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Originariamente inviato da asbuni
Ciao ragazzi, scusate se vi rispondo solo ora ma l'avviso via email che mi avevate risposto mi è arrivato solo stamattina!
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Non c’è problema, a me l’avviso non arriva quasi mai. Sarà un caso, comunque sono passato da un pezzo al “controllo manuale” dei thread.
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(mannaggia, mi fai "lavorare" sodo oggi! ).
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Beh, neanche tu scherzi! :P
Dunque, vediamo un po’. La cosa forse più facile da spiegare è “l’ascesa” di AMD.
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Se davvero il mercato seguisse solo ed esclusivamente i voleri della "maggioranza", perchè già oggi la Intel che ha l'80% del mercato processori non fa un accordo con i produttori di schede madri affinchè smettano di produrre hardware per processori AMD?
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Ci ha provato, quando il K7 ha fatto la sua comparsa sulla scena dei microprocessori. E ci ha provato in due modi: con la solita strategia dei prezzi di favore a chi restava/resta “fedele” e con delle vere e proprie pressioni sui produttori di motherboard. La prima strategia ha dato ottimi risultati, tant’è che ancora oggi molti piccoli rivenditori-assemblatori, ma anche grandi distributori (vedi Dell) non vogliono saperne di trattare processori AMD. Non sarà così per sempre, di tanto in tanto si vocifera di una possibile “conversione” da parte di Dell, però questa forma di ostruzionismo non è stata certo fallimentare. E non lo è stata, inizialmente, neanche quella delle pressioni sui produttori di MB, tant’è che i più importanti hanno tardato non poco a presentare soluzioni con slot A – socket A, per fare un nome “a caso”, Asus è stata una delle ultime case a supportare i K7. Tuttavia, una serie di situazioni favorevoli hanno dato ragione ai “nuovi” processori. Innanzi tutto, la politica dei prezzi molto aggressiva operata da AMD, insieme all’intraprendenza di alcuni piccoli produttori di MB (o comunque, produttori minori), che hanno colto al balzo l’occasione di ritagliarsi una piccola, potenziale fetta di mercato lasciata libera dalla titubanza dei grandi produttori (senza la quale, comunque, i processori AMD rischiavano di restare relegati a una nicchia). Poi, non si può trascurare il peso del legame tra i K7 e nomi importanti quali Via e Sis, prima (e soprattutto, per il peso avuto nella diffusione iniziale), e Nvidia, poi: la presenza sul mercato di chipset “importanti” ha contribuito non poco alla crescente fiducia conquistata da AMD sul mercato, soprattutto sul versante della produzione, sicuramente più di quanto sarebbe successo con una massiccia produzione di chipset da parte della stessa AMD, sulla falsariga di Intel, e non è un caso se gli unici chipset prodotti “in casa” siano stati quelli per le reference board (come oggi) e pochi esemplari iniziali per poter fornire subito una soluzione completa e producibile. Ma Via & co. non avevano molto da perdere, poiché la produzione massiccia di chipset da parte di Intel limita il loro mercato: chissà, se Intel avesse tentato un accordo commerciale, se non addirittura un cartello vero e proprio con i produttori di chipset, AMD probabilmente avrebbe avuto vita più dura. Infine sono arrivati i grossi nomi, Asus & co., perché le leggi di mercato infondo funzionano, ma non sempre, o meglio non sempre in entrambe le direzioni (nel senso che produttore e consumatori non hanno sempre lo stesso peso sul prezzo finale, non negli
stessi tempi).
Ma il vero fulcro dell’avanzata di AMD sono stati i problemi avuti da Intel in quel periodo, al punto da poter parlare di una (piccola) crisi. In primo luogo, Intel parlava del passaggio al processo di metallizzazione in rame, da sostituire a quello in alluminio, ma AMD lo ha realizzato per prima (anche se lo sfruttamento effettivo della nuova tecnologia è arrivato in un secondo momento). In secondo luogo, ma non per importanza, AMD riusciva inizialmente a produrre processori più veloci, mentre si evidenziavano i primi problemi per l’architettura del P3 a salire in frequenza. In un primo momento Intel rispondeva colpo su colpo, ma intorno a 1GHz si è avuta la svolta: il P3 a 1,13 ghz era molto instabile, il primo P4 a 1,3 ghz non era da meno (per un errore progettuale, se non ricordo male), tanto che (sempre se non ricordo male) subito dopo il suo debutto fu ritirato con grande imbarazzo e posticipo del debutto definitivo. Poi, non va trascurata la nefasta accoppiata con le memorie Rambus, costosissime, con royalties eccessive e incapaci di contrastare, in abbinamento ai pentium, l’accoppiata athlon + ddr (del resto, neanche con le ddr i primi p4 erano delle schegge…). E ancora si potrebbe parlare di come la superiorità sia continuata anche quando i rapporti di velocità tra K7 e P4 si sono invertiti, con necessaria introduzione del model number da parte di AMD, almeno fino all’introduzione di più cache, all’aumento del bus (da 400 a 533MHz) e allo stabilizzarsi del supporto alle SSEII nei sw (in particolare in quelli per grafica professionale e video editing). Insomma, a causa di questi problemi Intel non poteva far valere fino in fondo il suo peso sul mercato, al punto che se si fosse presentato un terzo competitor probabilmente avrebbe avuto buone chance di successo, e così AMD è riuscita ad intaccare un muro che di per sé presentava qualche crepa…
Del resto, non è che AMD sbucasse fuori dal nulla: fin dalla comparsa del pentium, il periodo del boom vero e proprio del computer per tutti, erano presenti sulla scena altri concorrenti, il Cyrix e i K_qualcosa (5, 6) di AMD, la quale poteva vantare, tra gli esperti/appassionati/produttori la fama di aver prodotto i processori della famiglia 69000 (ora non vorrei confondermi sul nome), uno dei RISC più apprezzati, almeno nel periodo in cui ebbe vita (poi fu abbandonato per motivi collaterali). Quindi possiamo considerare quella di AMD come una lenta e progressiva rincorsa che ha subito una brusca accelerazione in un momento MOLTO propizio. E qui veniamo al dunque: tu mi chiedi perché ciò non potrebbe ripetersi con hw e sw P.M. –free, e io ti rispondo che, secondo me, il paragone non è fattibile al 100%. In primo luogo perché in quel preciso momento storico Intel non poteva far valere fino in fondo
tutto il suo peso, e ha dovuto cedere posizioni (senza svenarsi, tuttavia): lo stesso potrebbe non succedere adesso con la MS. In secondo luogo, chi a suo tempo decise di puntare su AMD non aveva molto da perdere, mentre non ciò sarebbe altrettanto vero oggi se un’implementazione P.M.-free comportasse il mancato supporto da parte (ovvero l’impossibilità di certificare/usare driver con) il sistema operativo che domina la fascia di mercato più a rischio di “contaminazione”. Insomma, le pressioni e la politica dei “prezzi di favore” (la stessa operata da MS per limitare la diffusione di Linux), costituiscono una “barriera all’ingresso” in un mercato efficace ma comunque aggirabile, o abbattibile, avendone i mezzi (economici) e la capacità (nel produrre qualcosa di valido), mentre un problema di supporto potrebbe essere insormontabile, o comunque un grossissimo azzardo, specialmente per
eventuali nuovi competitor che dovrebbero puntare tutto su Linux & co. per la propria diffusione. Ma potrebbe esserlo anche per i produttori già affermati: Intel e Amd, ma anche Asus, Abit… Eventuali pressioni sul supporto potrebbero scoraggiare lo sviluppo di hw P.M.-free accanto a quello P.M.-compliant.
Ma se anche così non fosse, la “legge sui numeri di maggioranza” si farebbe sentire eccome, anche perché, IMHO, la convenienza che tu giustamente sottolinei nella vendita in un mercato di nicchia, [/i]ristretto[/i], non credo possa estendersi ad una nicchia
facente parte di un mercato più vasto, ovvero, usando le tue definizioni, la nicchia costituita da
alcuni “power-homeuser” all’interno della categoria degli “homeuser”. Mi spiego: nel mercato delle soluzioni embedded et similia, a cui si rivolgono, ad esempio, l’Elan o il Geode, c’è l’espressa richiesta di quel tipo di processore,
quello puoi vendere e
quello ti conviene produrre, e anche se ne produci e ne vendi pochi ottieni comunque un guadagno. Non è così invece se per assecondare le richieste di una nicchia devi differenziare in maniera incisiva una linea di produzione
globale: quelli che nell’altro caso erano dei guadagni stavolta rischiano di diventare delle perdite, poiché potrebbero incidere negativamente sui costi di produzione
globali, facendo levitare i prezzi di vendita di
tutti i prodotti di quella linea (col rischio di avvantaggiare un concorrente in grado di produrre in condizioni più favorevoli), oppure i prezzi dei
soli prodotti interessati dalle modifiche, che potrebbero raggiungere un prezzo ben più alto di quanto sarebbero disposti a pagare coloro i quali hanno richiesto quelle modifiche. In un certo senso, sarebbe come se io, tu e pochi altri chiedessimo a Intel o AMD di produrci un processore a testa con processo a 180 nm: ammesso e non concesso che acconsentissero, quanto potrebbe venirci a costare? In sostanza, si tratta dello stesso motivo per cui si preferisce spesso castrare la cache dei processori, differenziandoli alla fine del processo produttivo, piuttosto che produrre core diversi risparmiando qualche migliaio (anche parecchie migliaia) di transistor e, quindi, su larga scala, un bel po’ di silicio.
E questo è tanto più vero quanto più piccolo è il numero dei potenziali acquirenti, il quale potrebbe risultare, in questo caso, tanto più piccolo quanto più lenta fosse la diffusione di P.M. (o meglio, della sua “malignità”), ed è anche il motivo per cui io temo la diffusione di un P.M. A.I.G., perché durante le tappe di avvicinamento le voci di protesta potrebbero essere così poche da non rendere conveniente assecondarle, tutto a causa dello squilibrio, che spesso si manifesta, tra la capacità di chi produce/vende e quella di chi acquista di influenzare il mercato. Avrai notato che il prezzo del carburante (o il costo di un’assicurazione) aumenta rapidamente al crescere del prezzo del petrolio (del numero di incidenti) mentre diminuisce molto lentamente in condizioni opposte: questo fenomeno è spiegato brillantemente da una teoria economica (se non sbaglio premiata con il Nobel) incentrata sulla “circolazione asimmetrica delle informazioni”. In sostanza è come se chi produce e/o vende e ha, per così dire, le mani perennemente in pasta, ricevesse informazioni “migliori” (cioè più facili da sfruttare), più rapidamente, e riuscisse a sfruttarle meglio, rispetto a chi compra, cosa del resto inevitabile, in un mercato con concorrenza imperfetta (monopolio, oligopolio), a causa delle sproporzioni di numero e dell’eterogeneità della categoria dei consumatori rispetto a quella dei produttori, oltre che per le diverse conoscenze e competenze specifiche. In conseguenza di ciò, una (poche)
singolavoce, o anche
molte singole voci, rischiano di costituire un insieme di fenomeni “isolati” per un periodo di tempo variabile (ma comunque non infinito), che poco o nulla turba la quiete prodotta dal
silenzio collettivo. Diversamente, una (poche)
voce collettiva, o con peso “collettivo”, quale può essere quella di un produttore (un insieme di produttori, ma qui sconfiniamo nel problema dei cartelli), ma anche quella di un’associazione dei consumatori (che proprio per questo ha ragion d’essere). Sfruttando questa particolarità del mercato, P.M. potrebbe diffondersi gradualmente e farla da padrone per un periodo molto lungo, forse anche in proporzione alla lentezza della sua diffusione, comunque sufficiente per farne un esperimento più che positivo e fruttuoso al momento di tirare le somme prima che il mercato imponga di abbandonarlo.
Insomma, il problema non sarebbe tanto la reazione del mercato, ma la lentezza con cui si manifesterebbe. Tale reazione, IMHO, sarebbe invece (sufficientemente) repentina nel caso in cui si cercasse di bruciare le tappe, oppure si implementasse immediatamente via sw, perché si colpirebbe (o si cercherebbe di colpire) immediatamente al cuore il fenomeno della pirateria (salvo possibilità di aggirare comunque le protezioni), che tanto bene ha fatto e tanto aiuto ha fornito a chi sappiamo, portandolo nella posizione in cui è oggi… Per motivi analoghi ritengo quantomeno inopportuna l’imposizione (immediata) dell’authority per il rilascio delle certificazioni SSL: il mercato potrebbe reagire abbastanza in fretta e opporsi. Inoltre, il meccanismo di controllo che hai ipotizzato nel post a Cesare mi pare poco fattibile per un semplice motivo:
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le quali ovviamente sarebbero sempre prontamente rimosse automaticamente da mamma microsoft ad ogni windows update?
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questo meccanismo prevede che la MS intervenga
dall’esterno sul tuo computer,
prendendone temporaneamente il controllo per apportare delle modifiche: win update potrebbe essere ugualmente patchato, e questo vanificherebbe un controllo anonimo, da parte del sistema stesso, per cui sarebbe fattibile solo a patto che il controllo parta dai server della MS, e questo sarebbe un suicidio. Un qualunque possessore di sw pirata potrebbe accollarsi tutte le conseguenze della confessione e denunciare la MS per violazione della privacy o addirittura per spionaggio, ottenendo di screditarla a livello mondiale solo col clamore che susciterebbe il processo, a prescindere dal suo esito.
Nessuno può permettersi di entrare nel tuo computer e modificare qualcosa senza rischiare durissime sanzioni legali, tanto più chi produce e vende legalmente un sw. Lasciare una porticina aperta a proprio uso e consumo in un s.o., sarebbe grave e illegale quanto installare a tua insaputa una backdoor (ad esempio, con un virus) e sfruttarla per compiere illeciti, o comunque danneggiarti e/o sottrarti informazioni. Chi impedirebbe alla ms di fare altrettanto? Chiaramente il danno di immagine sarebbe tremendo e potenzialmente irreversibile, non basterebbe modificare tutto e dare i sorgenti alla Nato, all’ONU e al Pentagono per riconquistare la loro fiducia. Ora, so benissimo che già oggi mediante Windows Update vengono controllati i seriali di xp, però con quelle informazioni “chi di dovere” non può farci un’emerita cippa, pena la scomunica da parte del Papa, dell’Arcivescovo di Costantinopoli e del Dalhay Lama (per non parlare dell’ira di Brahama, Shiva e Visnù)… E poi, l’utonto per antonomasia non aggiorna mai niente e si becca tutti i virus possibili e immaginabili… Altro discorso se invece fosse l’hw e/o il sw (ma sempre appoggiandosi all’hw) ad effettuare un controllo “in loco”, del tutto anonimo, oppure se controllasse una blacklist su internet, ma sempre in maniera anonima.
Per quanto riguarda lo standard X.509, non so dirti. Personalmente non mi sono interessato a quella vicenda e ne so poco. Posso dirti (ma già l’ho fatto) perché diffido di Palladium: so chi lo sta creando, so chi potrebbe trarne vantaggio abusandone e guarda caso le due figure coincidono. Era così anche per x509? Francamente questo non lo so. Comunque il momento poteva essere meno propizio, sia perché una implementazione software non supportata dall’hardware può sempre essere aggirata, sia perché una imposizione di questo tipo (esclusivamente sw) sarebbe equivalente (IMHO) ad una mossa troppo repentina a cui farebbe eco una reazione altrettanto repentina.
Su una cosa non posso obbiettare: certificare linux significherebbe renderlo proprietario, e in questo campo IBM & co. hanno già perso (almeno nella grande distribuzione, usano ancora i loro os, oppure versioni custom di linux o unix sui server che vendono). Però in tal caso potrebbe scattare una delle ipotesi che ho fatto sui toni di grigio nella realizzazione di P.M., cioè quella che consentirebbe all’open source di sopravvivere in un mondo pur dominato (anche in ambito professionale) da un Palladium Universalmente Semi-Maligno (P.U.S.M.), che limita la tua libertà nell’uso del software, ma non ti impedisce di autocertificare quello che produci (compili) né di apporre la firma digitale di un altro computer su un software da te certificato (eventualmente su qualsiasi sw) per renderlo eseguibile su quel computer. In questo modo risulterebbero salvaguardati gli interessi dei settori più “tecnici” e una parte della libertà dell’utente, e contemporaneamente potrebbe sopravvivere tranquillamente il mondo open source, solo che risulterebbe sempre più ridotto ai soli appassionati, poiché la redistribuzione delle varie versioni, sottoversioni, fork ed esperimenti vari risulterebbe difficoltosa, su vasta scala, ma pur sempre possibile in un ambito ristretto. Solo glia appassionati e/o coloro che ne ricavassero un guadagno avrebbero la pazienza di “ricostruire” i sw a partire dai sorgenti da compilare e firmare sul proprio computer, mentre la distribuzione degli eseguibili non certificati dall’alto sarebbe possibile solo in modo molto localizzato, come un passaparola, poiché diversamente qualcuno dovrebbe accollarsi l’onere di raccogliere le chiavi di tutti gli interessati e creare certificati ad hoc: è chiaro che ciò potrebbe richiedere molto tempo (in proporzione alle richieste) e rallentare il tutto. Sarebbe invece più semplice gestire una distribuzione su vasta scala per chi potesse permettersi una certificazione “ufficiale”, potendo contare sempre sull’apporto del mondo open source e quindi ritrovandosi quasi nelle stesse condizioni di oggi (sotto questo punto di vista); d’altra parte, potendo gestire dall’alto lo sviluppo di sw e os open source “ufficiali” e dettandone le linee guida, si potrebbe ottenere un ulteriore livello di standardizzazione in linux e co., aggiungendolo laddove eventualmente oggi mancasse (o meglio, imponendo degli standard che prevarrebbero su tutti), e questo potrebbe paradossalmente giovare ad una diffusione più capillare di linux nella massa (anche tra i lamer_homeuser), coadiuvata da una politica dei prezzi aggressiva che le dimensioni delle aziende da un lato, il contributo (gratuito) degli sviluppatori open source “superstiti” dall’altro, potrebbero rendere possibile (potrebbero persistere anche versioni gratuite). Insomma, un P.U.S.M. (o qualunque altra versione con caratteristiche similari) potrebbe addirittura facilitare IBM, HP… nel raggiungere una posizione tale da potersi permettere di fare cartello (con o senza MS). Del resto è sempre possibile che la MS proponga un cartello (o comunque degli accordi reciprocamente vantaggiosi) per evitare un eventuale ostruzionismo: che succederebbe se, ad esempio, MS fornisse agli “amici-nemici” alcune specifiche di windows, per consentire un’emulazione corretta dei programmi compatibili con windows sulle versioni certificate (e proprietarie) di linux, spingendosi fino alle specifiche delle direct x, a patto che non venga distribuito al di fuori dell’os “ufficiale”, o almeno che non vengano divulgate le specifiche e l’emulazione avvenisse con sw closed source (ad esempio un emulatore con core closed ed eventuale interfaccia col sistema open)? Il legame con l’open source così come lo conosciamo oggi sarebbe (o meglio, resterebbe, alla luce di simili garanzie) sufficiente ad ostacolare P.M. o P.U.S.M.? Temo di no… insomma, temo che possano sempre trovare un accordo soddisfacente.
Qualche considerazione sul protected storage: il modo in cui lo hai posto potrebbe essere parzialmente accettabile, anche se farei una distinzione netta tra sw e contenuti (canzone, ebook, film…): un contenuto digitale, in quanto tale, mi viene venduto privo del “contenitore”, che sia esso un player o un lettore elettronico (computer, impianto hi-fi, autoradio). Il contenitore atto al godimento del contenuto devo procurarmelo io, pertanto pretendo di avere il diritto di utilizzare liberamente uno qualsiasi dei contenitori che possiedo senza dover ogni volta procedere alla decodifica e crittografia dei dati, poiché questo meccanismo, riprendendo il paragone che hai usato, corrisponde, IMHO, a prestare e riprestare continuamente qualcosa che possiedo a me stesso. Questo mi impedirebbe, anche solo psicologicamente, di godere pienamente del bene (ed in un certo senso sarebbe più accettabile usare una chiave con la quale identifichi tutte le tue macchine), in aperta contraddizione con i miei diritti legittimi (DeCess docet). Quanto al software, non è detto che quel meccanismo venga concesso, ovvero potrei non avere facoltà di ri-cifrare liberamente il file eseguibile (o il file d’installazione, in questo caso congiuntamente a una disinstallazione), poiché io potrei, ad esempio, salvare una copia opportunamente cifrata su un cd, per poi reinstallarla sulla prima macchina dopo aver trasferito tutto su un’altra macchina. Pertanto potrebbe essere imposta una qualche protezione che me lo impedisca, come una seconda cifratura con chiave memorizzata dal chip, o comunque nel sistema, alla quale io non avrei accesso, o almeno non per le operazioni suddette. Ma se anche così non fosse, questo sistema mi impedirebbe, ad esempio, di effettuare una installazione temporanea, cosa che potrei fare con una versione originale di win xp, che pure richiede una registrazione a chiave hw, qualora la macchina “principale” sia momentaneamente, o permanentemente, inutilizzabile e io non abbia accesso alle sue chiavi private. In questo senso potrebbe essere più conveniente (per l’owner, anche se non molto per la sw house) legare il sw a una chiave con la quale l’owner identifica tutte le sue macchine. Comunque, con la frase “legato alla mia persona” mi riferivo ai termini delle licenze concesse oggi: io,
soggetto della licenza, posso installare il sw,
oggetto della licenza, su una, due,…, macchine
alla volta, contemporaneamente, che
io scelgo liberamente ogni volta, e non a una, due,…,
specifiche macchine, perché in tal caso io da soggetto divento oggetto della concessione, mentre il sistema hw-sw, con il sw rigidamente vincolato all’hw, diventa soggetto di un controllo eseguito su di me, proprietario del sistema stesso, per conto di chi mi ha fornito il sw, e cioè di terze parti, e questo per me è inaccettabile. In tal modo il mio computer diventerebbe si trustworthy per chi tratta la compravendita con me, ma ciò avverrebbe in virtù di un elemento di sfiducia introdotto nel sistema ai miei danni, tanto da giustificare un controllo da parte del sistema sull’uso che io ne faccio, o comunque da limitare la mia liberta d’uso e il mio controllo sul
mio sistema, ma questo, IMHO, è una chiara contraddizione, essendo io l’owner del sistema.
In ogni caso, sia che si usino le chiavi proprie di una specifica macchina, sia che si usi la chiave (o una delle chiavi) con cui io stabilisco la mia ownership, questo meccanismo per me ha senso
se e solo se io mantengo il
pieno controllo sulla macchina, anche a scapito della sua identificazione univoca. In altri termini, io voglio poter controllare anche le chiavi pubbliche e private, sin dalla loro generazione; voglio poterle cambiare, modificare nel numero e nel valore, a mio piacimento, sia per quanto riguarda le chiavi specifiche, sia per quanto riguarda eventuali chiavi associate alla mia ownership. TCG + Palladium mi consentiranno questo? E mi consente di non trasmettere, se non voglio, i dati relativi alla mia macchina? Se si, bene, sono disposto a cambiare opinione (almeno su questo punto); altrimenti non ci sto: non accetto di perdere anche solo in parte il controllo su qualcosa che mi appartiene, né tanto meno di rinunciare alla mia privacy e al mio anonimato, ogni volta che vorrò restare anonimo. Perché non credo che ci sia molta differenza tra avere una chiave (o più) di identificazione personale o una chiave (o più) di identificazione della macchina, se tu non puoi gestirle, è sempre possibile risalire a te (almeno finché non cambi macchina, ma con un nuovo computer saresti al punto di partenza). Immagina che il s.o. richieda una registrazione nel database del produttore, e che comunichi, tra l’altro, la tua identità, il seriale e le chiavi della macchina, in modo da prevenire eventuali abusi (tuoi o di altri da te autorizzati) sull’installazione di quella copia su altre macchine senza prima annullare la registrazione precedente, e da controllare la regolarità ad ogni update automatico e/o connessione a internet: in questo caso non ci sarebbe violazione della privacy, perché nessuno entra nel tuo computer ma è il tuo computer che comunica con l’esterno, salvo prendere provvedimenti in loco, senza interventi esterni; però la tua identità verrebbe legata alle chiavi. Oppure potrebbe essere identificata la macchina, insieme alla tua identità, all’atto di sottoscrizione di un servizio “telematico” in senso lato (che sia anche l’iscrizione a un forum, o a un e-store, o a un ISP…), in modo da limitare l’uso del servizio a te (mediante login e pwd) e a quel tuo specifico computer: il risultato, ai fini della tua privacy, è identico al precedente, saresti in un certo senso schedato. Ma possono esserci altri modi per legare la tua identità alle chiavi, paradossalmente per difendere la tua privacy (almeno in apparenza): un servizio di banking online potrebbe usare le informazioni relative alla/e tua/e macchina/e per consentirti un accesso “mirato” ai tuoi dati, nel senso che potresti accedervi da qualsiasi computer, ed eventualmente stampare quello che vuoi, ma salvare permanentemente quei dati (ovviamente su hd) solo sulle macchine riconosciute dal sistema come tue, mentre sulle altre verrebbero automaticamente cancellate anche le copie-cache.
In modo analogo potrebbero funzionare un servizio anagrafico online: ed ecco che i tuoi dati, diciamo, di identificazione digitale sarebbero accessibili da un ente statale, anche se potresti non essere obbligato a fornirli, ovviamente rinunciando (eventualmente) al servizio. Immagina ora di vivere in uno Stato con regime dittatoriale o, comunque, poco “incline” a garantire le tue libertà personali: potresti essere costretto a comunicare le chiavi, oppure potrebbero essere registrate, insieme ai dati anagrafici dell’acquirente (in questo caso tu), al momento dell’acquisto del computer, e potresti dover comunicare ogni variazione (compravendita di usato, ecc.). Immagina che, in simili condizioni, qualcuno pubblichi sul web e/o condivida in altro modo (telematico) informazioni contrarie al regime (lo so, avevo già fatto questo esempio): potrebbe essere facilmente identificato e perseguito. E per far ciò potrebbe non servire un P.M.: basterebbe una identificazione univoca della macchina che venga associata all’identità del possessore, e in questa associazione la benignità o malignità di P.+tcg influirebbe poco, sarebbero comunque strumenti di un possibile controllo telematico capillare, insidiosissimo in un mondo capillarmente informatizzato come il nostro. So che in una società del genere Palladium non sarebbe il male maggiore, però, se già le sue specifiche più benigne contribuissero alla creazione di uno scenario del genere, specialmente considerando il peso che l’informatica ha oggi e ancor più avrà domani, io ci penserei non una, non due, ma un miliardo di volte prima di lasciare che si diffonda, anche a costo di rinunciare ai lati positivi, poiché potrebbe essere lo strumento ideale al servizio del “male maggiore”. Per questo giudico l’identificazione univoca della macchina grave quanto una identificazione personale univoca, la quale mi è parso di capire che susciti anche le tue antipatie: l’identificazione della macchina non potrebbe forse diventare uno strumento di
identificazione indiretta del possessore?
Quanto ai vantaggi che trarrebbe l’open source da un DRM che si basi sul protected storage, poi, non mi sento di condividerli: per la natura stessa dell’open source, io potrei sempre modificare il codice del player in modo da poter effettuare tutte le copie “in chiaro” che voglio, poiché i chip tcg per la crittografia sono comunque “schiavi” del software. Di conseguenza, il rispetto del DRM non sarebbe garantito, a meno che il sistema non effettui dei controlli mirati sui certificati di conformità (a tcg + Palladium e al DRM) legati al sw (certificati che dovrebbero perdere la loro validità in seguito a delle modifiche del sw stesso) e/o sulle operazioni compiute su certi file. E così torniamo al punto di partenza…
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Anzi, mi è capitato varie volte di parlare di questo argomento e tu sei uno dei pochi con i quali è stato possibile colloquiare approfonditamente e allo stesso tempo cordialmente. E non ti nascondo che, per la prima volta da quando parlo di questo argomento, ho pure imparato qualcosa, qualche piccolo dettaglio a cui non avevo pensato, e per questo posso solo ringraziarti
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Devo dire che anche tu mi hai fornito degli interessanti spunti di riflessione, per cui non posso che esprimere lo stesso giudizio. Tuttavia, sarà colpa di un mio eccessivo pessimismo innato, continuo a vedere delle possibili “contromosse”, o delle sfumature, che potrebbero consentire la diffusione di un P.M., o comunque degli abusi inaccettabili di un P.Benigno. Spero che i fatti mi smentiscano, o che comunque riusciremo ad opporci alle implementazioni/usi peggiori
Ciao