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Originariamente inviato da Lyd
Lui: Infame puttaniere.
Lei: Una troia che accetta un lavoro da troia (anche se è solo cassiera chissà quante ne vede o ne fa in un posto del genere)
Risultato: Perchè divorziare quando sono così simili 
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A mio parere, stai esagerando.
Ieri sera, ad una prima lettura dell'articolo, non avevo compreso che la moglie stesse solo alla cassa, e poi, mi sono pure domandata se la mansione di stare alla cassa sia qualcosa che le prostitute svolgono con una sorta di turno, o rotazione, infatti, se immagino una sorta di cooperativa di prostitute che si autogestiscono, mi chiedo se ciò accada o meno, francamente non saprei.
Comunque, dato per assodato che trovo scorretto ed ingiusto mentire al proprio marito, raccontandogli una cosa per un'altra, e che a me farebbe schifo fare la cassiera in un luogo del genere, e sceglierei di svolgere un lavoro anche meno retribuito e più faticoso, ma in un contesto diverso da quello di un bordello, ritengo che se la donna stava solo ed unicamente alla cassa, la gravità dei due comportamenti, quello di lei e quello di lui, sia diversa.
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Originariamente inviato da ania
Comunque, se lei si limitava a stare solo ed unicamente alla cassa, di certo è assai più grave - ed imperdonabile- il comportamento del marito perchè comporta il tradimento, oltre che la menzogna, che non il comportamento della moglie, che implica solo il mentire sul luogo dove svolgeva il suo lavoro.
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Originariamente inviato da ania
In ogni caso, trovo inevitabile la fine di un matrimonio quando il marito cerca appagamento sessuale in un bordello, quindi c'è infedeltà anche di uno solo dei due componenti della coppia, così come -IMHO- non ha ragione di esistere un matrimonio in cui non ci sia sincerità e verità sempre e comunque.
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Originariamente inviato da FastFreddy
Se quel tipo di attività in Polonia è legale ....
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Invece, in merito alla regolamentazione della prostituzione in Polonia, ho trovato questo:
http://transcrime.cs.unitn.it/tc/fso...ssunto_ita.pdf
http://www.questotrentino.it/2006/04...stituzione.htm
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Proibire la prostituzione?
Qual è l’approccio al problema più utile per combattere la tratta a scopo di sfruttamento?
Ciclicamente si riaccende il dibattito relativo alla prostituzione fra chi chiede di riaprire le case chiuse e chi, al contrario, vorrebbe proibire il mestiere più antico del mondo. Questa discussione è stata anche al centro del progetto "Study on national legislation on prostitution and the trafficking in women and children", condotto da Transcrime per il Parlamento Europeo.
Per cercare di dare una risposta lo studio ha innanzitutto raggruppato i differenti approcci in materia nell’UE in quattro categorie:
- abolizionismo: la prostituzione al chiuso e all’aperto non è né vietata, né regolamentata. Lo Stato tollera la situazione a patto che non vi sia sfruttamento (Repubblica Ceca, Polonia, Spagna);
- neo abolizionismo: la prostituzione all’aperto non è né vietata né regolamentata, mentre quella al chiuso esercitata nelle case di tolleranza è espressamente vietata (Belgio, Francia, Italia);
- proibizionismo: la prostituzione al chiuso e all’aperto è vietata e in alcuni casi sono previste delle sanzioni anche per i clienti (Lituania, Svezia);
- regolamentarismo: la prostituzione al chiuso e all’aperto è regolamentata dallo Stato. In molti casi le prostitute sono tenute a registrarsi e talvolta a sottoporsi a controlli medici (Austria, Germania, Paesi Bassi).
Dopo questa prima analisi lo studio ha cercato di stimare il numero delle vittime di tratta in 11 Paesi dell’Unione Europea rappresentativi dei 4 modelli. Ad una prima lettura sembra che il modello proibizionista (adottato da Lituania e Svezia) sia il più valido nella lotta alla tratta, mentre i modelli regolamentarista (Austria e Germania) e neo-abolizionista (Italia e Belgio) sembrano meno efficaci.

Davvero, quindi, proibire la prostituzione è un mezzo valido per fermare la tratta? In questo caso specifico gli esperti nazionali sottolineano come in realtà il proibizionismo abbia portato la prostituzione a diventare invisibile, cioè esercitata in appartamenti e luoghi difficilmente raggiungibili dalle forze dell’ordine e dall’autorità giudiziaria. Tutto ciò si riflette, oltre che sul piano giudiziario, sulla raccolta dati che risulta meno efficace rispetto ad altri Paesi in cui la prostituzione è più visibile e quindi monitorabile.
Lo studio ha inoltre messo in luce come la posizione geografica degli Stati di origine/destinazione, la "femminizzazione" della povertà e altri elementi influenzino il numero delle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale.
Da queste premesse risulta impossibile determinare con certezza quale modello sia il più valido nella lotta alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione. A questo proposito l’esperienza italiana degli ultimi anni può essere considerata come punto di riferimento, poiché le vittime possono ottenere assistenza indipendentemente dalla collaborazione con la giustizia (art. 18 T.U. sull’immigrazione).
A prima vista ciò può apparire un controsenso: perché offrire assistenza senza ottenere in cambio collaborazione nelle indagini contro i trafficanti? In realtà i dati indicano che questo meccanismo instaura un "circolo virtuoso", poiché le vittime guadagnano fiducia nelle istituzioni che offrono loro assistenza e denunciano spontaneamente i propri aguzzini contribuendo alla lotta al fenomeno.
Quali conclusioni trarre dunque? In primo luogo lo studio sottolinea l’importanza dei dati: al momento le informazioni sulla tratta sono poche e disomogenee sia a livello nazionale, sia a livello comunitario. Senza riferimenti precisi anche le strategie di contrasto si rivelano poco efficaci e inadeguate, poiché i trafficanti adottano strategie sempre nuove per sfuggire alle forze dell’ordine.
In secondo luogo si sottolinea l’esigenza di un approccio "sociale" che consideri le prostitute non come criminali, ma come vittime del racket. L’esperienza italiana è significativa in questo senso poiché, aiutando le vittime, si riescono ad ottenere informazioni utili nella lotta al fenomeno.
Infine lo studio mette in luce come i reati connessi alla tratta siano compiuti da una rete transnazionale di trafficanti e fiancheggiatori. Perciò è necessario un impegno comune a livello europeo per porre in essere interventi di contrasto efficaci. In particolare appare necessaria la collaborazione tra istituzioni (forze di polizia, autorità giudiziaria, governi) e organizzazioni non governative che si occupano dell’assistenza e il reinserimento delle vittime.
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