Nei college americani ci sono stato e la quantità di studenti asiatici (cinesi in primi, poi indiani, pachistani, vietnamiti, filippini etc) è immane. I professori mi dicevano pure che per gli stutendi statunitensi sono quasi una piaga perché alzano di tantissimo la media e i soliti figli di papà californiani piuttosto che texani si ritrovano a dover studiare "veramente". Ecco, tutti questi cervelli poi tornano in patria ed occupano quasi sempre posti di spicco.
Per quanto riguarda la manodopera di per se, conta veramente una mazza. Forse può contare per la costruzione e la gestione dell'impiano, ma l'operaio specializzato che lavora nella linea Intel di Manila prende quanto l'operaio specializzato che lavora nella linea AMD di Dresda. Il vero punto, come già detto, è il comportamento dei governi di fronte a questi investimenti. Gli asiatici e in generale i paesi in via di sviluppo accolgono a braccia aperte l'apertura di qualsivoglia impresa sul proprio territorio (che sia di semiconduttori, tessili, metalmeccanici, alimentari ed altro) mentre nella "vecchia europa" le lungaggini burocratiche, le instabilità politico-sociali e le forti spese in tassazioni scoraggerebbero uno svizzero ad aprire una fabbrica di orologi.
(hint: ma non scoraggiano un pachistano ad aprire un chiosco di kebap)
|