venerdì 13 marzo 2009
Roma - Si intitola "I Nemici di Internet", ed è una sorta di guida ragionata ai luoghi ed i modi della censura online. A stilarla, gli attivisti di Reporters Sans Frontières (
RSF), che descrivono un mondo sempre più minacciato dal cybercontrollo. Nei paesi sotto dittatura e non solo.
"Con il pretesto di proteggere la morale, la sicurezza nazionale, la religione e le minoranze etniche, e talvolta persino
il potenziale spirituale culturale e scientifico del paese, molti paesi ricorrono al filtraggio della rete per bloccarne parte dei contenuti" denuncia RSF nell'introduzione al documento (disponibile
qui in versione integrale).
E dopo questa prolusione generale, gli autori del documento fanno nomi e cognomi dei cattivi, stilando una "Top12" dei paesi meno virtuosi e dedicando ad ognuno una scheda sinottica, completa di dati, riferimenti legislativi ed episodi notevoli in materia di censura digitale.
In cima alla lista si colloca la
Cina. È qui che
si trova la
macchina di controllo più robusta e capillare, con oltre 40000 funzionari pubblici pagati per monitorare le comunicazioni online, quasi 50 persone in prigione per reati legati alla cyber-espressione ed un Ministero dell'Informazione onnipresente.
Ma
Vietnam e
Siria, che con la Cina condividono il "podio", non se la cavano male neppure loro. Nel paese mediorientale, spiega RSF, il governo
ha inibito l'accesso a una serie ampia di siti - tra cui YouTube, Amazon e Facebook - ed ha imprigionato almeno cinque persone per "reati di espressione" legati a quanto scritto online. In Vietnam, invece, le autorità hanno creato una forza di
cyber-polizia dedicata in modo esclusivo al controllo su Internet, mentre il Ministro dell'Informazione ha così commentato l'impiego dei mezzi di espressione individuale: "I blog sono spazi dedicati alle notizie personali. Se un blogger li usa per le notizie pubbliche, alla maniera degli organi di stampa, sta infrangendo la legge e sarà punito".
L'imprigionamento dei blogger e il restringimento del
range di siti raggiungibili non sono comunque le uniche strategie di limitazione della libertà impiegate, denuncia ancora il report. Di recente, governi come quello cinese
hanno cominciato a "orientare" la discussione su blog e social network con commenti comandati dall'alto (il cosiddetto
astroturfing), mentre altri hanno preso ad impiegare gruppi di hacker per colpire i nemici interni ed
esterni.
Della lista dei "più cattivi" fanno parte, oltre ai paesi già menzionati, anche
Cuba,
Egitto,
Myanmar,
Iran,
Corea del Nord,
Arabia Saudita,
Tunisia,
Turkmenistan,
Uzbekistan. Nel complesso, spiega RSF, sono oltre 70 le persone in prigione per "reati di espressione" commessi in rete.
Dopo aver completato la disamina sui dodici
least wanted, poi, il report esamina la situazione dei paesi ritenuti "a rischio". E qui arrivano altre sorprese. Perché in questo secondo gruppo si trovano tra gli altri anche due paesi - la
Corea del Sud e l'
Australia - che si potrebbero ritenere delle democrazie compiute. Ed invece, argomenta RSF, anche qui le autorità hanno introdotto delle misure legislative che potrebbero
attentare alla libertà di espressione online.
La cronaca degli ultimi anni ha visto un aumento costante dei tentativi di controllo e censura governativa nei confronti di Internet, in moltissime parti del mondo. Alcuni paesi, come ad esempio la Cina, sono arrivati a
difendere pubblicamente l'esigenza di censurare la comunicazione online, e si sono verificati talvolta effetti perversi come
l'autocensura da parte degli stessi cittadini della rete.
Giovanni Arata
Fonte:
Punto Informatico