View Full Version : Su De Benedetti e Berlusconi (di Ezio Mauro)
medicina
03-08-2005, 12:30
IL COMMENTO
Repubblica, il diavolo e l'acqua santa
di EZIO MAURO
I FATTI sono questi. Carlo De Benedetti, imprenditore e azionista di maggioranza del Gruppo Espresso e dunque di questo giornale, ha progettato sei mesi fa con Mediobanca e Lazard la creazione di un fondo per il risanamento di aziende in crisi, aperto naturalmente al concorso di altri soggetti imprenditoriali e finanziari italiani. Silvio Berlusconi, venuto a conoscenza del progetto, ha chiesto di poter investire in questo fondo e come lui sono entrati nell'iniziativa altri nomi di spicco del capitalismo italiano.
Ma Berlusconi e De Benedetti non sono soltanto due imprenditori. Il primo è il presidente del Consiglio e il capo della destra italiana. Il secondo fa parte di un mondo - questo giornale prima di tutto, il Gruppo Espresso, l'associazione "Libertà e Giustizia" - che in questi anni ha denunciato le anomalie e le storture del progetto politico e culturale di questa destra, e in particolare del suo leader, Berlusconi. Il fatto che questi due personaggi investissero insieme nella creazione dello stesso fondo (sia pure senza alcun patto di sindacato e nessun accordo di alcun tipo) ha fatto scandalo e continua a farlo. E si capisce perché, visto che i due per più di un decennio sono stati in Italia come il diavolo e l'acquasanta.
Le reazioni sono di tre tipi. La prima è interna alla sinistra, e sostiene che quell'intesa è comunque un errore in principio, perché non si fanno accordi di alcun tipo con Berlusconi, visto anche l'oggettivo ampliamento del conflitto d'interessi che il nuovo progetto può comportare. De Benedetti risponde che non c'è nessun accordo, nessun patto, soltanto un investimento comune, e il management sarà totalmente autonomo dagli azionisti.
La seconda reazione è quella dei giornali familiari del Cavaliere, che hanno immediatamente cavalcato l'operazione quasi fosse una benedizione insperata, esaltandola addirittura come una Jalta del capitalismo. Rivelando così un'ansia di sdoganamento e di legittimazione stupefacente dopo dieci anni di pubblica avventura politica del Cavaliere.
Infine, c'è la reazione di chi non ha mosso un dito quando la P2 stava assaltando l'informazione e oggi pensa (in realtà spera) che il semplice investimento di Berlusconi in un fondo creato da De Benedetti basti per sconfessare la linea politica che Repubblica ha tenuto in questi anni e serva per farla cambiare in futuro.
Francamente, questa è l'opinione più sconcertante. Il decennio populista che abbiamo attraversato con la sua sconfessione di ogni regola, deve aver fiaccato coscienze e culture anche esterne all'organizzazione politica berlusconiana, se si può pensare tranquillamente che l'imperativo proprietario può travolgere ormai ogni storia, ogni tradizione, qualsiasi autonomia culturale.
In tutti questi anni Repubblica ha dato i suoi giudizi sulla vicenda politica italiana tenendo conto sempre dell'interesse del Paese, e proprio a partire dalla storia libera e autonoma del suo progetto informativo e culturale. Lo ha fatto per il libero convincimento professionale e civile di una redazione straordinaria, in piena sintonia e continuità con il progetto iniziale dei fondatori, Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo. Ma lo ha fatto in pieno accordo con l'azionista De Benedetti, che ha condiviso e appoggiato tutte le battaglie del nostro giornale, e che non ha certo cambiato idea oggi.
Dunque, non abbiamo nulla da cui guardarci, nulla di cui pentirci (salvo i normali errori di chi fa un lavoro quotidiano, e che sono comunque e sempre responsabilità del direttore). Soprattutto, non sentiamo alcuna contraddizione con noi stessi e con il giudizio che - spesso nel silenzio e nella connivenza altrui - abbiamo dato di questi anni sventurati per l'Italia, nella lettura giuridica del professor Cordero, nell'immagine di Makie Messer usata a proposito da Eugenio Scalfari quando il Cavaliere l'imponeva.
In questi ultimi dieci anni il giornale ha semplicemente scritto ciò che pensava, e che la sua cultura gli dettava. Nessuno ci ha chiesto di cambiare e nessuno ce lo chiederà, con buona pace degli avvoltoi, forse infastiditi dal successo del nostro giornale. In ogni caso, cambiare sarebbe impossibile, con l'Italia che abbiamo davanti. I giudizi che abbiamo dato e che diamo oggi su Berlusconi non nascono dall'ideologia che non ci appartiene ma dalla convinzione che - voglio ripetere con chiarezza ciò che scrivo da più di dieci anni - questa destra italiana rappresenti un'anomalia nelle democrazie occidentali per il conflitto d'interessi, il monopolio dell'agorà televisivo, le leggi ad personam che stravolgono lo Stato di diritto, la sua cultura populista.
Tutto questo non per il dettato di una qualche proprietà, ma per la nostra comune valutazione di cittadini e di giornalisti, coscienti di contribuire a creare un'opinione pubblica informata e partecipe. Consapevoli, anche, che questa è la funzione e la natura di Repubblica, fin dalla fondazione scalfariana, ed è l'identità del Gruppo Espresso, difesa dalle redazioni come dal management e dalla proprietà.
Ci vuol tanto a capire che per tutte queste ragioni l'identità di Repubblica e il suo patto trentennale coi lettori non sono modificabili, né piegabili a contingenze e convenienze? Non tutti i giornali sono trapiantabili nelle zone di terreno più favorevoli e più fertili del momento, come fossero un vaso di fiori. E' accaduto in Italia, certo, ma non accadrà a Repubblica.
Spiace doverlo ricordare a dei liberali. Spiace ancora di più doverlo ribadire a dei giornalisti.
(3 agosto 2005)
Grande blu
03-08-2005, 12:49
Al direttore - A mio sommesso parere questo accordo fra il Cav. e l’Ing. dimostra soltanto che l’uno ha vinto e l’altro ha perduto. Che cosa volevano l’Ing. e la sua banda? Distruggere il Cav. Togliergli tutto: tv, giornali, case editrici, aziende, ville, azioni, conti in banca e anche la bella moglie. Sbatterlo in galera. Eliminarlo dalla scena politica, economica e anche sociale. Ridurlo a chiedere l’elemosina. Renderlo impresentabile. Rivelare che all’origine della sua fortuna c’erano solo corruzione, crimini e mafia. Dimostrare che lui e i suoi amici erano una volgare associazione a delinquere. Spiegare che il suo elettorato era la feccia d’Italia e forse del mondo. Disprezzarlo, maledirlo, snobbarlo, sfotterlo, sputargli in faccia e metterlo alla gogna dalla mattina alla sera. Sbattergli sul muso ininterrottamente la superiorità sociale culturale spirituale intellettuale morale e anche finanziaria propria e della propria banda. Promuoverlo al rango di Nemico Pubblico Numero Uno. Denunciarlo come la vera causa di tutte le infamie nazionali. Segnalarlo come la rovina del paese. Consegnarlo a un quotidiano linciaggio pubblico. Dirigere, incoraggiare e foraggiare le diverse mute linciatrici del grande barnum politico-mediatico-artistico-cultural-giudiziario allestito contro di lui a fargli simbolicamente la festa ogni giorno su tutte le pubbliche piazze, le grandi gazzette, i piccoli schermi e i più apprezzati palcoscenici del paese, nonché in tutti i filmini e i romanzini e i sermoncini e i saggettini e i poemettini cari alla nostra sinistra chic. Presentare il compito di batterlo come il primo e unico obiettivo di lotta e di governo a tutte le forze sane della nazione. Fare della sua figura l’espressione del Male assoluto. Vedere nei suoi successi la prova dell’esistenza del Diavolo. Indicare nella sua stessa persona il motivo della forse ineluttabile rovina del paese. Farlo infine morire di cancro e di vergogna un giorno sì e l’altro pure. Che cosa voleva invece il Cav.? Semplicemente non farsi accoppare. Pare che ci sia riuscito alla grande costringendo l’altro ad ammettere implicitamente di essere stato non si sa ancora bene se più pirla o più carogna. Resta solo da vedere se si tratta di una vittoria ai punti o di un k.o. E’ certo invece che la nota lobby al completo, dal suo leggendario fondatore fino all’ultimo travaglio, è stata stesa al tappeto con un solo colpo magistrale, paragonabile a uno di quei micidiali uppercut con cui Popeye, dopo aver tracannato la sua solita scatola di spinaci, riesce talvolta a far fuori un intero battaglione di avversari. Che vuoi di più dalla vita?
Ruggero Guarini http://www.ilfoglio.it/lettere.php
medicina
04-08-2005, 15:43
Al direttore - A mio sommesso parere questo accordo fra il Cav. e l’Ing. dimostra soltanto che l’uno ha vinto e l’altro ha perduto. Che cosa volevano l’Ing. [...]
Ruggero Guarini http://www.ilfoglio.it/lettere.php
Ma questo testo è veleno. La lettera l'hai inviata tu al Foglio? Altrimenti, ti dico che fanno male alla salute letture come questa oppure hai un gusto estetico che va verso l'horror. :)
Però le cose vere sono importanti.
Lì sopra c'è quello che ha detto il direttore di La Repubblica, non so se l'hai visto. :)
^TiGeRShArK^
04-08-2005, 16:17
UHAUHAUHA! bellissima 'sta lettera... x favore ditemi ke l'ha scritta uno di zelig ke nn c credo! :rotlf:
qdi berlusconi avrebbe fatto bene a farsi tutte le leggi ad personam ecc. ecc. e quant'altro era in suo potere x salvarsi il culo!
ke bello!
da domani inizierò a intraprendere quealke attività poco lecita ... e kissà se tra una ventina d'anni nn sarò il vostro presidente del consiglio! :D:rotfl:
IpseDixit
06-08-2005, 12:53
CARA Repubblica, cari lettori, cari giornalisti e collaboratori del Gruppo Espresso, caro Eugenio, caro Ezio, in questi giorni mi sono reso conto che si attribuisce alla mia persona una grande responsabilità sulla scena italiana, sia come individuo, sia come azionista di maggioranza del Gruppo Espresso-Repubblica, ai cui giornalisti ho sempre garantito la massima libertà di espressione. È certamente una comunanza di idee e di ideali che ci ha fatto incontrare tantissimi anni fa (Eugenio, ricordi i primi incontri con te e Carlo Caracciolo agli inizi degli anni Settanta?) e ci ha unito attraverso tante battaglie. La passione civile e politica che mi anima dagli anni lontanissimi del Politecnico di Torino, ha portato oggi alla mia identificazione con il Gruppo Espresso, con le persone che lo hanno diretto, lo dirigono e vi lavorano, con i suoi lettori.
In questi ultimi giorni, per errore o in malafede, si è presentata come "alleanza" un'eventuale partecipazione di Silvio Berlusconi a una iniziativa da me pensata e che sarà da me presieduta, con la partecipazione di altri importanti imprenditori. C'è perfino chi ha voluto trattare questo argomento sotto il capitolo della questione morale, alla stregua delle gravi vicende che abbiamo appreso su operazioni finanziarie, tali da gettare ombre e sospetti sul comportamento della stessa Banca d'Italia. E c'è chi ha cercato di approfittare dell'episodio per attaccare il Gruppo Espresso-Repubblica con riferimento alla mia veste di azionista di maggioranza. Non ho letto un solo commento sul merito dell'iniziativa da me assunta, ma solo sul presunto, e inesistente, accordo con Berlusconi.
Desidero dunque chiarire e ribadire, come già avevo fatto attraverso Il Sole 24 Ore del 29 luglio e il Financial Times del 3 agosto, come sono andate le cose.
1. Circa sei mesi fa ho dato incarico a Mediobanca e a Lazard di sviluppare finanziariamente e legalmente una mia idea per creare un fondo per il risanamento di medie aziende italiane.
2. Ho avuto di recente con Silvio Berlusconi un incontro conviviale, da lui richiesto da tempo, dopo che erano passati 16 anni dal nostro ultimo colloquio.
Verso la fine dell'incontro, in cui non si è parlato né di politica né di editoria, Berlusconi mi ha chiesto, incidentalmente, quali fossero i miei futuri progetti imprenditoriali. Ho accennato all'idea del fondo. Berlusconi mi ha chiesto quale fosse il mio investimento e mi ha prontamente chiesto, con gentilezza, se avremmo accettato lo stesso investimento da parte sua. Con altrettanta semplicità gli ho risposto di sì. Non ci sono stati, né potevano esserci, né accordi né patti.
Ma oggi, avendo constatato i malintesi e, soprattutto, le speculazioni che si sono fatte sull'episodio, ribadisco il mio assoluto impegno a considerare come prioritario il mio ruolo di editore del Gruppo Espresso-Repubblica. Per questo e solo per questa ragione, ho fatto sapere a Berlusconi, sia pure ringraziandolo per la disponibilità, che rinuncio al suo investimento.
Sono decenni che faccio l'imprenditore in Italia e so bene che ci sono prezzi che bisogna imparare a pagare. Ma questa volta c'è qualcosa in più. C'è stato il tentativo di attaccare, attraverso la mia persona, il Gruppo Espresso-Repubblica. Questo non lo voglio e non lo posso accettare perché credo profondamente in quella comunità di ideali che è il mondo di Repubblica, dal quale nessuno, neppure il più vantaggioso degli investimenti, potrà mai allontanarmi. I miei critici in malafede, però, sappiano che io andrò avanti con il mio fondo, proprio come l'ho annunciato, nella convinzione che sia una buona cosa per gli azionisti ma anche per il Paese nel quale vedo, con viva preoccupazione, configurarsi come iniziative imprenditoriali avventure finanziarie sotto esame della magistratura.
http://www.repubblica.it/2005/h/sezioni/economia/fondocdb2/fondocdb2/fondocdb2.html
CARA Repubblica, cari lettori, cari giornalisti e collaboratori del Gruppo Espresso, caro Eugenio, caro Ezio, in questi giorni mi sono reso conto che si attribuisce alla mia persona una grande responsabilità sulla scena italiana, sia come individuo, sia come azionista di maggioranza del Gruppo Espresso-Repubblica, ai cui giornalisti ho sempre garantito la massima libertà di espressione. È certamente una comunanza di idee e di ideali che ci ha fatto incontrare tantissimi anni fa (Eugenio, ricordi i primi incontri con te e Carlo Caracciolo agli inizi degli anni Settanta?) e ci ha unito attraverso tante battaglie. La passione civile e politica che mi anima dagli anni lontanissimi del Politecnico di Torino, ha portato oggi alla mia identificazione con il Gruppo Espresso, con le persone che lo hanno diretto, lo dirigono e vi lavorano, con i suoi lettori.
In questi ultimi giorni, per errore o in malafede, si è presentata come "alleanza" un'eventuale partecipazione di Silvio Berlusconi a una iniziativa da me pensata e che sarà da me presieduta, con la partecipazione di altri importanti imprenditori. C'è perfino chi ha voluto trattare questo argomento sotto il capitolo della questione morale, alla stregua delle gravi vicende che abbiamo appreso su operazioni finanziarie, tali da gettare ombre e sospetti sul comportamento della stessa Banca d'Italia. E c'è chi ha cercato di approfittare dell'episodio per attaccare il Gruppo Espresso-Repubblica con riferimento alla mia veste di azionista di maggioranza. Non ho letto un solo commento sul merito dell'iniziativa da me assunta, ma solo sul presunto, e inesistente, accordo con Berlusconi.
Desidero dunque chiarire e ribadire, come già avevo fatto attraverso Il Sole 24 Ore del 29 luglio e il Financial Times del 3 agosto, come sono andate le cose.
1. Circa sei mesi fa ho dato incarico a Mediobanca e a Lazard di sviluppare finanziariamente e legalmente una mia idea per creare un fondo per il risanamento di medie aziende italiane.
2. Ho avuto di recente con Silvio Berlusconi un incontro conviviale, da lui richiesto da tempo, dopo che erano passati 16 anni dal nostro ultimo colloquio.
Verso la fine dell'incontro, in cui non si è parlato né di politica né di editoria, Berlusconi mi ha chiesto, incidentalmente, quali fossero i miei futuri progetti imprenditoriali. Ho accennato all'idea del fondo. Berlusconi mi ha chiesto quale fosse il mio investimento e mi ha prontamente chiesto, con gentilezza, se avremmo accettato lo stesso investimento da parte sua. Con altrettanta semplicità gli ho risposto di sì. Non ci sono stati, né potevano esserci, né accordi né patti.
Ma oggi, avendo constatato i malintesi e, soprattutto, le speculazioni che si sono fatte sull'episodio, ribadisco il mio assoluto impegno a considerare come prioritario il mio ruolo di editore del Gruppo Espresso-Repubblica. Per questo e solo per questa ragione, ho fatto sapere a Berlusconi, sia pure ringraziandolo per la disponibilità, che rinuncio al suo investimento.
Sono decenni che faccio l'imprenditore in Italia e so bene che ci sono prezzi che bisogna imparare a pagare. Ma questa volta c'è qualcosa in più. C'è stato il tentativo di attaccare, attraverso la mia persona, il Gruppo Espresso-Repubblica. Questo non lo voglio e non lo posso accettare perché credo profondamente in quella comunità di ideali che è il mondo di Repubblica, dal quale nessuno, neppure il più vantaggioso degli investimenti, potrà mai allontanarmi. I miei critici in malafede, però, sappiano che io andrò avanti con il mio fondo, proprio come l'ho annunciato, nella convinzione che sia una buona cosa per gli azionisti ma anche per il Paese nel quale vedo, con viva preoccupazione, configurarsi come iniziative imprenditoriali avventure finanziarie sotto esame della magistratura.
http://www.repubblica.it/2005/h/sezioni/economia/fondocdb2/fondocdb2/fondocdb2.html
Mi ricorda un tale, duro e puro, che prima si era preso l'assegno " di ringraziamento"da un noto gruppo imprenditoriale e poi l'ha " stracciato" , ma solo dopo essere stato scoperto.
Ma pensarci prima no?
E poi è lo stesso debenedetti che , coinvolto a mani basse in tangentopoli non potè essere perseguito economicamnete perchè ufficialmente nullatenente? Ed è quello stesso che risanò così bene l' Olivetti?
Topomoto
06-08-2005, 15:45
[I] Ma oggi, avendo constatato i malintesi e, soprattutto, le speculazioni che si sono fatte sull'episodio, ribadisco il mio assoluto impegno a considerare come prioritario il mio ruolo di editore del Gruppo Espresso-Repubblica. Per questo e solo per questa ragione, ho fatto sapere a Berlusconi, sia pure ringraziandolo per la disponibilità, che rinuncio al suo investimento.
:mc: :mc: :mc: :mc: :mc:
IpseDixit
07-08-2005, 11:35
La risposta di Berlusconi. (http://www.repubblica.it/2005/h/sezioni/economia/fondocdb2/rispoberlu/rispoberlu.html)
Grande blu
07-08-2005, 11:39
Ostaggio della sinistra di Paolo Guzzanti -
La prima impressione è di trovarsi su scherzi a parte. La seconda è di trovarsi proprio in Italia dove il seme dell'odio è coltivato come altrove si coltiva il seme del papavero da oppio. La storia è questa: l'imprenditore ed editore Carlo De Benedetti è stato costretto dai suoi dipendenti di Repubblica a fare una figura barbina. La storia sta tutta nella lettera pubblicata ieri da quel giornale, firmata da Carlo De Benedetti, e che riassumiamo. Repubblica è stata e resta il giornale capofila nell'organizzazione dell'odio contro Berlusconi e contro tutti noi liberali di tante diverse origini che ci troviamo dalla sua parte.
È in libreria una lunga antologia delle frasi odiose contro il presidente del Consiglio, con una mia prefazione e alcuni lettori forse ricorderanno una nostra «Lettera a chi ci odia»: so di che parlo anche perché a Repubblica dalla fondazione ho assistito all'operazione che portò alla caduta di Craxi e all'inizio della demonizzazione di Berlusconi.
I fatti: qualche settimana fa Berlusconi chiese a De Benedetti un incontro conviviale per svelenire i loro rapporti e l'editore di Repubblica acconsentì.
Ci fu una cena, non si parlò di politica e alla fine Berlusconi domandò a De Benedetti quali nuove iniziative industriali stesse preparando. E quello gli parlò della nuova azienda, in pool con altri imprenditori, per soccorrere le aziende in difficoltà. Berlusconi ha trovato l'idea interessante e ha chiesto se poteva partecipare con una quota. De Benedetti si è detto lieto e i due si sono salutati. Il giorno dopo, diffusasi la notizia, il titolo volava in borsa perché evidentemente gli italiani sono contenti se sanno che due imprenditori di valore ma nemici hanno trovato un terreno di collaborazione.
Fine della prima puntata. Seconda puntata, nel campo d'Agramante della sinistra scoppia il finimondo e De Benedetti si trova sotto accusa tanto che, dopo un po' rinuncia: telefona a Berlusconi, lo ringrazia, gli dà atto della sua cortesia e correttezza, si rammarica per come sono andate le cose e scrive la lettera che ieri è stata pubblicata come un trofeo sulla prima pagina di Repubblica. Domandiamo ai lettori: perché gli uomini nella lettera come Ezio, Eugenio e Carlo Caracciolo hanno costretto il loro editore a fare marcia indietro da un affare che era soltanto un affare,
nulla di politico, nulla di ideologico, just business? Provate un po' a rispondere. L'avete capito? Vediamo se abbiamo capito la stessa cosa.
Gli amici di Repubblica (direttore, ex direttore, circolo degli influenti e amici politici) hanno preso a ginocchiate nelle parti basse il loro editore perché quel brav'uomo, senza accorgersene, gli aveva smontato il giocattolo su cui si basa la macchina che producendo odio politico permette di estrarre consenso elettorale e fatturato pubblicitario.
Il giocattolo è la demonizzazione e la criminalizzazione quotidiana e costante dell'avversario trattato come nemico pubblico numero uno, ieri Craxi e oggi Berlusconi. E allora che succede? Che se tu descrivi sempre, il tuo avversario come Al Capone anziché un eccellente imprenditore e uomo politico, tu poi non puoi non dico accettarne i soldi per un'azienda in comune, ma neanche prenderci una pizza al bar. E De Benedetti, pover'uomo, con Berlusconi ci ha consumato un pasto completo con caffè, ammazzacaffè e digestivo
oltre ad accettarne con entusiasmo i soldi per la partecipazione. E così per la prima volta nella storia d'Italia, e forse del mondo moderno, un editore è stato costretto a bruciar viva la propria dignità in un penoso autodafé per compiacere i suoi più illustri dipendenti. Dovremmo concludere dicendo che è una storia orribile, ma c'è del buono: i lettori di Repubblica potranno prender nota e ricordarsi chi sono coloro che con cinismo pianificano la distruzione della convivenza civile in questo povero Paese.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=20391&START=3377&XPREC=1765
Tra politica e morale trabocchetti e facili turbamenti (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2005/08_Agosto/06/ostellino06.shtml)
Perché il patto tra Berlusconi e De Benedetti è stato frainteso
di Piero Ostellino
Repubblica è scesa in campo, sul patto De Benedetti- Berlusconi, con un lungo editoriale per smentire l'ipotesi che «il semplice investimento di Berlusconi in un fondo creato da De Benedetti basti a sconfessare la linea politica che Repubblica ha tenuto in questi anni e serva a farla cambiare in futuro». Personalmente, e credo di essere in numerosa compagnia, non ne ho mai dubitato. Ho scritto dei «turbamenti» dei soci di Libertà e Giustizia - «In società con Mackie Messer», Corriere di martedì 2 - perché mi erano sembrati una singolare commistione di pregiudizio, moralismo, perbenismo politicamente corretto di una certa categoria di italiani, «tanto devoti quanto privi di devozione ». Con ciò, credevo di aver esaurito l'argomento. Poiché, però, Repubblica, col suo editoriale, me ne offre lo spunto ci torno sopra.
E', del resto, lo stesso titolo del suo editoriale - «Repubblica il diavolo e l'acqua santa» - che spiega come e perché sia nato il «caso» e abbia finito con assumere connotazioni francamente grottesche. Berlusconi e De Benedetti sono due imprenditori che si sono combattuti per la conquista di spazi nell'economia italiana. E' il capitalismo. Invece, la stessa Repubblica e Libertà e Giustizia, per ragioni polemiche, hanno descritto anche questa competizione come un conflitto fra il male e il bene, fra un malfattore (Berlusconi, il diavolo) e un uomo attento agli interessi del Paese (De Benedetti, l'acqua santa), conferendole un significato politico e persino morale che non aveva. «Troppo zelo», avrebbe ammonito Talleyrand, uno che dei trabocchetti della politica se ne intendeva.
Così, Repubblica - il giornale sul quale Berlusconi è stato paragonato a Mackie Messer - e Libertà e Giustizia, il movimento nato in opposizione al governo Berlusconi, si sono ritrovati il gangster dell'Opera da tre soldi socio rispettivamente del proprio editore e del proprio fondatore. Ma per spiegare perché Repubblica si opponga da sempre, prima ancora che De Benedetti ne diventasse l'editore, a ogni barlume di riformismo, e si sia schierata, ad esempio, con Berlinguer contro Craxi, mentre persino l'ex comunista Piero Fassino ha scritto nelle sue memorie che fra i due aveva ragione Craxi; perché abbia imprudentemente previsto che De Mita avrebbe trasformato l'Italia in una Svizzera; continui a difendere un ordine giudiziario diventato una corporazione autoreferenziale, e così via, non è necessario chiamare in causa gli interessi dell'editore.
E' sufficiente dire che Repubblica non ha capito. Repubblica è un giornale conservatore perché è lo specchio di quell'establishment che si è opposto sistematicamente a ogni cambiamento. Essa è, dunque, prigioniera della scelta di campo che le è stata impressa dopo che il suo fondatore era stato cooptato nell'establishment culturale, politico ed economico italiano e del quale aveva creduto di essere diventato il regista, mentre ne era solo l'inconsapevole megafono.Una buona regola è, invece, che più un giornalista sta alla larga dai potenti, meno rischi corrono lui stesso, il suo giornale e i suoi lettori. Se si legge quello che ha scritto negli ultimi anni, si scopre che, culturalmente e politicamente, De Benedetti è migliore e più avanti di Repubblica. Altro che serva degli interessi dell'editore! Per farne un giornale davvero al passo con i tempi, Repubblica avrebbe dovuto fondarla e dirigerla lui.
06 agosto 2005
Vicenda davvero meschina e che conferma la mia idea su Repubblica: un quotidiano che esiste solo per criticare la persona Berlusconi (e prima Craxi).
In questa vicenda Sartori mi ha deluso.
medicina
07-08-2005, 15:55
La risposta di Berlusconi. (http://www.repubblica.it/2005/h/sezioni/economia/fondocdb2/rispoberlu/rispoberlu.html)
Se ne è accorto ora delle critiche... Direi piuttosto che vuole distogliere l'attenzione dal fatto che mentre fa il p.d.c si mette ad occuparsi della sua imprenditoria, come ha raccontato De Benedetti rinunciando alla sua offerta (articolo di ieri (http://www.repubblica.it/2005/h/sezioni/economia/fondocdb2/fondocdb2/fondocdb2.html)). O dalle intercettazioni telefoniche, che lo vedono attivo, non a fare il p.d.c., ma a occuparsi del Corriere.
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