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Milan Stavolta il problema è dentro
15:42 del 02 ottobre
Per la prima volta dall’avvento di Berlusconi (marzo 1986), la crisi del Milan è anche societaria, non solo tecnica. Manca un progetto di lungo respiro. Manca, perché il capofamiglia ha altro per la testa e la famiglia, pure: da Marina a Pier Silvio. Non a caso, si moltiplicano le notizie di vendita di quote azionarie (a Gheddafi, a qualche sceicco). All’inizio della lunga «marcia», il Milan servì al Cavaliere come guanto di sfida (politicanti, vi faccio vedere io). Oggi, gli è di intralcio. E i tifosi che non hanno l’anello al naso, lo percepiscono.
La linea di confine non è stata la vendita di Kakà al Real Madrid, dolorosa ma plausibile. Sono state, viceversa, un’operazione di poco senso come l’ingaggio di Ronaldinho e la rinuncia al talento albeggiante di Gourcuff. Per tacere del caso Beckham, il nuovo oppio dei ricchi. Leonardo, un manager senza fregole da allenatore, è stato l’azzardo del Grande Capo, attratto dal ricordo delle scommesse vinte (Sacchi, Capello), quando di lui si parlava come di un visionario bauscia. Il Milan sconfitto dallo Zurigo a tre giorni dalla lezione inflittagli dal Bari; il Milan che se non segna Inzaghi non segna nessuno è la sintesi di un ciclo esaurito sul quale chi di dovere ha fatto poca chiarezza e millantato troppa sicumera. L’improvvisa scoperta del bilancio avrebbe potuto garantire comunque una rosa più agguerrita. Huntelaar non è un centravanti scadente; lo diventa, inserito in un assetto che fa acqua da tutte le parti.
Se il Milan cammina, le responsabilità vanno cercate nel pre-campionato da ergastolo e nel logorio che coinvolge Pirlo - un’estate passata a sognare Ancelotti - Gattuso, Ambrosini, lo stesso Seedorf, per citare le colonne storiche. I vent’anni di Pato scivolano ambigui in balia di partenze (Kakà) e sirene (gli inglesi). La iella, golosa, non fa mai mancare, in queste circostanze, il suo contributo. Il disagio nasce dal vertice, da un presidente sempre più politico e, dunque, più lontano. I soldi sono molto, ma non tutto: fra Grande Milan e piccolo Diavolo ci deve essere per forza una terza via. Galliani, da solo, non la troverà mai.
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