Quote:
Originariamente inviato da matmat
si certo l'inchiesta su mani pulite è la prima
ma va là, ma va là
tutto il mondo ce lo invidiava...
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E tutti erano
innamorati di lui:
Gianfranco Fini: “L’avviso di garanzia a Craxi non è solo la fine di un leader, ma anche la fine ingloriosa di un egime in cui i segretari dei partiti di governo hanno accumulato negli anni più otere di qualsiasi dittatore. La celta dei pm di Milano di emettere l’avviso di garanzia all’indomani delle lezioni amministrative dimostra che la agistratura milanese non fa politica, contrariamente a quanto sostenuto roprio dal segretario socialista” (Ansa, 15-12-92). “L’avviso di garanzia ad Andreotti per concorso esterno in associazione mafiosa è la fine del regime: lo dimostra l'autentico boato che ha salutato la notizia da me data alle migliaia di veronesi che affollavano il mio comizio… Pare proprio che il sistema si reggesse sulle tangenti e sulle organizzazioni criminali” (27-3-93).
“Ormai mi sento a disagio nel frequentare questo Parlamento: chiederò ai gruppi parlamentari missini di valutare l'opportunità di non partecipare più ai lavori della Camera e del Senato” (Ansa, 28-3-93). “La gente i tangentisti li vuole in galera” (5-6-94). “Sono lieto che Di Pietro abbia detto di aver indagato in tutte le direzioni, io non ne avevo mai dubitato” (La Repubblica, 30-10-94).
Umberto Bossi: “Sulle tangenti auguriamo al giudice Di Pietro di andare avanti a tutta manetta. Senza la Lega, ora Di Pietro sarebbe in un pilastro di cemento armato” (Ansa, 20-12 92). “Berlusconi sbaglia ad accusare i giudici di averlo colpito in base al principio della responsabilità oggettiva. Se così fosse, avrebbero dovuto avvisarlo già molti mesi fa, quando sono stati inquisiti i primi uomini Fininvest” (il Giornale, 23-11-94).
Rocco Buttiglione: “La classe dirigente del partito (la Dc, nda) è da tempo sotto accusa a causa della corruzione dell’intero sistema politico. In un altro paese un politico onesto lancerebbe il suo guanto di sfida ai dirigenti e farebbe appello alla base democristiana, conducendo una battaglia interna al partito. In Italia, però, questo non è possibile perché i capi, saggiamente, hanno usato il denaro delle tangenti per comprarsi la base. Buona parte delle tessere sono fasulle” (Ansa, 25-10-92).
“Se dietro le inchieste sulla corruzione c’è una manovra politica, non solo non è un’attenuante, ma un’aggravante per la politica. Se fosse giusta la convinzione che in Italia è del tutto impossibile che uno dei potenti sia chiamato a rispondere dei suoi misfatti da un giudice che fa semplicemente il suo mestiere, allora vorrebbe dire che la corruzione del sistema è giunta al limite estremo” (La Stampa, 27-8-92).
Roberto Castelli: “A Craxi avrei voluto gridare: ‘Bettino, dov’è finita la fontana sparita a Milano?’” (Corriere della Sera, 4-8-93). “Non posso credere alla malattia di Craxi. Piuttosto condivido l’opinione di chi propone che Craxi sia posto sotto tutela coatta” (Ansa, 22-10-’97).
Maurizio Gasparri: “Per noi Di Pietro è un mito” (23-7-94). “Di Pietro è meglio di Mussolini” (7-5-94).
Ignazio La Russa. “Calcoli politici di Di Pietro? Mai. Chi lo pensa è in malafede. Starei per dire che è un farabutto”(6-12-94).
Carlo Giovanardi: “Caro Di Pietro, sento il dovere di ringraziarLa per la professionalità ed il senso della misura con il quale conduce la difficile inchiesta a Lei affidata. Voglio esprimerLe la piena solidarietà per la coraggiosa azione Sua e dei Suoi colleghi, perché sappia che all’interno del cosiddetto Palazzo, ai piani alti come ai piani bassi, c’è chi fa il tifo per Lei. Perché, come giustamente Lei ha affermato in una intervista, il problema non è quello di criminalizzare entità astratte come i partiti: qui si tratta di aiutare gli onesti e le persone per bene, che sono in tutti i partiti, a difendersi dall’aggressione dei disonesti che con il malaffare lucrano ingenti risorse, parti delle quali vengono investite per comprare consenso politico e via così in una spirale perversa. E… la moneta cattiva scaccia quella buona. Finchè qualcuno, provvidenzialmente, non toglie dalla circolazione i falsari. Grazie dunque per il Suo impegno da un deputato Dc che … crede sia ancora possibile dimostrare che non è da ingenui avere fiducia nelle istituzioni” (lettera aperta diffusa in migliaia di copie tramite l’agenzia “Centralità – Area Forlani”, 20-5-1992).
Paolo Pillitteri: “Di Pietro è una persona positiva, buona, cordiale, per quanto può esserlo uno che fa arrestare le persone” (L’Espresso, 28-6-92). “I pm sono l’accusa e devono battersi per la verità. Se Arnaldo (Forlani) nega l’evidenza, il pm si arrabbia. Il processo Cusani è diventato il processo al sistema, l’ho visto tutto in tv, è stato un grande momento di cinema verità” (La Stampa, 19-12-93).
Cesare Previti: “Di Pietro dimostra ancora una volta d’essere un grande personaggio, la cui coerenza merita rispetto e ammirazione” (7-12-94).
Gaetano Pecorella: “Le amicizie di un giudice (Di Pietro, nda), la sua vita privata, non possono essere usate per invocare irregolarità processuali. Gli unici rilievi che si possono legittimamente sollevare riguardano il rispetto delle regole alle quali gli inquirenti si devono attenere. E su questo fronte, finora, non mi sembra sia emerso nulla di rilevante” (11-9-92).
Carlo Taormina: “Squillante manovrava la giustizia a favore dei potenti. In quanto a Previti, la sua posizione è indifendibile sul piano politico: non c’è avvocato al mondo che ha visto mai nella sua vita una parcella di quelle dimensioni (i 21 miliardi per la causa Imi-Sir, nda). Dovrebbe dimettersi da parlamentare per affrontare come qualsiasi altro cittadino la vicenda che lo riguarda. Quella che sta venendo alla luce è solo una minima parte del marcio che si è sedimentato oltre ogni limite a Roma” (La Stampa, 7-6 96); “Berlusconi deve fare non uno, ma dieci passi indietro, perché il suo conflitto permanente di interessi tra politica e magistratura da una parte, e la ricerca di una personale libertà dai processi dall’altra, impedisce la soluzione della questione giustizia… Il comportamento di Berlusconi è concussivo: strumentalizza milioni di voti, condizionando lo sblocco dei lavori della Bicamerale all’assoluzione in uno sterminato numero di processi o pretendendo spedizioni punitive contro i magistrati che si azzardano a intraprendere azioni penali per gravissime corruzioni giudiziarie…Ora la misura è colma” (Ansa, 11-5-98).
Per non dire dell'innamoramento di Berlusconi che tentò di ingaggiarlo
nella sua squadra:
Tratto dall'articolo di Marco Travaglio
I voltagabbana di Tangentopoli pubblicato su Micromega:
Forza Italia, Forza Di Pietro. Nessuna traccia, nelle esternazioni berlusconiane di allora, del mefistofelico complotto ordito da Mani Pulite e Botteghe Oscure per “eliminare i partiti liberaldemocratici e portare al potere i comunisti”. Anche perché di comunisti in circolazione, a Milano, il pool ne aveva lasciati pochini. “Sono molto orgoglioso - confessava il Cavaliere il 5 febbraio ’93 - di essere uscito dal settore delle opere pubbliche da vent’anni. Se avevo fiutato le tangenti? Me le hanno chieste! Ne sono uscito perchè era un sistema che giudicavo inaccettabile”. Replay ancora più esplicito nel discorso della “discesa in campo”, con calza di nylon e finta libreria: “La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e al sistema del finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica” (26-1-94). Niente golpe: autoaffondamento e finanziamento illegale.
Vinte le elezioni, Berlusconi tenta di ingaggiare Di Pietro “nella mia squadra”, come ministro dell’Interno. Il pm rifiuta, ma lui gli promette, per il futuro, il posto di capo della Polizia o dei servizi segreti. Cariche, queste, che difficilmente si offrono a un golpista. “Questo governo - annuncia presentando la “squadra” al Senato - è schierato dalla parte dell’opera di moralizzazione della vita pubblica intrapresa da valenti magistrati. No ai colpi di spugna.
Da questo governo non verrà mai messa in discussione l’indipendenza dei magistrati” (16-5-94). Poi lo scandalo della Guardia di Finanza, il decreto Biondi, l’arresto del fratello Paolo e il famoso invito a comparire. Primo firmatario: Di Pietro. La prova decisiva del complotto e dell’accanimento persecutorio? Nemmeno per sogno, anche perché il primo che si dimette non è Berlusconi: è Di Pietro. “Un magistrato – lo piange il Cavaliere - che si è conquistato con il suo lavoro il rispetto degli italiani… Le sue inchieste esprimevano una grande ansia di verità. Le sue dimissioni lasciano l’amaro in bocca” (6-12-94). “Di Pietro in politica potrebbe essere un’ottima cosa... La sua spinta alla moralizzazione sarebbe un patrimonio prezioso per il Paese… Ho sempre riconosciuto il ruolo svolto dai magistrati nella lotta al sistema perverso della Prima Repubblica. E le tv e i giornali della Fininvest sono sempre stati in prima linea nel difendere i magistrati e in particolare Antonio Di Pietro. Dal Tg5 al Tg4 a Panorama a Epoca al Giornale.