IL CASO
Quando un ragazzo di colore
arriva in Italia
di JEAN-MARIE COLOMBANI
C' è SEMPRE, purtroppo, un divario tra la realtà come la possiamo capire tramite l'osservazione quotidiana, e quella che viviamo, sperimentiamo. La realtà, come la raccontiamo nei nostri giornali rispettivi, è questa: siamo tutti europei. Noi francesi, italiani, tedeschi, greci e così via. Viviamo in uno spazio privilegiato, piuttosto ben protetto, prospero, e siamo orgogliosi di partecipare, per quel che possiamo all'edificazione di un'Unione europea forte, che ha una base solida con la Carta dei diritti fondamentali e che sarà tra poco dotata di una Costituzione. L'Europa ci permette soprattutto di difendere sempre di più i diritti degli altri. Ogni giorno, siamo in migliaia a passare da un lato all' altro dei confini nazionali. Andare da Parigi ad Ancona, oppure da Bastia a Venezia, non ci sembra più affatto un viaggio all' estero. Anzi, significa ritrovare una parte di noi stessi. Così, da quasi vent'anni, io e mia moglie, con i nostri cinque figli, siamo felici, proprio come tanti altri, di venire in Italia per le ferie.
Eppure, anno dopo anno, è cambiato qualcosa. è diventato meno bello. Quasi che anche l'Italia cedesse a un'atmosfera populista che va di moda, con la solita tentazione della xenofobia. La trasformazione non ci è stata tanto avvertibile fino a quando uno dei nostri figli compì 15 anni.
C'era - è vero - in ogni aeroporto visitato, spessissimo in quello di Venezia, uno sguardo speciale, insistente dei carabinieri, che fermano sempre, tra i passeggeri venuti da Parigi, le persone di colore. C'era forse una spiegazione, almeno così pensavamo noi, anche se provavamo veramente disagio di fronte a quest'innegabile metodo sistematico. Poi siamo entrati nella fase del terrorismo che riguarda noi tutti. E tutti vogliamo senz'altro una polizia efficace, cioè ben informata. Ma i poliziotti tedeschi o inglesi, quando fanno dei controlli improvvisi, non dimostrano mai quest'interesse sistematico nelle persone di colore. Non hanno questo riflesso sistematico.
Torniamo a Venezia. Come dicevo, da quando un figlio nostro ha compiuto 15 anni, non può mettere piede nell'aeroporto di questa città senza essere sottoposto a interrogazioni vessatorie da parte della polizia. Ogni volta, deve rispondere a domande sulla sua vita privata, affrontare dei dubbi insistenti sulla sua nazionalità. Deve lasciare che un agente ispezioni interamente la sua valigia.
E' accaduto ogni anno, da cinque anni, fino a mercoledì 28 luglio 2004, che per noi è stata una volta di troppo. Questo ragazzo è uno studente come tutti gli altri. Ha vent'anni. E' francese. Ma è di origine indiana. Ed ogni volta, arrivando per una bella e allegra vacanza familiare, noi, i suoi genitori, dobbiamo guardare, impotenti, quest'umiliazione totalmente priva di giustificazione, e vedere lo sconvolgimento profondissimo che questa situazione suscita dentro di lui.
Questa volta, abbiamo deciso di reagire. Perché possiamo esprimerci in modo pubblico, mentre tanti altri non lo possono fare. Perché abbiamo il dovere di protestare contro quest' atteggiamento cretino che rovina la nostra amata Italia. Perché la nostra Europa non può essere quella del razzismo. Mai.
(L' autore è direttore di Le Monde)
(4 agosto 2004)
Oggi ci sono queste reazioni....
Il caso nato con la denuncia del direttore di "Le Monde"
"Mio figlio umiliato a Venezia solo perché di colore"
Razzismo, è scontro
tra Castelli e Pisanu
Cresce la polemica sui controlli in aeroporto
Il Guardasigilli: "Non dobbiamo scusarci di nulla"
VENEZIA - Si trasforma in una vera e propria polemica politica che divide due ministri, garbata nei modi, ma aspra nei contenuti, la vicenda dei "controlli razzisti" all'aeroporto Marco Polo, denunciati con una lettera a "Repubblica" dal direttore di "Le Monde" Jean-Marie Colombani. Dopo il ministro degli interni Giuseppe Pisanu, che aveva chiesto scusa a Colombani ma respinto le accuse di razzismo, ieri ha preso carta e penna il ministro leghista della giustizia Roberto Castelli, per lamentarsi con il collega forzista ("Caro Beppe, francamente non mi sarei aspettato che un ministro raccogliesse questa provocazione"), e invitarlo a non giustificarsi "con costoro che ci odiano e ci ritengono dei minus habens".
Toni duri, come quelli usati da un altro leghista, il senatore Piergiorgio Stiffoni, e dal governatore forzista del Veneto Giancarlo Galan, subito dopo che il direttore del quotidiano francese aveva denunciato che da ben cinque anni, ogni volta che arriva a Venezia per le vacanze con la sua famiglia, uno dei suoi cinque figli, che ha vent'anni ed è di origine indiana, viene sottoposto a umilianti "ispezioni e interrogazioni vessatorie" da parte della polizia di frontiera. Un comportamento di tale "insistenza e diffidenza verso le persone di colore", che aveva indotto Colombani a lanciare un allarme per "questo lento scivolamento verso la xenofobia". Il sindaco Paolo Costa, dispiaciuto, l'aveva rassicurato e invitato alla Regata Storica, ed esponenti dei Verdi come il prosindaco Gianfranco Bettin e il deputato Luana Zanella, avevano chiesto "chiarimenti" al governo.
Gli uomini della Guardia di Finanza, nei cui controlli è incappato il figlio di Colombani, replicano che "non è stata certo una questione di razzismo", perché "controlli ne facciamo a tutti e tutti i giorni". Ma il generale della Gdf Michele Adinolfi ha comunque promesso che farà chiarezza sull'accaduto "per capire cosa è veramente successo". Anche perché all'interno della maggioranza si alza una voce dissonante, quella dell'assessore regionale alla sicurezza Raffaele Zanon di An, che respinge come "del tutto infondate" le accusa di Colombani ("Il razzismo non ha diritto di cittadinanza nel Veneto") ma bacchetta gli uomini in divisa: "Se ci fosse un controllo di qualità sui servizi ai passeggeri, la Dogana non brillerebbe per risultati".
"Proprio di persona - racconta - ho potuto constatare l'atteggiamento addirittura irridente nei confronti di alcuni nostri emigrati di ritorno, verso i quali non c'è stato un atteggiamento riguardoso e di comprensione che qualsiasi funzionario dello Stato deve dimostrare nell'espletamento delle sue funzioni". (r. b.)
(5 agosto 2004)
Che Repubblica delle banane...
LuVi