Vita da guardia del corpo a Baghdad
Il suo compito: proteggere civili americani. La paga: da 350 a mille dollari al giorno. I rischi: tantissimi. Ecco come si vive nel luogo più pericoloso del pianeta.
Robusto è robusto. Ma non quell'armadio a più ante che uno si immagina. Colpiscono le braccia: quelle sì davvero grosse e tutte tatuate come fosse un guerriero Maori. E poi il viso, che ti si presenta bonario ma che, se diventa feroce, incute paura vera.
Paolo Simeone, genovese, poco più che trentenne, è in Iraq da 28 mesi: a Baghdad fa uno dei mestieri più pericolosi che si possano immaginare, la guardia del corpo a civili statunitensi.
In una città dove non passa giorno senza che qualche kamikaze si faccia saltare cercando di portare con sé il numero più alto possibile di americani, è inevitabile che anche Simeone si sia trovato più volte sulla soglia dell'inferno.
«La peggiore è stata sulla Irish road, che qui tutti conoscono semplicemente come "la strada della morte"» racconta a Panorama.
«Due vetture ci hanno affiancato e di botto i terroristi hanno aperto il fuoco con mitragliatori AK47. Noi abbiamo reagito all'istante. Io ne ho centrati due, ma sono stato colpito a mia volta: la pallottola mi è entrata nella spalla e, uscendo, è andata a sbattere contro l'interno del giubbotto antiproiettile e si è spezzata in molti frammenti, uno ce l'ho ancora nel fegato. Ci siamo salvati solo per la velocità della nostra risposta: i guerriglieri hanno sparato una decina di proiettili, noi abbiamo esploso più di 120 colpi. Tutti andati a segno».
Però, si guadagna bene («Da 350 a mille dollari al giorno, secondo il tipo di lavoro e di qualifica» spiega Simeone), ma l'adrenalina è spesso alta. Anche se, per fortuna, non tutti i giorni ci si trova a essere l'obiettivo di un attacco. Anzi, a sentire come la racconta il giovane genovese, quella è l'eccezione: il suo impiego, in fondo, è un lavoro come tanti. E che fanno in tanti: secondo gli ultimi dati sarebbero almeno 20 mila i professionisti della sicurezza che operano in Iraq per conto di una sessantina di società specializzate, quelle che in gergo si chiamano Psc, compagnie di sicurezza privata.
«Io sono assunto da una società britannica: in questo momento a Baghdad siamo solo in tre italiani e la nostra presenza è registrata presso l'ambasciata, che è informata del lavoro che svolgiamo» spiega Simeone, il cui nome finì sulle pagine dei giornali italiani in occasione del sequestro di Quattrocchi, Stefio, Agliana e Cupertino.
Ed è stato proprio in seguito a quel rapimento e alla tremenda esecuzione di Quattrocchi che si è potuto levare di dosso l'infame qualifica di «mercenario». E diventare un «professionista della sicurezza», un «contractor», come vengono chiamati in tutto il mondo quelli che fanno il suo mestiere. Soprattutto inglesi e americani, ma anche moltissimi sudafricani, «tanto che l'afrikaans è oggi la terza lingua più parlata in Iraq, dopo l'arabo e l'inglese» rivela Simeone. Ma non mancano anche bianchi dello Zimbabwe ai quali Robert Mugabe ha sequestrato le terre, molti sudamericani, australiani, neozelandesi. Non hanno la fama di anime belle.
Quasi tutti provengono da reparti speciali delle forze armate o della polizia. E Paolo Simeone non fa eccezione: è stato tra i marines italiani del reggimento San Marco; poi, come nei romanzi, è passato nella Legione straniera francese, quindi ha lavorato e ha sudato a Gibuti, in Kosovo, Serbia, Angola, Afghanistan, prima di sbarcare a Baghdad. Ma come si diventa contractor? «Non certo con i brevi corsi da body guard organizzati da associazioni civili: con quei "diplomi", qui il lavoro non lo trovi. E infatti sono in tanti gli italiani che sono venuti in Iraq e dopo due o tre settimane se ne sono andati» rivela Simeone. «Alcuni non si aspettavano una realtà così dura e pericolosa (in poco più di due anni qui sono morti circa 300 contractor). Altri, più banalmente, non avevano i requisiti professionali necessari. Per essere assunto da una Psc bisogna superare delle selezioni qui in Iraq. Tra gli esami, anche prove di tiro al poligono. Le armi, fornite dalla Psc, comprendono carabine M-4 (le stesse delle forze speciali americane), pistole Glock 21, mitragliatrici Minimi e lanciagranate M-79». Ne parla con grande tranquillità, quasi con indifferenza. Quella che appare ai più come una vita da rambo, Simeone la racconta con grande normalità.
Panorama