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Old 30-05-2006, 21:54   #4
zerothehero
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meno siamo, meglio stiamo..ma così diventa un soliloquio ^_^

Palestina: Hamas e Fatah al bivio

Il 24 maggio Abu Mazen ha convocato tutti i partiti palestinesi a Ramallah, per raggiungere un accordo che ponga fine al conflitto interno e salvi l'ANP dalla guerra civile. Dietro la proposta compromissoria di un dialogo nazionale, la Presidenza, sostenuta da Fatah, ha lanciato un ultimatum ad Hamas affinché accetti la piattaforma politica dell'OLP.

Giovanni Faleg

Equilibri.net (30 maggio 2006)


L'esplosiva rivalità fra Hamas e Fatah, dopo tre mesi di scontri fra i militanti delle due fazioni, ha raggiunto il suo apice con la disputa sul tema della sicurezza nella Striscia di Gaza. A seguito del dispiegamento della nuova milizia speciale alle dirette dipendenze di Hamas, il duopolio della forza legittima così creatosi ha reso evidente la necessità di un dialogo fra le parti, con lo spettro della guerra civile arrivato a livelli mai raggiunti nella storia dell'ANP. Un dialogo diventato una priorità, oltre che una necessità, all'indomani della visita del premier israeliano Ehud Olmert a Washington durante la quale il presidente Bush ha dichiarato di appoggiare la strategia unilaterale di Israele. Queste due motivazioni, aggiunte alla grave crisi finanziaria, sono alla base dell'iniziativa di Abu Mazen per trovare un compromesso duraturo fra le forze centrifughe di Hamas e Fatah. In caso di mancato accordo, il popolo potrebbe essere chiamato ad esprimersi tramite un referendum.Dopo poco più di un decennio di sovranità, l'ANP si ritrova schiacciata da lotte intestine e da un dualismo di potere che rischia di rimettere in discussione la legittimità stessa dell'OLP.

Anarchia e crisi umanitaria: la Palestina nell'ingovernabilità

La crisi umanitaria e la catastrofe economica che da mesi soffocano la Palestina sono una conseguenza dell'impasse istituzionale successiva all'insediamento del governo Hamas. La detronizzazione di Fatah è invece all'origine dell'inattesa resistenza dei propri militanti contro il nuovo governo incaricato. Durante la campagna elettorale il fattore ritenuto più destabilizzante per le sorti della politica palestinese veniva individuato nell'appartenenza di Hamas al terrorismo di matrice fondamentalista e nel rifiuto dell'ufficio politico di deporre le armi dopo le elezioni. Sono stati invece i gruppi armati di Fatah ed altre organizzazioni affiliate, come le brigate dei martiri di Al Aqsa, a sfruttare il caos esistente nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania per fomentare la reazione contro la nuova leadership.

L'astio politico fra Hamas e Fatah si è tradotto a livello territoriale in una nebulosa di scontri a fuoco che si sono aggiunti ai raid israeliani in risposta agli attacchi terroristici ed al malcontento della popolazione per le inefficienze dell'amministrazione pubblica. Ad esasperare le tensioni esistenti ci ha pensato il blocco economico imposto da Israele e dai paesi occidentali (Stati Uniti ed UE).

Il governo Hamas si è rivolto ai paesi arabi, all'Iran ed alla Russia, che hanno accordato lo stanziamento di fondi per soccorrere l'ANP nonostante il veto degli Stati Uniti. Ma il trasferimento delle liquidità è stato in diversi casi reso impossibile dall'ostruzionismo delle banche; sotto la pressione del governo americano molte di esse hanno chiuso le proprie filiali e rifiutato i trasferimenti.

Recentemente, l'ondata di violenza ha coinvolto anche i servizi di intelligence, segnale che entrambe le fazioni cercano di eliminare gli uomini chiave dei rivali, come mostra il tentativo di assassinare il capo dei servizi segreti Generale Tarek Abu Rajab. Lo stesso Abu Mazen non verrebbe risparmiato: secondo l'intelligence palestinese, una serie di attentati sarebbero stati già preparati per uccidere il Presidente Se questi dovesse scomparire dalla scena politica, il presidente del PLC (Consiglio Legislativo Palestinese) Aziz Dweik otterrebbe la Presidenza ad interim per sessanta giorni, al termine dei quali le elezioni potrebbero porre fine alla coabitazione e dare ad Hamas entrambe le branche dell'esecutivo.

La piattaforma dell'OLP e la proposta di Barghouti

Alla riunione di Ramallah, Abu Mazen ha parlato di tre priorità per rilanciare il dialogo nazionale. La prima, di carattere economico, riguarda l'individuazione di un metodo appropriato per rimediare all'embargo ed alle sanzioni a carico del governo Hamas. La seconda porta sul conflitto di prerogative fra la Presidenza ed il Governo, quindi la rivalità fra Hamas e Fatah in senso stretto. Infine, lo studio di una possibile riforma dell'OLP, affinché l'organizzazione diventi rappresentativa di tutte le forze politiche presenti nel panorama politico palestinese.

Le tre priorità sono tradotte in un documento di diciotto punti elaborato dai prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane ed i cui firmatari sono Marwan Barghouti, leader di Fatah in Cisgiordania, e Abdel-Khaliq al-Natsheh, figura di rilievo di Hamas. Nel testo si prevede la creazione di uno Stato palestinese indipendente nei Territori Occupati con Gerusalemme Est come capitale, obbiettivo da conseguire mediante il negoziato con Israele ed a condizione che quest'ultimo si ritiri entro le frontiere del 1967. La bozza affronta il tema della politica interna attraverso la creazione di un governo di unità nazionale, di cui facciano parte tutti i partiti palestinesi, fra cui Fatah ed Hamas, ed una ristrutturazione dell'OLP che includa Hamas e Jihad islamica. Si parla infine del diritto al ritorno dei profughi palestinesi del 1948 e della liberazione dei detenuti palestinesi in Israele.

Dal documento si possono trarre diverse indicazioni. In primo luogo, esso rappresenta una proposta concreta ad Hamas per ricucire il dialogo e rendere governabile l'ANP. Dai punti salienti del testo si può notare come il movimento islamico, nell'accettare il governo di unità nazionale, sia chiamato a riconoscere Israele ed accettare la legittimazione dell'OLP come organo rappresentante della popolazione palestinese.

Il testo, di per sé, non è molto innovativo, eccezione fatta per il punto riguardante la ristrutturazione dell'OLP. La sua importanza è più che altro simbolica, essendo stato elaborato nelle prigioni israeliane, da uomini di Fatah ma sottoscritto da non pochi esponenti di Hamas appartenenti alla corrente più pragmatica. La proposta non viene quindi direttamente dalla Presidenza, ma da Barghouti; non dalla vecchia e corrotta leadership di Fatah, ma dalle nuove generazioni più vicine alle sofferenze ed alle rivendicazioni del popolo palestinese.

L'effetto sperato è quello di accentuare la divisione interna ad Hamas fra i difensori della linea dura, in testa ai quali c'è il capo dell'ufficio politico in esilio a Damasco, Khaled Meshaal, ed i pragmatici che ritengono necessario un compromesso per la causa nazionale. I primi infatti, come ribadito dal portavoce del movimento islamico Sami Zuhri, rifiuteranno ad oltranza l'imposizione di condizioni preliminari e la pressione esercitata dalla Presidenza.

Abu Mazen, nel presentare al premier Haniyah l'ultimatum, ha dato tempo dieci giorni per sottoscrivere il documento, al termine dei quali, in caso di mancato accordo, sarà indetto un referendum per dare al popolo la parola definitiva. Una misura energica, un monito severo ed una decisione netta sul futuro prossimo dell'Autorità.

Fatah ed Hamas, due realtà parallele

Occorre chiedersi a questo punto quanto siano realistiche le ipotesi di un accordo e quali sarebbero le alternative se il dialogo dovesse fallire. Vi sono tre possibili sbocchi per il dialogo al quale Hamas e Fatah sono faticosamente convenuti, non potendo ignorare l'aggravarsi della crisi. Nel primo caso, Abu Mazen potrebbe indire nuove elezioni, sulla base di un accordo fra i partiti, per rinnovare contemporaneamente la Presidenza ed il PLC. Ipotesi che lo stesso Abu Mazen ha definito accettabile ma che non sembra poter essere condivisa facilmente da Hamas.

La seconda soluzione è fortemente sponsorizzata dal settore privato e consiste in un gabinetto di tecnocrati dal quale siano esclusi ministri di Hamas e Fatah. Anche se appare difficile che il Consiglio Legislativo possa approvare tale mozione, da essa trarrebbero profitto le finanze, la sicurezza ed il sistema sanitario, senza contare il segnale di fiducia dato alla Comunità Internazionale per la questione dei fondi.

Infine, una coalizione per l'unità nazionale è la strada battuta da Fatah, nell'intento di lavorare insieme alla corrente pragmatica di Hamas nel rispetto degli accordi di Oslo e del negoziato con Israele. Indubbiamente, rispetto alle due precedenti, quest'ultima ipotesi è la sola che in parte risolverebbe la crisi alla base, vale a dire facendo prevalere all'interno di Hamas la corrente più moderata ed escludere dal governo i radicali.

Così facendo, la politica interna dell'ANP potrebbe essere caratterizzata da un'intesa fra la componente popolare di Fatah, le nuove generazioni di cui sono portavoce Barghouti e Dahlan, ed i pragmatici di Hamas, disposti a lavorare su un terreno comune sotto l'egida dell'OLP. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina diverrebbe allora la nuova chiave di volta e base del futuro stato palestinese, in un momento storico nel quale l'ANP si trova spalle al muro di fronte al proprio fallimento.

In mancanza di un accordo, lo scontro diretto getterebbe il paese nella guerra civile, varcando quella linea rossa che, fino ad ora, nessuno ha avuto l'interesse di varcare, o almeno non completamente. Molti analisti hanno scongiurato l'ipotesi del conflitto fratricida, sottolineando l'evidenza del danno reciproco se l'eventualità dovesse avverarsi. Ciononostante, l'impressione è che l'ANP si stia preparando al peggio, prendendo le dovute precauzioni nel caso il dialogo dovesse fallire. Persino da Israele è stata paventata l'ipotesi di fornire armi a Fatah qualora lo scontro con Hamas scoppiasse su ampia scala.

Secondo altri analisti, un eventuale referendum sui negoziati di pace con Israele, sulla base della piattaforma proposta da Barghouti e dagli altri prigionieri palestinesi, andrebbe quasi sicuramente ad appannaggio di Abu Mazen. Se infatti Hamas gode di un ampio consenso popolare (tuttavia diminuito a causa della crisi finanziaria), è anche vero che la maggior parte dei palestinesi resta favorevole al negoziato; soprattutto se da questo dipendesse la capacità dell'Autorità di pagare gli stipendi, con le tasche dei funzionari pubblici vuote da due mesi.

Conclusioni

L'unica certezza rimane il fallimento del cosiddetto "cart before the horse approach": la costruzione di istituzioni democratiche in Palestina prima dell'indipendenza della nazione non ha portato ai risultati sperati. Dalla riunione di Ramallah emerge chiaramente che solo in seno all'OLP Fatah ed Hamas potranno trovare un accordo. Nel 1994 Nabil Shaath commentava il processo di Oslo dicendo che, se questo avesse funzionato, Gaza sarebbe diventata come Singapore, ma che in caso di insuccesso avrebbe potuto assomigliare alla Somalia. Diversi fattori, dalla divisione delle forze di sicurezza interne alle fratture istituzionali, passando per il rischio della guerra fratricida, rendono oggi il panorama palestinese molto simile a quello del vicino Iraq.
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We are the flame and darkness fears us !

Ultima modifica di zerothehero : 30-05-2006 alle 21:58.
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