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Una volta su una spiaggia salernitana ne avevo incontrato uno. L'unico che sembrava provare soddisfazione nel farsi chiamare narcos. Stravaccato sulla sdraio, ascelle aperte al sole, raccontava di sé con i silenzi giusti per alimentare la curiosità e non saziarla. Raccontava di sé senza dare nessun dettaglio che potesse divenire prova, faceva intendere ciò che era e lasciava che su di lui fioccassero leggende. Era uno che si diceva amico di un capo guerrigliero colombiano, Salvatore Mancuso, ne parlava come di una sorta di semidio, una potenza in grado di far muovere capitali immensi e di legare il Sud Italia alla Colombia con un unico indissolubile nodo scorsoio. Ma quel nome non mi diceva niente. Un nome italiano in Colombia, uno dei molti. Poi, qualche anno dopo, venni a conoscere ogni centimetro di leggenda e di inchiostro giudiziario. Salvatore Mancuso è il capo delle Auc (Autodefensas Unidas de Colombia), i paramilitari che da decenni dominano su oltre dieci regioni dell'interno della Colombia, contendendo paesi e piantagioni di coca ai guerriglieri delle Farc. Mancuso è responsabile di 336 morti tra sindacalisti, sindaci, pubblici ministeri e attivisti per i diritti umani: secondo le sue stesse ammissioni fatte al tavolo della commissione Giustizia e pace, istituita nell'ambito del negoziato tra i paramilitari e il governo del presidente colombiano Alvaro Uribe. Salvatore Mancuso è riuscito ad evitare ogni richiesta di estradizione sia negli Usa che in Italia, dove vorrebbero che venisse a rispondere delle tonnellate di coca esportate, perché per evitarle si è fatto arrestare. Condannato a 40 anni per una delle stragi più efferate della storia colombiana, quella di Ituango, attualmente collabora al processo di smobilitazione della guerriglia e per questo la legge 975 colombiana ha ridotto la sua pena a soli otto anni che sconta lavorando in una fattoria nel Nord del paese. Ma da lì in realtà continua ad avere una nuova postazione attraverso cui gestire la diffusione della migliore coca colombiana con i cartelli italiani. Sentir pronunciare il nome di Mancuso, per molti significa far affiorare ogni volta la voce di un testimone scampato a uno dei massacri compiuti dai suoi uomini delle Auc, un contadino che stringendo il microfono come se stesse spremendo un tubetto di dentifricio per farne uscire l'ultima stilla, disse in tribunale: "Cavavano gli occhi di chi osava ribellarsi con dei cucchiaini". Migliaia di uomini al suo servizio, una flotta di elicotteri militari, e intere regioni da lui dominate, l'hanno reso un sovrano della coca e della selva colombiana. Mancuso ha un soprannome 'El Mono', la scimmia, evocato dal suo aspetto di agile e tozzo orango. L'inchiesta Galloway Tiburon coordinata dalla Dda di Reggio Calabria dimostra che con l'Italia ha il maggiore numero di affari. Possiede persino il passaporto italiano. L'Italia sarebbe la nazione più sicura per svernare qualora la Colombia divenisse troppo rischiosa. Mancuso è considerato in diverse inchieste dell'antimafia (Zappa, Decollo, Igres, Marcos) il narcotrafficante che più di tutti, attraverso le finestre dei porti italiani, riempie di coca l'Europa. Il governo italiano che riuscirà a portare Mancuso in Italia sarà l'unico in grado di poter dichiarare di aver fatto qualcosa di decisivo contro il traffico di cocaina, perché sino a quando lo si lascia in Colombia, ogni giorno sarà come giustapporre la firma ai suoi affari.
Il contributo fondamentale della criminalità organizzata italiana sta nella mediazione dei canali e nella capacità di garantire continui capitali d'investimento. I capitali con cui la coca viene comprata si definiscono 'puntate'. E le puntate dei clan italiani arrivano prima di ogni altro concorrente: puntuali, corpose, in grado di permettere ai produttori di avere garanzie di vendite all'ingrosso e persino di liberarli della necessità di trasportare il carico sino a destinazione. L'operazione Tiro Grosso coordinata dai pm Antonio Laudati e Luigi Alberto Cannavale, compiuta nel 2007 dai Carabinieri del nucleo operativo provinciale di Napoli e che ha visto la collaborazione di Polizia, Guardia di Finanza e la partecipazione di decine di polizie europee, della Dea americana e della direzione centrale per i Servizi antidroga diretta dal generale Carlo Gualdi, costringe a cambiare in maniera radicale lo sguardo sulle vie della coca. Emerge la nascita di una nuova figura, il broker, e lo spostamento dell'asse internazionale dei traffici dalla Spagna a Napoli.
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