Cecenia, elezioni farsa Se non fossero drammatiche
Sulle schede solo partiti russi
Cecenia, elezioni farsa Se non fossero drammatiche
Luigi Geninazzi
Verrebbe da sorridere, se la realtà non fosse tragica. Oggi i ceceni sono chiamati ad eleggere il loro parlamento ma potranno votare solo per i partiti russi. Dalla competizione sono state escluse le liste locali che, in modo più o meno camuffato, avrebbero potuto dar voce a candidati indipendentisti. Il Parlamento di questa piccola e tormentata Repubblica del Caucaso sarà dunque una fotocopia della Duma federale, con il partito di Putin Russia Unita già dato per vincente. Un gioco facile se si considera che la cifra di 600 mila elettori, ostinatamente fornita da Mosca, è del tutto irreale dato che gran parte della popolazione è fuggita all'estero o si trova nei campi profughi della vicina Inguscezia. In compenso hanno diritto di voto anche gli 80 mila militari russi dislocati permanentemente in Cecenia. Ci saranno poi centinaia di funzionari moscoviti a "vigilare" sulla correttezza del voto, mentre gli osservatori occidentali non sono stati ammessi. Le elezioni di oggi sono l'ultima tappa di quel "processo politico" imposto da Mosca per dimostrare l'avvenuta normalizzazione della Repubblica ribelle. A Grozny si gioca allo stadio, s'inaugurano luna park e si aprono perfino delle discoteche. È la nuova strategia dell'uomo forte della Cecenia, Ramzan Kadyrov, figlio del presidente filo-russo ucciso in un attentato nel maggio del 2004. Ha la carica di vice-premier ma di fatto è il proconsole di Mosca con pieni poteri. Ha trasformato Grozny in un "villaggio Potemkin" per compiacere lo zar del Cremlino. Dietro la facciata, però, c'è la drammatica realtà di un Paese in macerie, segnato dallo stillicidio quotidiano di violenze, sequestri e attentati, e dominato dalla legge del più forte. Da quando, undici anni fa, è iniziata la prima guerra cecena ci sono stati 100 mila morti, 150 mila profughi, 5 mila sequestri. La guerriglia separatista ha ceduto terreno di fronte all'esercito russo ma riesce a colpire fuori dal territorio ceceno (è successo un mese fa a Nalchik, la ca pitale della Kabardino-Balkaria messa a ferro e a fuoco per tre giorni) o a compiere attentati spaventosi, come l'eccidio nella scuola di Beslan. Fagocitato dall'estremismo islamico e privato del suo leader più credibile, l'ex presidente ceceno Alan Mashkadov ucciso recentemente dalle forze armate russe, il movimento indipendentista si è ormai identificato con il terrorismo. Putin lo denuncia a ragione, ma non fa nulla per conquistare il cuore e la mente dei ceceni che conoscono solo il pugno di ferro del leader del Cremlino e dei suoi emissari. Grozny non ha bisogno di elezioni-farsa ma di un grande sforzo umanitario per uscire dalla disperazione e dalla povertà. Invece, i miliardi di dollari incassati con il petrolio, che dovevano finire nel Fondo di stabilizzazione, hanno preso la via dei clan mafiosi in combutta con gli alti gradi dell'esercito. Nei confronti del problema ceceno, Putin mostra la stessa sensibilità che ha per le regole della democrazia. Ha spedito l'ex oligarca Khodorkovskij in Siberia, punendolo duramente non per i suoi reati fiscali ma per le sue velleità di oppositore. Ha tagliato i fondi provenienti dall'estero alle Ong della Russia, colpevoli di sostenere le rivoluzioni arancioni nelle Repubbliche ex sovietiche. E si prepara a restare al potere anche dopo la scadenza del mandato presidenziale nel 2008, futuro primo ministro di un governo forte. Sarebbe bene che l'Occidente, in particolare l'Unione europea, prestasse un po' più d'attenzione a quanto succede dentro la "casa Russia". Cecenia compresa. (Avvenire)
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