OGM, le ragioni di chi dice no
Cerco sempre di tenermi aggiornato, per quanto non sia un addetto ai lavori e il tempo a disposizione sia sempre scarso, sullo stato del dibattito sugli OGM. Negli ultimi mesi ho fatto due letture interessanti, che volevo segnalarvi e commentarne alcuni brani.
Il primo documento che vi segnalo si chiama “OGM in Agricoltura: Le ragioni di chi dice no”. Lo potete scaricare dal sito “Liberi da OGM” o da quello di Slow Food.
É un rapporto per molti versi sorprendente, e lo si capisce subito dall’apertura:
Abbiamo tentato una strada alternativa rispetto alla moltitudine di documenti che si possono reperire in rete circa l’argomento in questione, dalla cui lettura emerge spesso una visione troppo ideologica e molto fuorviante sul piano tecnico-scientifico, sommata alla tendenza ad associare in modo univoco il termine “biotecnologie” agli organismi geneticamente modificati. Per questo motivo abbiamo utilizzato un approccio scientifico
Non so voi, ma io leggo questo paragrafo come “i vari documenti anti-ogm che si trovano in rete valgono come il due di picche quando briscola è fiori, sono troppo ideologici e fuorvianti sul piano tecnico-scientifico. Abbiamo usato una strada ‘alternativa’ “
E qual è? L’approccio scientifico!!
Incredibile :-) Una sconfessione in piena regola dell’approccio usato in precedenza.
Infatti le lettura di questo rapporto colpisce, favorevolmente, per quello che non c’è.
Sono spariti gli allarmi sui superinsetti, quelli sulle supererbacce, sui possibili problemi sanitari. Non ci sono allergie, non ci sono resistenze agli antibiotici, o allarmi sulla salute umana, niente mais messicano contaminato, niente topi deformi, niente topi sterili.
Addirittura, sulle farfalle monarca (un vecchio cavallo di battaglia degli anti-ogm) si ammette finalmente quello che la comunità scientifica dice da anni e anni:
Nel 1999, sulla prestigiosa rivista Nature (vol. 399, 20 Maggio 1999), esce una breve comunicazione scientifica dell’entomologo John Losey della Cornell University che puntava il dito sulle coltivazioni di mais transgenico contenente la tossina di Bacillus thuringiensis, accusandole di provocare gravi danni alle popolazioni della farfalla monarca (Danaus plexippus), ed è subito polemica. Buona parte della comunità scientifica tuttavia, critica apertamente i risultati ottenuti da Losey, evidenziandone i punti deboli e a seguito delle critiche ricevute anche lo stesso autore ha fatto marcia indietro affermando che in effetti non esistono prove conclusive sull’effetto tossico del polline Bt.
Come mai all’improvviso tutta questa onestà intellettuale? Suppongo che uno dei motivi risieda nel fatto che il curatore del rapporto, come si legge nel documento, è un laureato in biotecnologie. Credo che nessun laureato in biotecnologie intellettualmente onesto possa ripetere oggi per l’ennesima volta tutta la sequenza di falsi luoghi comuni che spesso su questo blog abbiamo discusso (OGM sterili, fragola-pesce, topi deformi e così via)
Addirittura si dice esplicitamente
almeno a nostro parere, i rischi delle attuali Piante Geneticamente Modificate sono molto bassi se non assenti (l’unico vero rischio è dovuto agli erbicidi spruzzati prima della raccolta)
Anche in altri punti si ammette esplicitamente che si oppongono agli OGM non perché siano pericolosi, ma perché sono “l’emblema dell’agricoltura industriale”
Le attuali piante GM, sebbene coltivate in vaste aree del mondo non sembrano trovare interesse da parte di piccoli produttori e consumatori sebbene ne venga fatto uso da alcune industrie agricole e produttrici che sono a sua volta controllate da un piccolo numero di compagnie che ne traggono profitto. Questo non è dovuto alle tecniche molecolari utilizzate né alla profonda natura delle Piante Geneticamente Modificate bensì al fatto che loro sono l’emblema dell’agricoltura industriale, un modello con seri inconvenienti in particolare per i paesi in via di sviluppo e in relazione al problema della conservazione della biodiversità sia a livello delle colture agricole che a quello delle risorse naturali.
Messi da parte, e si spera per sempre, tutti gli “allarmi” che servivano essenzialmente a spaventare cittadini e consumatori cosa rimane? Le obiezioni di tipo economico, sociale ed etico sicuramente meritevoli di essere prese in considerazione. Su quelle si può, si spera, discutere serenamente, tenendo però presente che si vuole discutere della situazione Italiana, per cui tutti i discorsi sulla fame nel mondo (servono/non servono) sono semplicemente inutili. I paesi in via di sviluppo sicuramente sapranno meglio di noi che cosa conviene a loro.
Produzione e produttività
Uno degli scopi dichiarati degli OGM, sostiene il rapporto, è quello di “massimizzare la produzione di piante coltivabili”
La critica che viene mossa è:
possiamo affermare che i paesi capitalistici soffrono di una pesante sovrapproduzione agricola, che è, poi, una delle cause della crisi capitalistica in atto, sovrapproduzione che distruggono al fine di mantenere alti i prezzi agricoli e gli industriali legati ai settori della trasformazione trovano compenso per questo maggior prezzo agricolo in un maggior profitto industriale.
Un altro esempio sull’inutilità di aumentare la produzione agricola, in quanto attualmente è in esubero e questa situazione è evidentemente anche mal gestita, sono la distruzione dei pomodori europei per mantenere più alto il prezzo di mercato e come essi anche di molti altri prodotti agricoli; di esempi ce ne sono altri ma quelli fatti fin’ora dovrebbero bastare per rendere l’idea dell’attuale situazione.
La critica che faccio io invece è che si confonde spesso produzione e produttività. Quanto si produce in totale rispetto a quanto posso produrre “per ettaro”. E poi, che dire allora della recente crisi alimentare?
E del fatto che in Italia NON siamo autosufficienti dal punto di vista alimentare? Non mi risulta che si distruggano cereali, ad esempio, per sostenere il prezzo.
Tra l’altro a mio parere si usa un artificio retorico, perché in Italia nessuno vuole introdurre il pomodoro ogm (ad esempio) per aumentare la produzione ma casomai per salvare alcune varietà.
Queste osservazioni vengono giusto a fagiolo per introdurre la seconda lettura interessante che ho fatto in questi mesi: il “quaderno di Darwin” dedicato agli OGM. Lo potete trovare in edicola.
Parlando i produttività sul quaderno di Darwin troviamo invece questo
Si calcola che un cacciatore/raccoglitore del neolitico, trovando un campo di frumento selvatico, potesse raccogliere 500 kg per ettaro di terreno. Molti millenni dopo (8000 anni), nella Roma dei Cesari, un contadino romano, con il grano ormai domesticato, poteva forse raccoglierne il doppio: 1000 kg. Dopo la prima guerra mondiale la resa di un ettaro di terreno di un contadino italiano era più o meno la stessa. Miglioramenti genetici, fertilizzanti, antiparassitari e pratiche agrarie migliorate hanno portato ora ad avere rese anche di 4000/5000 kg
Oggi l’orgoglio, giustificato, per la tradizione del made in Italy non basta più a coprire lo stato di crisi. Dipendiamo dall’estero per il 40% del grano duro, per il 70% del grano tenero, per il 25% del mais, per il 90% della soia e per il 50% delle carni. La redditività per ettaro è bassa e sacrifichiamo una parte troppo grande dei nostri raccolti a parassiti, funghi o siccità. Ogni anno la nostra bilancia agroalimentare è in rosso per circa 10 miliardi di Euro. E gli agricoltori sono nell’angolo. Le storture del sistema nazionale non li hanno messi nelle condizioni di approfittare del carocibo prima dell’estate e ora che i prezzi sono in discesa non riescono a coprire i costi di produzione.
Insomma, pare invece che anche in Italia ci sia bisogno di aumentare la produttività.
Ma quanti OGM madama Dorè
Un’altra obiezione tipica è quella del basso numero di OGM oggi in commercio. Dice il rapporto di Liberi da OGM
Dal semplice punto di vista tecnologico, le attuali piante GM, sono molto limitate nel numero di specie e nei caratteri utilizzati e da tempo non hanno raggiunto il livello di aspettative riferito al miglioramento delle piante agricole.
In realtà sono quattro le colture (soia, mais, cotone e colza) che rappresentano il 95% di tutte le varietà transgeniche coltivate, 8 i paesi che rappresentano il 99% del totale della superficie coltivata a colture transgeniche, e solo 2 i caratteri geneticamente indotti che hanno acquisito importanza dal punto di vista commerciale (la tolleranza agli erbicidi e la resistenza del Bacillus thuringiensis ai fitoparassiti).
La mia obiezione è che questo è un classico “non-argomento”. Sarebbe come minimizzare la produzione delle decine e decine di formaggi DOP italiani solo perché numericamente, e a livello di mercato, sono assolutamente insignificanti rispetto a Grana e Parmigiano.
Che argomentazione è? Dovrebbe scoraggiare ad usare gli OGM esistenti? O a produrne di nuovi? Boh….
Lasciamo invece la parola al Prof. Sala che su Darwin ci dice
Nessun prodotto vegetale oggi in commercio è “naturale”. In particolare, la ricerca sviluppata in Italia nell’ultimo secolo è stata indirizzata a due finalità: aumento della produttività (prodotto per unità di superficie) e miglioramento della qualità. I nostri “prodotti tipici” non sono dunque un dono della natura. Sono il risultato del lavoro, spesso ottimo, dei nostri genetisti agrari.
Le problematiche affrontate dalla ricerca italiana dal 1992 nel campo ogm riguardavano prodotti tipici italiani, “benché alla pubblica opinione arrivassero sempre e solo informazioni sulle piante OGM prodotte e commercializzate dalle multinazionali”
L’Italia (per lo più ricerca pubblica) ha tra il 1992 e il 2003 prodotto OGM di: Cicoria, Ciliegio, Cocomero, Colza, Dimorfoteca, Fragola, Geranio, Ginestrino, Kiwi, Grano, Lampone, Lattuga, Mais, Melanzana, Melone, Olivo, Patata, Pomodoro, Riso, Soia, Statice, Tabacco, Vite, Zucchine.
I tratti interessati sono: resistenza a insetti, resistenza a funghi, resistenza a virus, aumento di produzione, modifica habitus della pianta, sviluppo della qualità del frutto, valore nutrizionale, resistenza ad erbicida, maschiosterilità più combinazioni di questi
Insomma, chi ha ragione? Sono solo quattro gli OGM esistenti o sono decine? Entrambi. É verissimo che gli OGM IN COMMERCIO sono ristretti a poche colture,
tuttavia gli OGM studiati e sviluppati in laboratorio in tutto il mondo sono centinaia e centinaia. Pensati per gli scopi più diversi e molti sviluppati dalla ricerca pubblica. Purtroppo la maggioranza di questi non verranno mai messi sul mercato e non riusciranno a risolvere i problemi per cui sono stati inventati.
Come mai? Ci spiega ancora il Prof. Sala
C’è una obiezione ricorrente: poche multinazionali avranno il monopolio dei geni introdotti nelle piante OGM: tutti diventeremo tributari di brevetti stranieri. Niente di più errato: i nostri laboratori di biologia molecolare producono ancora oggi dati importanti su geni di interesse agronomico e diventeremo, in effetti, tributari di brevetti stranieri solo se continueremo a bloccare l’applicazione delle nostre conoscenze e a permetter solo l’uso di OGM di importazione
Basterebbe solo una nuova apertura politica per tornare a essere protagonisti della ricerca e delle applicazioni.
Si calcola che oggi per produrre tutte le necessarie evidenze sperimentali siano necessari più di 20 milioni di euro. Il problema è che questi costi oggi sono alla portata solo delle grandi multinazionali del seme e sono convenienti solo per quelle poche piante che hanno enormi mercati mondiali. Evidentemente la ricerca pubblica italiana non potrà mai coprire questi costi.
Aggiungo io che questi costi sono il risultato di una eccessiva regolamentazione (che in molti ritengono ridondante, e a volte inutile) che almeno nella fase iniziale è stata vista con favore dalle grandi multinazionali del biotech (Monsanto e C.) e addirittura suggerita e richiesta perché in questo modo le multinazionali riescono ad impedire ai piccoli concorrenti e alla ricerca pubblica di competere ad armi pari.
Paradossalmente Greenpeace e Slow Food, tanto per fare due nomi, fanno il “gioco” delle multinazionali, opponendosi “senza se e senza ma” agli OGM e rifiutandosi di utilizzare un approccio “caso per caso”. Morale: solo le multinazionali hanno 20 milioni di euro da investire per un nuovo prodotto, mentre la ricerca pubblica si attacchi al tram…
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