro trombettista Flavio Boltro, Danilo Rea (pianoforte), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria) ha appena pubblicato un delizioso album dal vivo in cui reinterpreta dodici standard, suoi e altrui ("Time after time", "Stardust", "I fall in love too easily"), è una passione antica e una cosa che viene naturale: perché "playing jazz is like piss off", come gli disse Lester Young tanti anni fa, quando a sedici anni ebbe il coraggio di avvicinarlo in albergo dopo un concerto a Genova. "Il mio amore per questa musica è nato nel 1945-46, in pratica in tempi preistorici. Davanti a casa mia parcheggiarono prima i carri armati tedeschi, poi quelli americani: la musica che usciva dai primi è meglio dimenticarla, dai secondi sentivo arrivare la tromba di Louis Armstrong. Io, Luigi (Tenco) e Bruno (Lauzi) andavamo al porto, i soldati americani erano sempre ubriachi ma tutti sapevano suonare. Poi, la prima volta che mi esibii alla Bussola, il mio pianista di allora, Sergio Sandrini, mi mandò a quel paese lasciandomi senza orchestra: per fortuna intervenne Renato Sellani ("special guest" nel nuovo disco) a darmi una mano. Da giovane scrissi anche un pezzo jazz su Billie Holiday, 'Signora giorno', ci sono affezionato e prima o poi ci rimetterò mano. Cinque anni fa, infine, quando chiesero a Rava di scegliere un cantautore con cui fare un concerto a Brescia, mi fece l'onore di scegliere me. Siamo diventati amici, e tutto è partito da li. L'amicizia e il divertimento, oggi, devono essere le ragioni per continuare a far musica".
ll "tutto" a cui Paoli si riferisce è appunto un disco dal titolo plurievocativo di "Milestones" (Miles Davis, i "Sassi" di Paoli, i musicisti coinvolti che sono pietre miliari del jazz e della musica italiana...), appena uscito per la prestigiosa Blue Note ("Per me", spiega Paoli, "c'è anche un risvolto romantico: i primi 45 giri extended play di Chet Baker e Gerry Mulligan che comprai uscirono su quell'etichetta"), poi una serie di concerti tra giugno e settembre (il primo è in programma il 15 giugno in Piazza Vecchia a Bergamo Alta) in cui Rava e Boltro si alterneranno secondo disponibilità. "I pezzi cambieranno di sera in sera, è questo il bello del jazz. Ora per esempio vorrei includere 'I should care', le canzoni di Sammy Cahn mi corrispondono in maniera particolare. I nostri sono incontri nel senso letterale del termine: tutti hanno i loro impegni, ho comprensione per quella povera ragazza che deve mettere insieme il calendario". Siccome di incontro si parla, tutti hanno qualcosa da dire (oltre che da suonare), dopo un breve ma piacevolissimo showcase alla Salumeria della Musica in cui Paoli & co. (Boltro non c'è) snocciolano con classe ed eleganza rare "Time after time", "Che cosa c'è" e "Senza fine", quest'ultima chiusa da una vibrante improvvisazione strumentale. "Il repertorio l'ho scelto io all'80 %", spiega Rava. "Per me le canzoni di Paoli sono tra le più belle del dopoguerra, non solo in Italia, 'Senza fine' soprattutto. Sono estremamente 'suonabili', e poi sono la colonna sonora della mia tarda adolescenza, insieme a quelle di Joao Gilberto e di Marino Barreto Jr.". "Sono canzoni dalle melodie bellissime, incise nell'universo", aggiunge Bonaccorso. "Talmente pulite che il miglior servizio che gli si può fare è di aggiungerci il meno possibile. Sono standard, gli standard di Gino: e noi jazzisti le suoniamo come suoneremmo un blues, o una ballad. Non c'è niente di organizzato, improvvisiamo e non sappiamo dove andiamo a finire: è musica totale". "Abbiamo registrato in due giorni, di getto, senza rimaneggiamenti", chiosa Gatto. "Gino sa di jazz molto più di quanto la gente pensi, come tutti i grandi cantanti di tradizione canta senza preoccuparsene troppo".
Così, in fondo, senza troppi calcoli e programmi, nasce tutta la buona musica. "Oggi i ragazzi mi avvicinano chiedendomi come si fa ad avere successo", racconta Paoli. "La musica non è più un fine, ma un mezzo per qualcos'altro. E la mia unica risposta è: continuate a suonare. La musica vive una crisi enorme, ma il jazz no: i locali dove suonare ci sono eccome". Manca magari il repertorio nuovo, gli standard sono fermi ai '60, ai '70..."Per forza, è un fatto economico. Trovato un successo si innesca la ripetitività, escono 15 dischi tutti uguali uno all'altro. Una volta c'erano venti case discografiche, oggi sono rimaste in tre: se fallisci con una, dopo il primo colpo non hai più chance. Nessuno può più permettersi di fare come la Ricordi o la RCA di una volta, non c'è più un Lucio Dalla che pubblicò sette dischi prima di avere successo. Il problema è che sui dischi si fanno spese americane per vendite italiane: lo diceva Bruno Lauzi, arguto come sempre".
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(24 Mag 2007)
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Non sono d'accordo su diverse affermazioni di Gino Paoli ed Enrico Rava sul jazz, ma prima vorrei leggere la vostra opinione, anche quella dei non appassionati di jazz ma di altri generi.
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Old 02-07-2007, 18:16   #2
Mavel
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Ho sempre apprezzato il jazz senza però mai addentrarmici in maniera seria, le mie conoscenze sono più che altro sui nomi più famosi come Davis, Coltrane, Parker per "il passato" e Stanley Jordan, Stanley Clarke e l'immenso Marcus Miller tra quelli più recenti, oltre a tanti altri di cui però ho ascoltato veramente poco.

Non credo che tutta la musica jazz escluso sia in crisi. Tanto per rimanere in una delle mie passioni, il metal fa proseliti ovunque, riempiendo stadi molto facilmente.

Certo il metal è sicuramente più "popolare" rispetto a tipi di musica "colti" come classica e jazz, ed anche questo conta.

Forse Gino Paoli si riferisce unicamente alla realtà commerciale italiana, e allora avrebbe pure ragione ma dovrebbe allargare un po' il punto di vista perché c'è molto altro. D'accordo invece sul fatto che imbeccato un genere di successo escono centinaia di dischi tutti uguali!
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Old 02-07-2007, 19:55   #3
Phantom II
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Non posso esprimermi in merito al jazz perché non lo conosco, per quanto riguarda gli altri generi, sono d'accordo con Paoli.
Il pop è qualitativamente pessimo da almeno 20 anni, il rap ha perso il 99,9% dell'attitudine che lo rendeva un genere carico di significato, il rock è andato a puttane con l'avvento dei cotonati negli anni '80 anche se qualcosa di decente ogni tanto si è sentito.
Il metal è commercialmente vivo quanto artisticamente morto. L'interesse c'è solo per gruppi che non hanno nulla da dire se non mostrate tecnicismi di cui solo i segaioli hanno bisogno o fare i cattivi a tutti i costi per impressionare. Soprassediamo poi sulla marea di formazioni che hanno scritto discografie intere copiando l'accordatura di chitarra di Darrel dei Pantera o il suono "melmoso" dei Sepultura di Roots.
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Old 02-07-2007, 22:58   #4
thotgor
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mamma che bellezza alcuni pezzi jazz.....


Ultimamente mi sto appassionando a Anthony Braxton..
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Old 06-07-2007, 08:48   #5
RiccardoS
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gino paoli... jazz...



cmq... chi ha visto ieri sera Quark? Hanno parlato della casa del jazz di roma... spettacolo!
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Old 13-07-2007, 13:31   #6
Adric
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Enrico Rava
"Il pop è in crisi e ci chiede aiuto"

MARINELLA VENEGONI

INVIATA A GENOVA
Forse si comprende meglio questa famosa rinascita del jazz di cui tutti favoleggiano, se si va dritti a Enrico Rava, campione della tromba nonché il più celebre al mondo dei nostri jazzisti. Torinese di nascita e di studi, uomo pacato e ironico, famelico lettore che ha pure ispirato una storia ancora inedita a Camilleri, Enrico porta i suoi 68 anni con leggerezza e curiosità. Negli ultimi anni deve aver visto meno del solito le mura della sua ultima casa, a Genova, dov’è venuto a vivere inseguendo un sogno molto piemontese (e non ancora realizzato, in verità) di vita perfetta vicino al mare, accanto a una moglie dolce e volitiva, Lidia, suo vero punto di riferimento. Rava è autore ed esecutore assai prolifico: due suoi dischi, Easy Living e l’ultimo, The Words and the Days, sono usciti a poca distanza l’uno dall’altro; solo la settimana scorsa è finito nelle classifiche pop grazie a Milestones, che ha messo su con Gino Paoli e le sue canzoni, riviste in chiave jazz; in autunno è previsto un ulteriore lavoro, in duo con Stefano Bollani, in cui verranno rivisitati alcuni illustri brasiliani ma anche Estate di Bruno Martino. Tante idee, tanti dischi, tanto successo: il contrario di ciò che succede nel pop. Così, abbiamo cercato di carpire i suoi segreti.

All’improvviso, sembra che tutti si sentano un po’ jazz anche solo stando vicino a lei, caro Rava. La conosce pure chi non se ne intende, ma vorrebbe. Questa sua musica è così di moda come sembra?
«Dovunque andiamo a suonare troviamo locali pieni. Non succede solo a me, ma a tutti i musicisti italiani un po’ conosciuti. E’ stato un fenomeno strisciante negli ultimi 10 anni, e però le confesso che spero non sia un fatto di moda. I motivi? Non li so, ma forse gli organizzatori hanno imparato a utilizzare i sistemi del pop, fanno meglio la pubblicità».

Succede in tutto il mondo?
«Macchè. E’ un fenomeno tutto italiano. In Francia il jazz va benino, ma in Germania siamo ai minimi storici.
Guardi, i grandi mercati oggi sono l’Italia e il Giappone. Gli Usa? Ma no, non c’è rinascita, lì. Ho sentito gente acculturata come certi cantanti lirici o piloti di Formula 1 ignorare l’esistenza di Miles Davis».

Con questo progetto insieme a Gino Paoli, è come se il pop venisse verso di voi...
«Le canzoni di Gino sono suonabili in tutte le maniere, come quelle di Lauzi e di Tenco. Baglioni o Battisti, invece, sono impossibili da trasformare. Con Gino poi non è che abbiam fatto chissà che, suoniamo le musiche come sono: anzi, si suonano da sole».

Il jazz deve affrontare gli stessi problemi del pop, con la scomparsa dei dischi, lo scaricamento gratuito, la pirateria?
«No, è completamente diverso. L’appassionato vuole il disco, con la sua bella copertina. Non c’è il singolo, fra noi, ed è difficile che si scarichi da Internet. La Fnac entro il 2010 chiude lo spazio dischi, Tower Records negli Usa è fallita, ma il mio negoziante di fiducia a Rapallo è contento di come vanno gli affari. Vedo che dovunque la nicchia vive bene» .

Quante copie deve vendere un disco jazz per essere un successo?
«Diciamo trentamila».

Torino è stata una grande culla jazz. Lei, come ci è caduto dentro?
«Studiavo al D’Azeglio, poi mi hanno respinto e son finito al S.Giuseppe. Ma non mi piaceva. Amavo il jazz però non suonavo. Sui 17/18 anni, ho visto Miles Davis al Nuovo e mi sono comprato una tromba. Ho cominciato per ridere e mi son trovato a suonare con gente brava. C’era un club nei ’50 che si chiamava Escargot, vicino a Porta Nuova, e molti circoli e associazioni. Io lavoravo con mio padre nella sua azienda di trasporti, ma facevo altri sogni: con Franco Mondini studiavamo tutta la notte, andavo a letto alle 7, mi alzavo alle 8, dormivo in bagno in ufficio. Poi, una sera a Chivasso ho conosciuto Gato Barbieri per caso: mi ha fatto i complimenti. E poco a poco sono arrivato fin qui».
(La Stampa)

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RiccardoS
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quante copie deve vendere per essere un successo?

diciamo trentamila?

ma che domande sono? ma che risposte sono?

i piloti di F1 gente acculturata? con tutta la mia passione ed il rispetto per loro, credo che davvero non siano nè più nè meno che nella media, quanto a cultura, i piloti!

mah... che interviste assurde...


cmq che in italia ci sia un boom del jazz è indiscutibile: parlo delle mie parti ad esempio, a Rovigo c'è il Venezze Jazz Festival promosso dal Conservatorio di Rovigo (uno dei più prestigiosi d'italia), qua vicino c'è il delta jazz e pure a padova ci sono stati vari concerti... ora non trovo il link...
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