Discussione: inquinamento e clima
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Old 19-09-2003, 12:39   #6
ni.jo
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Ecco un esempio di parere opposto, del Direttore di ricerca all'Inserm (Institut national de la santé et de la recherche médicale) e consigliere scientifico al Centre international de l'enfance et de la famille (Cidef), Parigi.
Mi lascia perplesso in qualche punto, ma lo posto come esempio di parere "estremo".
Appena o tempo ne cerco uno che dica il contrario, giuro.

Quote:
di Dominique Frommel*

Dicembre 1999

LE RESPONSABILITà UMANE NELL'EFFETTO SERRA
Un pianeta troppo caldo
I costruttori di automobili non si danno certo molto da fare per costruire automobili "pulite". Eppure, l'aumento importante e in costante crescita delle emissioni di gas carbonico, legate al trasporto, alla produzione di energia e all'industria, aumenta abnormemente l'effetto serra, con rischi di sconvolgimenti climatici e di catastrofi sanitarie. Al vertice delle Nazioni unite sul cambiamento del clima, tenutosi all'inizio di novembre a Bonn, oltre 60 stati hanno accettato di ratificare, prima del 2002, il protocollo di Kyoto, firmato nel 1997, che impegna i paesi industrializzati a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Ma il senato americano continua a opporsi alla sua ratifica da parte degli Stati uniti che, già a Kyoto, stavano per far fallire i negoziati.


Questo secolo sarà stato segnato da uno sconvolgimento notevole del ciclo naturale del clima. A causa dell'accumulo di gas a effetto serra nell'atmosfera terrestre, la crescita della temperatura media globale del pianeta durante gli ultimi cento anni è stata pari a quella verificatasi nel corso dei diecimila anni precedenti. L'effetto serra è tuttavia un fenomeno necessario, senza il quale la temperatura della superficie del globo cadrebbe sotto lo 0&oord C. E' dovuto alla presenza nell'atmosfera di vapore acqueo e di alcuni gas come il diossido di carbonio (gas carbonico o CO2) e il metano. Questi gas formano un filtro permeabile ad alcuni raggi luminosi e nello stesso tempo sono in grado di trattenere parte dell'irradiazione solare riflessa dalla superficie della terra. E' grazie a questo schermo che il pianeta offre una temperatura favorevole alla vita. Non c'è più nessuno che contesti seriamente la responsabilità dell'uomo nell'anormale aumento della temperatura terrestre.
Sappiamo infatti che, a causa della combustione di energia fossile che implicano, l'espansione demografica e l'industria sono all'origine dell'aumentata percentuale di gas carbonico nell'atmosfera (1). Se la politica del "lasciar fare" in materia di immissione di gas a effetto serra dovesse perdurare nel prossimo secolo, la temperatura potrebbe aumentare da 1,0&oordC circa a 3,5&oord C, contro 0,5&oordC circa nel XX secolo. Dai tempi della prima conferenza mondiale sull'ambiente nel 1972, le preoccupazioni ecologiche si sono affermate in modo crescente nella coscienza collettiva. Da lusso riservato ai paesi ricchi, la prevenzione del rischio climatico è diventata una delle sfide maggiori dello sviluppo sostenibile. Tuttavia la questione dell'"effetto serra", per quanto mediatizzata, rimane confusa e misconosciuta. Su questo problema essenziale, che lo riguarda direttamente, il cittadino comune ritiene di non avere alcuna competenza e delega il dibattito pubblico e la responsabilità decisionale in materia agli esperti e ai politici.
Per partecipare al dibattito, basta tenere in mente due o tre questioni essenziali: quali sono le conseguenze dell'aumento della temperatura sugli ecosistemi e sulla salute? Esistono strumenti in grado di ridurne l'impatto e, in caso di risposta positiva, quali sono? Gli scienziati non sono ancora in grado di anticipare con precisione l'eventualità e l'intensità dei cambiamenti climatici in questa o in quella parte del mondo. Ciò significa che sussistono incertezze per quanto riguarda l'entità del riscaldamento nel corso del XXI secolo. Ma si può fin d'ora affermare, senza rischio di sbagliare, che gli sconvolgimenti non saranno uniformi nel pianeta. Si tradurranno essenzialmente in una esasperazione delle condizioni climatiche estreme e, pur colpendo per prime le popolazioni più vulnerabili, non risparmieranno nessuno. Di fronte alla crescente produzione di CO2, lo scenario più probabile si immagina facilmente: accentuazione dell'effetto serra, aumento della temperatura del globo, accelerazione del ciclo dell'acqua, aumento dell'evaporazione e della percentuale di vapore acqueo nell'atmosfera. Si accentuerà l'effetto schermo mentre si intensificheranno le piogge su tutti i continenti.
L'innalzamento del livello del mare, alimentato dallo scioglimento dei ghiacci polari, renderà fragili i litorali, provocherà la salinizzazione dei delta e l'allagamento delle terre litoranee e degli arcipelaghi. Ricorrenti periodi di siccità ridurranno l'estensione e la varietà degli spazi vegetali e aggraveranno la penuria di acqua potabile. A tutti questi squilibri si aggiungerà una maggiore frequenza delle catastrofi naturali: cicloni, inondazioni, incendi di foreste e smottamenti di terreni (2). Abbiamo visto che, nel 1997-1998, il fenomeno El Niûo ha scatenato nella cintura dell'Oceano Pacifico perturbazioni e danni di una intensità mai vista prima. Certo, alcuni ecosistemi possono adattarsi ai cambiamenti climatici ma al prezzo di modificazioni radicali che comportano di per sé pesanti conseguenze. Grazie alla sua azione fertilizzante, il CO2 in elevata concentrazione favorisce la crescita delle specie vegetali più resistenti, a scapito di quelle più deboli. Ne deriva una minore diversità biologica (3). Quanto all'impatto delle variazioni della temperatura sulla salute dell'uomo, nonostante le numerose analisi prospettive e multidisciplinari svolte al riguardo, a prima vista le conclusioni sono poco significative tanto è alta la capacità di adattamento dell'essere umano. Certo, le ondate di caldo e di freddo sono seguite da picchi di mortalità e i paesi del Sud pagano duramente cicloni, inondazioni ed eruzioni vulcaniche.
Sappiamo inoltre che l'aumento del flusso dei raggi ultravioletti accresce notevolmente i rischi di tumori della pelle e altera il sistema immunitario (4). Peraltro, le particelle in sospensione aerosol liberate dalla combustione fossile fragilizzano l'apparato respiratorio e sono all'origine di malattie invalidanti. Dal 1964 al 1990, la percentuale di casi di asma rispetto alla popolazione è raddoppiata sia in Gran Bretagna e in Australia che in Africa orientale. Tuttavia il pericolo principale sta altrove, nella dipendenza dell'uomo dal suo ambiente. Le migrazioni, l'iperconcentrazione umana nelle città, l'impoverimento delle riserve acquifere, l'inquinamento e la povertà hanno da sempre generato condizioni propizie alla diffusione di microrganismi infettivi. Ma la capacità riproduttiva e infettiva di numerosi insetti e roditori, vettori di parassiti o di virus, è legata alla temperatura e all'umidità ambientali. In altre parole, un aumento della temperatura, anche modesto, lascia la porta aperta all'espansione di numerosi agenti patogeni per l'uomo e per l'animale. Questo spiega l'aumento, negli ultimi anni, di malattie parassitarie come la malaria, le schistosomiasi e la malattia del sonno, o di certe infezioni virali come la dengue, e di alcune encefaliti e febbri emorragiche. Sia che esse siano riapparse in zone dalle quali erano scomparse, sia che colpiscano regioni finora risparmiate. Nel corso degli ultimi dieci anni, la malaria ha superato la quota dei 1.800 metri in Africa orientale e a Madagascar, un'altitudine che in passato non oltrepassavano. Le proiezioni per l'anno 2050 mostrano che a quella data la malaria minaccerà tre miliardi di esseri umani.
Altro motivo di preoccupazione: dal 1955 al 1970, i paesi colpiti dalle arbovirosi, malattie trasmesse principalmente dalle zanzare, erano soltanto nove. Nel 1996 se ne contavano 28 in più. Parimenti, si moltiplica il numero di malattie trasmesse dall'acqua. Il riscaldamento delle acque dolci agevola la proliferazione dei batteri. Quello delle acque saline soprattutto quando sono arricchite da effluenti umani permette ai fitoplancton, veri e propri vivai di bacilli del colera, di riprodursi a una cadenza accelerata. Praticamente scomparso in America latina a partire dal 1960, il colera ha fatto 1.368.053 vittime dal 1991 al 1996. Parallelamente, nuove infezioni sorgono o superano largamente le nicchie ecologiche nelle quali erano finora rimaste confinate (5). Recenti esempi hanno mostrato quanto disarmata sia la medicina, nonostante i progressi compiuti, di fronte all'esplosione di molte patologie insospettate. Nel XXI secolo, l'epidemiologia delle malattie infettive ancora oggi responsabili di quasi un terzo dei decessi nel mondo potrebbe assumere volti nuovi, in particolare dopo l'espansione delle zoonosi, infezioni trasmissibili dall'animale vertebrato all'uomo e viceversa. Segnale rivelatore: gli americani che sono raramente in ritardo di una strategia hanno già lanciato una nuova rivista medica intitolata Emerging Infectious Diseases (6). Certi paesi, così come varie agenzie dell'Onu in particolare l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e l'Omm (Organizzazione meteorologica mondiale) sono consapevoli di questa minaccia (7). Così finanziano ricerche in climatologia, riuniscono regolarmente areopaghi di esperti e hanno permesso la messa in opera di convenzioni che limitano le emissioni di gas a effetto serra. Ma il problema supera quello della regolazione e del trasferimento del "diritto di inquinare" (8). Gli impegni presi nel 1997 alla conferenza di Kyoto un accordo che riduce del 5,2%, entro il 2012, l'emissione dei principali gas a effetto serra da parte dei paesi industrializzati sono stati peraltro sospesi alla conferenza di Buenos Aires sul clima, del 1998, per la loro insufficienza a circoscrivere il pericolo. La conferenza successiva, conclusasi a Bonn il 5 novembre scorso, ha prodotto anch'essa un risultato modesto. Certo, oltre 60 stati, fra cui quelli dell'Unione europea, il Giappone e la Nuova Zelanda (un gruppo che rappresenta da solo il 41% delle emissioni di gas a effetto serra dei paesi industrializzati), si sono impegnati a ratificare il protocollo di Kyoto in tempo perché entri in vigore prima del 2002 (9). Ma, una volta di più, i paesi petrolieri hanno tentato di bloccare la convenzione e gli Stati uniti il paese del mondo che emette la più alta quantità di gas a effetto serra si fanno pregare, condizionando la ratifica agli esiti della prossima conferenza che si terrà all'Aja nel novembre 2000 (10). Da alcuni anni, certi economisti si associano alle preoccupazioni degli ecologisti. Calcolano il valore degli ecosistemi o "attivi naturali", valutano il prezzo del loro degrado, il sovrapprezzo dei ritardi nella messa in opera di provvedimenti di riduzione dell'inquinamento, nonché i potenziali benefici derivanti dal ricorso a nuove tecnologie.
Insomma, illustrano agli industriali quali profitti essi potrebbero trarre dalla salvaguardia delle risorse naturali.
Tuttavia, il nuovo concetto di "redditività della lotta all'inquinamento" non è sufficiente e, in una economia che si esprime esclusivamente in termini di scambio, non esiste una mano invisibile che guidi il mercato verso il bene più grande per tutti. Per questa ragione alcuni obbiettivi apparentemente modesti, presi a livello individuale e locale, potrebbero rivelarsi convincenti. Di fronte alla minaccia che grava sulla nostra salute, e più ancora su quella dei nostri figli e nipoti, bisogna imperativamente invocare anzitutto il principio di precauzione. Applicare questo principio significa ammettere le nostre incertezze e la nostra ignoranza, ma senza brandire la nostra impotenza come alibi per l'inazione. Un altro merito del principio di precauzione è di costringere il promotore non l'avversario di un progetto, industriale o altro, a dimostrare l'innocuità ecologica e sanitaria dell'operazione progettata. Sarebbe probabilmente ancora più efficace l'introduzione, fin dalla scuola materna, di una "educazione ambientalista" e dell'insegnamento di una geografia fisica e umana rinnovata. Per aprire ogni individuo a una consapevolezza planetaria, questa educazione dovrebbe sottolineare l'interdipendenza dell'uomo e della terra e insistere sulla co-evoluzione degli ecosistemi e della vita umana. Riassumendo, sarebbe opportuno sensibilizzare e responsabilizzare ogni singolo individuo molto prima che raggiungesse l'età adulta.



note:

* Direttore di ricerca all'Inserm (Institut national de la santé et de la recherche médicale) e consigliere scientifico al Centre international de l'enfance et de la famille (Cidef), Parigi.
(1) L'espansione demografica sarà responsabile, da qui al 2020, del 50% circa dell'aumento del diossido di carbonio nella troposfera.
(2) Leggere la serie di Jean-Paul Besset, "La terre se réchauffe", Le Monde, 26, 27, 28 novembre 1997 e S.H. Schneider, Où va le climat? Que connaissons-nous du changement climatique?, ed. Silence, Loriol, 1996.
(3) Leggere Ignacio Ramonet, "Un pianeta da salvare"e Alain Zecchini, "La natura appesa a un filo", Le Monde diplomatique/Il manifesto, rispettivamente novembre 1997 e ottobre 1998.
(4) M. R. Sear, "Descriptive epidemiology of asthma", The Lancet, Londra, ottobre 1997.
(5) M. E. Wilson, "Infectious diseases: an ecological perspective", British Medical Journal, 23 dicembre 1995. J. A.
Patz, P.R. Epstein, T.A. Burke, M. Balbus, "Global climate change and emerging infectious diseases", Journal of the American Medical Association, 17 gennaio 1996. Si veda inoltre: L. Garrett, The Coming Plague, Farrar, Straus and Giroux, New York, 1994.

(6) Pubblicata dal National Center for Infectious Diseases, GA 30333, Atlanta, Usa.

(7) In una riunione ministeriale tenutasi a Londra, il 16 e 17 giugno 1999 su iniziativa dell'Oms, 50 paesi europei hanno adottato una dichiarazione nella quale affermano la propria volontà di prendere misure concrete per ridurre gli effetti nefasti del degrado ambientale sulla salute.
(8) Leggere Monique Chemillier-Gendreau, "Les enjeux de la conférence de Kyoto. Marchandisation de la survie planétaire", Le Monde diplomatique, gennaio 1998. Questo articolo si trova anche nel Cd rom "Capire la globalizzazione" realizzato da Le Monde diplomatique e dal manifesto.

(9) Per entrare in vigore, il protocollo deve esser ratificato da 55 paesi che rappresentano il 55% delle emissioni di gas a effetto serra . Cfr. "La ratifica del protocollo di Kyoto finalmente in vista, una speranza per limitare i cambiamenti di clima", Greenpeace, Bonn, 3 novembre 1999.

(10) Il senato americano si oppone alla ratifica finché non saranno soddisfatte due condizioni: gli impegni di riduzione devono poter essere mantenuti ricorrendo senza limitazione al meccanismo del mercato, e grandi paesi in via di sviluppo, come l'India e la Cina, devono impegnarsi a limitare le proprie emissioni (attualmente, soltanto 14 di essi hanno ratificato il protocollo di Kyoto)
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Primo Officiante della Setta dei Logorroici - Arconte della prolissità - Crociato della Replica|Custode Di Lomaghiusa e Muffin|
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