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Old 03-06-2010, 20:25   #1
easyand
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Che fare dei pirati catturati?I russi li abbandonano in mare

Che fare dei pirati catturati?
I russi li abbandonano in mare

Orrore per la scelta della Marina di Mosca ma c'è vuoto normativo
FABIO POZZO

I comandanti pirati dell’epoca d’oro della Filibusta, quelli che innalzavano il vessillo nero con il teschio e due tibie (e sue declinazioni: in realtà il Jolly Roger più temuto era quello rosso, perché segnalava che non sarebbero stati fatti prigionieri), gareggiavano in ferocia: erano consuete le percosse, la tortura, il massacro e l’omicidio a danno delle loro vittime. L’Olonnaise, tanto per dire, strappava la lingua dei suoi prigionieri.

Ma anche i «buoni» - spagnoli, francesi, inglesi - non andavano tanto per il sottile: se non uccisi negli scontri, e non gettati o abbandonati in mare, i filibustieri venivano sottoposti a processi farsa che si risolvevano nell’inferno delle carceri galleggianti e/o nella forca. Tre-quattro secoli dopo, siamo daccapo. Pochi giorni fa Aldar Akhmerov, il capitano della nave anti-sommergibile russa «Maresciallo Shaposhnikov», ha abbandonato su una zattera dieci predoni somali che si erano arresi dopo aver cercato di assaltare la petroliera «Università di Mosca». Con scarsi viveri e senza strumenti di navigazione, non hanno più raggiunto la riva. «Non avevamo l’ordine di ucciderli, ma solo di liberare la petroliera. Ecco perché li abbiamo lasciati andare», si è giustificato l’ufficiale.

È nota l’insofferenza di Mosca verso la pirateria. Lo scorso novembre, il presidente Dmitri Medvedev aveva definito la nuova Filibusta una «comune minaccia» e aveva fatto appello a un approccio coordinato a livello internazionale. «Quando prendiamo i pirati non si capisce cosa si deve fare», aveva detto, aggiungendo - scherzando - che «si potrebbe fare come nel Medioevo quando si impiccavano, ma in questo caso si verrebbe meno al rispetto dei diritti umani...».
Il problema, di che fare, è reale. Da una parte ci sono i russi che abbandonano in mare i pirati. Dall’altra c’è lo Yemen, che di recente ne ha condannati sei alla pena capitale.

In mezzo, ci sono danesi e olandesi che ne hanno lasciati altri sulle spiagge del Puntland, lo stato autonomo somalo. E a margine, ci sono gli Stati Uniti, forse l’unico Paese occidentale che finora si è preso la briga di processare in patria un predone del mare: è il caso di Abduwali Abdukhadir Muse, un appartenente al gruppo che assaltò il cargo Usa «Maersk Alabama» e che sequestrò il suo comandante, Richard Phillips, poi liberato dai Navy Seals; Abduwali è stato condannato dalla corte federale di Manhattan a 33 anni e 9 mesi di carcere.

La soluzione prevalente, come si evince dalla dichiarazione del comandante delle forze navali europee anti-pirateria riportata da Anne Applebaum in una sua inchiesta pubblicata da Slate.com, è il rilascio. «Su 400 pirati catturati negli ultimi tre mesi, solo 40 sono stati perseguiti. Gli altri sono stati rilasciati» dice l’alto ufficiale. In che modo, poi, «rilasciati», è tutto da vedere. Perché accade ciò? Perché processare i nuovi bucanieri non è semplice. Bisogna raccogliere prove certe, i comandanti delle navi hanno altre priorità e non hanno tempo da perdere nelle dispute legali e diplomatiche, i tribunali del Kenya e delle Seychelles (che hanno accordi ad hoc con l’Unione europea) sono nel marasma. Non ultimo, i nuovi bucanieri, a dispetto di chi dice che sono solo poveri pescatori analfabeti, hanno imparato a destreggiarsi nei vuoti normativi. Applebaum ricorda il caso di alcuni di loro che un mese fa, dopo essere stati catturati dalla Marina tedesca, hanno citato in giudizio il governo di Berlino perché non poteva essere garantito un «processo equo» a Mombasa. E allora, che fare? Ecco così che l’abbandono in mare appare se non la soluzione migliore, l’unica. Magari dopo la classica passeggiata sulla passerella sospesa sull’acqua. «Così, bella mia, - disse Uncino a Wendy - ti toccherà vedere i tuoi bambini camminare sulla passerella...».

La Stampa
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