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In Italia La mancata elaborazione dei propri crimini è stata politica di stato: delle 259 condanne a morte pronunciate in tutta Italia nel Dopoguerra, 168 non sono state eseguite. Dei 5.594 condannati 5.328 sono stati assolti o hanno beneficiato di un'amnistia in un secondo momento. Dopo 20 anni di fascismo, nel 1952 risultarono esserci solo 266 colpevoli di crimini di guerra. La Commissione per i crimini di Guerra dell'ONU contava 1.200 italiani nelle liste dei colpevoli di crimini di guerra. Essi erano responsabili di massacri in Libia (tra 40.00 e 80.000 morti per deportazione; 20.000 profughi su 800.000 abitanti), in Etiopia (tra i 300.000 e 730.000 morti uccisi), in Slovenia (12.000 morti e 40.000 deportati).
Lo storico italiano Rochat accusa l'Italia fascista di una politica di genocidio. Ciononostante nessuno dei responsabili dei crimini di guerra commessi in Africa ha mai dovuto assumersene le proprie responsabilità. I crimini fascisti in Africa e nei Balcani vengono taciuti ricordando i crimini assai peggiori del nazismo. Anche questo è un modo per non affrontare il proprio passato razzista, reso possibile dopo il 1945 da un governo di centro sinistra che ha sempre cercato la pacificazione e dalle potenze occidentali che non erano veramente interessate alla persecuzione dei criminali di guerra fascisti.
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Ne viene fuori una memoria dimezzata, nella quale la violenza fascista in quelle terre è cancellata. Qual è il contesto storico che produce la tragedia delle foibe?
Non c'è alcun dubbio. Ne esce una memoria dimezzata. Con il risultato non di colmare una lacuna storica, con una legittima revisione, ma di rendere ancora più confusa, inestricabile, la storia della nostra presenza sul confine orientale. Non si può capire l'estrema, condannabile, violenza del regime di Tito, che ha generato le foibe e l'esodo di centinaia di migliaia di italiani, se non si ripercorre la storia del Novecento. Quando l'Italia, vincitrice nella Prima guerra mondiale, ingloba nel proprio territorio 327 mila sloveni e 152 mila croati, anziché scegliere la strada del rispetto per le minoranze, suggerito da Wilson, sceglie invece quella dell'assimilazione forzata e brutale. E' con l'incendio, il 13 luglio 1920, del Darodni Dom, la sede delle principali organizzazioni slave di Trieste, che ha inizio la grande campagna di snazionalizzazione della Venezia Giulia.
Se si leggono i rapporti dei prefetti e dei gerarchi fascisti, questa campagna viene descritta con differenti locuzioni: "assimilazione", "italianizzazione", "nazionalizzazione", "bonifica etnica", "epurazione etnica". Ma il significato è lo stesso: annientamento di un popolo. Come hanno scritto i quattordici storici italiani e sloveni della Commissione mista, in quel loro documento purtroppo dimenticato, "il fascismo cercò di realizzare nella Venezia Giulia un vero e proprio programma di distruzione integrale dell'identità nazionale slovena e croata". Programma che l'Italia fascista cercò di completare nel 1941, quando incorporò nel proprio territorio la parte meridionale della Slovenia. Adesso non erano più le squadracce di Francesco Giunta a usare violenze sulle minoranze slave, ma l'esercito italiano, il quale, in base alla famigerata circolare 3C, emessa il 1° marzo 1942 dal generale Roatta, potevano impiegare ogni mezzo per piegare la resistenza degli sloveni. I risultati di questa condotta sono tristemente noti: 13 mila uccisi, fra partigiani e civili; 26 mila deportati in campi di concentramento; 83 condanne a morte, 434 ergastoli, 2695 pene detentive per un totale di 25.459 anni.
Come giudica il fatto che si parli delle foibe contro gli italiani e invece per i crimini fascisti e nazisti commessi in Jugoslavia i processi e la verità sono stati respinti ripetutamente dai governi italiani del dopoguerra?
Non uno solo dei generali italiani che hanno operato nei Balcani, tra il 1941 e il 1943, ha pagato per i suoi crimini. Così come nessun generale o gerarca fascista ha pagato per le stragi, le deportazioni, l'uso dei gas in Etiopia e in Libia. Alcuni di costoro, anzi, hanno avuto incarichi ed onori dagli stessi governi della Repubblica, nata dalla Resistenza. Chi sperava, come l'imperatore Hailè Selassiè, in una "Norimberga italiana", è rimasto deluso. Avendo assunto la deprecabile decisione di non consegnare a paesi stranieri criminali di guerra (soltanto Belgrado ne aveva richiesti 750), Roma rinunciava anche, salvo per una dozzina di personaggi, a chiedere alla Germania la consegna dei nazisti che si erano macchiati in Italia, tra il 1943 e il 1945, di un numero infinito di stragi (non meno di 10 mila uccisi fra i civili).
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