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"Lula beve", reporter espulso dal Brasile
«Lula beve», reporter espulso
Brasile, provvedimento contro il giornalista del «New York Times»
RIO DE JANEIRO - Questione numero uno: Lula è davvero un ubriacone? Questione numero due: perché il New York Times , quotidiano americano di tendenze liberal, decide di attaccare così violentemente il presidente di sinistra più famoso e coccolato del mondo? Martedì il ministro della Giustizia ha deciso di togliere il visto di residente in Brasile al corrispondente del giornale Usa, Larry Rohter. Una misura che equivale all’espulsione del giornalista, autore di un articolo forte sulla presunta passione per la bottiglia del leader brasiliano. Decisione senza precedenti. «Un reportage bugiardo e offensivo, con grande danno per l’immagine del Brasile», dice una nota ufficiale. L’ordine è partito dallo stesso Lula («è quel che si merita, quell’articolo è un’aggressione al Paese intero», ha detto), ma ha sollevato un vespaio in Brasile, dove in molti hanno parlato di reazione esagerata, antidemocratica. Un leader dell’opposizione, Tasso Jereissati, ha definito la decisione di Lula «da dittatore di repubblichetta di serie C».
Fino a ieri commentatori, politici e gente comune, fan o detrattori di Lula erano rimasti uniti dall’indignazione per l’articolo americano. Dove la passione di Lula per l’alcool viene definita «preoccupazione nazionale» e si accenna a possibili interferenze sull’azione di governo. Che Luiz Inacio Lula da Silva, ex tornitore meccanico, ex leader sindacale beva, e volentieri, birra e cachaça, non è un mistero. In tutte le classi sociali, in Brasile, si beve in abbondanza. Lula appare spesso in pubblico con un bicchiere in mano. Agli occhi di un giornalista americano può sembrare disdicevole. Ma l’articolo non riesce a citare nemmeno un caso in cui una alterazione o sbronza abbia avuto ripercussioni pubbliche o politiche. Riporta soltanto dichiarazioni generiche di tre avversari di Lula, un politico e due giornalisti. Mentre i giornali brasiliani sono pieni di commenti di reporter e colleghi della politica che non ricordano episodi imbarazzanti al proposito.
Perché allora questo attacco? Tra i corrispondenti stranieri a Rio de Janeiro si ricorda l’antico astio tra Rohter e il governo, legato anche ai ripetuti «no» del leader brasiliano alle richieste di intervista del quotidiano Usa. Altri reportage del New York Times dal Brasile e dall’Argentina sono stati oggetto di polemiche per l’eccesso di sensazionalismo e una certa leggerezza di interpretazione di Rohter. Al polverone il giornale newyorchese ha risposto confermando la «correttezza» del lavoro del proprio giornalista e protestando contro il provvedimento di espulsione, definito dal direttore Bill Keller, qualcosa che «genera seri dubbi sull’impegno brasiliano per la libertà di stampa». Il New York Times ricorrerà dunque contro il provvedimento, giudicato «disastroso per il Brasile tanto quanto l’articolo» anche da Roberto Busato, presidente degli avvocati brasiliani. Opinione condivisa da molti: Lula avrebbe potuto optare per le vie legali, una denuncia per diffamazione per esempio. Qualcuno a Brasilia deve però aver fatto bene i conti. Con un governo in calo di popolarità, il patriottismo è sempre un buon tonico. Soprattutto se diretto contro gli Stati Uniti.
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